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Autore: emome    29/06/2012    1 recensioni
Isabella,17 anni va a vivere con la zia in una piccola cittadina degli Stati Uniti. Genitori morti e fratello scomparso.Pensava che sarebbe sprofondata ancora di più nella depressione e nella monotonia ma a scuola nota qualcosa che non và e la cronaca del posto mette i brividi.Conoscerà Alexander, bello e misterioso, ma sarà stata fortunata o sfortunata a conoscerlo?.
"Mi sembrava di essere finita in un film dell'orrore, con l'unico dettaglio che era tutto rale. Lui era reale".
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Cosa?” chiesi stupefatta. Alexander era stupito quanto me ma non disse niente.

“Perché vuoi il mio sangue? E poi non siete vampiri, non faresti prima a sbranarmi come fate voi?” continuai, non riuscendo a trattenere un tono sconvolto.

“Isabella calmati, non vuole farti del male” mi disse in tono rassicurante e dolce Alexander, ma non mi sentivo più calma.

“Non mi servi come pasto,ne ho pieno il palazzo di quelli” iniziò suo padre sempre con voce calma e controllata. Rabbrividii per quello che aveva appena detto. Il mio demone non era cosi. No, non lo era. Mi ripetevo mentalmente per convincermi, ma solo allora, vedendo dove era “cresciuto” mi si parò di fronte la sua natura. Come se un demone potesse essere buono. Ed ora giustificava il padre, così crudele, che voleva il mio sangue chissà per quale perverso motivo.

Suo padre andò alla finestra ad osservare fuori, quel mondo di caos e crudeltà perfettamente organizzato, caos e perfezione insieme.

“Quando siete venuti , avrai di certo visto i demoni alla periferia, quelli di rango più basso” disse rivolgendosi a me. Alexander mi prese la mano tra le sue in un gesto di conforto e , solo per un attimo, fui tentata di ritrarmi. Mi ripetei che quelle sensazioni non erano del tutto reali, ma contaminate. La sofferenza che quel posto mi infondeva si stava intensificando così tanto mi dovetti aggrappare alla sua mano per non andare alla deriva completa della sofferenza. Cercai di concentrarmi su quello che il vecchio demone stesse dicendo. “I demoni inferiori vogliono toglierci le nostre cariche, i nostri privilegi, i nostri poteri che loro si sognano soltanto. Sono troppo stupidi per arrivare a fare questo, ma intanto stanno creando un bel po’ di scompiglio; ormai sono mesi che hanno iniziato a bruciare le ville di noi demoni superiori, ovviamente mietendo vittime perché il fuoco ci uccide” ecco cosa uccideva i demoni, oltre a quel pugnale con cui si potevano colo uccidere a vicenda. Axel, Brian e Alexander avevano omesso di dirmelo, ma il perché non mi importava neanche. “E io che centro?” gli domandai impaziente di andarmene da lì, sentii un’altra ondata di dolore arrivarmi al cervello fin che non sentii un fluido caldo colarmi dal naso. Portai subito la mano al naso: era sangue. “Questo posto inizia a distruggerti, mi stupisce che tu abbia resistito tanto. Ti distruggerà da dentro” finì cattivo mentre il sangue  non accennava a smettere, neanche  mettere la testa all’insù  fece fermare il sangue, ansi, prese a scorrere ancora di più. “Che cosa centro io ?” ripetei io, con la voce soffocata dal sangue che mi colava lungo la gola. “ Il tuo sangue serve a questo, il sangue di un umano mischiato ad un infuso che già ho li ucciderà”, allora prese un ampolla vuota  da un cassetto della scrivania  e si avvicinò a me. “Non dovrò neppure ferirti, sanguini già” “dopo ce ne potremo andare?” “ma certo” mi assicurò. Riempì l’ampolla per metà del mio sangue e poi ci mischiò un liquido nero.

“Quel poco veleno ucciderà migliaia di demoni?” domandai scettica, “ basta ucciderne  per scatenare una reazione a catena”, in quel momento entrò quella che doveva essere una cameriera, prese l’ampolla e uscì. “Ora aspettiamo solo che faccia effetto e potrete tornare a casa” ci annunciò  e ci lasciò soli nello studio.

Alexander aveva preso un panno e me lo stava premendo sul naso, non sentivo vero e proprio dolore ma più come una sensazione opprimente che premeva da dentro per uscire e un immenso dolore, e angoscia immotivata. “Mi dispiace che  tu debba subire tutto questo” mi disse dolce, avvicinando l’altra sedia alla mia sedendosi. A quelle parole tutti i miei dubbi su di lui svanirono. Era quel posto maledetto a inquinarmi, inquinarci. “Quanto ci vorrà?” “ al massimo un paio di ore”. Dopo qualche istante di silenzio mi decisi a chiederglielo, “come stai?” lui rimase impassibile per qualche istante, non voleva evidentemente rispondere, “bene, abbastanza bene, relativamente bene, o non bene , relativamente non bene” e elencò e poi sospirò, “mi ha fatto male rivederlo, mio padre intendo. Non ho mai voluto la sua approvazione per niente, non sono quel genere di figlio ma quando me ne sono andato da qui ero cattivo, e so che è banale quello che sto per dirti ma tu mi hai migliorato, e stavo bene. Tornando qui è come se il veleno che avevo nel sangue prima si fosse risvegliato. E soprattutto, non volevo un padre così, e ora non volevo che se la prendesse anche con te” mi confesso affranto, “non è  successo niente” lo rassicurai.

“Non volevo che subissi tutto questo”  disse ancora riferendosi al sangue che aveva iniziato a scorrermi anche dagli occhi. “Non fa niente” sussurai , anche se faceva eccome, ma il sapere che era sempre lui e che era con me mi bastava a sopportare.

E anche al non voler morire già sepolta sotto terra. Abbandonai la testa allo schienale e con gli occhi semichiusi, stavo per morire. Non so quanto passammo in quella posizione senza dirci più niente, ma ad un certo punto suo padre entrò di nuovo nell’ufficio “credo che potrete andare” ci fece scendere in strada, andammo fin nelle periferie dove il suolo era disseminato da quegli orribili mostri, sanguinanti  morti fortunatamente. “Ti dico addio, perché un figlio che sta con una mortale invece di usarla come cena non è mio figlio” disse gelido ma Alexander non fu colpito, “addio”.

Ritornammo all’ascensore e rifacemmo tutto il tragitto a piedi, ma con un passeggero in meno; Brian era restato con il padre per continuare i suoi doveri, quello che Alexander si era rifiutato di fare. Un po’ mi dispiace di non averlo neppure salutato, nonostante tutto mi ero un po’ affezionata a quei due. Ripercorremmo  il fiume all’indietro e il sangue diminuì di scendere ma mi sentivo ancora come se  stessi per svenire. Il tragitto fino alle porte dell’inferno mi sembrò eterno, tanto che a metà strada Alexander dovette portarmi in braccio. Usciti fuori mi poggiò sul prato e mi pulì il sangue dal viso, risentii come se un gran macigno mi si fosse tolto dal petto.

Alzai lo sguardo, grata di poter finalmente rivedere il cielo, si stava tingendo di rosa;era l’alba. “Stai bene?” mi chiese, “si” risposi ammirando ancora il cielo, “tu?” chiesi a mia volta” mai stato meglio” e mi baciò.

 

   
 
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