Trip Di Una Notte Di Mezza Estate
Lasciate che vi dia un
consiglio. Se siete in una situazione piena di potenziale negativo – bere o no
la vernice per scommessa, tirare giù o no i pantaloni al prof di filosofia,
lanciare o no un sasso contro la vetrina e poi incolpare vostro fratello –
mollate tutto e andate a casa. Può sembrare una cosa da smidollati e, in
effetti, fino a poco tempo fa ne ero convinta anch’io. Poi ho capito che era
solo buonsenso. Anch’io mi sono trovata in una situazione del genere e ovviamente
ho fatto la scelta sbagliata. Detta così sembra un’inezia, ma
quella volta le cose hanno preso una piega non esattamente piacevole, e ho
imparato a mie spese il prezzo della stupidità. D’accordo, ci do un taglio e ve
la racconto, così facciamo prima.
*
* *
«Ci si vede, ragazzi!» Bacio un paio di persone a caso e saluto il
resto del gruppo con la mano. Traballo un po’, perché tacchi e alcol non sono
un mix intelligente, ma poi recupero l’equilibrio e mi dirigo verso casa.
«Ciao Aly!» urlano gli altri, traballanti al pari di me.
«Vuoi che ti
accompagni?» mi chiede Dave, l’unico assieme a Nicky
che non tocca mai un drink. Povero Dave, sono mesi
che mi viene dietro e ancora non ha capito che non gliela darò mai. A uno così
noioso e sfigato? Ma per
piacere. L’unica cosa figa che ha è il soprannome, e quello gliel’abbiamo dato
noi.
«Figurati, sono
neanche trecento metri, ma grazie lo stesso» rispondo,
un po’ impietosita perché è sempre gentile e io lo tratto male.
Gli altri stanno già
andando ai motorini; ho una mezza tentazione di farmi accompagnare da qualcuno
– uno a caso… Eddy – ma ho appena rifiutato l’offerta di Dave,
quindi ciccia. Mi tengo i tacchi e la camminata.
Arranco in direzione
di casa mia – fa sempre comodo abitare a due passi dal lungomare, tranne quando
si hanno i piedi doloranti. Poi una lampadina sotto forma di cartello si
accende davanti ai miei occhi. Il parco! Così posso tagliare, e dare un po’ di
tregua ai miei piedi sull’erba.
Non mi fermo a pensare
quanto sia stupido attraversare un parco di notte e mi ci addentro,
spensierata. Don’t try
this at home.
Il parco è un grande
spiazzo rettangolare con boschetti, stagni e sentieri in mezzo alla città.
Diciamo che è un’imitazione scadente di Central Park,
adattata a questo buco noioso altrettanto scadente in cui vivo.
Arrivata al prato,
tolgo le scarpe e tiro un sospiro di sollievo. Mentre
sto lì, avvolta da una musica celestiale – levarsi i tacchi è
l’equivalente di un’ascensione in paradiso per me – vedo delle luci tra gli
alberi, che spariscono subito. Confusa, non faccio in tempo a chiedermi se ho
bevuto troppo quando le rivedo: minuscole pozze di luce che danzano tra i
cespugli, avvampando per un istante prima di svanire nell’oscurità. E sembrano
allontanarsi.
Presa dalla curiosità
e ovviamente senza riflettere, mi dirigo verso quel
punto. Non è che sia del tutto priva di buonsenso – infatti
ho detto di no a Dave – è che non gli do molto retta.
È come un guastafeste che avvisa i genitori perché qualcuno ha corretto il
punch.
Quando giungo in mezzo
agli alberi, non trovo niente. C’era da dubitarne? Ma
se non ho nemmeno bevuto tanto, giusto un paio di drink e qualche shot. Saranno state delle lucciole.
Un po’ irritata, mi
volto per andarmene, e bam! Mi
schianto contro qualcosa e finisco gambe all’aria.
Il bosco risuona delle
mie imprecazioni. Quando ho finito, guardo meglio l’oggetto che mi ha
aggredito, che per l’impatto mi è finito in grembo. Ma
che cavolo è? Ho sbattuto la testa contro una specie di frutto. È tondo e
violaceo, con la buccia pelosa. Sembra un incrocio tra una pesca e un mirtillo.
Non ho mai visto un frutto così. Che sia qualche OGM? Sarà velenoso?
Tocco la sua
superficie vellutata, e mi assale un desiderio irrefrenabile di assaggiarlo.
No, “desiderio” non è la parola adatta. È come se stessi morendo di sete e
quello fosse l’unico bicchiere d’acqua sulla Terra, è come se trovassi una
borsa di Prada con il 95% di sconto, è come se m’imbattessi in Johnny Depp
bisognoso d’indicazioni stradali. Fallo!
Fallo! Fallo!
Questa volta è più
difficile mettere a tacere la voce guastafeste.
Diamine, persino io so che è una cosa stupida e insensata. Ma
quel frutto mi attira come una sirena, e ora capisco cosa deve aver provato Eva
nel giardino dell’Eden. Al diavolo! La mia volontà non è certo più forte della
sua. Perciò lo strofino sul vestito e gli do un morso.
Faccio appena in tempo
a sentire che è squisito, delizioso, che le mie papille gustative sono in
festa, quando tutto diventa nero.
Con buona pace della
mia stupidità.