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Autore: happylight    01/07/2012    5 recensioni
Non capitava tanto spesso che arrivasse a casa di Danimarca così all’improvviso, e senza avvisare.
In effetti, non capitava tanto spesso che il desiderio di vederlo lo prendesse così tanto da non poter aspettare.
Quando succedeva però era capace di abbandonare qualunque cosa stesse facendo in quel momento per mettersi in viaggio, fino ad arrivare davanti alla porta della casa del danese a Copenaghen ed aprirla con la copia della chiave che era in suo possesso.

[Partecipa all'esperimento "Otto Autori Per Un Prompt"]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Danimarca, Islanda, Norvegia
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia partecipa all'esperimento "Otto autori per un prompt" ed è ispirata al seguente prompt:


"Nessuno ha mai pensato a Norvegia come una persona affettuosa, inclusi i suoi fratelli.

Ma Islanda faceva molti incubi quando era piccolo. Invece di andare da Norvegia nel pieno della notte, preferiva strisciare nel letto di Danimarca, che era sempre pronto a coccolare Islanda per farlo sentire al sicuro dopo un incubo.

Norvegia non l'ha mai saputo, perché gli altri due non ne hanno mai realmente parlato. Ma un giorno, in epoca recente, lo scopre ed è probabilmente geloso, forse anche arrabbiato e pieno di risentimento -ma per la maggior parte ferito, perché non avrebbe mai negato l'affetto di Islanda. (Chi scrive su questo prompt è libero di giocare con la reazione di Norvegia, anche se preferirei rimanesse sul negativo).

Bonus: Islanda va' ancora, ogni tanto, da Danimarca per farsi  rassicurare.

Bonus2: Il bonus di cui sopra è il modo in cui Norvegia viene a sapere di tutte le altre volte."


A questa iniziativa partecipano anche Milla Chan, OrochiMary, Rota, ViolaNera, s_theinsanequeen, AmyLerajie, Adrienne Riordan.



 

Notturno

Non capitava tanto spesso che arrivasse a casa di Danimarca così all’improvviso, e senza avvisare.

In effetti, non capitava tanto spesso che il desiderio di vederlo lo prendesse così tanto da non poter aspettare.

Quando succedeva però era capace di abbandonare qualunque cosa stesse facendo in quel momento per mettersi in viaggio, fino ad arrivare davanti alla porta della casa del danese a Copenaghen ed aprirla con la copia della chiave che era in suo possesso.

Danimarca era sempre pronto ad accoglierlo.

Ma stavolta le cose erano andate in modo assai diverso.

Perché Norvegia era giunto a casa del danese nel cuore della notte, aveva chiuso piano la porta dietro di sé per non fare rumore, aveva salito silenziosamente le scale fino alla camera da letto.

Non si aspettava però di trovare qualcun’altro disteso accanto al danese addormentato.

Islanda. Suo fratello.

Norvegia aveva spalancato gli occhi e si era avvicinato incredulo al letto.

Erano lì, coperti fino al mento dal piumino che lasciava indovinare le braccia del danese avvolte attorno al torace del più piccolo, le fronti che si toccavano appena, i capelli uniti in uno strano groviglio di fili candidi e dorati. Respiravano piano, profondamente addormentati ed inconsapevoli della figura che li stava guardando.

C’era qualcosa di strano nell’aria: come un senso di sollievo, come se solo guardare le due figure addormentate portasse pace al cuore.

Norvegia avvertì la sensazione di essere di troppo. Un intruso in quella piccola cornice di serenità.

Indietreggiò piano, tenendo gli occhi puntati sulle due teste poggiate sui soffici cuscini, ed accostò la porta senza fare rumore.

Appoggiò la schiena al muro del corridoio, e sospirò profondamente.

Qualcosa che non gli piaceva affatto lo aveva colpito in pieno petto appena aveva varcato la soglia di quella stanza, ed adesso stava velocemente mettendo radici dentro il suo torace. Lo sentiva premere lì sotto lo sterno.

Norvegia scese le scale senza accendere la luce, ritrovandosi nel grande ingresso della casa. Svoltò a sinistra, entrò in cucina, e si mise a sedere al tavolo.

Buio, illuminato solo fievolmente dalla falce di luna fuori dalla finestra.

Appoggiò i gomiti sul ripiano, intrecciò le mani e vi posò il mento sopra.

La stanza era in perfetto ordine, senza nessun indizio che potesse svelare se Islanda avesse fatto cena in casa di Danimarca o se fosse arrivato in piena notte, come lui.

Norvegia non capiva.

Non capiva perché il fratello stesse dormendo nel letto di Danimarca.

Dormendo, perché non gli aveva neanche sfiorato la mente l’idea che avessero potuto fare altro. No, Islanda era come un figlio o un fratellino per il danese, non c’era alcun dubbio.

Tuttavia, cosa  lo avesse spinto a superare la sua abituale reticenza e lasciarsi stringere per tutta la notte dalle braccia di Danimarca, quello non riusciva ad immaginarlo.

In fin dei conti però, la cosa al momento a Norvegia importava relativamente.

Quello che lo turbava era quel groviglio che gli si era piantato in gola non appena li aveva visti nel letto assieme.

Fino a quel momento era stato assolutamente convinto di avere un rapporto speciale, in qualche modo privilegiato, con Islanda. Credeva di essere lui ad occupare un posto particolare nella mente del fratellino: quello destinato alla persona più importante di tutte, quello della persona nelle cui braccia si va a cercare rifugio e conforto.

Adesso però non ne era affatto convinto.

E quel sapore amaro e terribile era arrivato a bagnargli la lingua.

Gelosia. Risentimento. Dubbio.

Tutti insieme, erano lì a darsi battaglia dentro il suo petto e dentro la sua mente.

La necessità di sapere il perché stava diventando sempre più forte ad ogni minuto che passava, come un uragano che cresce piano piano. Tanto violento, che gli sembrava di sentire un rumore sordo di tempesta dentro le orecchie.

Anzi, no. Sentiva un leggero fruscio, come dei piccoli tonfi.

Passi. Che scendevano le scale.

Norvegia si raddrizzò tutto sulla sedia, e poggiò i palmi delle mani sul tavolo.

Stette immobile nel buio della stanza, e vide Islanda oltrepassare la soglia trascinando i piedi e strofinandosi gli occhi. Non diede segno di averlo visto, e si avvicinò al lavello per riempirsi un bicchiere d’acqua.

Norvegia lo osservò senza dire nulla. Il fratello indossava uno dei suoi soliti pigiami, quelli troppo larghi e con i bottoni piccoli sul davanti. Quindi doveva aver progettato di dormire a casa di Danimarca, lo informò la parte più osservatrice della sua mente, se si era portato il pigiama da casa.

Questo non migliorò di certo il suo umore.

Islanda d’improvviso si voltò, il bicchiere ancora in mano, e vide il fratello seduto al tavolo.

Norvegia anche al buio poté vedere il suo viso cambiare colore, mentre il bicchiere gli sfuggiva dalle dita ed andava ad infrangersi a terra. Il rumore gli riecheggiò nelle orecchie per qualche interminabile secondo.

“No-Norge!” esclamò debolmente Islanda, la voce un po’ strozzata.

“Stai attento ai vetri, Ís.” gli rispose piatto il norvegese, fissando i piedi del fratello.

Islanda si mosse cauto, allontanandosi dal lavello ed avvicinandosi al tavolo.

Norvegia osservò i suoi passi incerti, chiedendosi dentro di sé se fosse meglio andarsene facendo finta di nulla o prendere l’altro per le spalle e costringerlo a raccontargli tutto.

Nel dubbio, vide il fratello muoversi piano verso di lui, fino a raggiungerlo.

Islanda si sedette, ed intrecciò le mani sul tavolo, in una posizione speculare a quella del fratello. Teneva la testa ostinatamente rivolta verso la finestra, le guance ancora imporporate.

Norvegia rimase in silenzio, aspettando che fosse il fratello a cominciare a parlare per primo. Sapeva perfettamente che mettere l’altro alle strette non sarebbe servito a nulla; anzi, con ogni probabilità l’avrebbe fatto scappare o chiudere nel suo guscio di silenzio.

Non dire nulla, ed attendere che fosse lui a fare la prima mossa.

Sentiva in qualche modo che Islanda voleva giustificare la propria presenza in quella casa. Ma l’argomento doveva essere difficile da affrontare.

 

Norvegia non aveva ben capito come fosse successo. Forse il fratello non era più riuscito a sopportare il suo sguardo fintamente indifferente, o il suo silenzio di attesa.

Fatto sta che Islanda stava parlando. Aveva cominciato un discorso generico, di cui lui aveva poco afferrato il senso. Neanche ora Norvegia era sicuro di capire.

Decise di interromperlo.

“Mi stai dicendo” disse con voce ferma “Che ogni tanto sogni di sparire?”

Il suo tono si addolcì sulle ultime sillabe.

Quindi, era questo il problema di Islanda? Incubi? E per quello era andato a chiedere conforto a Danimarca?

Norvegia vide il fratello arrossire di nuovo.

“Non è esattamente così…” borbottò Islanda, rivolgendo il capo dall’altra parte e guardando fuori dalla finestra. “È solo che…”

Sospirò. Norvegia rimase immobile, in attesa.

“Solo che a volte… penso che siamo troppo… fragili.”

Norvegia alzò un sopracciglio, interrogativo. Sembrava che parlare fosse molto difficoltoso, per il fratello.

“Noi nazioni, intendo. A volte credo che basterebbe così poco a spazzarci via. Un’eruzione, una malattia….”

Il norvegese sussultò. L’immagine dei lividi della peste che gli invadevano il corpo si presentò viva e nitida davanti ai suoi occhi. Il dolore e la stanchezza senza fine. E l’incessante terrore di sentire la vita scivolargli via dalle mani, come sabbia fine dalle dita. Il continuo sgocciolare di istanti tutti uguali, tutti colmi di terrore.

Lo ricordava anche suo fratello?

“Lo vedo, mentre dormo.” continuò Islanda, sempre senza guardare l’altro “Succede a me, o a qualcun altro. Ed è… troppo.”

Norvegia fissò il fratello. Per quanto potesse comprendere il suo timore, nella sua mente quel pensiero era ormai troppo grande per non affrontarlo.

“E quindi vieni qui da Danimarca?” chiese diretto, andando al nocciolo della questione.

Islanda sussultò. Strinse le dita tra di loro, abbassando piano il capo. Debole cenno affermativo.

“Da quanto tempo va avanti questa cosa?” chiese Norvegia, mantenendo il solito tono piatto.

“Da un po’.”

Norvegia sentì qualcosa lacerarsi dentro il petto. “un po’” era il modo di Islanda di dire “molto”. Scacciò dalla mente l’immagine di un Islanda bambino che correva nella stanza del danese nel cuore della notte per arrampicarsi sul grosso letto a baldacchino.

“Ma perché non sei mai venuto da me, allora?”domandò il norvegese, stupendosi del lieve tremolio nella propria voce.

Islanda si torse le dita di nuovo, mordendosi il labbro inferiore.

Poi, lentamente, alzò il capo verso il fratello.

“Perché tu sei come me.” sussurrò piano.

Norvegia lo guardò, stupito.

“ Tu ti preoccupi. Tu pensi alle cose. Lui, invece… Lui è diverso.”

La bocca di Islanda si piegò in qualcosa a metà tra un sorriso e una smorfia, mentre abbassava di nuovo il capo.

“ Si comporta come se il futuro non esistesse. Non se ne preoccupa. Con il suo stupido ottimismo, è convinto che in un modo o nell’altro le cose andranno bene.”

Alzò lo sguardo verso il fratello.

“Io non volevo dare le mie paure a te, ecco!” sbuffò, alzando improvvisamente il tono della voce, per poi tacere mordendosi le labbra ed incrociando le braccia al petto.

Norvegia rimase in silenzio, mentre tutte le sfumature del viola passavano di nuovo sul volto di Islanda.

Sentiva dentro di sé che si sarebbe dovuto arrabbiare con il fratello. Ma, in un qualche modo inspiegabile, non ci riusciva.

Perché al di là del risentimento e dell’orribile sensazione di essere stato lasciato da parte, lo capiva.

Capiva perché Islanda era andato a cercare il danese, quando lo aveva preso la paura e il timore.

Perché lo aveva fatto anche lui. Perché conosceva il dono particolare del danese: senza accorgersene sapeva rendere tutto attorno a sé caldo ed accogliente, farti sentire protetto e al sicuro, ovunque.

Per questo, non riusciva ad arrabbiarsi davvero.

Si alzò, e si avvicinò al fratello.

Islanda gli rivolse uno sguardo interrogativo.

Norvegia gli afferrò delicatamente l’orlo della manica del pigiama, tirando piano.

Islanda si alzò e seguì il fratello. Le sue dita scivolarono piano ad afferrargli l’indice, mentre attraversavano l’ingresso e salivano le scale fino al piano superiore.

Entrarono nella camera da letto, dove il danese era ancora profondamente addormentato, steso sul fianco sul lato destro del letto.

Come per un muto accordo, si stesero entrambi sul letto. Norvegia prese la mano di Danimarca e la poggiò sulla spalla del fratello, per poi posarvi sopra la propria.

Rimasero in silenzio.

Il danese parve non essersi accorto di nulla, e continuò a dormire.

Islanda non aveva detto una parola.

Norvegia sentì il respiro del fratello acquietarsi piano piano, fino a scivolare lentamente nel sonno.

Sotto le coperte, il tepore emanato dai due corpi accanto a lui era piacevole. La mano del danese era grande contro la sua, poggiata sulla spalla sottile del fratello. Il fiato leggero di Islanda gli sfiorava il naso.

La rabbia, il risentimento e il dolore che aveva provato lo abbandonarono mentre chiudeva gli occhi sui profili delle due persone a cui teneva di più al mondo.

Erano loro tre, insieme, e non c’era nulla di cui aver paura.



 

Note & Chiarimenti

Ho come l’impressione di essere andata terribilmente fuori strada rispetto a quello che chiedeva il prompt. Ma più ci pensavo e più scrivevo, più avevo la netta impressione di non riuscire a scrivere qualcosa di angst con Norvegia e Islanda. Mi veniva sempre Norvegia che giustificava il fratello in qualche modo. Quindi ho lasciato perdere e li ho fatti fare come volevano loro!

Le descrizioni del danese non sono tutte farina del mio sacco: molte sono riprese da “La mia Africa” di Karen Blixen. Si vede che nessuno conosce i danesi meglio di una danese :)

 

 

   
 
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