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Autore: Cosmopolita    02/07/2012    11 recensioni
Quando sei un single che abita da solo, alcune cose ti sembrano talmente scontate da non accorgerti nemmeno che esistano.
(Dal prologo)
Arthur Kirkland è un poliziotto cinico e felice della sua vita in solitario.
Ma l'entrata di due bambini nella sua vita gli farà presto cambiare idea...
[...]–Eileen Jones ha due bambini. – cercava di misurare le parole, di dire e non dire –Si chiamano Alfred e Matthew, sono gemelli... – si sistemò una ciocca di capelli color del grano dietro l’orecchio, forse un altro stratagemma per perder tempo e fece un gran sospiro.
–Lei è il padre. – buttò giù la frase frettolosamente, quasi volesse togliersi subito quel fastidioso sassolino dalla scarpa.
Arthur si strozzò con la sua stessa saliva. Tossicchiò per alcuni minuti poi incredulo, ripeté –Il padre? Io? – [...]
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Canada/Matthew Williams, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland, Un po' tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'This is your father'
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 Francis, più di ogni altra cosa, amava osservare le persone; guardare il loro viso e i suoi particolari più celati, veder compiere i loro gesti involontari. Era un passatempo all’apparenza piuttosto noioso, tuttavia lui lo adorava e a dirla tutta si divertiva un mondo, perché di solito a nessuno piace essere fissato intensamente per molto tempo e quindi, quando qualcuno nota ciò, comincia ad assumere comportamenti più irrigiditi e molto meno naturali che lo rendono decisamente buffo.
L’unica eccezione che conosceva a questa prassi era Gilbert.
E così, per i primi cinque minuti buoni del viaggio, era rimasto a fissare Arthur e i suoi lineamenti così poco marcati, femminei avrebbe osato dire.
Aveva notato che il suo naso era una linea diagonale perfettamente dritta, priva di gobbe o quant’altro, che aveva un piccolo neo, quasi invisibile, sullo zigomo. Che la sua bocca non era poi così sottile come le appariva se vista da davanti e che i suoi occhi di tanto in tanto si voltavano per guardarlo sottecchi. Le sue sopracciglia abnormi erano più grandi di quanto pensasse, ma per fortuna Arthur aveva l’ausilio degli occhi. Erano di un verde particolare che assumeva mille tonalità diverse a seconda della luce che filtrava dal vetro del finestrino; all’ombra, diventavano cupi e gli conferivano un’aria più seria, alla luce invece si addossavano di una tonalità quasi sul mela, innaturale.
-Hai finito di fissarmi?- domandò bruscamente l’altro, come se fosse già al limite della sua ben demarcata pazienza
-Non credevo fosse reato, fissare qualcuno. –
Sbuffò –Capitano tutte a me…Ian che mi chiama, io che devo andare a questa merda di appuntamento…-
Francis ridacchiò. Nei giorni precedenti, Arthur aveva precisato più e più volte che il loro non era un’uscita tra amici, ma solo un suo modo molto gentile per ringraziarlo dell’auto –Perché... è un appuntamento? – lo ammetteva: adorava stuzzicarlo perché, quando si innervosiva l’inglese assumeva sempre gli stessi atteggiamenti, ovvero, diventava rosso, cominciava a digrignare i denti, le sue sopracciglia prendevano una specie di tic che le faceva abbassare e poi alzare e avviava subito una serie di termini poco carini da sentire
-Cosa? Chi ti ha detto che si tratta di un appuntamento?-  sembrava molto infastidito da quella parola, come se fosse un peccato capitale per un inglese avere un rendez-vous con un francese.
-Tu l’ hai detto .-
-No, io non ho detto niente!- sbraitò fuori di sé, rischiando di andare a sbattere contro un’altra macchina –Non mettermi parole in bocca che non ho mai detto, Francis Bonnefoy, o ti avverto…-
-Va bene, va bene…- lo interruppe, già stufo. Quel giorno non era proprio in vena di litigare, voleva godersi il film in santa pace senza che il malumore di Arthur gli guastasse tutto.
In realtà, non conosceva molto il regista Kubrick, ma da quel poco che sapeva intuiva che i suoi film non erano esattamente l’ideale per un’idilliaca serata tra amici.
Invece Arthur sembrava quasi che lo venerasse. Aveva cominciato a parlare di “Arancia meccanica” e l’aveva idolatrata per almeno cinque minuti, “Shining” che era un capolavoro del thriller, “2001: Odissea nello spazio”, un film che aveva visto anche il francese cui in realtà sentiva di dare ragione al britannico: era una pellicola che valeva davvero la pena di vedere.
-Sai…magari sbaglio, ma tu mi sembri tanto uno di quei teppisti che però in superficie vogliono fare i bravi ragazzi. – lo interruppe Francis, mentre Arthur era entrato nella fase “Rimane il fatto che gli inglesi sono più bravi degli americani a fare film”.
Il collega non lo guardò, ma il francese vide che aveva aggrottato le sue sopracciglia –Cosa te lo fa pensare?- gli chiese inquisitorio
-Beh, un ragazzo che decide di andare in America, mandando alla malora tutti i progetti che avevano in mente i loro genitori per lui, di solito non è una persona calma e tranquilla, non trovi?-
-Non ho la fedina penale sporca, non temere. – sembrava essersi offeso mortalmente, infatti la sua voce era molto tesa, più fredda del solito.
Sembrava che Arthur odiasse essere interrogato sul suo passato. Quando lui accennava alla sua famiglia a Londra, ad esempio, lo sentiva irrigidirsi, anche se in maniera inavvertibile e notava che molto spesso si affrettava a cambiare discorso.
-Non intendevo quello…- si corresse il francese, prima che ricominciasse ad urlargli contro –Volevo solo dire che mi sembri uno di quei ribelli che…ma che ne so, fumano le canne e ascoltano i gruppi punk rock. –
Arthur rise, sembrava che prendesse quel discorso come una cosa che non gli apparteneva -Non serve fumare canne per essere ribelle. –
-Tu le hai mai fumate?- sarebbe stato divertente sapere che quell’inglese all’apparenza così conformista e arrogante avesse avuto un passato da oppiomane.
-Una volta soltanto…non mi è piaciuta…-
Francis sorrise. Non se lo aspettava da uno come Arthur, non tanto che avesse provato una cosa che lui invece non aveva mai fatto, ma piuttosto che lo avesse confessato così apertamente…e lo aveva fatto con lui, per giunta.
-Sono stupefatto. –
Quello alzò gli occhi al cielo. Prese fiato e assunse un’espressione vilipesa, come se stesse per fare una rivelazione terribile –Ho…sgonfiato le ruote dell’auto ad un mio professore perché mi aveva detto che io non sarei arrivato molto lontano, mentre tutti mi dicevano che ero praticamente un genio a scuola…e una volta ho fatto il malocchio ad un ragazzo…ascolto gruppi rock e me ne sono andato di casa a diciannove anni. Sono ribelle? –lo disse velocemente, quasi attaccando le parole. Era come se si fosse trovato nello scompartimento di un treno e stesse raccontando i fatti più strani accaduti durante la sua vita ad uno sconosciuto che molto probabilmente non avrebbe rivisto mai più; entrambi sapevano che quel ragazzo non sarebbe stato in nessun caso il tipo da sgonfiare le ruote alla macchina ad un suo superiore e che quello si trattava solo di un episodio isolato.
È questo il bello di parlare solo con un’altra persona; scopri lati dell’altro che probabilmente in compagnia di più non avresti mai conosciuto.
-No, per niente…- Francis non era sarcastico. Arthur forse in passato aveva pure avuto mille piercing facciali oppure aveva partecipato ad una miriade di manifestazioni di protesta, ma non era ribelle adesso. Adesso sembrava più un gentiluomo dell’Inghilterra di fine Ottocento.
Lo immaginava, a Londra, mentre apriva la portiera ad una signorina molto fine “Milady, può scendere. Ha sentito l’ultima notizia su Gary Hart e Donna Rice? Scandaloso, semplicemente scandaloso” rise di quella scenetta assurda e l’inglese si volse per fissarlo come se fosse stato un invasato.
 
Il film era iniziato, le luci della sala si erano abbassate fino a far scendere il buio totale in platea. Semmai Francis si fosse girato alla sua sinistra, avrebbe soltanto visto la sagoma scura di Arthur mentre frugava nella scatola dei pop corn che avevano deciso di dividere per due.
Sulle prime, il film gli era sembrato piuttosto innocuo. Iniziava con delle reclute del corpo dei Marines che si facevano rasare i capelli da un parrucchiere: la massa di capelli veniva risucchiata da quel mostro famelico chiamato rasoio e cadevano per terra come stelle filanti di Carnevale.
Il francese storse il naso e pensò a come avrebbe reagito lui se gli avessero rasato i suoi bellissimi capelli biondi che gli incorniciavano il viso e che la maggior parte definiva essere da spot pubblicitario.
Poi comparve lui, il sergente istruttore Hartman, che inaugurava la sua comparsa, riempiendo tutte le matricole di insulti
 
-I tuoi genitori hanno anche figli normali?-
-Signor sì, signore. –
-Bene, si pentiranno di averti fatto. Tu sei così brutto che sembri un capolavoro d’arte moderna!-
 
Si girò per guardare Arthur. I suoi occhi, che si erano abituati al buio della sala, notarono che si era morso un labbro per non ridere.
-Sai…- sentì il suo sussurro uscire dall’oscurità –Credo che questo tizio mi stia suggerendo un sacco di insulti da rivolgere contro te. – ridacchiò a bassa voce e prese un’altra manciata di pop corn.
Francis sorrise, ma non aggiunse altro. Quello che all’inizio gli sembrava un film ironico, gli apparve adesso come la macabra verità del mondo.
Perché gli insulti di Hartman non erano divertenti, non lo erano per nulla. Lo notava dagli occhi vitrei e folli del soldato Lawrence, Palla di lardo, tanto preso in giro dal sergente, che ormai non sembrava più il ciccione un po’ stupido che era all’inizio del film.
E a metà film infatti, il soldato impazzisce e fa fuoco su Hartman con il suo fucile. Poi si uccide, sotto gli occhi spaventati e sorpresi del protagonista, il soldato Jocker.
Anche Arthur smise di ripetere che quel sergente sarebbe stato il suo maestro di vita e ora guardava lo schermo senza dire nulla.
Più le scene andavano avanti, più Francis si accorgeva di quanto cupo fosse quel film, di quanto fosse pessimista il messaggio che lanciava.
Il soldato Jocker è mandato al fronte come corrispondente di guerra con il suo amico, il fotografo Rafterman. Ritrova il suo amico del corso Cowboy e anche lui mostra i primi segni di instabilità dovuti al forte stress della guerra.
Ogni parte del film colpiva Francis, ognuna era a suo modo carica di significato.
Come la scena in cui il comandante della squadra di Jocker presenta al soldato il cadavere di un Vietcong, adagiato su una poltrona come se dormisse, dicendo “Lui è mio fratello!”.
O la scena dell’intervista ai militari al fronte, quando ognuno dice la sua opinione, a volte assurda, a volte carica di rabbia
-Secondo me, noi spariamo ai gialli sbagliati. –
-Non mi piace il Vietnam. Non c’è neanche un cavallo in tutto il Paese, è evidente che c’è qualcosa che non va . –
- Io desideravo tanto andare in Vietnam, Paese di una civiltà millenaria, la perla dell’Indocina. Volevo conoscere gente interessante, stimolante…e farli fuori tutti. Volevo essere il primo ragazzo  del mio palazzo a fare centro su qualcuno. -
Francis di tanto in tanto, si girava per guardare Arthur e vedeva che nei suoi occhi lampeggiava un interesse per il film ma allo stesso tempo lo stesso orrore che molto probabilmente si trovava anche nel suo sguardo.
Era la fine quella che lo sconvolse di più; i soldati marciavano di fronte alle macerie e al fuoco cantando “Mickey Mouse club song”. Una canzone per bambini messa in bocca a delle persone che non sanno più in cosa credere e intanto la voce di Jocker pensa a quando tornerà a casa e farà l’amore.
 

“Sono contento di essere vivo. Vivo in un mondo di merda, ma sono vivo. E non ho più paura”

 
 
Francis uscì dal cinema un po’ stordito. Il film era indubbiamente ben fatto, valeva la pena di essere visto ma se fosse stato per lui avrebbe preferito vedere qualcosa di più leggero.
-Che ore sono?- Arthur invece non sembrava poi tanto perturbato, era come se fosse abituato a vedere dei film simili. Dopotutto, era o non era un fan di Kubrick?
- E’ tardi…Vogliamo mangiare da qualche parte?-
-No, non ho fame. – si diresse verso la macchina e la mise in moto.
Rimasero in silenzio per tutto il tempo, non dicendosi nulla e fu l’inglese ad aprire per primo la bocca. Era strano, perché Francis sapeva che lui non voleva assolutamente avere confidenza con lui –Non ti è piaciuto, vero?- sembrava essersi offeso, come se non amare un film di Kubrick era un attentato ai suoi gusti personali
-No, mi è piaciuto, solo che…-
- Troppo forte per te?- Arthur scosse la testa –Non c’è neanche una scena di sangue, a parte in qualche punto…Apocalipse now era più forte. -
Francis lo guardò con sorpresa. Possibile che non capiva che non erano state le scene violente a sconvolgerlo, ma i gesti e le parole degli interpreti?
–Non ti ha sconvolto neanche un po’?- c’era sbigottimento nella sua voce e Arthur sembrava averlo colto
-Certo che mi ha sconvolto…- obbiettò risentito, come se non gli piacesse che lo si accusasse di insensibilità –Ma è meglio la verità alle solite americanate, no?–
-Non saprei. Lo sai che mio padre è giornalista? Lui c’è stato in Vietnam…non mi ha mai raccontato però cosa facevano laggiù, credo fosse perché anche lui non voleva ricordarlo. – lo disse con un tono ovattato, come se in quel momento stesse parlando ad un’altra entità superiore, distante da loro.
Guardò fuori dal finestrino, il cielo era buio e le stelle erano coperte dalle nuvole. Per la prima volta in quel giorno aveva realizzato l’idea che si trovava con Arthur, da solo; non sapeva perché proprio in quel momento, forse il buio della notte ne era complice, ma lo aveva afferrato.
-Mi…dispiace che non abbia gradito. Se lo sapevo, avrei scelto un film più divertente. –
Il francese sbarrò gli occhi e sulle prime pensava di aver sentito male; da quando in qua Arthur si preoccupava di lui?
-Scusa?-
-Hai sentito bene. – la sua voce era acida come al solito, ma Francis non riusciva ancora a capire perché si fosse rivolto a lui con così tanta premura
-Da quando ti importa di me?-
-Non mi è mai importato nulla di te. – borbottò con aria scontrosa, stringendo le mani sul volante più forte di quanto avrebbe fatto normalmente
-Già, vero. Com’è vero che questa è solo un’uscita per provare l’auto. –
Arthur aveva capito che il ragazzo stava facendo dell’ironia
–Non lo è?- domandò ampolloso il francese, esibendo un sorriso scherzoso
-Non lo è. – ammise. Continuava a stringere il volante tra le sue mani e Francis temette che si fosse potuto rompere da un momento all’altro
-E allora, cos’è? Perché sei qui con me, ora- era stato scorretto da parte sua, non lo avrebbe negato. Ma era sinceramente curioso di conoscere cosa realmente sentiva Arthur per lui.
Il britannico non ne poteva più di rispondere a quelle domande così fastidiose –Volevamo andare al cinema a vedere il Full Metal Jacket. Niente di personale. –
Il francese rise, perché secondo lui Arthur aveva una gran bella faccia tosta –Quindi, neanche una bella serata tra amici?- in quel momento gli vennero in mente tutte le stupide, o almeno, stupide per lui, allusioni di Antonio e sorrise.
Il britannico storse un angolo della bocca e Francis vide che il profilo del suo naso si era leggermente arricciato, segno più che evidente di sdegno
-Capisco…- non gli lasciò neanche il tempo di parlare.
Si capiva da un miglio di distanza che l’inglese aveva sonno, sbadigliava ogni cinque minuti e i suoi occhi si stavano facendo pesanti
-Lavori, domani?- gli chiese Francis
-Il pomeriggio, così ho tutto il tempo per dormire. E tu?-
-Io sono più sfortunato di te. – rise e chiuse gli occhi per sottolineare ancora di più il fatto che il giorno dopo  avrebbe avuto una mattinata piuttosto pesante.
Il suo sguardo si chinò per guardare la mano di Arthur che si era distesa per un attimo sul cambio.
C’erano stati molti momenti al cinema in cui il francese avrebbe voluto toccargliela, nell’oscurità segreta della sala, solo per scoprire come il suo palmo reagisse al contatto con l’altro, per sentire se la mano di Arthur era liscia e curata come sembrava all’apparenza, ma non lo fece mai; non era del tutto sicuro che gli sarebbe piaciuto una sfuriata dell’inglese in una sala gremita di gente e poi non voleva litigare con lui.
Chissà quante volte lo aveva fatto, con Antonio, con Charlotte, con Sesel, con tutte le altre persone con cui era stato e chissà quanti non vedevano l’ora che lui lo facesse. Ma Arthur era diverso; si teneva a debita distanza da lui e Francis non riusciva ad intendere se l’inglese era così astruso nei suoi confronti perché era francese o perché mostrava un certo interesse per gli uomini.
-Siamo arrivati. – il tono secco di Arthur interruppe i suoi pensieri e il ragazzo, come se fosse stato appena risvegliato da un sonno molto lungo, si rizzò in piedi folgorato
Scese dal sedile, chiuse la portiera facendo attenzione a non fare troppo rumore e si accostò al finestrino di Arthur, aperto a metà
-Ho passato una bella serata. – la sua mano attraversò la sua chioma bionda disordinata, così diversa dalla sua così curata, e si chinò per baciarlo sulla guancia. Trovò inaspettatamente piacevole il contatto delle sue labbra sulla pelle di Arthur.
L’altro rimase spiazzato e se fossero stati in un contesto diverso, forse Francis si sarebbe messo anche a ridere della sua reazione. Spalancò contemporaneamente gli occhi e la bocca e con il dito sfiorò delicatamente la guancia su cui il francese aveva poggiatola sua bocca. In fondo, si disse Francis, non l’aveva poi presa così male; già si aspettava di ricevere una serie di beceri insulti contro di lui.
Non fece neanche in tempo a pensarlo che il volto dell’inglese prese un colorito molto vicino al rosso carminio; sembrava una pentola a pressione –Eih, me lo spieghi cosa diamine ti è saltato in mente?- da come aveva urlato, il collega temette che qualcuno del condominio si fosse svegliato
-Non ti ho mica violentato, ti ho solo…-
-Mi hai baciato!- lo interruppe livido e anche un po’ annichilito. Sembrava uno di quei robot da film americani a cui avevano premuto il pulsante dell’autodistruzione e dentro di sé l'inglese si sentiva proprio così. Se lo chiese per l'ennesima volta: "Ma perché Francis era così...dannatamente stupido?"
Scosse la testa con fare incredulo –Era un bacio sulla guancia. –
-Lo sai che non mi piace essere toccato da te. –
Non mi piace essere toccato. Ecco, magari Francis avrebbe tollerato una frase del genere dato che a molte persone dava fastidio il contatto fisico.
Ma Arthur aveva detto “Non mi piace essere toccato da te”, era questo che a lui dava fastidio. Si sentiva tanto un portatore di lebbra o cose simili.
Si mise una mano sul cuore in segno di giuramento -Non lo farò mai più, voyou. – ridacchiò nel vedere il suo compagno d’uscita adirarsi ancora di più per quell’epiteto.
-Non chiamarmi così! Io non sono un teppista.– ordinò digrignando i denti
Rise di nuovo –Preferisci che ti chiami rebelle? –
L’altro inspirò profondamente dal naso, sembrava che si stesse trattenendo dallo scendere e prenderlo a testate –Devi sempre rovinare tutto, Francis. – il francese percepì disillusione nel suono della sua voce, come se quella serata sarebbe stata davvero l’apoteosi dell’uscita perfetta, bacio sulla guancia a parte
-Mi dispiace…Beh, allora ci vediamo domani. –
-Non credo ci incontreremo, quando io arrivo, tu stacchi. – gli fece osservare con una nota di malcelata speranza
-Non si sa mai. – strizzò l’occhio, che sembrava tanto dire “Farò di tutto pur di farlo capitare” e aprì il cancelletto del palazzo, poi si girò per salutarlo un’ultima volta con la mano
-Sicuro di non voler salire?-
-Sicurissimo. – rispose asciutto, prima di mettere in moto l’auto e andare via.
 
Quando tornò a casa erano già le undici passate, Lily lo aspettava davanti alla porta come se fosse una specie di vecchia governante che aspetta il ritorno del suo datore di lavoro.
-Signor Kirkland…- sussurrò a mo’ di saluto a voce bassa, per non svegliare i bambini
- ‘Sera, Lily…Scusa per il ritardo, io…-
-Niente disturbo. È stato un piacere. – lo interruppe la ragazza, arrossendo considerevolmente
Arthur sorrise ed estrasse il portafogli dalla tasca –Quanto?-
- E’ stato via per quattro ore…- capì che Lily non confermò il reale prezzo perché si vergognava di dirlo e forse nella sua testa sembrava più elegante dire le ore e lasciar fare ad Arthur i conti da sé.
Infatti l’inglese gli porse la cifra con un sorriso –Ecco a te. –
Fece un sorriso –Grazie, signor Kirkland. –
- Arthur!- la riprese con una nota di benevolenza
- Arthur, scusami – si corresse, arrossendo ancora di più.
L’inglese si guardò intorno per controllare lo stato della casa e constatò che sembrava tutto in perfetto ordine –Come sono stati i bambini?- si informò
- Matthew è stato un angelo, Alfred è un po’ pestifero…- si accorse di aver detto qualcosa di offensivo e cercò di correggersi –Cioè, non è maleducato. – si affrettò a dire allarmata –è solo molto vivace. -
Il ragazzo annuì con un’espressione in viso indecifrabile –Perfetto…puoi venire anche domani pomeriggio?-
Il sorriso di Lily si accentuò ancora di più –Ma certo, signor…Arthur!-
Si sorrisero entrambi, poi la baby sitter prese tutta la sua roba e uscì in maniera piuttosto impacciata.
Quando fu solo, si diresse nella sua stanza e rimase ad osservare i suoi due bambini mentre dormivano beatamente. Sorrise; la mattina, quando li svegliava, non faceva mai caso alle posizioni che prendevano nel letto, ma ora che aveva tempo e soprattutto non sentiva per nulla il peso del sonno, poté osservare di come il loro modo di dormire risaltasse il loro carattere.
Alfred ispirava rumorosamente e cambiava sempre il lato d’appoggio: ora a destra…ora a sinistra, non si fermava mai.
Matthew invece se ne stava rannicchiato in un angolo del letto, raggomilato a sè stesso e stringeva in maniera soffocante il suo orsacchiotto bianco.
Dopo un attimo di esitazione, si chinò per accarezzare la testa di entrambi
-Papà…sei tornato…- la voce debole ed impastata di Matthew lo fece sobbalzare
Il britannico sospirò con un misto di bontà ed affetto e si chinò verso di lui -Sono, qui…Ora dormi. – gli fece un’altra carezza
Suo figlio si stropicciò gli occhi con la manina e si mise in posizione supina –Ti sei divertito, papà?- c'era sincera curiosità nel suo tono di voce e questo ad Arthur fece tanta tenerezza.
Suo padre ci rifletté per un po’... Insomma, tranne per l’ultima parte guastata dal saluto singolare di Francis, non era andata poi così male. Il film gli era piaciuto molto, non era stato né troppo violento e sanguinolento come “Apocalipse now”, che rimaneva comunque un bel film, ma neanche troppo stupido o superficiale. Lo aveva piacevolmente sorpreso, ma con Kubrick ormai era abituato a sorprendersi.
Per quanto riguardava il suo accompagnatore…era stato passabile fino ad un certo punto e alla fine si era guastato per quel bacio. Che stupido!
-Sì, molto. – concluse il suo ragionamento e baciò il figlio sulla guancia –Come si è comportata Lily?-
-è molto buona…- Matthew fece un sorriso –Ma tu sei più bravo. –
Suo padre si gonfiò istintivamente il petto, gonfio di orgoglio: quel complimento da parte di suoi figlio era stata la cosa più piacevole della serata –Fai bei sogni. – gli sussurrò, prima di chiudere la porta.
Mentre si lavava i denti, gli passò per la testa un pensiero. Si toccò di nuovo la guancia incriminata con la mano sinistra, mentre con la destra teneva lo spazzolino incastrato tra i denti.
Scosse la testa come per scacciare via una mosca fastidiosa e sputò il dentifricio sul lavandino.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Salve a tutti! Scusate per il ritardo, ma faceva troppo caldo qui per scrivere T_T
Comunque sia, come al solito spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento, voglio ringraziare chi sta seguendo questa storia, perché è anche grazie a voi che va avanti e non è naufragata!
Voglio dedicare il capitolo a TheJolly perché recensisce tutti i capitoli con pazienza e tanta simpatia ^^
La canzone che mi ha ispirato è ovviamente “Paint it, black” dei Rolling Stones.
A presto
Cosmopolita
   
 
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