Crossover
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Autore: Furiarossa    02/07/2012    3 recensioni
The bird of Hermes is my name
Io sono un diavolo di maggiordomo, un perfetto maggiordomo ....
La sfida del secolo fra i demoni più potenti del mondo degli anime, Sebastian Michaelis e Alucard, ma soprattutto una sfida fra la famiglia Hellsing e la famiglia Phantomhive.
Hellsing e Kuroshitsuji, mistero, violenza, humor. 365 prove, una per ogni giorno dell'anno in cui i nostri personaggi dovranno affrontarsi.
Fra il comico demenziale e il terribilmente serio, esattamente come nella realtà, benvenuti al reality del secolo: benvenuti a Kuroshihellsing.
[Opere principali: Kuroshitsuji; Hellsing][Altre opere: Doctor Who, Dracula, Castlevania, Le Cronache di Narnia, Lost]
Genere: Azione, Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Anime/Manga, Cartoni, Libri, Telefilm
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Cap. 99

Prova 25 - Calma

 

Quando Maria de Filippi e Tatiana se ne furono andate, nella casa tornò un'improvvisa e stranissima calma. Fu come se tutto ciò che era accaduto quella mattina, in realtà, non fosse mai accaduto.

Integra prese a carezzare distrattamente la testa del Maestro

«Ehi, genio del male ...» mormorò «Che ne pensi se torniamo a lavorare al nostro progetto?»

«Volentieri» l'alieno annuì, con uno strano sorriso stampato sulle labbra «Dovremmo finire l'invertitore da applicare, altrimenti non andremo mai avanti»

«Avremo bisogno di altro metallo ...»

«Io direi che avremo bisogno anche di parecchie altre cose, se vogliamo finire»

«Beh, sei un genio, no? Fatti venire un'idea»

«Ci servirà del cibo»

«Del cibo?»

«Si» il Maestro annuì «Posso costruire l'invertitore usando del cibo»

«Ma qui dentro il cibo è più prezioso del metallo. Sarà meglio smantellare i mobili e tirare via le molle dalle poltrone»

«D'accordo, mettiamoci al lavoro!».

Integra e il Maestro stavano dunque per accingersi a smontare le già disastrate poltrone per estrarne le preziose molle e utilizzarle per chissà quale diabolico progetto, quando per fortuna la regia li fermò. La voce che uscì dagli altoparlanti fu forte e chiara e disse

«La prova di oggi consisterà nel rimanere calmi. Assolutamente, totalmente, incredibilmente calmi»

«Cosa?» Chiese Ciel «Intendete dire che oggi non ci sarà nessun pericolo?»

«Esattamente!»

«E che nessuno cercherà di mangiarci?» fece Bard, sbigottito

«E che nessuno ci farà male al pancino?» domandò Seras, speranzosa

«Si, esattamente»

«E che nessuno attenterà alla nostra salute mentale?» fu la domanda di Sebastian

«No, questo non ve lo posso garantire. Vedete, questa sarà una prova mentale ...»

«Evviva!» esclamarono molti, sollevati dal sapere che nessuna cosa orribile stava per accadere ai loro poveri corpi

«Signori» continuò la conduttrice, con voce curiosamente calma «La prova di oggi è stata ideata non solo per permettervi di riposarvi, ma addirittura per obbligarvi a riposare! Infatti tutto ciò che dovrete fare sarà rimanere in assoluto silenzio, qualunque cosa accada, e non agitarvi. Dovrete fare tutto ciò che vi serve, come mangiare o andare al bagno, in assoluto silenzio. Vi è concesso leggere, ricamare, lavorare a maglia e persino lavorare a strani componenti sconosciuti di attrezzature malefiche. L'unica condizione per tutto ciò è che i lavori si svolgano in silenzio e che nessuno di voi corra o salti. Ogni squadra parte con venti punti di base, ogni volta che un suo componente farà rumore e si agiterà, la squadra perderà un punto, ci siete?»

«Sissignori» disse Meirin, decisa, subito imitata dal resto dei servitori

«Ok. Conto alla rovescia. Tre. Due. Uno. Eeee … silenzio assoluto, ragazzi!».

Sul grande schermo piatto comparvero le seguenti scritte:

 

Phantomhive – 20 punti.

Hellsing - 20 punti.

Siete pregati di non fare rumore.”

 

Ovviamente le squadre videro questa cosa solo quando si spostarono nella sala accanto. In silenzio assoluto, poi, presero a sparpargliarsi. Erano tutti abbastanza contenti della prova di quel giorno, che tutto sommato non sembrava tanto difficile.

Integra, con passi lenti e misurati, si avvicinò a Seras, fulminandola con lo sguardo, poi le posò una mano sulle labbra per non farla parlare e con l'altra mano si slacciò il fazzoletto blu che portava al collo per poi legarlo sopra la bocca di Seras, in modo da farla stare in silenzio.

Infine si portò un dito alle labbra e le disse «Shhh» in modo così inquietante che Seras si convinse immediatamente che parlare significava morire. Morire completamente, intendo.

Non ci sarebbe stato bisogno di dirlo ad Alucard, che si era andato a coricare e avrebbe dormito tutto il giorno come un cadavere, di conseguenza non si poteva essere più calmi di lui.

Nemmeno Finnian sembrava interessato a fare rumore, troppo preso dalla necessità di fare del bene alla propria squadra. In fondo, anche se sembrava stupido, Finnian non era affatto cretino, ma solo incline a farsi trascinare troppo dalle situazioni ed emotivo in un modo quasi assurdo, il che lo faceva sembrare un cretino. Seras invece era proprio cretina di suo.

Integra prese a camminare verso la sua stanza, con lentezza assoluta, seguita dal Maestro, che sghignazzava piano rivolto a nessuno in particolare, tanto non era un concorrente e poteva permetterselo, e da Undertaker, che rimaneva in assoluto e profondissimo silenzio, in pieno spirito di integrazione (l'avete capita?).

Andersen si chiuse in camera sua, con un sorriso placido e largo che rivelava la sua estrema contentezza di fronte a quella prova: nessuno, più di lui, pareva desiderare la calma. Seguiremo proprio lui, in questa strana prova.

Ma come, direte voi da casa, come mai dobbiamo seguire proprio il più tranquillo di tutti? Che divertimento ci sarebbe nel rimanere a guardarlo mentre, tranquillo, sfoglia la Bibbia?

Beh, non ci importa di quello che pensate voi. Noi sappiamo cosa è meglio per voi.

Noi siamo la televisione. Noi siamo il programma. Noi siamo la storia che state leggendo, siamo i vostri genitori adottivi, in un certo senso, in questo mondo lontano dalla vostra realtà.
Perciò, volente o nolente, saremo noi a guidare, è chiaro?

E Andersen se ne stava lì, seduto sul copriletto, nella sua stanza polverosa. In realtà, sembrava che il piccolo locale fosse stato pulito, anche se evidentemente non ancora del tutto, perchè alcuni granelli di polvere aleggiavano ancora nella stanza e agli angoli del pavimento si potevano notare accumuli grigi e qualche piccola ragnatela. Andersen, in ogni caso, stava cercando di fare del suo meglio.

Adesso si era disteso, si era messo un braccio dietro la testa e con l'altra mano teneva il libro di fronte al suo volto, leggendo appassionatamente:

Io il Signore tuo Dio sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione per quanti mi odiano, ma usa misericordia fino a mille generazioni verso coloro che mi amano e osservano i miei comandamenti”.

Era lì, a riflettere sul fatto che quell'affermazione rivelasse in realtà un Dio violento e forse non proprio misericordioso, quando all'improvviso vide un raggio di luce intensa che scendeva dal tetto.

Nella luce vorticava il pulviscolo e qualcos'altro pareva muoversi.

Andersen abbassò gli occhi, schermandoseli con un braccio sollevato

«Scusa!» gridò, prendendo a tremare in modo incontrollato «Scusa! Chiedo perdono, dio, se ti ho creduto ciò che non eri!».

La luce si spense. Andersen cominciò a leggere di nuovo in pace.

D'improvviso, la voce della conduttrice tuonò altissima nella casa, facendo sobbalzare tutti

«Vi annuncio che Andersen, avendo rotto il silenzio con grida ed improvvisi tremori e terrori, toglie un punto alla squadra degli Hellsing!».

Andersen strinse i denti e non replicò, sapendo che se l'avesse fatto sarebbe stato un buon motivo per togliere altri punti alla sua squadra. E quando la sua squadra avrebbe superato quella giornata di calma, lo avrebbe picchiato. Forse. Ma lo avrebbe picchiato sicuramente se gli avesse fatto perdere più di quell'unico punto. Avrebbe voluto dire che era questione di vita o di morte, dell'ira stessa di Dio, ma rimase comunque in religioso (è il caso di dirlo) silenzio. Tranquillo, riaprì il suo sacro libro pieno di verità inconfutabili e perfette ad una pagina random, incollò il naso alla carta e si concentrò. Qualcosa, però, prese a pizzicarlo fastidiosamente all'altezza dei polpacci. Andersen guardò in basso, sollevò le gambe, ma non vide nulla. Allora abbassò di nuovo le gambe e riprese a leggere, quando di nuovo si sentì pizzicare. Di nuovo sollevò le gambe, ma non vide ancora nulla, così le riabbassò. Per qualche secondo rimase in pace, poi di nuovo qualcosa prese a pizzicarlo, stavolta in modo più doloroso, e Andersen decise di cambiare posizione: mise i piedi sul cuscino e la testa alla fine del letto, così avrebbe potuto vedere cos'era quella cosa che continuava a pizzicargli le gambe. Così rimase ad osservare, attento, smettendo di leggere e con il libro chiuso posato sul petto. Niente, non accadde nulla di nulla per almeno venti minuti, tanto che Andersen smise di aspettare. Così, mentre stava per riaprire le pagine del libro, infilando appena appena le dita sotto la copertina, si sentì tirare due pizziconi simultanei, uno all'altezza del ginocchio destro e all'altro alla nuca, che gli fecero veder le stelle. Si tappò la bocca rapidamente con una mano per non urlare e scattò a sedere, alzandosi il gambale dei pantaloni, ormai convinto che il problema non fosse sul o nel letto, ma nei suoi pantaloni stessi. Sentì qualcosa che zampettava intorno alla sua gamba e prese a colpirla con il palmo della mano. Poi il letto prese a muoversi in modo curioso, come se una popolazione di piccoli animali corresse sotto il copriletto.

Andersen scattò in piedi, ansimando e cercando di controllarsi per non apparire esagerato. Anche le pareti erano improvvisamente ricoperte di animali.

Aveva pensato, all'inizio, a insetti o a qualche strano tipo di crostaceo transgenico, invece non somigliavano né ad un insetto né tantomeno ad un crostaceo, visto che non avevano nemmeno le zampe, ma solo un piccolo corpo vermiforme e ricoperto di viscido.

Sulla testa gli spuntava un ciuffo di ispidi ed unticci peli verdi. Gli occhi erano bianchi e perfettamente rotondi. Erano degli sguibi, quelle strane, orride creature maledette …

Andersen dovette mordersi il labbro inferiore per non mettersi a gridare per avvertire tutti di quell'improvvisa invasione aliena. Gli animali boccheggiarono in direzione del prete, come per cercare aria, poi presero ad emettere i loro strani ed incomprensibili versi, strisciando ovunque, sulle pareti, sui mobili e sui letti, volando e contorcendosi a mezz'aria.

Erano orribili. Andersen indietreggiò cautamente, portando con se il suo libro sacro, ed uscì dalla stanza richiudendo con cautela la porta. Come avevano fatto quegli esseri ad entrare nel suo rifugio? E soprattutto, da dove diavolo venivano? La sua stanza era ben chiusa, o almeno così lui pensava. Forse c'erano delle falle, dei buchi, nel pavimento. Dopotutto Andersen non aveva mai pensato a spostarlo per pulirci sotto e probabilmente questo si era rivelato un fatale errore. Tuttavia, ricordò il prete, non doveva perdere la calma e mettersi a gridare oppure tirare fuori le baionette e fare a pezzi tutti quei piccoli demoni nella sua stanza, probabilmente, significava perdere la calma.

Così fece un bel respiro profondo e prese a camminare con calma, sperando di incontrare qualcuno a cui parlare -ops, scrivere- del problema. A volte era una leggera seccatura non poter parlare.

Aveva ancora nelle orecchie i versi orribili dei demonietti, e, mentre camminava adagio, si rese conto che non tutti gli sguibi facevano lo stesso verso. Non aveva sentito che uno o due, in una stanza piena di quei cosi viscidi, emettere un verso vagamente simile allo sguibi che le conduttrici avevano mostrato loro sul grande schermo. Tutti i versi, curiosamente, erano diversi fra loro eppure ugualmente disgustosi, e, se quelle creature berciavano tutte insieme, il tutto risultava non solo terrificante ma anche stomachevole. Era un rumore viscido e untuoso, quasi di risucchio, che ingombrava sotto forma di insostenibile peso lo stomaco e ti faceva venir voglia di liberarlo nell'unico modo possibile: vomitando. Al contempo c'erano sguibi che avevano vocette unticce e acute, quasi dei sibili o dei mormorii di sottofondo. Raccapricciante.

Andersen avvistò la porta di Seras, ma pensò giustamente che avvertirla della presenza degli sguibi l'avrebbe terrorizzata come se il prete avesse annunciato lei che sotto il suo letto c'era un lione mostruosevole (?), quindi ignorò quella maniglia luccicante.

L'Iscariota rifletté, stupito, sul fatto che avevano tutti versi differenti. Come riuscivano a comunicare tra loro? Ripensò ai loro corpi che si contorcevano in aria e si urtavano tutti come cretini, ondeggiando dopo l'impatto in un modo che in un altro animale sarebbe risultato carino, ma in loro era assolutamente disgustoso. S'intrippavano, si aggrovigliavano in nodi indistricabili e poi si districavano perchè tanto erano tutti viscidosi, si sbattevano e rifuggivano l'uno dall'altro, e puzzavano (?). Era strano, ma c'era solo una possibilità ...

La risposta era semplice: non comunicavano. Facevano baccano così, tanto per disturbare.

Andersen continuò a camminare, in silenzio, ascoltando il rumore dei propri stivaloni contro il

pavimento.

D'improvviso, non udiva più i versi degli sguibi. Era il silenzio. Che se ne fossero andati? Per qualche motivo, quel silenzio lo inquietava più di quanto il rumore avrebbe mai potuto fare. Chi poteva dire quali creature si nascondessero dietro ogni angolo, dietro ciascuno di quei pilastri antichi e fatiscenti, di quella casa che ben non si capiva di quale foggia e fattura fosse. Il buio avrebbe potuto comodamente accogliere qualunque tipo di orrore. Andersen deglutì.

E d'improvviso si accorse che la geometria delle travi del corridoio, proprio sopra la sua testa, era tutta sbagliata. Era metodologicamente impossibile fare qualcosa del genere, almeno a giudicare dalle moderne conoscenze dell'architettura.

Ed Andersen credeva di intendersene di architettura, avendo egli costruito l'intera cappella della sua chiesetta, insieme a tutta la navata laterale e a tutto il pavimento.

Pensò che fosse davvero strano, ma smise di badarci e riprese a camminare. Persino i propri passi, ora, lo inquietavano, e ciò era strano: non aveva mai avuto paura di nulla, né dei vampiri, né dei mostri o dei licantropi, tantomeno di se stesso.

Era quel silenzio fitto, troppo fitto per essere naturale, e l'architettura sinistra di quella casa e le strane creature che comparivano dal nulla e poi scomparivano.

Tutto ciò, era molto strano.

D'improvviso, vide qualcosa che si muoveva con andatura sovrannaturalmente lenta in fondo al corridoio, nella penombra rischiarata appena da una delle enormi finestre. Andersen pensò che la sua sagoma avrebbe potuto combaciare forse con quella di Alucard, ma il vampiro in quel momento del giorno dormiva, perciò non poteva trattarsi di lui. Inoltre c'era qualcosa di indescrivibile, in quella figura, che si distaccava da quella del vampiro, ma non si trattava di calore: era freddo e temibile ed Andersen pensò che fosse un altro non-morto penetrato all'interno della casa.

Oppure no? L'ombra parve girare il capo verso Andersen e due occhi foschi brillarono nel suo volto. Erano occhi enormi e scuri, ma non erano in grado di esprimere la coscienza di sé tipica degli uomini, aveva piuttosto un'ottusità bestiale che si rifletteva nella superficie vagamente luminescente. In realtà, neppure una vera ottusità bestiale poteva descrivere cosa fossero quegli occhi, piuttosto qualcosa di indescrivibile per un umano, come la coscienza di una macchina o di una creatura proveniente da un altro pianeta.

Andersen non indietreggiò: non aveva paura di quella cosa, di qualunque creatura si trattasse, poiché era consapevole della propria forza. Non si scompose, ovviamente non urlò. La creatura alta, dai grandi occhi neri, girò di nuovo la testa e riprese a camminare, ondeggiando in modo curioso e spostando il proprio peso come se appoggiasse sui talloni.

Andersen, incuriosito, lo seguì. Era già teso psicologicamente dopo l'apparizione degli sguibi, ma non aveva del tutto perso la sua curiosità. Dopotutto, la sete di conoscenza che è tipica dell'uomo è un dono di Dio e non usarlo avrebbe significato mancare di rispetto al Sommo.

La creatura alta si diresse verso il piano superiore, dove erano alloggiate alcune importanti stanze, fra cui quella di Integra.

Alexander Andersen non avrebbe saputo dire se quei gesti erano guidati da intenzione, ma erano piuttosto il frutto di una vaga scelta, come talvolta accade agli animali quando vagano per le praterie o per i boschi, alla ricerca di cose come acqua e cibo. Avvicinandosi ancora alla creatura, potè scorgere in essa una fisionomia vagamente umana in modo terrificante, con braccia lunghe e muscolose nella parte superiore, guarnite di magri avambracci che ricordavano in modo vago le zampe di un ortottero (grillo o cavalletta, per voi ignoranti).

La testa era grossa, bulboide, di colore grigigno (una specie di grigio, per voi ignoranti), e ornata posteriormente solo di due corte strisce di cose che potevano essere spine sottili o grossi capelli. No, non poteva essere umano, nessuno avrebbe avuto quella forma di testa e un tale repellente aspetto.

L'essere si voltò di scatto, inchiodando Andersen con il suo sguardo alieno. Il prete sobbalzò e pensò che forse non era stata una buona idea quella di seguire la creatura infernale.

Perché infernale? Perché si.

Non c'era una spiegazione logica a questa definizione, ma per qualche ragione Andersen non se la sentiva di chiamarla in nessun'altro modo.

La creatura aliena aveva due buchi al posto del naso, che ricordavano il volto di Voldemort, e una bocca sottile dalle labbra leggermente screpolate.

Andersen confrontò rapidamente l'aspetto della creatura ad altri animali, cercando di conciliarlo con quello di altri esseri che popolavano la terra: il rospo, la sanguisuga, il tucano toco, la balena, la giraffa, l'ippopotamo, i bambini, gli sguibi, i lombrichi, la zebra, il colombo, il canarino e infine Padre Pio.

Non trovò somiglianze.

Si chiese perché mai avesse paragonato la creatura proprio a quegli animali che non gli somigliavano. Riprovò.

La formica, l'insetto stecco, Rufy D. Monkey, la vipera, il polpo. Ok, questi ci somigliavano: aveva gli occhi grandi e scuri della formica, il fisico magro dell'insetto stecco, l'andatura e l'espressione stupida di Rufy D. Monkey, le narici della vipera e la pelle piena di morbide asperità del polpo.

Era proprio brutto.

L'essere orribile non fece nulla. Lo guardò solo. Sembrava non riconoscerlo … e come avrebbe potuto? Non lo conosceva mica. Però Andersen pensò che muoversi sarebbe stato pericoloso, nonché fatale: forse quella creatura era come certi predatori, che vedono la loro preda solo se si muove, ed allora sfoderavano armi di cui il prete ignorava l'esistenza. Perché tutti gli animali sfoderavano armi di cui il prete ignorava l'esistenza?

Non lo sappiamo. Ma questo è quello che Andersen pensò.

In effetti, a guardarlo, non si sarebbe detto che avesse avuto qualche particolare dote bellica. Sembrava brutto e basta.

Tutto questo per dire che Andersen rimase a fissare di rimando negli occhi grandi e scuri della creatura per un tempo infinito … ovvero due ore, trentaquattro minuti, diciassette secondi e due millesimi. Dopodichè l'alieno fece «Bleaurgh!» e si allontanò.

Andersen ricominciò a respirare. Cioè, era stato per due ore, trentaquattro minuti, diciassette secondi e due millesimi senza respirare? No, ovviamente, altrimenti sarebbe morto. Solo, respirava di tanto in tanto, motivo per cui il suo volto era diventato di colore vagamente blu.

Smise di seguire l'alieno, perché non gli sembrava più tanto interessante, avendolo giudicato stupido e capace solo di non-comunicare (ma che era, la mamma degli sguibi?), di guardarti negli occhi (che cos'era questo, un tentativo di flirtare?) e spaventarti abbastanza da fartela fare addosso (ovviamente non se eri un prete scanna-vampiri).

Così riprese a camminare, alla ricerca di qualcuno da informare del fatto che ci fossero sguibi e alieni che giravano per casa.

Dal piano inferiore risaliva una musichetta che faceva

Mostri e pirati

mostri e pirati

mostri e pirati

mostri e pirati”.

Va bene. Chi aveva azionato il mixer senza il nostro consenso e l'aveva pure inceppato? Catturammo il trasgressore (un ragazzino, il figlio di un cameraman) e lo torturammo a morte davanti agli occhi lacrimanti del padre. Ma questo a voi del pubblico non deve interessare, perciò torniamo a vedere cosa faceva il nostro amico Alexander Andersen, che era un po' pallido di paura e un po' blu di asfissia, insomma, era azzurrino chiaro a chiazze. Sembrava lui l'alieno. O un malato terminale di qualcosa di sconosciuto.

A Bard sarebbe piaciuto. Da cucinare.

Andersen incontrò Bard. Parli del diavolo e spunta il diavolo. Non le corna: Bard le corna neanche ce le ha. Potevamo capire se si trattava di Sebastian, ma non si trattava di Sebastian, si trattava di Bard. Il cuoco aveva il naso sprofondato in un libro di cucina, tanto che non riusciva più a tirarlo fuori e doveva respirare solo con la bocca: si trattava infatti di un libro oscuramente magico, che non sappiamo bene neppure noi che cosa ci faceva lì.

Andersen allora diede sulla spalla di Bard una pacca. Bard cercò di girare la testa, ma aveva il naso incollato al libro e non poteva, così sospirò e continuò a camminare, senza degnare di uno sguardo Andersen e sbattendo al muro subito dopo.

Il prete scosse la testa e riprese a camminare. Sembrava che, dopotutto, lui non fosse l'unico ad essere stato attaccato dalla “sfortuna”.

Alexander, si bloccò d'improvviso, atterrito da ciò che vedeva. In fondo al corridoio, un'alta figura nera stava avanzando lentamente verso di lui e non sembrava avere buone intenzioni. Andersen lo capì dal fatto che aveva in mano un machete.

Il prete si guardò intorno, cercando di non sembrare spaventato o confuso, perché questo avrebbe fatto perdere punti alla sua squadra, eppure non si sentiva affatto sicuro a sapere che la creatura stava avanzando con un machete in mano. Era pericolosa!

«Mamma!» Esclamò la creatura, con voce rauca e metallica da E.T «Sei tu la mia mamma?».

Andersen indietreggiò, non riuscendo a spiegarsi il comportamento della strana creatura. Una creatura aliena in cerca della sua mamma, o forse convinta che lui stesso fosse la sua natural genitrice, stava avanzando con in mano uno splendente machete.

«Sei tu la mia mamma? Sei tu … s-e-i t-u l-a m-i-a m-a-m-m-a?».

Andersen cercò una via d'uscita: dietro di se vedeva le scale, davanti a se l'alieno con il machete. Cosa doveva fare? Scappare o affrontare il pericolo? Affrontare il pericolo significava sicuramente perdere un punto, scappare forse no, ma solo se fosse stato fatto con estrema lentezza. Allora pensò: e se tagliassi la gola all'alieno molto, molto lentamente? Probabilmente sarebbe stata un'azione calma. Ma l'alieno si sarebbe fatto tagliare la gola molto, molto lentamente? Probabilmente no. Allora Andersen pensò di nascondersi da qualche parte e da lì dov'era lanciargli una baionetta, ma molto, molto calmamente. Ecco, questa era una buona idea: lanciargliela noncurante, come se si stesse pulendo i denti con uno stuzzicadenti invece di stare uccidendo un'orribile creatura aliena alta due metri e armata di machete.

La creatura aliena emise un gorgoglio che somigliava al verso di uno sguibi, cadde a terra e morì. Così, senza che nessuno la toccasse.

Andersen, stupito di quell'improvvisa piega presa dalla situazione, che mai e poi mai lui avrebbe immaginato, si avvicinò all'alieno. Era proprio stecchito e da morto era pure più brutto che da vivo, perché era caduto tutto scomposto e sembrava un insetto gigante spiaccicato da una paletta gigante.

Con cautela, Andersen lo scavalcò e riprese la sua ricerca.

Dopo circa dieci minuti, incontrò nel corridoio Walter, il quale era intento a portare in braccio una pila di vestiti. Andersen gli sorrise, illuminandosi, e gli indicò il fondo del corridoio.

Walter aggrottò le sopracciglia, confuso, e si strinse nelle spalle. Allora Andersen aprì la Bibbia, prese a sfogliarla e gli indicò le parole per comporre una frase, inventandosi all'istante un modo per comunicare che somigliava un po' alla modalità che usano i rapitori per chiedere il riscatto:

Laggiù

c'erano

creature

indemoniati

pericolo

esorcizzare

dobbiamo

Walter sorrise di rimando e indicò anche lui diverse parole sulla Bibbia, sfogliandola:

Parole

di

stolti

Andersen scosse lentamente la testa e indicò una frase

Io sono la verità

sottolineandò “la verità”.

Allora Walter parve preoccupato e annuì, indicando anche lui una frase

Ti seguiremo.

Andersen condusse Walter al piano inferiore. Mentre camminavano, si accorse che l'alieno era sparito nel nulla misteriosamente e pensò allora che non doveva essere molto morto, oppure che qualcuno, tipo il Maestro, se lo fosse mangiato con tutte le ossa e il machete.

Walter lo guardò interrogativamente.

Andersen teneva la bibbia sempre aperta, cosicché il maggiordomo poté comodamente indicare

Dove

?.

Si, il punto interrogativo era a parte. Andersen si trovò in imbarazzo, e mentre rifletteva, il suo indice cadde su una frase

Ed ecco tutta la mandria si precipitò dal dirupo nel mare e perì nei flutti.

Walter era vagamente spaventato, anzi togliamo pure il vagamente. Le altrenative erano due: o dirupi e mari apparivano e sparivano a loro piacimento, o Andersen era diventato completamente pazzo. La terza alternativa, è che voleva affogarlo con la testa nel lavandino. Ma non era una bella alternativa, così Walter fece conto che non esistesse. La cosa che lo preoccupava maggiormente era quel “mandria”.

Il dito di Andersen accarezzò la pagina e si fermò di nuovo.

Due indemoniati, uscendo dai sepolcri, gli vennero incontro.

Il maggiordomo prese in considerazione la quarta alternativa: fregarsene e scappare.

Perché insomma, se due indemoniati escono dai sepolcri (Seras e Alucard, chiaramente) e ti vengono incontro, e ti buttano dal dirupo nel mare (dall'armadietto nel lavandino) e ti fanno perire fra i flutti (ti affogano pure col sapone), non è una bella cosa.

Però Walter doveva scappare con calma ed era difficile, perché Andersen aveva la falcata molto più ampia della sua. Ed anche camminando con calma lo avrebbe superato e magari fatto perire nei flutti. Una corrente d'aria, mentre camminavano, mosse le pagine della Bibbia che Andersen teneva sovrappensiero aperta e il suo dito che mai si fermava senza smetter d'accarezzare le vellutate paghine del sacro libro, indicò una frase

Fino agli inferi sarai precipitata!.

Walter pensò che non era una ragazza, ma in effetti, la frase era piuttosto chiara. Si, lo voleva fare perire fra i flutti. Ma all fine, chi erano gli indemoniati, se era Andersen a volerlo ammazzare? Come era precedentemente accaduto, ancora una volta cambiò pagina e cambiò frase, e la frase diceva

In quel tempo gli fu portato un indemoniato, cieco e muto, ed egli lo guarì, sicché il muto parlava e vedeva.

Il maggiordomo cominciava a non capirci più niente. Forse quella era una metafora per fargli capire che avrebbe avuto bisogno di un buon medico, quand'anche avessero finito con lui. Andersen e chi? Ma Seras e Alucard, ovviamente, gli indemoniati usciti dai sepolcri per eccellenza. Anche se tutta la faccenda era parecchio losca.

L'ipotesi iniziale era: Andersen lo aveva attirato lì con la parvenza di un emergenza, senza alcun motivo in particolare, per farlo picchiare da Alucard e Seras in modo da spedirlo all'ospedale, o precipitarlo negli inferi, o, meglio, fra i flutti.

Almeno fino a che, ad aggiungersi al quadro iniziale, il ditone di Andersen non indicò un altra frase che scompose malamente tutte le sue ipotesi

è inevitabile che avvengano scandali, ma guai a colui per cui avvengano.

Ma se Andersen si riferisse a quel modo di sé stesso, nel senso che forse sarebbe stato lui ad essere precipitato nell'Inferno e punito dai due indemoniati, e la causa di tutto ciò sarebbe stata un grave scandalo? Ma era ovvio! Seras e Alucard non potevano destarsi e dovevano rimanere calmi, perciò non avrebbero potuto aiutare il povero piccolo Walter fra le grinfie del malvagio prete, e tutto ciò sarebbe degenerato in uno scandalo che avrebbe segnato l'intera loro fazione. Ma Walter non voleva essere nello scandalo, perciò gli ribalenò in mente l'idea di scappare lentamente, poi si ricordò che Andersen aveva i piedoni. E, per scappare al suo destino, decise di distrarlo. Così, indicò fermamente una parola

Guarda.

Andersen lo fissò perplesso, strappato dai suoi pensieri.

Walter indicò un punto e contemporaneamente sottolineò sulla Bibbia una parola.

Gesù.

Andersen si voltò rapidamente, tutto estasiato, dimenticando che doveva essere calmo.

Walter si diede tranquillamente a una fuga placida.

L'Iscariota strizzò gli occhi, alla ricerca di una figura nel buio del Lato Oscuro della Casa che gli indicasse la presenza di Gesù Cristo, ma non trovò nulla. Cercò e cercò nel buio persistente, ma alla fine si rassegnò all'essere stato vittima di uno scherzo immotivato.

Si girò verso dove avrebbe dovuto esserci il maggiordomo, per chiedergli spiegazioni e anche lamentarsi, ma non trovò nessuno.

Era così facile distrarlo, che faceva tenerezza.

Anche se era un mostro alto due metri, peloso, con gli occhi piccoli, ispido e miope, con le baionette in mano, una cicatrice sulla faccia, Iscariota e con gli occhiali che riflettevano la luce che non c'era nelle tenebre, in quanto fatti di scaglie di pesce marino bioluminescente. O almeno, questa è la nostra tesi. Poi magari erano qualche materiale impregato di benedizioni, o semplicemente Andersen era strano, quindi pure i suoi occhiali.

Ma faceva un po' tenerezza, con tutta quella barba nera seppure fosse biondo e ispidosa.

A proposito perchè si taglia solo i baffi e la barba no? Mah …

Andersen non riuscì a spiegarsi perché il maggiordomo se ne era andato, magari pensava che se la sarebbe presa per quello scherzetto, ma ormai era andato.

Il prete si guardò intorno per vedere dov'era andato, e si illuminò nel vedere una figura tappetta che camminava circospetta, strascicando un po' i piedi. Alexander gli andò incontro con calma, cercando di non fare tanto rumore perché quei piedoni attiravano mostri, a quanto pare.

Era praticamente dietro alla figuretta, quando quella si voltò. Lo vide e fece per cacciare un urletto, ma si ricompose appena in tempo. Il prete lo guardò, deluso. Non era Walter. Era solo un conte piccolo e blu. No, non era il conte dei puffi, anche se non escluderei di incontrarlo nella Casa del Reality, dove tutto è possibile.

Ciel lo fissò, a metà fra paura e rabbia. Poi decise di non accogliere nessuna delle due emozioni e guardò in modo calmo Andersen.

Il prete sorrise incoraggiante e indicò una frase

Maledizione del fico.

Ciel alzò un sopracciglio.

Il prete guardò il proprio dito, poi lo spostò, imbarazzato

Che cosa fate?.

Il conte “solubile” alzò lentissimamente un pezzetto di cartoncino quadrato. Solo allora Andersen si accorse che aveva al collo tutta una collana fatta di pezzi bianchi di carta, e se ne stupì. Pensò che non era da Ciel farsi una collana di carta, poi guardò bene il cartoncino che Ciel gli aveva messo calmissimamente più o meno davanti alla faccia.

Andersen si chinò e si aggiustò gli occhiali sul naso.

Sul pezzetto di carta c'erano due simboli.

8(

Una faccina.

Ciel aveva trovato un altro modo per comunicare, più vago delle parole sulla Bibbia, ma comunque piuttosto efficace. Andersen vide sugli altri cartoncini dove c'erano simley sorridenti, tristi, arrabbiati, in tutti i modi.

L'ultimo erede del casato Phantomhive si allontanò placidamente, ma Andersen lo trattenne posandogli una mano sulla spalla.

Ciel alzò un altro cartellino.

C'era uno smiley tutto rosso dall'aria furente con tanto di corna, ma l'espressione di Ciel attuale sfiorava la beatitudine.

Andersen sfogliò la Bibbia in cerca di una risposta, ma Ciel alzò un altro cartellino. C'era disegnato il Totengrammaton, il simbolo del patto stipulato tra il conte Phantomhive e il demone Michaelis, illuminato e fatto minuziosamente. Sotto c'era una scritta, in una strana grafia sottile: “Sebastiaaaan!”.

Un lampo nero e bianco passò di fronte ad Andersen, portandosi con sé il conte Phantomhive. Non sapeva dire se fosse stato Sebastian o un alieno, ma in fondo era più o meno la stessa cosa. Mostri eretici tutti e due, e in entrambi i casi Ciel sarebbe finito salvato dal maggiordomo demoniaco.

Andersen si ritrovò di nuovo tutto da solo. Era bizzarro per il suo carattere intrepido, ma la solitudine rendeva inquieto il suo spirito.

Persino il minuscolo Ciel lo aveva rassicurato, seppure sapesse perfettamente che in caso di scontro il conte Phantomhive non sarebbe stato altro che un peso morto da proteggere. Ma è vero che era anche un paio d'occhi sentinella in più, grossi come due piccoli gatti ciascuno e glow in the dark per di più, perciò anche se in uno scontro avrebbe probabilmente dovuto proteggerlo, avrebbe potuto invece di morire attaccato da una forza invisibile e far morire anche lui.

Ma lui stava bene col suo Sebastian, punto.

Quindi Andersen sospirò piano e riprese a camminare, in punta di piedi, questa volta. Piano piano, nel buio. Decise di tornare nella propria stanza, magari gli sguibi se n'erano andati …

Si, e io sono San Giovannino. Ma Andersen decise di tentare lo stesso.

Mentre camminava nel buio, si chiedeva perchè mai fosse buio: insomma, doveva essere pomeriggio, non sera, eppure l'oscurità in certi punti era così fitta che si sarebbe potuta tagliare con il coltello. Andersen si accostò ad una finestra e guardò fuori: il cielo era ricoperto di nuvole temporalesche e il sole non era quasi visibile: aggiungiamo questo alle tende che coprivano molte finestre ed alla naturale oscurità, quasi viva, che tendeva ad accumularsi nei corridoi, ed avremo la nostra risposta al buio.

Andersen si voltò. In lontananza vide una sagoma nera ed alta, che camminava lentissimamente verso di lui. Strinse i denti e pensò che questa volta sarebbe stata la volta buona che l'avrebbe eliminato: dopotutto lui era un rigeneratore, poteva benissimo correre il rischio di essere ferito, mentre sarebbe stato facile tagliare la testa a quella creatura goffa.

Si infilò la mano sotto il giubbotto e ne estrasse una lucente lama d'argento, una baionetta lunga quanto il suo avambraccio ed affilata come un rasoio.

Camminò verso l'ombra nera e parve ancora più temibile di essa.

L'ombra in fondo al corridoio, alta e impressionante, fece dietrofront e prese a cercare di scappare, ma sempre lentamente. Andersen sollevò con cautela la baionetta e continuò a camminare. Chiuse gli occhi, tanto non avrebbe comunque visto niente: lui e la sua vittima si stavano dirigendo in una zona della casa dove non c'erano finestre, l'oscurità era perciò quasi totale, necessaria appena a distinguere le loro due alte sagome che si muovevano flemmaticamente.

In uno specchio, Andersen vide il proprio riflesso: spalle larghe, scuro nel buio, con gli occhi infossati dietro le lenti degli occhiali che in quel buio erano meno luminose del solito. Sembrava anche lui un mostro o una creatura di un'altro mondo.

Pensò che le tenebre distorcevano tutto e lo facevano sembrare malvagio, per questo dovevano essere eliminate. Non pensò neppure che lui era persino più spaventoso alla luce del giorno, ma noi non saremo certo quelli che glielo faranno notare.

Il prete si concentrò. Riusciva a sentire il respiro della creatura alta, che era calmo e regolare e non molto lontano da lui. Sollevò la baionetta e sorrise, poi si mosse silenzioso come un'ombra. La creatura non avrebbe visto il colpo, ma lui avrebbe saputo dove colpire seguendo il rumore del suo respiro. Mosse il braccio in avanti e si sentì bloccato da una mano che gli stringeva il polso. Tirò all'indietro, riuscendo a liberarsi, poi si buttò in avanti a peso morto, pensando che sarebbe stato facile schiacciare quella creatura con il proprio peso, sicuramente superiore al suo. L'essere indietreggiò e lo spinse poggiandogli le mani sulle spalle.

Andersen sollevò un piede per colpirlo con un calcio, ma la creatura gli afferrò il piede, allora usò la mano libera per afferrare il braccio dell'essere, ma questi avanzò senza lasciargli lo stivale. Insomma, tanto fecero e tanto non fecero che alla fine Andersen si ritrovò senza baionetta, a fare lotta libera per terra con l'essere, che, dannazione, era maledettamente forte.

Fare la lotta a mani nude nel buio con una cosa spaventosa e aliena non rientrava certo nelle priorità di Alexander, che non ci si divertiva neanche un po', considerato che avevano iniziato a fargli male le gambe, così cercò di scappare, ma era intrappolato.

Non aveva altra scelta se non quella di reagire.

Così tirò indietro la testa e lo colpì con una craniata pazzesca, ma quello non emise neppure un gemito e strinse di più.

Erano, come già detto, ridotti a un groviglio di membra e cercavano di farsi più male possibile l'un l'altro, o forse di spezzarsi le ossa a vicenda.

Andersen sentì degli altri passi nel buio del corridoio e cercò di girare la testa per vedere chi o cosa fosse, ma c'era troppo buio per farlo.

Il buio, però, non fu più un problema quando, con un click, qualcuno accese la luce.

Ma perché Alexander non ci aveva pensato prima? Ah, giusto: sorprendere l'avversario al buio era più facile. Ma non si era rivelata essere una buona idea.

Nella luce artificiale si stagliavano Integra e il Maestro.

«Che state facendo al buio?» Chiese il Maestro, che sembrava piuttosto perplesso.

Andersen non poteva rispondere, ma si lasciò sfuggire una mezza risatina nervosa quando notò che non stava battagliando con un alieno, ma con quello strano tizio che prima aveva seguito integra, quell'Undertaker.

Andersen cercò di liberarsi, mettendo su la sua miglior espressione da “mi dispiace, d'accordo?”, ma continuò a sentirsi bloccato. Il suo nemico era totalmente inespressivo.

Il Maestro sbuffò

«Tsk! Ditemi che vi stavate solo picchiando, per favore, sarebbe più accettabile ...».

Andersen annuì per quel poco che riusciva a muovere la testa. Undertaker, finalmente, ridusse la pressione contro il suo corpo e si rialzò in piedi.

Il prete si sentiva tutto intorpidito, ma per non essere da meno si rimise rapidamente in piedi.

Integra scosse la testa come se avesse visto due bambini che si picchiavano.

«Ma qui sono l'unico che può parlare?» Chiese il Maestro, mettendosi le mani sui fianchi, quasi in uno sfoggio di potere

«No» rispose Undertaker

«Bene. Perché altrimenti nascerebbe qualche incomprensione, no?».

Undertaker si allontanò piano per la sua strada, dopo aver lanciato un'occhiata chiaramente omicida ad Andersen. Quest'ultimo si chiese perché mai quello psicopatico in cappotto nero non avesse parlato prima: gli avrebbe risparmiato una figuraccia e anche un male cane alle gambe e al torso, se magari al buio avesse detto qualche parola.

E invece no! Aveva preferito rimanere in totale silenzio pur potendo parlare.

Certo che era strano.

Il Maestro sghignazzò

«Andiamo, prete! Non dovresti litigare con gli amici del capo!».

Come avrebbe spiegato, Andersen, che quello era stato solo un errore, un disguido? Ma certo, aveva sempre la sua amata Bibbia! Ma mentre la cercava, vide che era scomparsa.

E non solo era scomparsa, ma in fondo al corridoio, in una zona più fiocamente illuminata, c'era l'alieno. Undertaker stava per passargli accanto senza nemmeno accorgersi di lui.

Andersen pensò in fretta: doveva salvargli la vita! Se gli avesse salvato la vita dal mostro armato di machete, allora, sicuramente, sarebbe stato perdonato. Così lanciò la baionetta e, con la sua classica mira infallibile, prese la creatura dritta su una tempia.

L'alieno si accasciò al suolo emettendo un lungo gemito metallico e tutti quanti i presenti lo fissarono.

«Oh, caspita!» Esclamò il Maestro «E quello cosa diavolo è? Non ho mai visto un alieno con quella forma … ne deduco che sia qualcosa di terrestre, giusto? Giusto?».

Integra scosse la testa. No, non era qualcosa di terrestre, o almeno non era qualcosa che sulla terra si vedeva tutti i giorni.

Anche Andersen fece un cenno di diniego, seppure fosse più propenso, adesso, a credere che si trattasse non di un alieno, ma di un qualche genere di demone.

Undertaker si chinò sulla cosa e gli infilò il dito nella ferita, poi lo estrasse lentamente e guardò il liquido scuro e vischioso che lo ricopriva. Sorrise, poco alla volta, lentamente.

Sembrava che anche la manifestazione delle sue espressioni avvenisse lentamente, era inquietante. Afferrò la creatura aliena, o demoniaca, o deforme, con una mano sola e la sollevò da terra come se non pesasse più di alcuni grammi, se la mise su una spalla e si allontanò.

«E mo' dove va? Ehi, volevo vederla! Ehi, aspettami!» Esclamò il maestro, correndogli dietro. I due sparirono nel buio.

Integra fischiò. Il Maestro tornò immediatemente indietro, servizievole

«Si, si, sono qui… non mi sono ancora dimenticato di quello che dobbiamo fare» sorrise «E tu, prete, perché non ci aiuti? Abbiamo bisogno di qualcuno che abbia una discreta forza e tu ce l'hai, no?».

Andersen annuì, poi prese a seguire Integra ed il Maestro, che lo condussero nella misteriosa unica stanza senza telecamera dell'intera casa.

Mentre salivano al piano di sopra, Andersen vive qualcuno vestito di rosso che correva su e giù per le scale come impazzito. Scartò subito l'idea che fosse Alucard: il vampiro stava dormendo, non era così basso e soprattutto se avesse fatto tutto quel manicomio, la conduzione del programma avrebbe tolto punti a raffica alla squadra Hellsing, cosa che non stava affatto accadendo.

Quindi non poteva, semplicemente, essere Alucard, che pure doveva essere l'unico della casa ad essere così rosso, con il suo lungo trench scarlatto …

Allora chi era? Un uomo ricoperto di sangue dalla testa ai piedi?
No, quando si fermò fu chiaro che quello che aveva addosso non era sangue …

Aveva lunghissimi capelli rossi, brillanti e lisci, e un giubbino rosso, una motosega rossa e un paio di scarpe nere con il tacco e la punta rossa e lucente come smalto fresco, tanto che c'era da chiedersi come facesse a tenere le scarpe così terribilmente pulite. Grell Sutcliffe.

«Ciao!» Esclamò lo shinigami rosso, fermandosi con le mani dietro la schiena «Che ci fate qui?».

Integra si passò il pollice sulla gola come nel gesto di tagliare la testa. Grell deglutì, poi si passò la mano dietro la testa

«Io … io chiedevo soltanto … non c'è bisogno di essere così cattivi! Dov'è Alucard?».

Integra afferrò la mano di Andersen e se lo portò via. Grell prese a gridare

«Va bene! Non ho bisogno di voi!» aveva la voce di un bambino piagnucoloso «Posso farcela benissimo anche senza il vostro aiuto, grazie! Non si degnano neanche di rispondermi, facciatosta!».

Integra tirò calma una scarpata allo shinigami, che il Maestro, da bravo cagnolino, si affrettò a riportare indietro. La donna si infilò lo stivale con tutta calma (lo so che lo sto ripetendo troppe volte, ma avete letto come si chiama questo capitolo, no?) e procedette nell'oscurità non più tanto fitta.

Rispetto al buio pesto della stanza in cui si era svolta la terribile lotta tra l'Undertaker e Andersen, al prete sembrava che adesso fossero di giorno, all'aria aperta e con solo un po' di nuvole a oscurare il cielo, altrimenti bluissimo. E in effetti erano di giorno, anche se Andersen si sentiva come se fosse immerso in una notte buia e tempestosa, guardando le scene più brutte, gli alieni squartati e i real mistery con pupazzi di alieni appiccicati sotto le auto e moscerini sulle telecamere spacciati per spiriti maligni di Mistero (che lui non guardava perché era un programma italiano, ma la sensazione che lascia Mistero è indescrivibile. Non è neanche vera paura, è una sorta di disgusto misto a compassione per i paranoici del mondo), circondato da un'allegra brigata di zombie putrescenti ed extraterrestri emaciati.

Giusto per rendere l'idea.

Cercò di rintuzzare in un angolino del suo cervello quella sensazione non proprio meravigliosa che gli faceva vedere facce di mostri negli angoli (si, si crede che abbia avuto qualche trauma infantile) e sostituirla con la curiosità.

Non ebbe totalmente la meglio, ma l'angolo liberatosi dalla paranoia ritornò abbastanza lucido da fantasticare su ciò che gli avrebbero fatto fare.

Un lavoro che richiedesse forza? Un lavoro che richiedesse forza commissionato da Integra e il Maestro?

Di certo avrebbe dovuto torturare qualcuno, o, visto che è difficile torturare placidamente qualcuno e Integra ci teneva maledettamente tanto a vincere quel reality (“mai accettare la sconfitta prima di aver perso, ma lottare per conquistare la vittoria!” era il suo motto. Non è vero, era “Search & Destroy!”, ma facciamo finta che non questa parentesi non esista) che non avrebbe mai voluto perdere alcun punto.

Perciò avrebbe dovuto più probabilmente tenere ferma la vittima mentre il Maestro la arrostiva con la sua curiosa capacità di tirare fulmini e Integra suggeriva al suo boyfriend cosa fare, tipo quali schegge di bambù inserire sotto le unghie e in quale posizione.

Dettaglio più, dettaglio meno.

Nella testa del prete si elaborarono tante teorie, ma quella della tortura continuava a tornare a galla. Effettivamente, era la più plausibile per due Masters loschi come quei due. Ma chi poteva mai essere la vittima? Un poveraccio che il Maestro aveva rapito per strada? O … per un attimo Andersen pensò che avessero trovato le conduttrici.

Ma, no, sarebbe stato troppo bello per essere vero, e nella Casa del Reality succedevano solo cose schifide.

E poi se qualcuno, per caso, le avesse trovate, lo avrebbero stordito con una pistola che stordisce, e gli avrebbero cancellato la memoria con una cosa che cancella la memoria (oh, quanto amo i termini tecnici!) e lo avrebbero abbandonato in un posto tipo Sidney, San Diego, Sassari … un posto che inizi per S.

Andersen non poteva spiegarsi perché proprio un posto con la S, ma nei suoi pensieri avrebbero abbandonato il malcapitato in un posto con la S …

«Ecco!» esclamò il Maestro «Ci siamo, prete!».

Una risata malvagia sgorgò dalla sua gola e si amplificò per i corridoi bui, pervadendo la casa in modo innaturale. Rimbalzò contro le pareti e la strana geometria dell'intera Casa.

Un coro di voci infernali si unì alla risata, come se un'orda di animali demoniaci si fosse svegliata a quel suono terribile. Le voci si sovrapponevano, ma si potevano udire versi gutturali e spaventosi quali “Ssht!” e “Statti un po' zitto, qui c'è gente che dorme!”.

Il Maestro cessò di ridere, un po' stizzito da quel genere di interruzione.

Tutta la situazione in generale aumentò notevolmente la paranoia dell'Iscariota.

«Ok, Alexander Andersen» gli occhi del Maestro erano due fessure «Si comincia».

Entrarono nella stanza e qui non possiamo seguirli più, perché dentro quel posto non c'erano telecamere, giusto?

Wake up, babies! Adesso non abbiamo altra scelta se non quella di seguire qualcun'altro.

Perciò ci recheremo in un posto magico, dove nascono i più grandi piaceri della vita: la cucina. In cucina troviamo Ciel Phantomhive, il quale, però, aveva già abbondantemente mangiato e ora se ne stava lì, abbandonato su una sedia, con il braccio sul tavolo, e una mano sulla pancia che la accarezzava sporadicamente, come se fosse incinto e stesse coccolando il suo bambino. Aveva il labbro inferiore leggermente sporco di cioccolato, ma non se n'era accorto e quindi non faceva nulla per ripulirlo.

Sebastian, non troppo lontano da lui, stava lavando i piatti ed era felice di quel silenzio, di non sentire il suo piccolo padroncino che si lamentava, anzi, che riposava bello gonfio e sazio.

Ciel sorrise nel sonno. Poi aprì la bocca e prese ad urlare

«AHHHHHHHHAAAAAHHAHAHAHAAA!».

Sebastian spalancò gli occhi, quasi spaventato, e fu tentato di dire “Bocchan, vi prego, fate silenzio!”, ma non poteva dirlo, che se avesse parlato sarebbe stata la fine.

Ciel continuò a gridare, tutto teso, poi si diede botte da solo e allora si svegliò. Si guardò intorno tutto agitato, rischiando di cadere dalla sedia, poi guardò Sebastian.

Il maggiordomo, prima che il piccolo Phantomhive potesse aprire bocca, gli passò un quadernetto e una penna Bic.

Ciel scrisse, aggrottando le sopracciglia

Sebastian, chi mi ha dato botte?”

Siete stato voi, signorino. Vi siete auto-colpito per sbaglio”

Non dire coriandolume. Idiota”

Coriandolume?”

Avanzi di carta, il coriandolume è spazzatura cartacea. Coriandolume è una figura metaforica per dire monnezza inservibile, se mi capisci. Non dire scempiaggini!”

No, è tutto vero, signorino, io non mento mai. Durante il sonno avete avuto un incubo e, probabilmente, per scacciare l'antagonista del vostro sogno avete mosso un pugno e vi siete auto-colpito”

Coriandolume”

La voce delle altoparlanti annunciò

«Un punto in meno alla fazione dei Phantomhive, a causa di urla terrorizzate da parte di Ciel Phantomhive. Si scende a diciannove».

Ciel si imbronciò.

Accidenti”

Posso chiedervi cosa avete sognato?”

No.”

Va bene, signorino. Volete una tazza di tè?”

Voglio solo dormire senza gli incubi. Perciò se vedi che mi agito nel sonno, svegliami e mostrami questa pagina”

Yes, my lord”

Sebastian posò la penna, pensieroso, e lasciò il suo signorino a riposarsi, gettandogli di tanto in tanto occhiate per assicurarsi che dormisse serenamente.

Ma a Ciel non veniva più il sonno. Si girò e si rivoltò sulla sedia, ma qualunque posizione continuava a sembrargli scomoda, e chiudere le palpebre e stare fermo per più di venticinque secondi gli faceva venire il nervoso. E, a dirla tutta, non gli piaceva proprio l'idea di fare di nuovo quell'incubo.

Il piccolo conte sospirò silenziosamente e si rialzò dalla sedia, stirandosi e facendo scricchiolare le articolazioni, poi prese di nuovo la penna e scrisse

Non ho più sonno, perciò vado a fare una passeggiatina nei paraggi. Chessò, cerco di scoprire nuove stanze, o di capire dove stanno le conduttrici. Se ti chiamo, vieni subito, Sebastian”

Sebastian si sporse verso il quaderno, lesse tutto velocemente e annuì, poi continuò a lavare i piatti.

E fu così che il piccolo Ciel, si avventurò fuori dalla sicura e accogliente cucina, alla ricerca dell'aventura. Per qualche strano motivo, quando Ciel va in cerca di avventura, gli succedono sempre cose brutte.

Per lo stesso strano motivo, non appena le telecamere inquadrarono Ciel allontanarsi a passo di marcia da colui che scongiurava inconvenienti, il suo maggiordomo demoniaco, i veri demoni si koalizzarono, si arrampicarono sugli alberi (battuta idiota) decisero del destino di quel pargoletto elegante.

Ciel non sapeva ancora nulla di ciò che lo aspettava e, ovviamente, non poteva immaginarlo. Innanzitutto, per quanto fosse ancora giovane, Ciel non era una persona particolarmente facile da spaventare, visto che dobbiamo anche considerare il contesto in cui vive: con dei servitori pasticcioni, un maggiordomo demoniaco, e, ciliegina sulla torta, una fidanzata pericolosa e kawaiomane come Lizzie. Se riusciva a sopportare la presenza di Lizzie, doveva essere per forza una persona poco spaventabile. Come se non bastasse, lui non era un Hellsing quindi, nonostante i nuvoloni, era nella parte che spandeva luce da sé, la Light Side.

Dunque la paranoia non partì in quarta.

Anche se sarebbe stato meglio per lui, se la paranoia fosse partita. Cautela significa attenzione, attenzione = salvezza.

Camminando spavaldo, non vide quello che gli stava arrivando alle spalle. E già che Ciel aveva un campo visivo limitato, visto che ci vedeva da un occhio solo, figuriamoci se qualcosa gli arrivava dietro in punta di piedi, silenzioso come un micino.

Ciel sentì troppo tardi il fruscio dietro il proprio collo e si girò di scatto, con il cuore in gola.

Urlò, terrorizzato.

«Un'altro punto viene tolto ai Phantomhive perché Ciel grida!» Disse la voce della conduttrice dagli altoparlanti, quasi con pigrizia, poi si riscosse «Ehi, ma dov'è Ciel?».

Perché si, amici, è proprio così: ancora una volta, il nostro piccolo Conte era stato rapito.

Era sparito nel nulla, come se non fosse mai esistito.

«Signori» Disse la voce della conduttrice «Vi preghiamo di non andare nel panico per quanto accaduto, tanto più che questo vi leverebbe preziosi punti. Vi informiamo del fatto che il conte Ciel Phantomhive è scomparso. Ripeto, il conte Ciel Phantomhive è scomparso. Lo conoscete tutti, è un tappetto, ha i capelli blu e ci vede da un occhio solo. Se lo vedete, avvertiteci, ma non parlate: potete sparare un razzo di segnalazione, se lo trovate, oppure potete prendere a muovere le braccia sopra la testa, se siete in una zona visibile. O non lo so, inventatevi voi qualcosa … tirate la coda ad un gatto per farlo urlare, pestate i piedi del vostro vicino, usate qualcun'altro che può parlare, ma non parlate! E niente panico. Ritroveremo Ciel Phantomhive, costi quel che costi … cioè, purchè la spesa per ritrovarlo non vada oltre i cinquanta euro, intendo».

Sebastian, preoccupato, prese ad annusare l'aria. Se Ciel non dava un ordine, il suo maggiordomo non era in grado di ritrovarlo, ma poiché tutti dovevano stare zitti, Ciel non era in grado di dare un ordine.

Quindi Ciel era perso. Sospirando, Sebastian ritornò a lavare i piatti.

Non sappiamo ben dire perché lo fece, ma dubitiamo che non gli importasse nulla di Ciel: dopotutto quel moccioso era il contenitore del suo pasto e non è che una persona affamata sia tanto felice del fatto che gli rubino il cestino del pranzo, in particolar modo se il cestino del pranzo è pieno di panino alla mortadella e salame, tagliatelle al sugo di carne, cotolette con il prezzemolo, marshamallow qualità gold, gelati assortiti ed altre succose prelibatezze… si, esatto, questa è la miglior metafora per esprimere cosa Sebastian provava nei confronti di Ciel Phantomhive.

Perciò, care fangirls, fareste meglio a vedere la realtà: il demone vuole mangiare il bambino, non amarlo fino alla fine dei tempi. Chiaro?

Comunque, torniamo a noi. Sebastian che lava i piatti non è un soggetto interessante … ok, magari per fare un po' di puro fanservice potremmo fermarci ad osservare il suo volto perfetto, dalla pelle chiara e levigata, la piega dolce delle sue labbra, i suoi capelli neri come ali di corvo, che ricadono perfettamente intorno al volto, le ciglia folte che contornano i suoi occhi e le due goccioline d'acqua e sapone che scendono lentamente lungo la sua guancia, risultato di una piccola distrazione.

Carino. Ma adesso che l'abbiamo guardato da vicino possiamo spostarci, giusto?

Oh, caspita … Sebastian finì di lavare i piatti. Significa che siamo stati a guardarlo per parecchio tempo, non pensate? E vabbè, perdonateci.

D'improvviso, proprio mentre stavamo per cambiare oggetto delle nostre attenzioni, qualcosa saltò in faccia a Sebastian.

Sebastian non si scompose minimamente, permettendoci dunque di osservare con attenzione la cosa che si era appiccicata al suo volto e se lo stava mangiando.

Si trattava di una creaturina alta all'incirca venticinque centimetri, con la pelle di colore blu chiaro costellata di brillantini e con le guancine porporine. Aveva orecchie a punta, lunghe, leggermente mobili, e una codina ricurva che somigliava un po' a quella degli husky, ma con meno pelliccia. Un paio di piccole corna spuntavano dalla fronte e curvavano all'indietro, un po' come quelle delle capre, ma con un eccezionale colore bianco perlaceo.

Che creatura fosse, questo non sapremmo dirvelo, ma pareva che nessuno potesse distrarre Sebastian. Per l'appunto, il demone allungò una mano sopra il proprio volto, prese la creaturina e la lanciò dall'altro lato della stanza con assoluta noncuranza, mandandola a sbattere contro la parete con un acuto “pop”.

La creaturina venne uccisa sul colpo perché gli si spezzò la spina dorsale.

Lo so, è scioccante.

Lo so, vi aspettavate altro, ma ricordatevi che Sebastian è un demone con un'aura potentissima (parola di Junior) e che quindi ammazza i cosini blu anche soffiandoci sopra, figuriamoci se li sbatte contro una parete.

Lo so, è crudele, ma questa è la vita ed è la legge del bastone e della zanna. E no, non fa niente se in questa sequenza di combattimento folletto-demone non sono stati usati bastoni.

Sebastian si pulì le mani nell'asciugamano che in novantanove spezzoni di reality non abbiamo descritto, e, che resti tra noi, era un asciugamano trovato da qualche parte dentro una testa di medusa nel castello, pulito alla meno peggio per non fare capire che era stato trovato dentro una testa di medusa, verde mare con farfalle arancioni e viola.

Il motivo per cui non l'abbiamo descritta fino ad ora è che: A) ci viene il mal di testa a guardarlo B) prima non c'era.

Questa è la fantastica tovaglia asciugamano speciale che si usa dall'inizio dei reality nella Casa, come la Dust Room e la Stanza del Primo Calciatore, che si usa per le prove di calma, perchè fa vomitare, fa venire il mal di testa, e fa venir voglia di buttarla nella spazzatura, provocando malumore nel soggetto. Nello stesso istante la sua gemella era finita dagli Hellsing, viola con le farfalle arancioni e verde mare.

Sebastian aggrottò le sopracciglia nel fissarla, ma si disse che non aveva tempo per osservare quanto la Casa del Reality fosse composta perlopiù da oggetti-spazzatura, con soprammobili-spazzatura, mobili-spazzatura, pareti-spazzatura ecc … perché in quanto maggiordomo sapeva che il suo compito era ritrovare il proprio padrone e difenderlo a costo della morte.

Il contatto provocato dal marchio demoniaco fino ad adesso non segnalava alcun dolore psico-fisico. Questo era il più grande problema: non arrivava nulla da Ciel. Era come se fosse stato ucciso, come se avesse subito solo una morte cerebrale istantanea senza dolore e lasciando al cuore ancora qualche battito. Era possibile che dormisse, ma era parecchio strano che dormisse così: il marchio permetteva a Sebastian di controllare che la testa del bambino fosse ancora okay quando le barriere mentali di Ciel, spesso alzate e spessissime, non c'erano, ovvero quando dormiva. Allora percepiva l'umore che i sogni creavano al suo padroncino, ma adesso … niente. Non riusciva neppure a scontrarsi contro le barriere mentali, che peraltro avrebbe infanto con la facilità con cui aveva ucciso il cosino (inteso il folletto blu a cui aveva spezzato la spina dorsale), ma cosa che di solito non faceva perché contro il volere del suo padrone. Era come se fosse già dentro la testa di Ciel … e non ci fosse stato niente.

Sebastian deglutì.

Composto e dritto come al solito, si preparò per andare alla ricerca del suo padroncino, e uscì dalla cucina. Sbattè le palpebre.

Finnian si era subito precipitato fuori dalla sua stanza nel sentire una sì terribile notizia, e vagava intorno come perso. Sebastian apprezzò che il giardiniere, per quanto sparasse preoccupazione dai pori della pelle, non stesse correndo in giro urlando «Ho guance stalker che hanno rapito il Signorino e me lo hanno nascosto!».

Il maggiordomo pensò con disapprovazione che da quando c'era Seras, Finnian era diventato più scemo. Cioè, prima era scemo, ma ora era diventato totalmente idiota.

Il giardiniere fece un cenno della mano nella sua direzione, ma non verso di lui. Il demone non ebbe neppure bisogno di girarsi per capire e identificare la presenza di una Mey Rin in avvicinamento, seguita da un Bard disinvoltamente armato di padella.

Nel silenzio più totale tutti si fissarono e accennarono appena un gesto d'intesa.

«Ciaaaaaooooo!» Strillò la conduttrice, facendo tuonare la sua voce dall'impianto dolby surround e facendo saltare tutti i presenti e spaccare per l'ennesima volta il tetto dalla testa di Finny «Ah, ah, fatto paura, eh? Beh, sappiate comunque che la prova è attualmente finita e potete saltare di gioia e urlare di contentezz ...» il resto della frase fu coperto da strilli di giubilo e tonfi vari «... ciso, è questo motivo ben preciso è che al solito abbiamo perso Ciel, e, al solito, sta a voi ritrovarlo, i punteggi attuali … ve li andate a vedere, su, muoversi! Circolare, circolare!».

Finnian corse in cerchio due volte, ubbidiente, come la conduttrice aveva detto lui di fare (circolare, circolare!) , poi si precipitò a guardare i punteggi del tabellone.

«Ehi, Finnian» lo richiamò il maggiordomo nero

«Si, signor Sebastian?»

«Hellsing: ottantuno punti. Phantomhive: ottantuno punti»

«Come hai fatto?!» Finnian sgranò gli occhi, stupefatto «Scommetto che sei andato a vedere e sei tornato prima che tutti noi potessimo dire “Scaccastagna”! Forte, signor Sebastian!»

«Veramente ho usato un metodo più semplice ...»

«E quale?»

«Ah, Finnian, povero Finnian, se solo tu sapessi la matematica… e, adesso, servitù, tutti a cercare il nostro padrone! E ricordate che se un servitore di casa Phantomhive non riesce a ritrovare il proprio padrone disperso e rapito per l'ennesima volta col sospetto che abbia subito una morte cerebrale e salvarlo appena in tempo, non è degno di questo nome!».

Finnian, Mey Rin e Bard si scambiarono sguardi preoccupati.

«Sebastian» chiese la conduttrice «Ma come mai non appena Ciel esce in corridoio qualche cattivone sconosciuto e superforte a capo di un'associazione segreta se lo mette in saccoccia e ci fa su degli esperimenti? Quand'era piccolo … poi con la Madonna … ora … sempre, caspita!»

«Vedete, signorina, è il prezzo della fama. Inoltre, questa casa non mi sembra il posto per ospitare … alcunché, perchè è popolata di creature pericolose e di oggetti inservibili, e lui è il più inerme di noi»

«Capito … non vi trattengo oltre, perciò andate in pace, amen!».

  
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