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Autore: Hummingbird    02/07/2012    3 recensioni
Questa storia era inizialmente nata come One-Shot, ma poi un amico mi ha incoraggiato, diciamo così.
La solita fic sulle abitudini di Roy e Riza; cercherò di non sfondare troppo in dolcezze e, per una volta, contenere gli OOC...
"Le giornate lavorative, è noto, non sono una mano santa per lo spirito di chi è costretto a rimanere ore nello stesso ufficio o, in questo caso, a restare dietro una scrivania a controllare che il tuo capo firmi ogni singola scartoffia..."
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Riza Hawkeye, Roy Mustang
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Dedicato a GabbaFMA che ha già recensito il primo capitolo e che, spero, si abituerà alle mie lunghe descrizioni.

 

One o'clock.

 

 

 

Spossata, stanca, non poco innervosita: così lei si sentiva; era salita in auto, sapendo già dove sarebbe dovuta andare. Furiosa, ma esageratamente assonnata per darlo a vedere.

Per di più, sarebbe stato inutile mostrarsi inacidita; che avrebbe guadagnato? Assolutamente nulla; se tutto fosse andato per il meglio, magari si sarebbe potuta concedere il lusso di lanciare un sonoro schiaffone al suo superiore, solo magari.

Troppo facile sarebbe stato fingere di non aver sentito quella chiamata: il suo compito era quello di proteggere Mustang, non di essere la sua bambinaia.

Sentiva una sensazione di disprezzo all'altezza dello stomaco, un disgusto che s'annidava nel suo animo molto spesso; di recente, poi, si era addirittura ingigantito.

Incontrollato, influenzava il suo modo di ragionare e, aggirandosi a piede libero nei meandri della sua mente, distorceva ogni pensiero gentile che si riferiva al suo superiore; se pensava fosse cortese, sentiva mutare in “arrogante”. “Affidabile” diveniva “irresponsabile” e così dicendo.

Pensava che fosse una persona matura, ma doveva sempre scontrarsi con quella scomoda realtà: non poteva nemmeno considerarlo un adulto completo, ma solo un bimbo che non aspettava altro se non che fosse realizzato ogni suo singolo capriccio.

Intanto lei andava, proseguiva in macchina avvicinandosi in quella zona della città che conosceva anche troppo bene; quando s'accorse di essere arrivata al vicolo che cercava, si accostò al marciapiede e scese, per procedere a piedi.

Incominciò a guardarsi attorno, disgustata: lo squallore dell'ambiente rifletteva la volgarità dei locali che erano presenti. L'espressione del suo viso mutò velocemente, cacciando via l'aria tranquilla e lasciando spazio ad una smorfia disturbata; inutile dirlo: quel viaggetto l'aveva alterata non poco.

“Adesso basta Riza,” incominciò una piccola vocina, insinuandosi nella sua testa “Non puoi rispettarlo anche quando si comporta così: devi reagire. Sembri il suo cagnolino e, magari, è soltanto questo che sei”. Lei non l'ascoltò e, colmando lo spirito del solito auto-controllo, percorse agitata quella strada sporca che l'avrebbe condotta alla meta.

Aprì la porta di un locale che aveva le inferiate color magenta e si ritrovò in una sala spoglia, mal arredata; la puzza di fumo rendeva irrespirabile l'aria, la ragazza dovette portarsi una mano al viso tanto era fastidioso quel odore.

-Elizabeth!- mormorò un donnone, spuntando improvvisamente dal retro del bancone: vestita con abiti fin troppo stretti, era l'icona di ciò che quei posti rappresentavano per Riza, ovvero uno schifo.

-Ti stavo aspettando, anzi!, ti stava aspettando lui...-.

La robusta figura scostò una tendina che apriva la strada ad un'altra saletta, più appartata; lì, il tenente riuscì a scorgere il suo superiore: era anche lui piuttosto spossato, accasciato su una poltrona purpurea. Accanto a lui, una ragazza stava tentando di lenire il suo malessere, inutilmente.

Riza riconobbe la giovane che affiancava il colonnello: si chiamava Catherine ed era una delle signorine che, abitualmente, venivano ad esibire i loro modi cordiali in quel locale.

Tuttavia, l'attenzione della soldatessa non era rivolta tanto a quella volgare fanciulla, ma all'uomo che sembrava quasi narcotizzato.

Non perse tempo e, senza rivolgere alcun saluto, sollevò Roy dalla poltrona, risvegliandolo da quello stato di torpore che l'aveva conquistato; in seguito, lo trascinò fino all'auto, caricandolo di peso.

Entrò nuovamente in macchina, chiudendo scocciata lo sportello.

Il viaggio riprese, in silenzio, e di nuovo verso casa di lei; Riza aveva capito che non avrebbe mai potuto riportarlo nel suo appartamento e, dopo averci riflettuto, aveva deciso che sarebbe stato meglio condurlo verso dove era venuta. Così, si costrinse a ripetere la stessa strada che l'aveva portata lì, andando al contrario.

Intanto, due occhi curiosi osservavano la scena: Madame era ferma sulla porta, un'espressione quasi vittoriosa.

“Cara Elizabeth,” pensò sorridendo “Tu non sai quanto conti per lui...”.

Quando vide l'auto di lei allontanarsi, mentre l'aria si faceva ancora più satura di fumo, finalmente si decise a rientrare.

 

 

 

 

Piccolo angolo dedicato a me:

Eccomi, sono stata piuttosto veloce a quanto sembra.

Volevo puntualizzare una cosa: molti di voi troveranno questo capitolo quasi barboso, per via di tutte le puntualizzazioni e della lentezza della narrazione. Non potevo, però, scrivere un pezzo più lungo: mi sembrava inutile.

Perciò, per adesso accontentatevi di questo e sappiate che accetto sia critiche, sempre utili, sia incoraggiamenti.

Hummingbird

  
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