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Autore: Kaida_ _ _    02/07/2012    4 recensioni
Uno spasimante, un ammiratore! Cosa c’è di più bello e fastidioso nello stesso tempo? Peccato per Tino che il suo spasimante coincida anche con il suo peggiore incubo, alias Berwald Oxenstierna.
E soprattutto peccato che quella pazza della sua amica - tale Luk - voglia addirittura farlo diventare un suo “buon amico” e, chissà, qualcosa di più.
Tutto ciò con lo sfondo di un grigio – sì, più o meno – college londinese, tra recite, improbabili intrighi e compiti in classe.
{Modestamente, è un po’ molto obbrobriosa, ‘sta fic. Ma vabbè, al cervello non si comanda. Sempre che ce ne sia uno…}
Genere: Comico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Finlandia/ Tino Väinämöinen, Nuovo personaggio, Svezia/Berwald Oxenstierna
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Chap13

Chapter n°13: A Capitan America non piacciono gli inglesi misopony

   « Dai, Ed… » fece Toris, dandogli una pacca sulla spalla. Non gli era mai capitato di essere la spalla su cui piangere per qualcuno che non fosse Feliks. Il lituano era stato l’unico al quale il polacco era riuscito a mostrare le proprie cicatrici, ricordi di un suo doloroso passato del quale non parlava mai. Addirittura il suo compagno ne possedeva pochi accenni, ma non gli dava fastidio. Già avere un posto privilegiato nel cuore dell’altro gli bastava. E anche giocare con lui a scacchi, nonostante le bizzarre regole polacche adottate da Feliks, gli piaceva. E sentire piangere un suo amico perché era quella la cosa che gli mancava era tremendo. « Perché non ti siedi accanto a Tino stasera? »

   « È-è un’idea… » mormorò Eduard, sciogliendo l’abbraccio. « Ti avrò bagnato tutta la divisa, accidenti… pagherei il conto della tintoria se ce ne fosse una… potrei metterla io in lavatrice… » la sua natura timida e servizievole non tardò a mostrarsi. E Toris, anche lui della stessa natura, non fece altro che dirgli che non importava, con le mani davanti a lui, rosso per l’imbarazzo. Quando mai qualcuno doveva un lavaggio solo perché si era sfogato un po’? E così, tra una moltitudine di “non fa niente” e “pensa a stasera, piuttosto”, Eduard rimase nuovamente da solo e troppo vicino al corridoio in cui Berwald e Pipaluk l’avevano riempito di domande. Va bene, era una, ma ne valeva troppe. Si affrettò a tornare in camera.

   « Lui ci nasconde qualcosa, Nanuk. » affermò Luk, le mani sui fianchi e un’espressione decisa, volta ad ammirare orizzonti lontani. Lo svedese mormorò un “già” a mezza bocca, mentre pensava a chi potesse essere l’oggetto del desiderio dell’estone. Manon era una ragazza piuttosto carina. E anche Charlotte. E Sesel… però non riusciva a non pensare all’eventualità che gli piacesse un ragazzo. Tino. Deglutì.

   « E se gli piacesse un ragazzo? » proseguì lei, con lo sguardo rivolto verso di lui.

   « Nh! » negò lui, forse con troppa enfasi. Luk gli appoggiò gentilmente una mano sulla spalla, cosa piuttosto complessa date le sue dimensioni.

   « Avanti, non credo sia Tino… con tutto il tempo che hanno passato assieme sarebbe qualcosa di piuttosto… incestuoso, non credi? » ridacchiò, non a conoscenza del fatto che lo stesse facendo agitare sempre di più.

   Perché mi leggi il pensiero?!

   « ‘ proposit’ d’incesto… se’ ‘n elegante ritard’ per le ripres’. » La informò. Non poteva essere l’unico ad agitarsi e, da bravo socio, doveva condividere la sua agitazione con gli altri. Luk, per tutta risposta, gli fece un cenno con la mano ed iniziò a camminare frettolosamente per il corridoio, maledicendo la regola per la quale nessuno poteva correrci. Lei l’aveva fatto con un coltello in mano e nessuno si era fatto male. E inoltre cercare di camminare velocemente su quel marmo era pericoloso, si rischiava di scivolare. Perché non vivevano in una foresta? O sulla neve, magari, così avrebbe potuto sfoggiare i suoi bei kamik… Dopo aver rischiato la vita più di una volta, in seguito a qualche principio di scivolata, giunse trafelata alla porta che conduceva al cortile, notando con piacere che la sua troupe era seduta sul cemento e tutti conversavano allegramente senza importarsene più di tanto della sua assenza. Si morse il labbro inferiore, stringendo i pugni, ma, da brava regista responsabile, evitò di condividere il suo disappunto con gli altri ed arrivò in mezzo a loro, saltellando. La salutarono e Sesel si avvinghiò al suo braccio, cosa che la fece sentire decisamente più amata e le fece dimenticare l’indifferenza di prima. Solo qualche secondo dopo scoprì che il suo braccio era stato assalito dalle mani (o, più precisamente, dita) sottili di Sesel causa oddio-Arthur-si-è-spostato-di-un-millimetro-e-non-ce-la-faccio-a-sostenere-il-suo-sguardo-che-fissa-quel-muro-in-maniera-tanto-sexy. Decise di non darci peso e di soffocare una risatina quando l’isolana ebbe il suo bel sbuffare mentre l’americano prese il suo posto accanto all’inglese, continuando il discorso che tutti ascoltavano interessati e che non faceva che ingrandire il suo petto sempre più.

   In pochi secondi sciorinò loro la trama di qualche cartone improbabile con protagonisti che si potevano identificare in magici ponies colorati. Qualcuno rabbrividì scoprendo che erano più i fan adulti (uomini forzuti e prestanti che si concentravano più sugli adorabili cavallini che sulle loro signore; il fatto che la stragrande maggioranza di questi fosse single era un dettaglio di scarsa importanza)  delle bambine a seguire lo show, mentre ammiravano nelle loro buie stanzette cosplayer dai davanzali abbondanti e le parrucche variopinte. Noevo specificare che Luk più di tutti, condannata a poche ore di internet al mese, scroccate in un qualche internet point, non ci capì nulla, ma che non fece che sorridere ed annuire per tutto il tempo, giusto? Sesel ascoltò tutto il racconto con curiosità, rimanendo comunque fedele ai suoi tonni, mentre Arthur si chiese se ci fossero unicorni nel programma. Mai avrebbe espresso la propria curiosità, però. A meno che tutti a parte lui non fossero stati ubriachi e quindi in grado di dimenticare tutte le sue imbarazzanti domande su degli sciocchi cartoni per bambine. Il pensiero su simpatiche compagnie di ubriaconi che dimenticavano situazioni imbarazzanti, gli portò alla mente il momento in cui i suoi genitori, per telefono, gli avevano annunciato di avere intenzione di organizzare un party di Halloween per aumentare la propria popolarità e la possibilità del figlio di vincere le prossime elezioni che l’avrebbero riconfermato rappresentante d’istituto per la seconda volta consecutiva. Essendo una famiglia piuttosto influente nella capitale britannica, se lo dovevano permettere.

   « Comunque ragazzi, i miei in pratica starebbero organizzando una specie di party di Halloween quest’anno, quindi… » sbottò Arthur, come se si trattasse di un qualcosa di poco importante. E mentre lui parlava, quasi annoiato dal suo stesso tono di voce, le dimensioni degli occhi degli altri ragazzi alle parole party ed Halloween triplicarono. E dato che la frase “i miei stanno organizzando una specie di party”, se pronunciata da un Kirkland, si poteva tradurre in “vi divertirete da matti” qualcuno non poté fare a meno di trattenere un sorriso compiaciuto. Peccato che implicasse anche un voto quasi obbligato nei suoi confronti… ma erano o non erano in una democrazia e quindi- oh, giusto. God save the queen and vote the person who invite you in a party!

   « Se io mi travestissi da Capitan America e trovassi dei costumi di Thor, Hulk, Vedova Nera e Iron Man potremo formare la formazione completa dei Vendicatori… » pensò ad alta voce Alfred, mentre nella sua testolina ovale si faceva spazio l’idea di appioppare ad Arthur un costume da Loki e buttarci casualmente in martello di Thor sopra. Sarebbe stato un bel party, senza dubbio.

   « Dear, è più probabile trovare qualcuno che si travesta da minipony o roba del genere, invece che di quelle stupidaggini da fumetti americani… » commentò acido il britannico. « O da tonno. » e qui ci fu uno scambio di ammiccamenti tra lui e Sesel che, per tutta risposta, non riuscì a spiccicare parola ed emise una risatina nervosa, con gli occhi fissi sul cemento e il desiderio di scavare una buca dentro di esso e farne ostruire l’entrata, con lei all’interno. Possibile che fosse così impacciata ed ottusa? La sua frustrazione si tradusse in un’unghia affondata nel braccio di Luk, che imprecò qualcosa, ringraziando che la sua lingua fosse sconosciuta ai più.

Il disappunto di Alfred, invece, si tradusse con un’amichevole pacca sulla schiena di Arthur ed il suo british nose sull’asfalto. E il dolore di quest’ultimo si tradusse con tante belle imprecazioni che arricchirono il patrimonio della lingua inglese dei presenti. Una giornata all’insegna della lingua dei segni, non c’è che dire. Ovviamente, il gentleman offeso, si liquidò stringendo il suo naso dolorante e la groenlandese non poté far altro che dare il via alle riprese delle scene nelle quali il protagonista non era presente, con l’amaro in bocca per la spiacevole conclusione dei loro allegri discorsi sui pony. Ad ogni modo, raccolsero molto materiale, scaricando ognuno la tensione sul proprio ruolo nel lungometraggio. L’unica a non potersi scaricare fu la ragazza delle Seychelles, che affondava le unghie nella superficie su cui sedeva, sfaldandole e rompendole.

   Finite le riprese e scaricate le batterie della videocamera, ci fu la consueta ricerca di Berwald di Luk, all’insegna dell’accidenti-non-sai-cos’è-successo e dovevi-esserci, con risultati che andavano da un sì con la testa a qualche mugugno poco comprensibile. E dato che questi incontri avvenivano solitamente al massimo ad una ventina di metri da Tino, la ragazza si stupì che quel giorno quello non facesse parte dello scenario o del riflesso negli occhiali di Berwald.

   « Dicon’ ch’ stia ‘mpre ‘n camera, m’ no’ lo trov’, nott’ esclusa… » mormorò lo svedese, pensieroso. Sapeva di non rientrare nelle simpatie del finnico, ma non era mai stato ignorato a quel modo. E ovviamente non avrebbe potuto chiedergli il perché di quel comportamento, a meno che non volesse ottenere altro nervosismo da parte sua o uno sguardo a metà fra l’annoiato della sua presenza e l’irritato per le sue stupide domande. Non voleva niente di questo. Il giorno in cui avevano ascoltato Mamma Mia degli ABBA assieme sembrava così lontano…

   « Se riesco a beccarlo glielo chiedo… ultimamente è un po’ sfuggente, sì. E se lo è per te figurati per me… » Pipaluk provvide ad aggiustare l’impostazione della frase, ma quello fu più veloce a girare i tacchi che la sua lingua a formulare altre parole. La seconda persona che se ne andava senza preavviso.

La groenlandese sperò che la cena potesse cancellarle quel brutto sapore dalla bocca, dato che aveva finito i muffin, ma non aveva molta fiducia nella cucina inglese, quindi sperò di riuscire ad elemosinare qualche cioccolatino da Lily. Sempre che non fuggisse anche lei… non avendo individuato nessun possibile possessore di leccornie in abbondanza fra gli studenti che affollavano l’entrata, decise di tornare in camera, precedendo di qualche minuto l’entrata della sua compagna di stanza. Venne salutata con un lieve cenno della mano, mossa nel tempo necessario per riposizionarla parallelamente al braccio in modo da buttarsi sul letto senza rompersi i polsi.

   « Brutta giornata, eh? » chiese, allentandosi il nodo della cravatta e sentendosi incapace di gestire una situazione in cui lei rappresentava la tipica amica idiota e felice che non riusciva a comprendere i sentimenti di nessuno. O forse stava solo drammatizzando. Se avesse scritto i suoi pensieri in quaderno e l’avesse lasciato casualmente aperto nella pagina delle sue migliori riflessioni su di un banco probabilmente qualcuno sarebbe riuscito a comprendere la sua complessa personalità, la sua rara intelligenza e sensibilità e la sua vita sarebbe stata un tripudio di rosee emozioni e delusioni violacee, efficacemente interpretate nei numerosi quadri che le avrebbero dedicato, nelle sue autobiografie e, ovviamente, del film sulla sua vita che sarebbe stato motivo di litigio fra i maggiori produttori di Hollynuuk.

   « Alfred è un idiota. » mugugnò Sesel, che sembrava aver perduto il proprio contagioso ottimismo. Addirittura le sue codine sembravano essersi afflosciate per il dispiacere.

   « Quella era una pacca amichevole, poi se Arthur è un fuscello non lamentarti! » lo giustificò Luk, lanciandole un cuscino sopra. «  Dovrai accudirlo per tutta la vita, pensa! E vivrà moltissimo! Fa un conto dei pannoloni che dovrai cambiare… io lascerei perdere… » Sesel le restituì il favore, con un sorrisetto triste rivolto al piumone.

   « È troppo importante per lasciar perdere… »

   Ed è troppo importante per aggiungere uno dei miei commenti stupidi.

   « Come intendi coprirti quelle sfaldature? » chiese ancora la groenlandese, indicando le unghie dell’altra.

   « Credo che andrò da Mei… » rispose Sesel, alzandosi in piedi e aprendo la porta. « A cena! » si liquidò. Pipaluk diede uno sguardo all’orologio che aveva al polso, la lancetta verde dei secondi che continuava a girare, imperterrita. Mancava circa una mezz’ora all’orario stabilito per la cena. Troppo poco per mettersi decentemente uno smalto, se sognavi Hollynuuk e dovevi coprire le sfaldature di una tua amica delle Seychelles. Forse per la famigerata Mei, taiwanese chic di professione, no. La ragazza con gli occhi a mandorla era conosciuta in tutto il dormitorio femminile per la sua capacità di rendere qualsiasi ragazza uno splendore, possedendo un senso della moda innato e una trousse fornita di qualsiasi trucco una donna potesse sognare. Insomma, le unghie di Sesel erano in buone mani, essendo Mei ferrata anche nella nobile arte della manicure. Voci sicure raccomandavano che creando un arcobaleno con sette colori dei suoi mille smalti si arrivasse alla famigerata trousse d’oro, protetta da un leprecauno. E, nonostante la storia del leprecauno l’attirasse, Luk non si era mai affidata a lei. Non sarebbe stato un filo di matita sugli occhi a renderla interessante, lei aveva il suo magnifico carattere. E poi si sentiva bella, era un peccato che quasi tutti i ragazzi che conoscesse le chiedessero di presentarle le sue amiche. Il problema era esprimere le sue qualità agli altri, se lo diceva sempre. Ma tra il dire ed il fare c’è di mezzo il mare o, nel suo caso, una capacità organizzativa che rasentava il last minute e ore ed ore di sproloquio.

   Quindici minuti alla cena. Berwald aveva rischiato un infarto alla vista dell’orologio appena uscito dalla doccia. Quindici minuti. Solo quindici. Tino non c’era, non si era fatto vedere per tutta la giornata eccetto in classe e sentiva il tremendo impulso di vederlo, tenerlo d’occhio ed averlo ad una distanza ravvicinata. Ecco perché si sarebbe seduto accanto a lui, quella sera. Si vestì il più velocemente possibile ed inciampò su di un foglio di carta lasciato strategicamente sul pavimento marmoreo per ucciderlo. Fresco, vestito, salvo e profumato, si diresse verso la sala da pranzo con l’agitazione celata di chi sta per passare la serata con il proprio spasimante e che, se non si sbriga, perderà il posto accanto a lui, perché non si tratta di un appuntamento organizzato.

   Cinque minuti alla cena. Eduard ringraziò il cielo che Jett fosse già uscito e non stesse saltando da un letto all’altro fingendosi qualche fantomatico esploratore in un’oscura giungla. Stava cercando di trovare la forza di uscire dalla camera, sedersi accanto a Tino e parlare. In uno sprazzo di coraggio, aprì la porta e riuscì ad arrivare nella sala senza troppi problemi.

   Due minuti alla cena. Due persone si stavano sedendo accanto alla medesima. Due paia di occhi si incontravano stupiti, spaventati, rassegnati. Due menti iniziavano ad elaborare strane strategie. E la mente dietro agli occhi viola nel mezzo non riusciva a capirci più niente.

   Luk, intanto, era contenta che la cena consistesse in patate al burro.

 

Cha-cha-cha! (?)

*entra ballando* è finita la scuola, me ne sono accorta pienamente oggi – a quasi un mese di distanza, ovviamente – mentre il mio fido gelato si scioglieva sulle mie (ancor più fide) mani. E dopo uno sprazzo di improvvisa gioia e spensieratezza ho guardato il diario, accorgendomi che sono nella cacca, pardon, nei compiti fino al collo. Ma, come disse il timer di una bomba, c’è ancora tempo e quindi non me ne sono preoccupata più di tanto.

Scherzo, l’angoscia mi è finita nelle vene, unita al fatto che non riuscirò – a quanto pare, ma c’è ancora una misera speranza –  a connettermi per circa un mese… D: non so come farò senza di voi e il web in generale, ma dovrò sopravvivere. Il fatto che non sia su internet fortunatamente però include che non aggiornerò, quindi le vostre menti saranno salve per un po’! Bello, no? *ha, tipo, totalmente fatto delle rime, cioè*

Ah, se il capitolo vi piace non è merito mio, ma di Marie che me l’ha betato. E di Kie che mi ha detto che Sesel non era OOC, perché ero in crisi x°°° il titolo invece è mio e accetto tanti bei pomodori in risposta. Anche se Marie avrebbe potuto farmi cambiare idea. È COLPA SUA, GWEEEEE--- *corre via piangendo*

*ritorna* bella partita quella di ieri, eh? Mi ero fatta il trucco tricolore e facevo ondeggiare la bandiera ogni nanosecondo. NON VA BENE, NO. Dobbiamo rifarla, non vale. (?)

Misopony (pronunciare misòponi): odio verso i pony. (???) voglio dei grossi pomodori su questa faccia.

  
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