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Autore: isachan    17/01/2007    12 recensioni
Akito si trova di fronte ad un bivio.. perdonare o andare avanti...? Sana e Akito in un momento particolare delle loro vite...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Sana Kurata/Rossana Smith
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ehilà..! eccomi con una nuova storia, un po’(un po’ tanto) più lunga delle altre…

È una storia a lieto fine… strano, perché di solito non sono così buona nelle mie ff… ma mi sembrava davvero brutto concludere questa con un altro finale triste o tragico…

Inizialmente, il progetto era completamente diverso, ma poi la storia si è… diciamo così… scritta da sola…

A dire la verità non sono particolarmente soddisfatta del mio lavoro… magari avrei dovuto apportare alcune modifiche…

Comunque…( si lo so parlo troppo…^-^)… vi lascio giudicare e , soprattutto, commentare…!! ^_^

 

 

Quello che mi basta.

 

A volte, Sana, preferirei sul serio tornare bambino.

Preferirei tornare indietro nel tempo, molto indietro.

Non all’età di 3 o 4 anni, no. Non così indietro.

Vorrei tornare a quando eravamo poco più che dei ragazzini. Quando non litigavamo mai o, se lo facevamo, era per una tale sciocchezza che, dopo due minuti, ce n’eravamo già dimenticati e avevamo già fatto pace.

Quando le uniche cose di cui parlavamo erano i compiti in classe o un’interrogazione andata male.

Ed erano discorsi talmente leggeri da pesarci addosso poco più di una piuma.

E le piume sono facili da portare sulle spalle.

Perché, il più delle volte, sulle spalle non ci restano neanche e se ne vanno via al primo alito di vento.

E il vento soffiava spesso, molto spesso, quando eravamo bambini.

E si portava via ogni litigio, ogni parola sbagliata, lasciandoci liberi di riprovarci ancora, ancora e ancora.

Avevamo infinite possibilità. Quando sbagliavamo eravamo comunque sereni, perché eravamo consapevoli di avere così tanto tempo per rimediare e per sbagliare ancora, che non ci pensavamo più di due minuti.

Ora non abbiamo tutte queste possibilità.

È questo quello che mi brucia di più. E gli errori che facciamo ora non sono più tanto leggeri.

E, soprattutto, non bastano due minuti per rimediare e per scordarli.

Ora, poche parole potrebbero bastare per stravolgere completamente una vita intera.

E non lo dico tanto per dire, lo sai, vero?

Lo dico perché l’ho provato e portato sulla spalle, il peso di poche parole.

Lo dico perché l’abbiamo portato entrambi, tu specialmente.

E lo dico perché le nostre spalle sono ancora talmente indolenzite da quel peso, da farci un male terribile.

 

 

 

                                                                       ***

 

 

Ti giuro, Akito. Te lo giuro davvero. Non credevo che la situazione sarebbe degenerata fino a questo punto.

Voglio dire, come potevo anche solo immaginare che una notte, una stupida, insulsa notte, avrebbe distrutto il nostro matrimonio?

Ok. Lo so. Avrei dovuto immaginarlo. Anzi, avrei dovuto saperlo. Di più, avrei dovuto esserne certa.

Ma non sempre si riesce a controllare tutto. Non tanto facilmente almeno.

Tu dovresti saperlo. Tu più di chiunque altri.

Nella coppia, nella nostra coppia, tu eri l’esperto.

Tu eri quello a cui mi appoggiavo. Quello fermo, sicuro di tutto. Quello che non sbagliava mai.

L’adulto.

E invece sei stato il primo a sbagliare.

Si, ok. Il mio sbaglio non è neppure paragonabile al tuo, però, si però sei stato tu il primo a sbagliare.

Questo dovrebbe giustificarmi almeno un po’ non credi…?

 

 

 

                                                                       ***

 

 

 

Non credevo che, nonostante i tuoi 23 anni, tu fossi rimasta così infantile. Non credevo tu fossi capace di dire tante sciocchezze tutte insieme, sai? Credevo non ne fossi più in grado.

Ma, evidentemente mi sbagliavo.

Non c’è un limite al tuo infantilismo, Sana.

Sei rimasta forse più bambina di me. In certi momenti fatico persino a riconoscere la Sana adulta, la Sana moglie, ma, soprattutto, la Sana quasi madre dalla Sana bambina.

Sei rimasta identica a quando avevi 11 anni, non fisicamente ovvio. Almeno in quello sei cresciuta. E, devo dire, l’hai fatto piuttosto bene.

Si, mi viene da ridere, ok?

Quel seno completamente inesistente ora ha assunto una forma quantomeno decente.

E, ovviamente, questo mi piace da impazzire.

E mi viene da ridere perché non ti rendi neppure conto dell’effetto che fai sugli uomini.

Su di me, specialmente.

Ma, fino a prova contraria, mi pare di essere ancora tuo marito e quindi posso permettermi di saltarti addosso ogni volta che voglio.

Sempre che lo voglia anche tu, ovviamente.

Ma, visto che sei mia moglie credo faccia piacere anche a te.

E, infatti, pensandoci un attimo, io e te abbiamo sempre avuto una vita sessuale piuttosto intensa.

Facevamo sesso anche prima di essere sposati, figuriamoci dopo.

Qualcuno direbbe che sono un fissato, o che siamo fissati entrambi, visto che, dovunque ci troviamo, basta guardarci o sfiorarci, per farci venire una voglia pazzesca di fare l’amore.

Forse, dire troviamo è sbagliato.

Trovavamo mi sembra più opportuno.

Quanto tempo è che non facciamo l’amore io e te?

Due, tre mesi.

Mi pare molto di più.

E io ci ho messo tutta la buona volontà, te lo giuro, Sana.

Ce l’ho messa tutta per dimenticare e ricominciare, ma non è colpa mia se, dopo la tua confessione che, sinceramente parlando ha fatto proprio pena, ogni volta che ti vedevo, che ti toccavo, che ti baciavo, mi bloccavo perché pensavo che un altro ti aveva guardata, toccata, baciata allo stesso modo.

E non è una sensazione che posso far arrivare e sparire a mio piacimento.

Magari fosse così.

È una sensazione che mi prendeva e basta.

E, quando arrivava, non riuscivo neppure a starti vicino, perchè sentivo un groppo allo stomaco, molto simile alla nausea.

E mi dava fastidio persino guardarti.

Ma credo non sia poi tanto strano, se tua moglie ti ha tradito con un uomo che hai sempre odiato, non è vero…?

 

 

 

                                                                       ***

 

 

Negli ultimi tempi, ho notato che, a volte, quando mi guardavi assumevi un’espressione terribile.

Sembrava che ti desse fastidio la mia presenza, non so. Mi sembrava così.

Magari mi sbagliavo, o magari era anche normale per uno come te.

Ma non mi pare di averti guardato alla stessa maniera quando ho visto quello che è successo con Fuka.

Si, ok.

Il vostro è stato solo un bacio, o qualcosina di più, però ha fatto un male pazzesco ugualmente.

Come credi che ci si senta quando, appena scopri di essere incinta e stai correndo da tuo marito per comunicargli la splendida notizia, lo trovi chiuso nella sua palestra di karate, mentre bacia la sua ex, che, come se non bastasse, è anche la tua migliore amica…?

Credi faccia venir da ridere…?

Credi che ti faccia andare a letto serena, ogni sera…?

Credi che basti rincorrermi per le strade, fermarmi, stringermi forte e dirmi che è stata lei a baciare te e che tu sei rimasto come paralizzato…?

No, Akito. Non basta.

Non all’inizio almeno.

Ma io ti ho perdonato.

Io ho visto nei tuoi occhi la disperazione quando ho accennato al divorzio.

E ho visto la gioia quando, poi, ho cambiato idea.

Per non parlare poi di quello che ho visto nei tuoi occhi quando ti ho detto di aspettare un figlio. Tuo figlio.

Mio e tuo. Nostro figlio.

Eri felice. Felice davvero.

E, l’unica cosa che ho potuto fare, è stata quella di perdonarti e di andare avanti con te.

E, allora perché ora che sono stata io a sbagliare, non mi riservi quel perdono…?

Quella pazienza, quella buona volontà che ho avuto io per te…?

Perché, ogni volta, mi riservi solo quello sguardo terribile…?

Mi pare di non averti mai guardato a quel modo.

Neanche quando ti ho visto con lei.

Ma forse mi sbaglio.

Magari il mio sguardo è stato ancora più terribile.

 

 

                                                                       ***

 

 

Si, ok. Non sono mai stato un marito perfetto neppure io, questo non posso negarlo.

Magari sarò stato assente, egoista e anche un po’ ingenuo, almeno con Fuka. Lo so benissimo.

Ma non ho mai pensato, neppure per un secondo, di poterti sostituire con un’altra.

Mai. Non mi è mai passato per la testa il pensiero di toccare un’altra donna, neanche di sfiorarla.

E credevo, lo credevo davvero, che neanche tu avessi questo genere di necessità.

Che poi è anche una necessità abbastanza stupida e ipocrita, che cela dietro un insieme di situazioni e di motivazioni di cui mi sono accorto volta per volta.

Voglio dire, se senti il bisogno di andare a letto con un altro uomo, questo può solo voler dire che quello che hai già non ti basta, vero…?

Tu desideri altre cose se quelle che hai non sono sufficienti. È così che và. Non credo ci siamo altre motivazioni.

È un ragionamento così facile e fluido, che risulta persino scontato.

Ora, io posso anche mettere in conto che è avvenuto in un momento non del tutto idilliaco, posso anche credere a quello che mi hai detto tu e, cioè, che la sera in cui mi hai visto con Fuka hai desiderato soltanto farmi provare lo stesso dolore, e cose così… però rimane il fatto che io non ci ho fatto sesso. E non l’avrei mai fatto perché davvero non ne ho mai sentito la necessità.

E non perché Fuka non sia una bella ragazza, assolutamente no.

Lei è una delle ragazze più belle che conosca e, se fossi stato libero, non ci avrei pensato due volte a portarmela a letto.

Ma il punto è proprio questo. Io non sono libero.

E, dannazione Sana! Non lo eri neanche tu.

E poi, sul serio voglio sapere come hai fatto ad andare a letto con quel damerino di Kamura mentre portavi nel grembo nostro figlio…

Guarda, ti dirò che sinceramente, credevo che Kamura non fosse poi una persona tanto male.

E ti dirò anche che, ultimamente, la sua presenza non mi infastidiva più di tanto.

Ma ovviamente, ho dovuto ricredermi.

Si, va bene, sarò anche un ipocrita perché, probabilmente anch’io al suo posto avrei fatto la stessa cosa, però non posso fare a meno di odiarlo.

Ed è un odio talmente puro da non lasciare spazio a nessun’altra sfumatura. A nessun altro sentimento. Ed è un odio abbastanza semplice da capire e, quindi, facile da controllare.

Ma con te è diverso. Con te è sempre stato diverso.

Il fatto è che ho sentito così tanto la necessità di odiarti come odiavo lui, che l’unico risultato che sono riuscito ad ottenere non è stato affatto quello di odiarti, ma solo quello di amarti di un amore macchiato.

 

 

                                                                       ***

 

 

Da quando ho perso nostro figlio, Akito, non riesco più a pensare a niente. Perlomeno a niente che abbia un senso logico.

Magari sarà anche normale e sarà anche una cosa che succede a molte persone, specialmente a chi è appena al terzo mese di gravidanza.

Neppure i medici hanno saputo dirmi esattamente quello che è successo.

Neanche i medici.

“ Che incompetenti!” ho pensato subito.

Poi ho riflettuto un po’ e ho capito che magari la colpa è stata solo mia.

Sai che sono andata a vivere da Aya e Tsuyoshi dopo la nostra rottura, vero..?

La loro piccola Miki diventa ogni giorno più bella. Ha solo 6 anni e sembra già una ragazzina.

Spero che non cresca così in fretta come noi. Spero che non abbia una così forte voglia di diventare grande, come avevamo noi. Spero che avrà ancora tantissimo tempo per restare bambina, per pensare da bambina, per vivere da bambina. E, soprattutto, per sbagliare da bambina.

Senza aver paura delle conseguenze. Senza aver paura di un dito puntato contro e degli sguardi scrutatori della gente.

Lo spero davvero. Spero davvero che la vita glielo permetterà.

E mi auguro che, quando arriverà il momento di diventare grande perché, purtroppo, arriverà anche per lei, diventerà una donna migliore di me. Una persona migliore di noi.

Che sia in grado di far fronte alle sue responsabilità e agli impegni presi.

Non come noi. Non come me.

Aya e Tsuyoshi me lo dicevano sempre di mangiare, di tenermi in forma perché avevo un’altra vita a cui pensare. Un’altra vita da proteggere.

Ma se io non sono riuscita neppure a tenermi stretta la mia come potevo anche solo sperare di essere in grado di badare ad un figlio…?

Come potevo anche solo sperare di esserne in grado…?

Che sciocca che sono stata. Che illusa.

Però io ci avevo creduto. Sul serio. Avevo creduto in quello che saremmo potuti diventare con quel figlio. Io l’avevo visto.

E, sempre io, ho mandato tutto all’aria per una stupida ripicca.

Magari è anche meglio che abbia perso questo figlio.

Non credo sarei stata in grado di dargli tutto quello di cui un bambino ha bisogno.

Se faccio ancora i dispetti come una bambina, non posso pensare di essere un’adulta.

E il matrimonio, i figli e, soprattutto la famiglia, si sa, sono cose per adulti.

 

 

                                                                       ***

 

Quando eravamo adolescenti ricordo che era tutto molto più chiaro.

A volte complicato, questo è vero. Ma dannatamente chiaro.

Nelle nostre teste, la nostra vita era già stata tracciata.

Me lo ricordo, sai? Tutte le volte in cui ci trovavamo a parlare di come volevamo il nostro futuro.

E, chissà perché, mi dicevi sempre le stesse cose.

Avremmo avuto qualche altro anno di fidanzamento, poi, verso i vent’anni ci saremmo sposati e poi, ovviamente, avremmo avuto dei figli.

Due bambini.

Un maschio ed una femmina.

Anzi, no. Una femmina ed un maschio.

Perché, secondo il tuo cervello contorto, se fosse nato prima un maschio sarebbe stato così geloso della sorellina la quale, ovviamente, sarebbe stata una bellissima ragazza come sua madre, che le avrebbe reso la vita impossibile.

Mi viene da ridere, sai…?

Si… al pensiero che tu potessi davvero credere che sarebbe andato tutto come previsto.

Ok, sono un ipocrita.

Ci avevo creduto anch’io.

Ma mi sembra inutile ricordarti che se le cose non hanno funzionato è stato solo perché tu, evidentemente, non eri ancora pronta per avere dei figli.

Mi verrebbe da dire che, forse, non eri pronta nemmeno per essere mia moglie.

Tsuyoshi mi ha telefonato qualche giorno fa.

Ha approfittato di un momento di assenza tua e di Aya, perché, a come mi ha detto, non può neanche nominarmi in tua presenza.

Bene, sei stata doppiamente stupida.

Come hai potuto anche solo pensare di tenermi nascosta la morte di mio figlio…?

Come credi mi sia sentito ad avere la notizia da Tsuyoshi anziché da te…?

Credevo un po’ di coraggio ti fosse rimasto. Almeno per dirmi una cosa così importante.

Nei due giorni seguenti la telefonata di Tsuyoshi non ho neanche avuto la forza di alzarmi dal letto.

E, visto che vivo da solo ormai, non c’è stato nessuno a spronarmi a farlo. E, quindi, sono rimasto lì. Almeno finchè non è arrivata Natsumi a tirarmi un po’ su.

E la apprezzo tantissimo per questo e, ancora di più, perché con me non deve essere stato un compito facile.

Perché la forza  che avevo e che avevo sempre dimostrato pareva essersi scordata di me, perché mi veniva difficile persino respirare.

E il fatto che aver perso il bambino sia successo quasi esclusivamente per colpa tua, aggrava ancora di più la tua posizione nella mia testa.

E ora davvero, dovrebbe sorgermi spontaneo odiarti come odio Kamura.

Ma, per quanto mi sforzi, l’immagine della Sana che amavo è ancora così presente, da non farmi neppure venire la voglia di urlarti contro cattiverie.

Ed è triste, perché le cattiverie che ti urlerei ce le ho dentro.

È solo che, quell’immagine, non riesce a farle uscire fuori.

Ed è triste, perché non riesco ad essere arrabbiato come vorrei, ma solamente deluso.

E, francamente, non so cosa sia peggio.

Se urlarti addosso parole terribili o se riservarti il mio silenzio.

                                                                      

 

 

                                                                       ***

 

 

Stavo pensando di cercare casa. Perché sto pensando che, forse, Aya e Tsuyoshi vorrebbero un po’ di tempo per stare soli. Loro due e la piccola Miki, intendo.

Non è che me lo abbiano dimostrato palesemente questo loro bisogno di intimità, non dico questo.

Ho semplicemente pensato che, dopo quasi quattro mesi di convivenza, fosse arrivata l’ora di cercarmi una sistemazione, magari in un’altra città.

Ci avevo pensato spesso, a dirti la verità. Ma non avevo mai avuto il coraggio di mettermi a cercare casa, tantomeno di cercarla lontano da qui.

Il fatto è che finchè sarei rimasta nelle vicinanze, ospite a casa di Aya, la mia sarebbe stata ancora una posizione “provvisoria”. Voglio dire che, finchè non avessi trovato un’altra casa, sarei rimasta aggrappata al pensiero che anche la nostra separazione fosse una cosa “provvisoria”.

E così è stato per tutto il tempo che sono rimasta qui.

Immobile, ferma in attesa di un qualunque tuo gesto, anche del più piccolo che mi donasse una piccola, piccolissima speranza alla quale aggrapparmi, oppure che me ne togliesse anche quel minuscolo barlume che mi era rimasto.

Una cosa qualsiasi. Ma non questa immobilità.

Non questo silenzio.

Non questo “niente”.

Arrabbiati con me, urlami parole terribili, ma non ignorarmi, non cancellarmi.

Alle tue parole saprei cosa dire. Saprei come provare a spiegarti, potrei provare a scusarmi ancora.

Ma al silenzio, al tuo silenzio, cosa si può rispondere…?

 

 

 

                                                                       ***

 

 

Tsuyoshi mi ha telefonato due giorni fa. Tsuyoshi telefona spesso, ultimamente.

Mi ha detto che hai trovato una casetta in un piccola località sull’oceano.

Non ricordo neanche il nome.

È abbastanza lontana da qui, mi ha detto, circa 6 ore di macchina.

Al telefono, aveva una voce pacata e parlava sommessamente.

Mi ha fatto quasi tenerezza. Questo suo volermi tenere costantemente aggiornato su di te, in un certo senso, mi fa anche piacere.

Mi fa piacere, perché vuol dire che si preoccupa per me, tutto solo in questa casa così grande.

Ultimamente ho notato che se cammino e ascolto con attenzione, riesco a sentire l’eco dei miei passi.

È una cosa molto triste. E mi mette addosso uno strano senso di abbandono.

“Ecco” penso spesso.. “ … sono tornato all’origine… solo come all’inizio della storia”.

Dimmi tu, Sana, se questo non è un pensiero triste.

Ogni tanto, a dirti la verità, mi capita di guardare la vasca da bagno, quella “mini piscina”, come la chiamavi tu, e di vederti ancora lì, con quegli strani prodotti a coprirti la pelle del viso e a immergerti in quel mare di schiuma che amavi tanto.

Passando per la cucina, mi capita di immaginarti ai fornelli, con il mestolo in una mano e il ricettario nell’altra, intenta a preparare un qualche strano piatto che, ovviamente, ti sarebbe venuto da schifo. Ma non avrebbe avuto importanza, perché io l’avrei mangiato comunque, e tu mi avresti sorriso soddisfatta e ti saresti messa a saltellare per tutta la cucina.

Quando dormo in quello che è stato il nostro letto per gli ultimi tre anni, poi, mi sento ancora più solo.

Quante volte ci abbiamo fatto l’amore, Sana…?

Quante volte siamo rimasti svegli semplicemente stando abbracciati, sfogliando un vecchio album di fotografie…?

E quante volte, abbiamo immaginato lì il nostro futuro…?

Perché proprio da lì, da quel letto, il nostro futuro sarebbe cominciato.

Lì, dove abbiamo concepito nostro figlio.

E a volte mi sembra terribilmente ingiusto che tu te ne sia andata e che abbia lasciato a me il peso di questa casa e di tutti i ricordi che si porta dentro. Perché pesano, Sana, pesano sul serio tutti questi ricordi.

A volte ti vorrei qui, vicino a me, e vorrei che sentissi anche tu questo vuoto che sento io nel guardare queste stanze, le nostre stanze...

Vorrei che chiudessi gli occhi, come faccio io, e che li rivedessi ancora tutti lì, fermi,  immobili, a guardarci, quasi come a prendersi gioco di noi… loro, i nostri momenti.

E vorrei farti sentire questa desolazione quando, una volta riaperti gli occhi, non vedrai altro che… mobili.

E ti dannerai perché davvero non riuscirai a vederci nient’altro.

Te lo dico perché lo so che è così che ci si sente, perché io sono costretto a viverla ogni giorno, questa devastazione.

Te lo dico perché tu sappia che, mandandoti via di casa, ho punito me, non te.

Questa casa mi sta uccidendo.

 

Stavo pensando di cercarmi un’altra sistemazione. Magari il più lontano possibile da qui.

 

 

                                                                       ***

 

Stamattina mi è arrivata una telefonata da quel nostro amico francese, Jean.

Te lo ricordi vero…?

L’abbiamo incontrato durante la nostra luna di miele.

Ci faceva ridere molto. E ci riempiva la testa con i suoi problemi amorosi con una certa Nadine.

Te lo ricordi…? Era sulla nostra stessa nave da crociera.

Mi ha telefonato per sapere come vanno le cosa tra noi e per informarci che, alla fine, è riuscito a conquistare Nadine, anche grazie al nostro aiuto, visto che siamo stati noi due a farli incontrare sulla nave.

E dice anche, ed è questo che mi ha lasciato senza parole, che tra poco più di due mesi dovrebbero sposarsi.

Assurdo, non trovi…?

Si conoscono da così poco tempo e già ritengono di essere pronti per un passo tanto importante.

Mi viene da ridere al pensiero che noi due ci abbiamo messo circa 10 anni per arrivare all’altare.

Ora, egoisticamente, mi ritrovo a pensare che se il nostro matrimonio è durato così poco il loro durerà ancora meno.

Non puoi sposare una persona che conosci da pochi mesi.

Non puoi sposare una persona che non conosci alla perfezione.

Perché sarà con lei che dovrai passare ogni giorno della tua vita.

E se poi la riscoprissi diversa da come pensavi che fosse…?

Cosa farai allora…?

La tradirai…? La lascerai…?

O cercherai un modo per farla diventare come l’avresti voluta…?

In qualsiasi modo reagirai, farai una cosa orribile.

Ma forse io non parlo in modo obiettivo.

Forse, se ci fossimo conosciuti adesso, io ti avrei sposato anche domani.

Perché ti avrei amato dal primo istante.

E se mi avresti amato anche tu, allora non ci sarebbe stato motivo di aspettare.

E, magari, il nostro matrimonio sarebbe durato molto più a lungo.

Perché, una volta sposati, avremmo passato la maggior parte del tempo a conoscerci meglio e non a cercare di tenere accesa la nostra relazione.

Non avrei di certo pensato ad un tradimento.

Però, non sono per niente pentita di aver aspettato così tanto per sposarti, perché, in un certo senso, è come se ti avessi conosciuto più di me stessa, quando sono arrivata accanto a te, sull’altare.

 

Ok, mi sto perdendo in discorsi un po’ contorti. Lasciamo perdere.

 

Se potessi vedermi adesso, sdraiata sul divano, con il pigiamone rosa con gli orsacchiotti, che odiavi tanto, a cambiare canale senza trovare niente di interessante, mentre, fuori da qui, si sente il rumore dell’oceano e le voci allegre delle persone che passeggiano sulla riva, credo mi troveresti ridicola.

Credo ti verrebbe da ridere. E rideresti. Perché ti piaceva farlo con me.

Mi guardo un po’ intorno.

La casa è perfettamente in ordine.

È davvero molto bella e spaziosa.

Peggio. Perché si sente ancora di più la desolazione del divano vuoto accanto a me.

Continuo a fissare il vuoto al mio fianco e mi sento incredibilmente sola.

E ti immagino seduto qui, mentre mi tieni la mano, come per darmi coraggio perché nella TV di fronte a me un assassino sta inseguendo la sua vittima.

E tu sai quanto questo genere di film mi metta paura.

Sposto un po’ la mano, facendola scorrere sul tessuto liscio sotto di me e, quasi trema senza la tua mano a stringerla forte.

Mi alzo stancamente perché credo che sia puro masochismo continuare a torturarmi con la tua immagine.

Cerco di lasciarla lì, ferma su quel divano, la tua immagine. Ma lei mi segue ovunque.

 

Ripenso a quello che eravamo e lascio scorrere due lacrime solitarie sulle guance.

Ripenso a te e a quello che eri per me.

Ci ripenso e mi manchi.

E sbatterei la testa contro un muro per la mia stupidità.

E darei qualsiasi cosa per tornare indietro.

Ma lo so bene, che tornare indietro non è possibile.

Però mi manchi e ti voglio ancora con me.

Perché ti amo Akito, disperatamente.

 

Ed è l’unica cosa di cui vado fiera.

 

 

                                                                       ***

 

 

Stavo sfogliando un giornale con inserzioni su annunci di chi vende casa.

Sono moltissime le persone che lo fanno. Forse, dovrei farlo anch’io.

Sono stato a vederne una in un piccolo quartiere di Kyoto l’altro giorno. Mi è sembrata abbastanza bella e anche abbastanza conveniente.

E poi, lì vicino, c’è anche una palestra di arti marziali dove potrei continuare con il mio lavoro di istruttore.

Sembrava che stesse aspettando me, quella casa.

L’ho guardata bene, da cima a fondo e non sono riuscito a trovare niente che non andasse veramente bene. Persino il prezzo non era poi così alto.

Era perfetta.

Non troppo spaziosa, abbastanza economica e, soprattutto, lontana da Tokyo.

Ho detto al venditore che devo pensarci su e che gli farò sapere entro una settimana al massimo.

Sono passati 5 giorni e ancora non sono convinto di niente.

Ho la mente da tutt’altra parte.

Ho la mente a te, Sana. Costantemente.

E non lo sopporto.

 

 

                                                                       ***

 

 

Ho lasciato la nuova casa.

Dopo sole 3 settimane.

Non credo sia possibile per me, stare lontano da Tokyo.

Due giorni fa ho telefonato Fukachan. Erano mesi che non ci sentivamo.

Ho creduto fosse arrivato il momento di chiarire alcune cose.

Quasi non scoppiava a piangere, non appena ha sentito la mia voce.

Mi ha spiegato ed io ho ascoltato.

Mi ha detto che aveva appena scoperto che Takaishi la tradiva e voleva chiedere consiglio a te, Akito.

Così è venuta in palestra a cercarti.

Poi, sentendo dei passi fuori, i miei passi per precisare, e credendo fossero di Takaishi, ha reagito d’istinto e ti ha baciato.

Non credeva fossi io. Non voleva farmi questo. Non voleva saltarti addosso.

E io le ho creduto.

E io l’ho perdonata.

Perché io ho fatto una cosa molto più orribile.

Io ti ho tradito, Akito.

Tradito con il tuo peggior nemico.

E sapevo di farti del male. Sapevo che avresti sofferto.

Perciò non ho il diritto di giudicare nessuno, tantomeno Fuka.

Comunque, ho deciso di tornare a Tokyo.

In questo momento sono sul treno che mi riporterà nella nostra città. L’unico posto dove io voglia vivere.

Ho saputo da Aya che hai lasciato la nostra vecchia casa, ma che non hai assolutamente voluto venderla.

Perciò, è abbandonata.

Tornerò a vivere lì, visto che non ho altri posti dove andare.

Almeno resterò vicino alla mia famiglia ed ai miei amici.

Credo sia la cosa migliore da fare.

Spero solo di essere abbastanza forte per vivere da sola nella casa in cui abbiamo sempre vissuto in due.

Spero davvero di esserne capace.

 

 

                                                                       ***

 

 

Ho avuto la conferma, in questi giorni, di essere un emerito “niente”, senza la tua presenza accanto a me. Senza il tuo sorriso caldo, le tue mani minuscole, i tuoi occhi allegri.

E non è bello sentirsi “niente”.

Soprattutto perché sei stata tu a volere questa situazione, non io. Non ho deciso io, dannazione, di mandare all’aria tutto quello che avevamo.

Non l’avrei ma fatto, perché Dio solo sa quanto io ti abbia amato, Sana.

E allora perché devo essere io a soffrire per i tuoi errori…?

Ti sembra giusto?

 

Quando sono arrivato nella nuova casa, a Kyoto, mi sono letteralmente buttato sul letto e non ho fatto altro che pensare a te tutta la notte.

Ho pensato, soprattutto, alla Sana spensierata e allegra di cui mi era innamorato, a quella che mi faceva sorridere, che mi faceva sentire amato, importante, a quella Sana che, semplicemente guardandomi, riusciva a farmi stare bene, bene davvero.

Ho pensato anche alla Sana che metteva il broncio quando le dicevo di odiare quel suo enorme pigiamone con gli orsacchiotti, che scoppiava a piangere per uno sdolcinato film in TV e che, quasi, mi stritolava la mano quando, invece, in TV c’era un assassino che inseguiva la sua vittima.

Ho pensato alla Sana che litigava con me per la mia folle gelosia, che non sopportava il mio inguaribile non sorridere mai e che mi avrebbe volentieri ucciso ogni volta che la lasciavo sola a casa per più di tre ore, vista la sua fobia per la solitudine.

Ho pensato, infine, alla Sana che, quando faceva l’amore con me ci metteva tutta l’anima e, fiduciosa, si sdraiava sotto di me, con le mani chiuse a pugno incrociate dietro le mie spalle e che, ogni tanto, sussurrava il mio nome.

E suonava incredibilmente rassicurante il mio nome sussurrato da lei.

 

Poi, mi è venuta in mente l’ultima volta che ti ho vista.

Con gli occhi gonfi di lacrime, il viso pallido e i capelli in disordine.

Un po’ dimagrita, sciupata, forse.

Eppure incinta.

E ti ho chiesto di andartene.

E ho preteso una forza che non avevi più, e l’ho pretesa, perché eri incinta.

Ma hai perso il bambino, perché eri debole. Debole e fragile come ti ho vista io quella dannatissima notte. Impaurita e spaventata, mentre i tuoi occhi mi imploravano perdono.

Debole e fragile come se un alito di vento potesse spezzarti in pezzettini minuscoli. Impaurita e spaventata come se, quel vento, il tuo cuore l’avesse già distrutto.

E io, pieno d’orgoglio e di dolore, d’orgoglio soprattutto, ho ignorato il tuo viso terrorizzato.

E ti ho chiesto di andare via.

Perché il mio orgoglio me l’ha obbligato, perché il mio cuore non è stato così forte da impedirmelo.

Perché quella pancia era ancora piatta, quasi come se dentro non ci fosse niente.

E, invece, dentro c’era nostro figlio e io l’ho mandato via, insieme a te.

L’ho cacciato dalla mia vita e lui ha preferito uscire dalla nostra.

In silenzio, da dietro le quinte ha sceso le scale del palcoscenico, abbandonando lo spettacolo in punta di piedi, senza fare rumore, senza fare casino.

Da solo, così com’era anche dentro di te.

Con solo un’enorme blocco di ghiaccio a pesargli sul petto.

E la colpa è nostra, Sana. Noi, genitori incoscienti, immaturi, con la vita ancora troppo incasinata per potersi prendere l’incarico di badare anche a quella di nostro figlio.

Noi che, ancora, nonostante tutto, non siamo neppure riusciti a dirci addio guardandoci bene negli occhi.

Noi che abbiamo passato insieme tutta la nostra vita, ci siamo trovati a stare lontani per cinque mesi.

Mi sono sembrati una vita intera.

Forse, cinque mesi possono essere lunghi come una vita intera.

E una vita intera senza te è più dura di quanto pensassi.

Credo, forse lo spero, sarà così dura anche per te.

 

Ma noi, Sana… siamo davvero in grado di stare lontani…?

 

 

                                                                       ***

 

 

Oggi è stato un giorno importante.

Ho ricevuto una proposta dal registra, nonché mio vecchio amico, Mikio Ono.

“ E poi…l’amore” si intitola il suo nuovo film.

La storia è abbastanza complicata, come tutti i suoi film naturalmente.

Keily è la giovane protagonista. Una ragazza di soli 22 anni che, ad un certo punto, si ritrova ad affrontare problemi forse troppo grandi per la sua giovane età. E, soprattutto, si trova ad affrontarli da sola.

Al contrario delle altre storie di Ono, questa ha un lieto fine.

Mi ha fatto pensare, sperare forse che, se Keily ce l’ha fatta, allora ce la posso fare anch’io.

Nonostante il vuoto nel petto, nonostante la voglia di urlare, nonostante mi manchi da morire.

Ma sono felice, perché Keily dovrò interpretarla io e, forse, mi aiuterà a trovare una forza che non uso più da troppo tempo.

E ho accettato per questo.

Per dimostrare che posso farcela anche da sola.

E ho pensato che Keily è un po’ come una maschera. Ma, dopotutto, se è così, è una maschera che voglio portare.

E, se poi, serve a farmi sembrare più forte, tanto meglio.

Magari potrei decidere di tenerla sul viso per sempre.

 

 

                                                                       ***

 

 

Mi sento un tale idiota a passeggiare così, sotto la pioggia, alle due di notte per le strade di Tokyo.

Già. Assurdo, vero Sana…?

Non sono riuscito a stare in quella casa più di qualche settimana che, subito, ho sentito il bisogno di tornare a casa mia.

E Tokyo è la mia unica, vera casa.

Devo ammettere, però, che quando ho preso il treno, ieri sera per tornare nella nostra vecchia casa, l’unica cosa che mai avrei potuto aspettarmi era di oltrepassare la soglia del portone e di vederti lì, intenta a preparare la cena.

Sono rimasto immobile per almeno dieci minuti sulla porta, con le valigie ai piedi e con un’aria totalmente ebete dipinta sul volto.

Credo tu non ti sia neppure accorta della mia presenza, intenta com’eri a leggere il ricettario che tenevi stretto in una mano.

Al solito.

Non imparerai mai a cucinare decentemente senza avere un ricettario sotto gli occhi.

Al solito.

Ma va bene così. Perché, per un attimo, ho avuto l’impressione di essere tornato indietro nel tempo… quando rientravo tardi dalla palestra e, aprendo la porta, ti vedevo armeggiare con i fornelli e, mi bastava questa tua visione, per far sparire tutta la stanchezza in un baleno.

Tu non lo sai, perché non te l’ho mai detto, ma amavo tantissimo il modo in cui ti legavi il grembiule dietro la schiena.

Inutile. Non riuscirai mai a farti un fiocco decente.

Sorridevo, guardandoti e mi divertivo a stare lì, immobile, a guardarti senza essere visto.

Perché potevo guardarti in tutta la tua naturale bellezza, così… con i capelli legati alla bell’è meglio… con addosso il pantalone di una vecchia tuta e una magliettina di almeno cinque anni fa.

Con il viso pulito, senza una minima traccia di trucco.

E mi piaceva guardarti così, perché era il momento della giornata in cui mi sembravi più bella che mai.

E mi piaceva, soprattutto, l’espressione scocciata che facevi non appena mi vedevi rientrare prima dell’ora prevista.

“ Accidenti Akito…! Perché devi arrivare sempre prima…? Non mi dai il tempo di finire di preparare la cena…! Lo sai che non riesco a cucinare con te in mezzo ai piedi..!”

Dicevi sempre così. E mi facevi divertire da morire perché un secondo dopo ti buttavi tra le mie braccia e mi sussurravi “Bentornato”…

 

Comunque, rimane il fatto che sono ancora sotto questa dannata pioggia.

E per le strade non c’è anima viva.

E fa un freddo, cazzo! Terribilmente freddo…!

E sono un vigliacco… perché non ho neanche avuto il coraggio di farmi vedere da te, no.

Sono semplicemente scappato.

E, di solito, non sono io quello che scappa, Sana.

 

Ho freddo. E non so dove andare a dormire.

Forse farei meglio ad andare da Tsuyoshi.

 

 

                                                                       ***

 

 

Ok. Ho deciso che ucciderò qualcuno oggi.

Magari Tsuyoshi, o anche Aya… non so.

Ma potrei davvero uccidere qualcuno.

Dio! Eri qui…! A casa nostra…!

Si, lo so che tu credi che io non ti abbia notato, ma non è così.

Riesco a riconoscere il tuo modo di aprire la porta, anche se giri la chiave in modo impercettibile.

E, poi… ma che cazzo! Perché non sei venuto neanche a dirmi.. “Ciao?”

Codardo…

Ok. Sono codarda anch’io.

Io, che ho preferito rimanere in silenzio, quando il mio cuore mi urlava di tutto.

Quando mi urlava di girarmi, correre da te, baciarti e stringerti forte…

Di “costringerti” a restare per ascoltarmi… per ascoltare le mie scuse… per ascoltare come è stata la mia vita da quando non ero più accanto a te… per ascoltare come sono state tutte le notti passate da sola, in un letto che non mi apparteneva, che non mi “conosceva”…

Si. Avrei dovuto fermarti.

Ma non l’ho fatto.

Sono una codarda che ha fatto soffrire il ragazzo che ama per uno stupido capriccio e che non riesce neppure a fermarlo per chiedergli scusa.

Codarda.

Ed è terribilmente comodo.

 

 

                                                                       ***

 

 

- Avevo intuito che sarebbe successo, sai Akito…?

Tsuyoshi si scosta dalla porta, per farmi entrare in casa sua.

Lo guardo e mi viene da sorridere.

È così strano con il pigiamone rosso a scacchi e con gli occhiali messi in malo modo sul naso.

Dimostra molto di più dei suoi 25 anni.

A guardarlo così sembrerebbe quasi un quarantenne.

Sarà perché quel pigiama è davvero, ma davvero orrendo…?

Non riesco a non dirglielo.

- Sai Tsuyoshi… se proprio vuoi dormire con un pigiama ne esistono di molto più… giovanili, sai?

Lui si limita a sorridere un poco.

- È un regalo di Aya… lo odio…

Mi sussurra in un orecchio, per non svegliare sua moglie.

- …. ma per far piacere a lei sai che farei di tutto…

- Certo… direi che è una buona motivazione…

Gli dico, sedendomi composto sul divano.

 -… e direi anche che la tua Aya ha un pessimo gusto in fatto di regali.

Tsuyoshi ride un poco, sedendosi vicino a me.

- Allora Akito… sei stato a casa tua, vero…?

- Già.

- E… lei era lì vero…?
spalanco gli occhi, in senso di stupore.

- Tu lo sapevi…? Cioè tu sapevi che era tornata…??

Mi guarda serio.

- Si, l’ho saputo subito perché ha telefonato Aya dicendogli che era tornata.

Non so neppure che cosa rispondere.

- E… aspetta un attimo.. io… io ti ho telefonato ieri dicendoti che avevo lasciato la nuova casa per tornare in quella vecchia… e tu non mi hai detto niente di niente… perché?

- Perché… se il destino aveva deciso che voi due dovevate rincontrarvi, io non potevo mettermi in mezzo, impedendoti di tornare…

Lo guardo. E, per un attimo, ho l’irrefrenabile impulso di tirargli un pugno in pieno viso. Ma non lo faccio. Forse perché lo vedo lì, il mio migliore amico, con lo sguardo basso e la frangetta disordinata a coprirgli gli occhiali enormi, con le mani strette a pugno sulle ginocchia.

E proprio non riesco ad odiarlo. Neanche per un istante.

Forse, potrei addirittura ringraziarlo.

Perché si mi avesse detto che tu eri tornata, me ne sarei rimasto lì, a Kyoto, nella nuova casa, senza pensarci due volte.

Se me lo avesse detto io non ti avrei rivista.

Ma, probabilmente, sarebbe stato meglio così.

 

 

                                                                       ***

Il sole è particolarmente fastidioso stamattina.

Non so perché. Ma sentirmelo bruciare dritto negli occhi, mentre ero ancora nel più profondo dei sogni, stamattina non è stato affatto piacevole.

Strano. Perché di solito amo svegliarmi così.

Sentendo il dolce tepore del sole sul viso. Quasi… quasi come una carezza.

Un buongiorno speciale, tutto per me.

Un buongiorno che il sole mi riservava ogni qual volta ne avevo voglia. Bastava solo lasciare le persiane leggermente aperte, la sera prima.

Ma stamattina l’ho trovato terribilmente fastidioso.

Stamattina no, stamattina non volevo svegliarmi.

E, quel sole caldo e luminoso, così in contrasto con il mio umore, mi ha reso incredibilmente nervosa.

Si, lo so, a volte faccio dei ragionamenti talmente idioti che, quasi, mi viene da ridere da sola.

Però è vero che il sole mi ha dato un terribile fastidio, stamattina.

E questo mi preoccupa un po’.

 

Ma comunque, la prima cosa che ho pensato, quando sono riuscita a riprendermi dal torpore causatomi dal sole, sei stato tu, Akito.

Inutile anche dirtelo, vero…?

Chissà se sei già ritornato nella tua casa a Kyoto.

Chissà cosa ci facevi qui, ieri sera…

A volte mi verrebbe voglia di prendere quel maledetto telefono e di chiamarti per darti appuntamento in un qualsiasi posto.

Solo per parlarti un po’.

Solo per vederti ancora, anche per cinque minuti.

Mi basterebbe, credo.

Si, credo di si.

 

Appena riesco ad alzarmi da questo letto ecco che qualcuno suona il campanello.

Dio, ho un’incredibile voglia di non aprire e di tornare a dormire.

Però, come prevedibile, mi precipito giù per le scale con chissà quale speranza a bruciare nel petto.

 

Devo imparare a sperare di meno, la prossima volta.

 

- Ciao Sanachan…

- Ayachan sei tu…! Che ci fai qui…?

Mi sposto un poco, giusto per lasciarle lo spazio per oltrepassare la soglia del portone.

Lei non mi guarda neppure e , subito, si dirige a passo svelto verso il divano in salotto.

La seguo, senza dire una parola e mi siedo accanto a lei.

- Sana io davvero… davvero non capisco..

No Aya, sono io che non capisco quello che vuoi dirmi.

- Cosa..?

Le chiedo, senza tanti preamboli.

- Considerato il fatto che sono sicura che tu sappia che ieri sera Akito è stato qui, voglio chiederti che diavolo ti è passato per la testa…

Mi guarda, confusa.

- … Sana… perché non l’hai fermato…?

La guardo anch’io per un istante. Ha gli occhi dolci, Aya. Molto dolci. Sembrano gli occhi calmi e protettivi di una madre.

- Io… ho avuto paura…

- Sana ora basta avere paura. Tu lo ami..?

Mi limito a fare un cenno con il capo in segno di assenso.

- Allora io non devo dirti più nulla.

- Ma… ma io.. non so dov’è ora…

Si alza lentamente dal divano.

- Ora è insieme a Tsuyoshi a casa mia… vuoi venire con me…?

Rimango in silenzio qualche istante.

Sento una mano di Aya posarsi leggera su una mia spalla, come per infondermi coraggio.

Senza pensare un minuto in più, mi alzo e la seguo fuori dal portone.

Ora basta.

È finito il momento per avere paura.

 

 

                                                                       ***

 

 

Il divano di Tsuyoshi è terribilmente scomodo.

Ci ho dormito tutta la notte e, adesso, ho un mal di schiena terribile.

Mi sento completamente indolenzito.

La stanza è ancora immersa nel buio.

Strano, dovrebbe essere abbastanza tardi.

Prendo l’orologio vicino a me.

Segna le 10:30…

Mi guardo intorno e noto che la porta della camera degli ospiti, in cui mi trovo, è ancora chiusa.

Penso che ormai Aya e Tsuyoshi saranno svegli.

Ma decido che, in fondo, non è poi così tardi.

E penso che, magari, un’altra oretta di sonno non può farmi altro che bene.

 

 

                                                                       ***

 

Ora che ci penso, è da tantissimo tempo che non vado in macchina con Aya.

Veramente, ora che ci penso, è anche da tantissimo tempo che non vado più da nessuna parte con Aya.

La guardo mentre è concentrata sulla strada.

La guardo e mi viene in mente l’Aya bambina delle elementari che arrossiva non appena si parlava di ragazzi.

L’Aya che sembrava la più ingenua tra noi e che, invece, si è dimostrata la più saggia in molte, moltissime occasioni.

Mi viene nostalgia a pensare che un tempo passavamo quasi ogni giorno insieme senza annoiarci mai a parlare delle cose più stupide che, comunque, per noi erano importanti.

Ora invece, non posso fare a meno di notare che, quasi, non ci riconosciamo più.

Che siamo capaci di non vederci e non sentirci anche per settimane intere senza sentire “veramente” l’una la mancanza dell’altra.

Ed è triste.

Perché è come se tutti gli anni trascorsi insieme ci avessero quasi fatte stancare della presenza dell’altra.

Quasi come se avessimo esaurito ogni argomento. Anche il più stupido.

È come se non avessimo più nulla di cui parlare.

Ed è una cosa che non sopporto perché è come se tutti i miei rapporti fossero così vuoti e privi di importanza da essere dimenticati con il semplice scorrere del tempo.

E non voglio che sia così.

Non con Aya, non con Tsuyoshi, non con Fuka.

E non con te, Akito.

 

- Ho saputo che hai in progetto un nuovo film…

Quasi sobbalzo, nel sentire la voce di Aya.

- Già. Una bella storia davvero…

- Farai la protagonista…?

- Già. Sarò Keily.

- Puoi raccontarmi la storia…?

Non credo che in realtà le interessi davvero. Apprezzo comunque il suo tentativo di fare conversazione.

- Keily è una giovane ragazza di 22 anni che ha perso i genitori in un incidente stradale, almeno questo è quello che le ha raccontato sua zia Judy, la sua unica parente in vita. Ma Keily non è convinta che i suoi siano morti per un incidente, perché, nel periodo subito prima della loro morte arrivavano a casa loro strane telefonate minacciose… così Keily inizia ad indagare per scoprire la verità… e viene aiutata da un ragazzo, Ken, che dice di essere il figlio di un lontano parente di suo padre, morto anche lui in uno strano incidente… così, insieme, cominciano ad indagare…ma.. non voglio svelarti la fine, Aya…! Se vorrai sapere come va a finire sarai costretta ad andare al cinema a vederlo…!
La vedo sorridere un poco e riservarmi uno sguardo dolcissimo.

- Sembra una bella storia… chi interpreta il ragazzo…? È un attore che conosco…?
- Non credo.. è al suo primo film…non lo conosco bene neanch’io in realtà…

- Capisco. Allora quando uscirà nelle sale mi precipiterò al cinema…

Sorrido, guardandola.

Forse non è proprio come pensavo io.

Forse abbiamo ancora molto su cui parlare e molti motivi per essere amiche.

Sorrido ancora, notando che siamo quasi arrivate a destinazione.

Sento il cuore salirmi in gola, ma va bene così.

Perché è una sensazione stupenda.

 

 

                                                                      ***

 

 

- Aya… sei tornata! Dov’eri finita…?

- Tsuyoshi dov’è Akito…?

- Credo dorma ancora, perché…?

- Devo parlargli…

Vedo Tsuyoshi sobbalzare non appena mi sposto da dietro le spalle di Aya e gli faccio notare la mia presenza.

- I.. io…

Comincia  a balbettare. Al solito. Tsuyoshi non cambierà mai.

- Vado a chiamarlo.

- No!

Lo fermo.

- Vado io…

- Ma…ma…

Cerca di dire Tsuyoshi. Ma Aya lo ferma, costringendolo a seguirla in giardino.

Ecco. Sono rimasta sola.

Sola con te che dormi nella stanza degli ospiti.

Aspetto ancora qualche secondo prima di incamminarmi nel corridoio.

Ma poi vado. E la porta è lì. Chiusa. Dal buio che riesco a scorgere, immagino tu dorma ancora.

Sorrido. Sei sempre stato un terribile dormiglione.

Con un enorme respiro, poso la mano sulla maniglia dorata e la abbasso leggermente, per non svegliarti.

Entro e i miei occhi ci mettono un po’ per abituarsi all’oscurità della stanza.

Ma poi, in penombra, ti vedo. Accucciato sul divano letto, coperto fino al naso, con alcuni ciuffi biondi ribelli sulla fronte.

Dio..! non ti ricordavo così bello.

Che sciocca.

Mi inginocchio di fronte al tuo viso addormentato, restando qualche istante a fissarti in silenzio.

Poi parlo, lentamente, a bassa voce, quasi impercettibilmente. Quasi se avessi paura a farti sentire la mia voce.

- Ciao Akito… è tanto tempo che non stiamo così vicini, vero…?

Non pretendo nessuna risposta. I tuoi occhi ambrati sono ancora ben chiusi.

- … mi sei mancato da morire… mi è mancato tutto di te… specialmente il tuo non sentire niente mentre dormi…

Sorrido lentamente, accarezzandoti piano la fronte.

- … sai che ho iniziato a girare un altro film…?è una storia d’azione e anche, anzi, soprattutto d’amore… sarò la protagonista, Keily... è un bella storia… davvero.. credo sarà un grande successo.. ma sai una cosa…? Il mio più grande successo è stato aver incontrato te, Akito… è stato poter stare con te per tutta la mia vita… non potrei amare nessun altro…

Mi appoggio lentamente sul tuo petto, inspirando a fondo il tuo profumo.

Sorrido, notando che non è mai cambiato.

È identico a quello che sentivo tutte le volte che mi stringevi forte tra le braccia.

E, per un istante, è come se il tempo non fosse mai passato.

 

Mi scosto un poco, perché ho l’impressione che tu stia per svegliarti.

 

- … Nel film che girerò interpreterò il ruolo di una ragazza che, improvvisamente, si ritrova sola… e che riesce a farcela solo con l’aiuto di un ragazzo, Ken… mi rendo conto di essere identica a Keily.. sai…?

Mi avvicino al tuo orecchio e ti sussurro quasi impercettibilmente.

-… sei tu il mio Ken.. la mia ancora… l’unica certezza… perdonami Akito…perché sono stata una stupida…

Poi, stanca per la notte quasi insonne, mi addormento poggiata sul tuo petto.

 

 

                                                                       ***

 

 

Apro gli occhi e mi sembra di essere in un sogno. Un posto che non conosco, che non mi pare di aver mai visto.

Un profumo dolce, dolcissimo.

Questo si, che lo riconosco.

È il tuo, Sana… ed è un profumo caldo, avvolgente.

Poi, ascolto le tue parole, scorrono lente nella mia mente ancora quasi addormentata ma che, comunque, riesce a percepire benissimo ogni singola sillaba che pronunci.

Suona incredibilmente diversa, la tua voce adesso.

Triste, pesante, forse… distrutta.

Strano. Sono completamente sveglio ma non ho assolutamente voglia di aprire gli occhi e di farti vedere che non dormo più.

Smetteresti di parlare.

E non è questo quello che voglio.

Ora voglio ascoltarti, voglio ascoltare tutto, ma proprio tutto quello che dici, senza farmi scappare neanche una virgola.

Voglio stare così, in questo stato di dormiveglia, in questa stanza immersa nel buio, solo con la tua voce nelle orecchie.

Ed è bella. E sento che potrei restare così per moltissimo tempo senza stancarmi mai.

Riempiendomi la mente solo delle tue parole.

Mi basterebbe davvero. Mi piacerebbe davvero.

 

Non parli più. Credo ti sia addormentata.

Decido di aprire gli occhi e ti vedo lì, con il capo poggiato leggero sul mio petto e i primo impulso è quello di abbracciarti forte e di dirti che mi sei mancata da impazzire.

Ma Akito Hayama non si lascia andare a questo genere di cose… non è un tipo sdolcinato.

Per questo ti allontano, anche abbastanza bruscamente, per farti svegliare.

Voglio che mi dica tutto quello che mi hai appena sussurrato, guardandomi negli occhi.

Su quello che ti dirò io, te lo giuro, non posso davvero fare pronostici.

 

 

                                                                       ***

 

 

- Avresti potuto fare di più… lo sai vero…?

Sobbalzi, aprendo gli occhi, quasi come se ti avessi svegliata da un bellissimo sogno.

- A… Akito…

Non dici nient’altro. Non ne sei più capace. Non sai dire nulla, se non balbettare con voce tremante il mio nome.

Ed è ridicola, quasi. Questa tua repentina mancanza di coraggio.

Il coraggio che ti viene sempre nei momenti sbagliati. Quando non serve, quando non è necessario.

Quando proprio potresti farne a meno.

Quel coraggio che hai, perché io so che ce l’hai, avresti dovuto farlo uscire fuori quando ti ho cacciato di casa, quando è morto nostro figlio, quando sei andata a letto con Kamura…

Sai come sono, Sana. Sai quanto ti amo.

Mi sarebbe bastato poco per tornare ad amarti come un tempo. Inizialmente ti avrei respinta, questo è ovvio, ma mai, mai ti avrei sbattuto fuori dalla mia vita.

Non ieri, non adesso. E non lo farò mai.

- I… io… da quando sei sveglio…?

Ecco. Prevedibile domanda. Hai paura che possa aver sentito quello che hai detto…? Che possa aver riso di te, mentre fingevo di dormire…?

Bè Sana, non ho affatto riso di te.

- Giusto il tempo di notare che ti eri addormentata…

Sospiri. Sembri sollevata.

Meglio così.

Magari quelle cose che mi hai detto, magari ora me le dici in faccia, guardandomi negli occhi.

- Cosa ci fai qui…?

- Aya mi ha detto che ieri notte hai dormito qui e così ho pensato…

- Hai pensato..?

- Ho pensato che avevamo tante cose su cui parlare.

Bene. È già qualcosa che tu voglia parlare.

Dio mi sento un tale idiota…!
Mi hai tradito, accidenti…! Con Kamura…!

E io non ce la faccio, proprio non ci riesco ad odiarti.

Ma guardaci Sana… siamo quasi ridicoli, qui, chiusi nella stanza degli ospiti di Aya e Tsuyoshi, ancora quasi completamente al buio, seduti sul letto come un genitore ed un figlio, in uno di quei momenti in cui il genitore ha scoperto qualche marachella fatta da suo figlio e sta decidendo la giusta punizione da dargli.

Assurdo…!

Io e te non siamo mai stati così. Non noi. Non Akito e Sana.

Noi siamo sempre stati bene, ci siamo sempre capiti con uno sguardo.

Noi… non avevamo bisogno neppure di parlare.

E ora, invece… non riusciamo a guardarci negli occhi.

- Bè… allora parla… cosa vuoi dirmi…?

Non potevo farti domanda più esplicita di questa. Voglio spronarti a parlare. Parla Sana perché quello che mi hai detto poco fa è stato bellissimo.

- Perdonami…

Un sussurro, uno solo. Gli occhi scuri fissi sul pavimento, la frangetta rossa a coprirli protettiva, le mani strette a pugno sulle ginocchia tremanti.

Non basta, Sana. Non basta ancora.

- Guardami…

Scuoti un poco le spalle, come impaurita dalla mia richiesta. Esiti qualche istante, poi alzi lo sguardo lentamente, fino ad incrociare il mio sguardo.

Restiamo fermi per alcuni lunghi, lunghissimi momenti. Così, semplicemente a guardarci. Perché ci basta. Per un po’ ci basta solo questo.

- Akito perdonami… sono stata… una stupida…

- Lo so… ma sono più stupido io…

Mi guardi curiosa.

- Perché…?

Ora sono io ad abbassare lo sguardo.

- Perché non riesco ad odiarti come dovrei… nonostante tutto non ci riesco…

Alzo gli occhi e vedo distintamente due lacrime solcarti, silenziose, il viso pallido. E mi fa male il cuore. Mi fa un male terribile.

- … io ti amo… ti amo da impazzire Akito… e ti amerò comunque…

Non parlo. Non rispondo. Cosa c’è da rispondere infondo…?

Ti amo anch’io. È così ovvio. Così palese.

Guarda i miei occhi. Guardali bene. Sono gli occhi di un uomo che ti ama e che, nonostante il male che gli hai fatto, vuole ancora che tu sia sua moglie.

E te lo dico, semplicemente parlando.

- Io voglio averti accanto per tutta la vita, così come ti promisi quel giorno sull’altare…io…

Ti dico avvicinandomi al tuo viso.

- … posso davvero essere il tuo Ken…

Sorridi. Tra le lacrime, sorridi.

Un sorriso semplice, pulito, caldo. Felice. Quello della Sana che conosco.

Ed è bello. E mi basta davvero questo sorriso.

Qualcuno potrebbe dirmi che sono un uomo senza orgoglio, qualcun altro che sono stato un’idiota troppo precipitoso.

Io dico che tu mi basti. Che il tuo sorriso è tutto quello di cui ho bisogno.

E se, per avere questo, devo rinunciare al mio orgoglio, alla mia virilità e a tutte queste cose da uomini, allora lo faccio.

Perché è quello che voglio. Ma soprattutto perché va davvero…davvero bene così.

 

 

 

 

   
 
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