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Autore: JulietAndRomeo    02/07/2012    1 recensioni
Io rimasi un attimo interdetta: Nick? Quel Nick? Il figlio di Jeremy? Il tipo che avevo odiato a prescindere?
Come se ci fossimo letti nel pensieroci girammo l'uno verso l'altra: «Cosa?»
«Sta zitto!», «Sta zitta!» urlammo all'unisono e continuammo: «Io?»
«Tu!»
«No!»
«No?»
«Si!»
«Smettila!» concludemmo.
questa è la prima storia che scrivo e l'ho fatto per un concorso letterario a scuola quindi non so neanche come è venuta: la pubblico perché mi piacerebbe avere un vostro parere, non so ancora quanto sarà lunga perché il concorso sarà a settembre quindi devo ancora finirla. E' un giallo/commedia perché non piacciono neanche a me le cose troppo pesanti da leggere quindi l'ho 'alleggerita'. Non vi chiederò un commento, quello deve essere a vostro buon cuore. Adesso vi lascio, buona lettura
Genere: Commedia, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Prima di iniziare, vorrei dire che questo è un capitolo di passaggio, quindi niente di impegnativo (in realtà ho dovuto dividerlo perché stava venendo un pò troppo lungo). Con le chiacchiere non sono brava xD quindi vi lascio al capitolo. Buona lettura :)


Capitolo 6: Litigi, scuse e novità.

Ripresami dal mio viaggio mentale indietro nel tempo, tornai a casa come se avessi il diavolo alle calcagna.
Entrai in casa e seguii il vialetto fino alla porta del garage. Quando questa si fu aperta, entrai e lasciai l'auto in mezzo alla stanza, senza neanche parcheggiarla: il che per me era assolutamente strano; da questo quindi si poteva evincere il mio stato di assoluto schock.
Salii le scale del sotterraneo come un razzo e mi ritrovai in cucina in men che non si dica.
La signora Smith, incredula nel vedermi tornare così presto, mi chiese spiegazioni, ma io, che non sentii né il suo saluto né quello di Charles, non risposi e, salite le scale alla velocità della luce, mi chiusi dentro la mia stanza, sbattendo la porta.
Non uscii per tutto il giorno, né alcuno dei domestici, conoscendomi, mi venne a cercare. Sapevano che avevo bisogno di sbollire, qualsiasi cosa fosse successa, e sapevano che se non volevano morire prematuramente, non avrebbero dovuto disturbarmi. Saltai quindi colazione, pranzo e cena, ma i morsi della fame non si fecero sentire per tutto il giorno, nonstante non mangiassi dalla sera precedente.
Verso le 10 e 30 di sera, Nick, rientrato da poco dalla sia giornata 'romantica', salì in camera mia. Aveva un diavolo per capello, ma a me importava poco.
Mi trovò seduta ai piedi del letto a gambe incrociate a fissare la teca dentro la quale avevo fatto sigillare il pezzo di metallo che usavo per tagliarmi: era più un monito che un 'ricordo'.
«Mi spieghi perché stamattina non mi hai detto subito di essere al distretto?» disse lui quasi urlando.
Io non risposi. Ero persa in un mondo in cui nessuno, oltre me, era ben'accetto.
Notai con la parte di cervello ancora presente su questo pianeta, che la signora Smith e Charles erano entrambi sulla soglia della porta della mia camera, visibilmente preoccupati, ma non saprei dire se erano preoccupati per me e per il mio alquanto visibile momento di depressione, oppure per le sorti di Nick, che non sapeva quello di cui ero capace se ero incazzata.
«Macy, non sto scherzando! Abbiamo aspettato più di un'ora il tuo arrivo e quando, dopo la tua chiamata, ho detto a Tiffany che non saresti venuta c'è rimasta male!» esclamò scuotendomi per una spalla.
«...».
«Macy, vuoi rispondere, per le mutande di mia nonna? Tiffany stava quasi per mettersi a piangere quando non ti ha vista, l'hai sconvolta, crede di non piacerti!».
Venni distolta dai miei pensieri dalla sua ultima esclamazione. Ad occhi bassi e pugni chiusi lungo i fianchi, mi alzai e mi avvicinai lentamente a lui: «Lei è rimasta sconvolta?» sussurrai: «Io ho rivisto mia madre oggi, è la vedova Jennings adesso, e tu mi vieni a raccontare che quella stronza di un'oca rossa e per di più completamente cretina, è rimasta sconvolta? Perché non vai a farti un'altra scopata, Nick, e mi lasci qui da sola?» conclusi alzando gli occhi verso di lui.
Un lampo di comprensione attraversò i suoi occhi: «Io... mi dispiace».
«Non m'importa. Sparisci, non sono in vena di litigare con qualcuno, né tantomeno di farmi consolare da una persona che prova solo pena nei miei confronti» dissi rimettendomi seduta.
Forse ero stata un pò dura, ma raggiunsi l'effetto desiderato: lui non disse più una parola e uscì dalla mia camera.
Quando sentii la porta chiudersi, il nodo che avevo in gola si sciolse e senza che me ne accorgessi lacrime calde bagnarono il mio viso. Notai che non succedeva da dieci anni, prima di scivolare in un sonno senza sogni.
La mattina mi trovò ancora vestita e con gli occhi gonfi: ero uno spettacolo orribile. In compenso però avevo deciso di non farmi ostacolare da nessuno, né tantomeno da quella sottospecie di donna: non si meritava la mia considerazione.
Mi ricordai anche delle parole dette a Nick e i sensi di colpa mi assalirono: infondo lui non c'entrava niente in tutta questa storia.
Quindi mi cambiai i vestiti e, uscita furtivamente dalla stanza per evitare di incrociare qualcuno e dare spiegazioni, percorsi quella scarsa ventina di metri che mi separava dalla camera di Nick; non sapevo cosa gli avrei detto, non era mai stato da me scusarmi con qualcuno e adesso non sapevo dove sbattere la testa. Presi allora un bel respiro e bussai leggermente alla porta. Nick venne ad aprire qualche istante dopo, ancora in pigiama, ma apparentemente sveglio (e, in ogni caso, anche se non lo fosse stato del tutto, la mia vista lo aveva destato completamente).
«Macy, che ci fai qui?» chiese più sorpreso che arrabbiato.
«Io... beh, vedi, ieri io non... ecco...».
Accidenti a me e al mio 'nervosismo'.
Vedendomi in palese difficoltà, si fece da parte e mi fece entrare.
La stanza era leggermente più piccola della mia: sulla sinistra c'erano una scrivania, affiancata dall'armadio, e una poltrona nera, sopra la quale, appeso al muro, stava il televisore; sulla destra invece, c'era il letto a due piazze, affiancato da un comodino per ogni lato; appoggiata alla parete della porta, stava una cassettiera e, accanto ad essa, uno specchio a figura intera; la quarta parete, quella di fronte alla porta, era completamente in vetro e dava l'accesso ad un piccolo balconcino, tramite una porta sempre in vetro.
«Io sono venuta per parlare di ieri sera» dissi senza distogliere lo sguardo dalla vista panoramica che si aveva dalla camera.
Lui chiuse la porta e, dal rumore, capii che si era seduto sul letto.
«Ok, ti ascolto».
'Puoi farcela, tira fuori le palle' disse una vocina nella mia testa.
«Come avrai già ampiamente capito, io non ho un buon rapporto con mia madre e ieri sera ero parecchio... sconvolta, ecco, quindi forse sono stata un pò brusca e non volevo».
Mi voltai e lo vidi sorridere: ma che si rideva? Io mi stavo impegnando con tutta me stessa e lui rideva?
Lo guardai con entrambe le sopracciglia alzate: «Mi stai chiedendo scusa?» chiese ridendo.
«No! Io sto... cercando di chiarire la mia reazione di ieri, tutto qui e ammetto che forse, magari, probabilmente, è alquanto possibile che io sia stata un pò acida e dura e per niente gentile».
«Ok, scuse accettate» disse alzandosi e sorridendo.
«Ok, bene! Io vado a...» tentai di pensare a qualcosa, qualsiasi cosa: «Vado!» esclamai, dopo qualche secondo.
Avevo quasi raggiunto la porta, quando la sua voce mi fermò: «Dovrai raccontarmi tutto, lo sai questo vero? E non parlo solo del caso e di quello che ti ha detto Lewis ieri».
«Si lo so» dissi uscendo e chiudendomi la porta alle spalle.
'E questa è fatta' pensai, espirando rumorosamente.
«Macy, stai bene? Ieri mi sei sembrata parecchio sconvolta» chiese Charles, che aveva appena girato l'angolo del corridoio.
Guardai la porta su cui ero appoggiata fino a qualche istante prima: «Adesso va meglio, Charles, non preoccuparti» dissi riportando gli occhi sul maggiordomo.
«Sono contento» rispose lui sorridendo.
Detto questo andò avanti per la sua strada, mentre io scesi al piano di sotto, pronta per affrontare le domande della signora Smith.
Entrai in cucina con calma, mettendo prima dentro la testa: una volta che mi fui accertata che la signora Smith non ci fosse, entrai del tutto e mi sedetti a tavola.
Davanti alla colazione, già pronta in tavola, non cambiai espressione: come al solito non sentivo la fame e mangiavo solo perché ero obbligata.
Ero già seduta da cinque minuti a fissare immobile la mia colazione, quando scese anche Nick.
Lui mi sorrise debolmente e poi, come se niente fosse successo, cominciammo a parlare, con la TV accesa a fare da sottofondo: lo stavo aggiornando su quello che Lewis mi aveva detto in macchina il giorno prima, quando entrò la signora Smith: «Tutto qui?» chiese Nick.
«Si, tutto qui. Ti sembra strano, vero?» chiesi, notando la sua espressione crucciata.
«Si mi sembra parecchio strano. Infondo io, se mia moglie fosse scomparsa da una settimana, denuncerei subito l'accaduto, anche solo per non far sospettare di me» asserì lui.
«Comunque non credo sia il momento di preoccuparsi ora, ne parleremo con Lewis quando andremo al distretto oggi. A proposito ho trovato la spazzola che cercavi la settimana scorsa. Era nel cassetto del bagno» ribattei.
Quell'ultima parola fu la nostra -quasi- condanna a morte.
La signora Smith si drizzò come un automa, allontandosi dai fornelli e si avvicinò rigida come un palo al tavolo, dove io e Nick eravamo ancora seduti: lì per lì nessuno dei due capì il suo strano comportamento, ma poi lei parlò.
«Come va con il bagno allagato, ragazzi?» chiese sospettosa.
Entrambi sbiancammo a quell'uscita della donna e deglutimmo sonoramente, dopo esserci guardai in faccia per qualche istante.
«Oh, ehm, bene!» esclamò Nick, simulando un sorriso.
«Ah. Bene. E quand'è che avreste asciugato tutto e riparato la conduttura rotta?».
«P-prima di andare via» la mia, suonò più come una domanda, che come una risposta.
«Ovviamente in meno di tre minuti! Avreste un futuro come idraulici, ragazzi» esclamò sarcastica la signora Smith.
«Grazie» disse Nick, fissando il suo caffé, non avendo il coraggio di guardare la signora Smith negli occhi.
«Scoprirò cosa state tramando, ve lo assicuro» sibillò minacciosa la donna.
Alla 'velata' minaccia, Nick si soffocò quasi con il caffé, invece io la sentii a malapena, mentre mi alzavo di scatto dalla sedia per andare alla ricerca del telecomando della TV.
«State zitti! Litigherete e/o vi minaccerete dopo!» esclamai, mentre alzavo il volume.
«... sotto la sabbia di Malibù, stamattina presto; gli inquirenti hanno provveduto a disseppellire il cadavere...» diceva la cronista del telegiornale, mentre le immagini scorrevano.
«Hai visto?» chiesi a Nick.
«Si, un morto a Malibù e allora? Trovano morti ogni giorno, Macy, soprattutto in una città grande come questa» rispose lui.
«Si, ma quanti di loro hanno un tatuaggio sulla schiena come quello di Jennings?» chiesi tentando di tornare indietro nella registrazione.
Per fortuna la televisione, se accesa, registrava tutto e si poteva tornare indietro e rivedere, ogni volta lo si desiderasse.
«Cosa?!» chiese incredulo.
«Guarda!» dissi indicando la schiena del cadavere, quando finalmente riuscii a bloccare la registrazione.
«È assurdo! Adesso i cadaveri sono due».
«Già!» esclamai, adesso che me lo aveva fatto notare: «E Lewis non mi ha ancora chiamata!» sibillai indignata.
«Doveva disseppellire un cadavere alla spiaggia di Malibù, è stato leggermente occupato» disse Nick conciliante.
«Ma non ci vuole molto a scrivere un SMS o a fare una telefonata».
Presi quindi il cellulare e digitai il numero del distretto.
«Dipartimento centrale di polizia di Los Angeles, come posso esserle utile?» disse una voce di donna dall'altra parte della cornetta.
«L'ispettore Lewis, me lo passi» ordinai, per niente gentile.
La donna dall'altro lato ignorò il mio tono e rispose: «L'ispettore non c'è, ma può richiamare dopo se le va».
«Allora prenda un messaggio lei».
«Mi dica» disse scocciata la donna.
«Lo consegni direttamente all'ispettore appena rientra e scriva queste esatte parole: avrebbe potuto benissimo chiama...».
Con l'orecchio libero, sentii Nick andare alla porta e far entrare qualcuno; dalla pesantezza dei passi, ipotizzai fosse l'ispettore, quindi mi affrettai a chiudere la conversazione: «Non importa, ho trovato quello che cercavo».
«Ma...» tentò di ribattere la donna al telefono.
Non le diedi neanche il tempo di finire che chiusi la chiamata.
«So che non avrei dovuto presentarmi, magari lei non vorrà più collaborare alle indagini, ma io ho bisogno di sapere se è così» disse l'ispettore appena mi vide.
«Sono sicuro vorrà ancora collaborare» disse Nick sommessamente, mentre gli sfuggiva una risatina.
Io gli lanciai un'occhiata che, se avesse potuto, avrebbe carbonizzato qualsiasi cosa nel raggio di chilometri.
«Non mi lascerò condizionare l'esistenza mai più, da nessuno, quindi perché non dovrei collaborare?».
«Qualcuno direbbe per eccessivo coinvolgimento, ma visto che è già informata della nuova scoperta,» disse Lewis, indicando l'immagine dell'uomo alla TV: «Non vedo perché non debba chiudere un occhio e dirle di venire con me» concluse.
«Andiamo, allora. Nick, vieni?» domandai girandomi verso il diretto interessato.
«Si certo» disse lui, mentre spegneva la televisione.
Salimmo sull'auto della polizia e, con le sirene spiegate, arrivammo in dieci minuti.
   
 
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