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Autore: _V_    04/07/2012    5 recensioni
Un viaggio nei ricordi felici dell’infanzia, il passaggio dalla forma di amore più vera e totalizzante all’oblio più profondo e disperato.
È un sogno comune a molti quello di avere un amico speciale con cui condividere tutto, compreso il passato. Giorgia sembrava essere riuscita a realizzarlo, trovando in Lorenzo proprio quello che cercava; ma ben presto si renderà conto che è impossibile mantenere stabile un rapporto quando di mezzo ci sono il tempo e i cambiamenti.
Dopo dieci anni di silenzio e astio, tra i due forse qualcosa sta per smuoversi e questo sarà solo l’inizio di una lunga e lenta agonia, che porterà alla gioia infinita, ma anche alla disperazione più nera ed angosciante.
Dal secondo capitolo:
«Sai, tendo sempre a fare l’opposto di quello che mi dicono di fare…». Alitò all’altezza del mio collo, provocandomi un brivido lungo tutta la spina dorsale, che poi si estese ad ogni altro centimetro di pelle.
«Belli, io non…». Mi bloccai cercando di recuperare la giusta lucidità per terminare il mio monito, ma ci impiegai troppo tempo, perciò alla fine quanto dissi si rivelò solo fiato sprecato. «…io non sarò mai una di quelle barbie senza cervello che ti ostini a portare a letto per divertimento».
«E chi ti dice che io voglia concederti l’onore di finire nel mio letto?».
Genere: Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 14

Capitolo 13:  Alle sei all'angolo

L'indomani arrivai a scuola in preda - contemporaneamente - al panico assoluto e ad una felicità praticamente impossibile da controllare.
Due emozioni totalmente opposte, ma allo stesso tempo inevitabili quando la loro fonte altri non era che lui. L'unico in grado di farmi sentire la ragazza più sbagliata di questo mondo e dopo neanche un secondo l'unica degna di stargli accanto. Contrasti e opposti, niente uniformità o tinte unite, era questa la vita con Lorenzo, non c'era né bianco né nero, ed io lo sapevo bene.
La paura era dovuta al fatto che non avevo la più pallida idea di cosa aspettarmi da lui - la sera prima non aveva accennato al solito "facciamo finta di non conoscerci, comportiamoci come abbiamo sempre fatto", ma si era svolto tutto così all'improvviso e velocemente che probabilmente se n'era semplicemente dimenticato - certo, se davvero voleva riiniziare da capo come aveva detto, il frequentarci anche a scuola, davanti agli occhi di tutti, sarebbe stato un buon inizio; ma neanche io volevo mettergli fretta, perciò avrei rispettato i suoi tempi con molta pazienza se me lo avesse chiesto.
La felicità, invece, be' quella era logica, no? Dopo anni e anni passati a rincorrerlo, finalmente ero riuscita - se non a raggiungerlo - quantomeno ad avvicinarlo, sembrava tutto così surreale, impossibile; eppure la promessa che mi aveva fatto non me l'ero semplicemente immaginata.
«Buongiorno, Miss sono-più-felice-di-una-Pasqua». Apparve all'improvviso come sempre, il caro Davide, lanciando senza alcun riguardo lo zaino a terra e piazzandomisi davanti con sguardo eloquente. «Le vostre facce sembrano fatte con lo stampino, perciò se non mi racconti tutto entro tre secondi ti...».
«...ti faccio finire in infermeria col naso rotto». Lo interruppe l'altro soggetto della discussione con tutta la sua finezza - annunciando il suo arrivo - e percepii chiaramente il mio stupidissimo cuore perdere un battito, o due -  che importava?!
Non ebbi il coraggio di guardarlo, rimasi con gli occhi fissi sul banco e le dita occupate a torturarsi.
«Fatti i cazzi tuoi, Dà». Lo sentii aggiungere, per poi allontanarsi velocemente.
«Certo che siete proprio strani voi due». Brontolò Davide riavvicinandosi, quando mi voltai verso di lui vidi che Lore stava parlando allegramente con Lonta, Curcio e qualche altro ragazzo non ben identificato.
Possibile che quel giorno mi sembrasse ancora più bello? Sorridente e...bello.
Scossi la testa dandomi della sciocca. No, forse ero solo io ad essermi innamorata ancora di più. 
«Dio, amica mia! Dovresti guardarti in faccia...». La sua voce divertita attirò la mia attenzione. «Si nota tanto?». Chiesi mordendomi un labbro, con tanto di preoccupazione annessa. Non volevo fare la figura della ragazzina pateticamente innamorata dello stronzo di turno. Ma stronzo...lo era davvero?
Davide fece finta di pensarci, ma la sua risposta arrivò poco dopo, chiaro segno che ce l'aveva già pronta. «Considerando che non mi hai ancora salutato - tu che ti arrabbi quando ti saluto con un secondo di ritardo -, che da quando è entrato non fai altro che evitare il suo sguardo per chissà quale motivo e che nonostante questo ora stai morendo dalla voglia di guardarlo...direi proprio di sì».
«Oh merda». Fu il mio unico commento, prima che rifugiassi la testa sul banco, tra le braccia.
Davide ridacchiò dandomi delle amorevoli pacche sulla schiena. «Sì, "oh merda" è proprio il termine giusto».
Rimasi in quella posizione per un po', a mugugnare frasi senza senso, finché non mi decisi. «E lui com'è? Come ti sembra?».
Dav mi guardò spaventato per quella mia domanda improvvisa, dopodiché spostò lo sguardo verso Lorenzo, sguardo che io mi premurai di non seguire. «Lui è certamente più bravo di te a nascondersi, ma conoscendolo direi che non sta messo molto meglio».
Sospirai giocando nervosamente con una ciocca di capelli. Ecco la nuova vittima della mia ansia. «Non so che fare, come comportarmi...». Mi lamentai lanciando una brevissima occhiata in sua direzione. Proprio in quel momento - come se avesse una qualche specie di sentore - lui sollevò gli occhi dal cellulare e li puntò dritti a me, accompagnando il tutto con un mezzo sorriso da collasso istantaneo, che nessuno dei suoi amici sembrò notare.
Avvampai e mi riconcentrai sul mio amico, che stava parlando senza che lo ascoltassi. «Ehm, scusa, mi ero distratta. Dicevi?». Chiesi colpevole.
Davide sbuffò, ma non sembrava arrabbiato, forse comprensivo. «Dicevo...». Calcò su quella parola più del dovuto. «...che se magari mi spiegassi quello che è successo potrei darti qualche consiglio».
«Ah, non te l'ho ancora detto?».
Davide sgranò gli occhi, esasperato, ma non aggiunse altro: toccava a me parlare.

Sebbene la campana fosse suonata da un pezzo e l’insegnante fosse già bello che sistemato davanti a noi, il mio amico non si risparmiò di darmi la sua personalissima opinione su tutta la situazione.
«Certo, se ti parlasse all’improvviso sarebbe un bel colpo per i suoi amici». Si bloccò pensieroso. «Io l’avrei già fatto, ma lui è lui ed ha delle regole tutte precise e personali da rispettare prima di fare qualcosa…».
Annuii amareggiata e sbirciai di riflesso alla mia destra, solo con la coda dell’occhio, e questa volta trovai lui a fissare me. Curcio, al suo fianco, dormiva. Notai che Lore, invece, aveva l’astuccio davanti, con il suo telefono dentro, e lui lo stava ignorando per fissare me. Be’, me l’aveva detto che ogni tanto lo faceva – con discrezione – ma accertarmene era un altro conto.
Mi fece l’occhiolino ed io arrossii prontamente, rigirandomi verso la cattedra e cercando di riconcentrarmi sulla lezione. Il professore mi ammonì con lo sguardo, facendomi imbarazzare più di quanto non fossi già e poi lo spostò su Lore.
«Belli». Chiamò poi, con voce accusatoria.
Ti prego, fa che non gli dica nulla in proposito, nulla, nulla…
«Che ne dici di alzarti ancora un po’ la media con una bella interrogazione?».
Tirai un sospiro di sollievo, ma a giudicare dallo sbuffo che lasciò Lore prima di alzarsi, capii che per lui invece era una seccatura.
Be’, come biasimarlo? Nessuno era contento di essere l’interrogato di turno, nemmeno nella materia in cui era più forte…in questo caso – nel suo caso –  diritto.
«Sei pronto?». Bisbigliai quando mi passò accanto, facendo attenzione a non farmi sentire da nessuno, a parte Davide ovviamente. Lui gettò uno sguardo veloce su di me, uno sul mio compagno di banco, e poi sorrise facendo cenno di sì con la testa.
«Mori, vuoi fargli compagnia?». Aggiunse quindi il Bertocchi, facendomi imprecare mentalmente per la sua stronzaggine.
Brutto frustato che non era altro, ce la stava facendo pagare per quel misero occhiolino privo di ogni significato possibile! Ok, forse non proprio insignificante, ma…
«Preferisci un impreparato?». Mi domandò con foga, aprendo il registro alla pagina dei voti.
Da quando era diventato così stronzo?
Mi sollevai dalla sedia con stizza, tra i risolini divertiti della classe e lo raggiunsi, cercando comunque di mantenere le distanze che in circostanze comuni avremmo tenuto.
Non volevo metterlo in difficoltà con i suoi amici, dovevamo prima parlarne di persona, ma lui sorprendentemente mi afferrò per un braccio – senza farsi vedere dal Bertocchi – e mi avvicinò.
Di riflesso guardai la reazione della classe, ma nessuno parve essersene accorto, men che meno Lonta, che stava stressando la sua compagna di banco con chissà quali porcherie. Successivamente, incrociai nuovamente lo sguardo di Lore, nel quale lessi una silenziosa domanda, apprensiva. “Credi di potercela fare?”
Mi strinsi nelle spalle ed annuii debolmente.
Non era solo per me che dovevo andare bene, ma anche per lui e per dimostrare che con quello stupido progetto ce la stavamo mettendo tutta.

«Mori, sono impressionato». Commentò il professore al termine dell’interrogazione, guardandomi con ammirazione.
Cercai di sforzarmi di non girarmi verso di Lore, che mi stava accanto sfiorandomi – forse inavvertitamente – il braccio, e sorridergli apertamente. Lui era stato impeccabile, ovviamente, e se avevo fatto una bella figura anche io era stato solo merito suo.
«Vedo che vi state dando da fare con quel progetto». Proseguì con la medesima gioia. A momenti era più felice lui di me.
«Belli è un ottimo insegnante, è merito suo».
Il Bertocchi ci osservò entrambi curioso, dopodiché sorrise beffardo. «Be’, se questi sono i risultati continuate pure così». Scribacchiò un voto con decisione e mi riconsegnò il libretto dei voti con un sorriso umiliante.
Lo afferrai, a testa bassa, e mi sentii sprofondare dalla vergogna, mentre Lore ridacchiava divertito.
Quel ragazzo era incredibilmente sfacciato! Il nostro professore aveva fatto un’allusione neanche tanto velata sul nostro rapporto e lui rideva tranquillamente, come se ciò fosse una cosa normale.
Neanche controllai il voto, tornai a sedermene desiderando solo di scomparire da quell’aula.
Per fortuna la classe era nello stato di confusione totale tipico del cambio dell’ora, perciò non avevano prestato attenzione a quello scambio di battute, altrimenti avrebbero dato il via alle battutine e chi li avrebbe più fermati? Forse Lore, che li avrebbe fatti passare per degli svitati a pensare che lui potesse aver qualcosa a che fare con la sottoscritta.
Mi riscossi e Lore mi raggiunse poco dopo, incurante del fatto che non mi si era mai avvicinato così tanto se non per sfottermi, incurante di tutto.
Non capivo dove volesse arrivare. Voleva farsi scoprire? Oppure si comportava così perché sapeva che nessuno lo stava guardando?
Sollevai lo sguardo chiedendo aiuto a Davide, ma lui si defilò con una scusa chiaramente imbastita sul momento.
«Grazie». Borbottai un po’ scontrosa. Più che altro perché avrei voluto sapere le sue intenzioni, altrimenti sarei impazzita nel continuare a chiedermi cosa fare senza ricevere alcuna risposta.
Dovevamo parlare al più presto, ma quello non era il momento…e quando lo sarebbe stato?
Lui mi guardò perplesso e fece per dire qualcosa, ma proprio in quel momento quelli che erano usciti fuori rientrarono di corsa, seguiti dalla voce squillante ed irritata della Zanna, che si richiuse la porta alle spalle con un pesantissimo tonfo.
«Ne parliamo dopo». Soffiò Lore a bassissima voce, tornando a sedersi con una strana inquietudine in volto, quella che dalle otto di quella mattina non lo aveva sfiorato neanche per sbaglio.
«Quante volte vi devo dire che dovete aspettare in classe?».
Ecco, al mio nervosismo mancavano solo gli scleri della Zanna: il quadro era completo.

L’intervallo suonò esattamente due ore dopo e la classe si svuotò in brevissimo tempo, eccezion fatta per me, Davide, Lore e i suoi due inseparabili amici.
«Ehi, Lore, non vieni?». Tuonò la voce di Curcio, ormai nei pressi della porta. Lonta era al suo fianco, pronto ad uscire, mentre Lore doveva essere ancora seduto al suo posto. Probabilmente aspettava di restare solo con me.
Ci fu un attimo di silenzio, persino io e Davide smettemmo di parlare in attesa della sua risposta e alla fine…
«Arrivo».
Provai un pizzico di delusione, giusto un po’ perché mi aspettavo rimanesse.
Si sentì il rumore di una sedia strusciare e poi una folata d’aria – permeata dal suo odore – mi raggiunse in pieno viso. L’effetto fu immediato, mi paralizzai all’istante, e quando mi ripresi dal mio breve momento di incapacità mentale e fisica il terzetto aveva già abbandonato l’aula.
«Sei un caso disperato». Mormorò Davide, porgendomi un bigliettino ripiegato con cura.
Lo fissai scettica e lui mi indicò con la testa il punto in cui Lore era uscito. «Me l’ha fatto cadere in mano».
Afferrai il bigliettino titubante e lo aprii.
Ti aspetto nel corridoio del Trash.
Aggrottai le sopracciglia ancora più confusa e mi rivolsi al mio amico. «Cosa vuol dire secondo te?».
Lui sbuffò esasperato e mi sollevò per un braccio. «Vuol dire che devi alzare il tuo bellissimo sederino e raggiungerlo».
Feci per ribattere, ma lui mi spinse fuori dalla porta senza ammettere repliche. «Muoviti!».
Lo guardai in cerca di coraggio, quello che nell’ambiente scolastico mi mancava più di tutto, e, trovandolo, mi diressi a passo spedito verso il punto indicato.
Avevo il cuore a mille e continuavo a chiedermi come avrebbe fatto a liberarsi dei suoi tirapiedi e, anche in quel caso, come si sarebbe comportato se ci avessero visti insieme. Avrebbe trovato una scusa? Oppure avrebbe detto loro che mi stava importunando? Magari gli avrebbero dato man forte e…
I pensieri mi si bloccarono all’istante, senza rendermene conto ero arrivata nel corridoio deserto del Trash, e qualcuno mi aveva stretto una mano davanti alla bocca per impedirmi di urlare.
Impossibile non riconoscerne il calore, o la forma. Sorrisi.
Smisi immediatamente di fare resistenza e mi lasciai trascinare dentro senza alcuna fatica.
Quella situazione l’avevo già vissuta, in un certo senso, ma mentre le altre volte il cuore mi batteva dall’ansia, quella volta era solo mosso dalla felicità.
Solo quando avvertii la puzza nauseante del Trash giungere al mio naso mi resi conto che mi aveva liberata.
«Ti piace proprio questo posto». Dissi storcendo il naso, ma non ebbi il coraggio di guardarlo in faccia. Avevo paura di trovarci qualcosa di negativo.
«Al contrario, mi fa proprio schifo». Sentii i suoi passi calpestare quelle mille schifezze sul pavimento e poi il cigolio del tavolino di legno, lo stesso su cui mi ero rifugiata dal topo.
Mi sfuggì un sorriso.
Presi un profondo respiro e mi costrinsi a muovere lo sguardo su di lui.
Era di nuovo sereno. Il cuore mi saltò nel petto con una rinnovata violenza e poi tornò al suo posto.
«Dove sono…?». Cominciai a chiedere, ma lui liquidò la mia domanda con un gesto della mano.
«Non ha importanza». Per un secondo mi sembrò leggermente infastidito, ma un leggero sorriso gli increspò nuovamente le labbra. «Hai intenzione di stare lì a fissarmi all’infinito? Non mordo».
Accolsi il suo invito e mi avvicinai più tranquilla, pur non sedendomi accanto a lui, per chissà quale recondita paura che mi attanagliava.
 Non ebbi il tempo di arrivare al nocciolo della questione, a chiedergli del perché ci trovassimo lì, perché ci pensò lui a ridurre le distanze: con un’abile mossa mi prese dolcemente per la vita e mi sistemò al suo fianco.
Un passo per volta, mi ripetei, prima che potessi chiedermi il perché non avesse scelto le sue gambe come sistemazione.
«Allora…». Iniziò con voce piatta. «Perché fai così?».
L’azzurro dei suoi occhi mi colpì con la potenza di uno schiaffo in faccia.
«Così come?». Domandai con un filo di voce.
«Mi stai evitando da stamattina».
«Non ti sto evitando!» sbottai incredula, poi cominciai a balbettare in cerca delle parole giuste. «Ecco…io credevo che…che tu non…».
Lore scoppiò a ridere interrompendo il mio misero tentativo di parlare.
Lo fulminai all’istante e lui si mise una mano davanti alla bocca. Mi piaceva vederlo ridere, ma non potevo dire altrettanto dell’essere presa in giro.
«Dai, smettila di imbarazzarti per niente, ti metto così tanto in soggezione?».
Scossi la testa.
«No, quello che volevo dire è che…credevo che tu volessi tenerlo nascosto. Non ne abbiamo parlato ieri e io non volevo metterti in difficoltà con i tuoi amici».
Riabbassai lo sguardo e lui cominciò a giocare con le mie dita, forse neanche di proposito. Si lasciò scappare un risolino.
«Anche io credevo la stessa cosa! Sei proprio incredibile a chiederti se a me vada bene, sai? Sei tu quella che deve decidere. Insomma, mi hai visto? Che reputazione ti faresti se si venisse a sapere che frequenti uno come me? Uno che ha sempre ragazze diverse e tradisce senza pensarci due volte, ti crederebbero cornuta».
«E tu credi che a me importi del giudizio della gente dopo tutte le prese in giro che ho ricevuto in questi anni?».
«Quindi tu vuoi?». Mi chiese a bruciapelo, spingendomi a riportare gli occhi nei suoi. «Che gli altri lo sappiano». Specificò, vedendo la mia espressione confusa.
Feci spallucce. «Non è per me che cambierebbero le cose».
Lo guardai timidamente, non sapendo cosa aspettarmi come risposta, probabilmente avrebbe detto che gli serviva tempo e a me non dispiaceva più di tanto, però…
«Be’, allora non farti più problemi. Per me è ok».
Sgranai gli occhi. «Dici sul serio?». Chiesi con voce strozzata.
Lui non rispose, si limitò a sorridermi.
Il mondo si era fermato. Da qualunque prospettiva la vedessi non ci potevo credere: niente più finzione.
«Il che significa niente più prese in giro davanti agli altri…?».
Lui scosse la testa.
«E niente discorsi su quanto siano fighe le ragazze che ti sei portato a letto?»
Lo vidi chiaramente cercare di trattenere un sorriso, ma con scarsi risultati. «Assolutamente».  Poi, improvvisamente conscio di qualcosa, aggiunse: «Hai usato solo il passato ».
«Non dovevo? Credevo che…».
«Sei una paranoica assurda, Giò. Sono stato chiaro ieri, no? Ci voglio provare sul serio ».
«E perciò possiamo dire a tutti di essere amici?».
Il suo immediato silenzio e la sua espressione improvvisamente seria mi fecero temere di aver osato troppo, in fondo le prime due condizioni erano sufficienti…un passo per volta.
Feci per aggiungere qualcos’altro in proposito, per cancellare quel vuoto di parole, ma fui distratta dal suo viso, ora incredibilmente vicino al mio.
«Odio le presentazioni ufficiali, ma possiamo semplicemente comportarci con naturalezza, come faremmo fuori di qui. E se qualcuno fa domande che meritano risposta, allora gli spieghiamo come stanno le cose».
«Mi sembra giusto».
Una strana luce passò negli occhi di Lore. «Un momento…hai detto davvero amici?».
Abbassai lo sguardo. Anche io avevo pensato che la parola amici non fosse la più adatta, ma di certo non potevo dire conoscenti, e neppure fidanzati. Approfittai della situazione e decisi di lasciare la palla in mano a lui. «Sì, perché? Hai una definizione migliore per due come noi?».
«Be’, dipende da che punto di vista la vedi».
Quando sollevai la testa per ascoltare la sua tesi lo trovai incredibilmente vicino, e la voglia di baciarlo – fino a quel momento sopita – esplose in me come una tempesta. Annullai la mente e distinsi solo qualche parola, pronunciata sulla mia bocca secca. «In genere gli amici non fanno questo…».
Poi mi baciò come se fosse la cosa più naturale e giusta di questo mondo.
E, di fatto, mentre le sue labbra sfioravano le mie in quello che si dimostrò – deludentemente – un castissimo bacio, non riuscii a pensarla diversamente.
Era tutto così vivido davanti ai miei occhi…e lui stava diventando la certezza di una vita, quella che avevo cercato a lungo, sapendo inconsciamente che un giorno l’avrei trovata.
Si staccò da me subito dopo, senza alcun ulteriore indugio, ed io mi ritrovai – sorprendentemente - a bramare un contatto più profondo; per questo quando avvertii nuovamente il calore del suo respiro e la sua bocca sempre più smaniosa di raggiungere la mia, fui io a trovarla per prima, legandogli le braccia intorno al collo e lasciandomi andare ad un bacio frenetico, dove le nostre lingue si cercarono a lungo e le nostre dita si intrecciarono per la prima, vera volta insieme ai nostri cuori.
Qualche minuto dopo ero miseramente sdraiata sul legno marcio del tavolino, con lui sopra di me. La situazione mi, ci, era sfuggita di mano e quello che doveva essere un semplice bacio per sugellare silenziosamente quella nuova ed elettrizzante relazione a cui avevamo dato inizio, si era trasformato in uno sfogo per i nostri ormoni.
Ecco cosa succedeva a stare troppo tempo lontana da lui!
Lore comunque si dimostrò molto cauto in quella situazione di smarrimento totale, in cui i nostri ansiti echeggiavano in quell’angusta stanza chiusa, non osò troppo, limitandosi a qualche dolce carezza che apprezzai immensamente.
La campanella fu l’unica in grado di porre fine a quella piacevolissima tortura, ma quello che mi piacque più di tutto fu il suo sorriso. Sembrava esserselo stampato permanentemente sulle labbra, esattamente come me.
Giocai con qualche ciocca dei suoi capelli per riprendere fiato, mi sentivo le guance calde, e il cuore partito per la tangente.
Lore mi diede un impercettibile bacio all’angolo della bocca e mi aiutò ad alzarmi. Solo in quel momento, guardandomi nello specchio rotto – una volta appartenuto al bagno delle ragazze –  mi resi pienamente conto delle pietose condizioni in cui ero. Avevo i capelli scompigliati, la maglia sollevata fin sotto al seno e le labbra rosse e gonfie.
«Sembra che hai visto un mostro». Intervenne divertito alle mie spalle e allora mi girai per dirgliene quattro.
«Certo, dici così perché tu sei perfetto come al solito…non hai neanche  un capello fuori posto». Mi morsi un labbro troppo tardi per quel complimento sfuggito al mio controllo, ormai il suo ego si sarebbe gonfiato più del professore di Informatica.
«Perfetto?». Ripeté, infatti, facendo finta di non aver capito.
Allungai le mani sul suo petto per spingerlo via, ma lui rimase immobile dov’era.
«Ridillo». Disse prendendomi le mani fredde nelle sue e facendo la faccia da cucciolo bastonato. Peccato che con me non attaccasse.
Roteai gli occhi incrociando le braccia. «Che bisogno c’è? Te lo avranno detto in mille prima di me, e anche tu sai benissimo di esserlo».
«Ma a me importa che me lo dica tu».
Ok, quella risposta non me l’aspettavo. Arrossii all’istante e trovai una via di fuga, raggiungendo la porta in un batter d’occhio. Non fece nulla per fermarmi, tuttavia mantenne il mio passo finché non arrivammo in classe.
La porta era chiusa.
Cazzo!
Gli lanciai un’occhiata eloquente. Ci mancavano solo i ritardi post-intervallo, perfetto.
Lui fece spallucce e provò a tranquillizzarmi a modo suo. «Capirai, sai quante volte m’è capitato».
Busso alla porta e non attese neanche l’avanti dell’insegnante, la spalancò e mi lasciò entrare per prima.
«Belli, Mori, siete in ritardo». Disse la professoressa guardandomi delusa. Abbassai lo sguardo di riflesso, tuttavia, non ebbi molto tempo per pentirmi e darmi della scema irresponsabile per aver rovinato la mia impeccabile condotta a causa di un ragazzo, perché i sussurri sorpresi della stragrande maggioranza della classe mi fecero rendere conto della vera cazzata che avevo – avevamo – appena fatto.
Eravamo entrati insieme.
Certo, sarebbe potuto essere un caso, eppure...a nessuno sembrò passargli per la mente, dato la miriade di insinuazioni che sentii fargli.
Che fosse a causa del mio aspetto sconvolto e felice?
Quando Lore mi passò accanto, non ebbi il coraggio di guardarlo. È vero che avevamo deciso di dirlo a tutti, ma…non in quel modo. Avrebbe dovuto avere la possibilità di parlargliene con calma, per poter capire.
Scossi la testa ed udii un bisbiglio incredulo di quello che doveva essere Curcio. «Lore, che hai combinato?». Il suo tono mi sembrò vanamente speranzoso, come se volesse pensare a tutti i costi che mi avesse fatto qualcosa di male, sebbene non ci credesse veramente neanche lui.
Sentii la sedia di Lore spostarsi, accanto a quella del suo amico, mentre la professoressa ci segnava il ritardo sbuffando. «Non sono affari tuoi, Cu». Rispose infastidito. Probabilmente lui rientrava nella cerchia degli immeritevoli di spiegazioni.
Avevo appena avuto la conferma che faceva davvero sul serio e, nonostante quello che era appena successo non rientrasse nei miei piani, mi sentii felice…scioccamente felice.




Fu strano parlare con lui nei successivi cambi d’ora, così come fu snervante sentire i commenti infelici di alcuni compagni di classe, che comunque Lore gestì alla perfezione; col suo sarcasmo pungente e l’indole da leader che pareva non abbandonarlo mai.
Alla fine della giornata avevano praticamente smesso e ormai non ci dicevano più nulla.
Gli unici che sembravano veramente delusi erano i suoi due migliori amici e io mi sentii un po’ responsabile.
Nonostante non fossero il massimo della simpatia, per me, sapevo quanto fossero importanti per Lore. 
«Ehi, Belli, smettila di slinguazzare e vieni con noi». Un ragazzo di quinta era sbucato dalla porta, mentre tutti noi stavamo attendendo a modo nostro l’arrivo del professore dell’ultima lezione.
Lore lo guardò con fare ingenuo. «Slinguazzare io? Non faccio queste cose a scuola».
«No, hai ragione, infatti l’anno scorso non sei finito dal preside perché ti hanno trovato nel bagno dei professori a scopare come un coniglio con…». Lore gli lanciò un’occhiata inceneritrice e lui si coprì la bocca prima di fare il nome della ragazza, che comunque avrei voluto sentire. «Ops, scusa dolcezza, non volevo tirare in ballo vecchie storie».
Mi strinsi nelle spalle. «Temo che dovrò farci l’abitudine ».
«Che ci vuoi fare? È un coglione questo tipo qui». Indicò Lore con un ghigno e mi porse la mano. «A proposito, non credo ci siamo mai presentati. Io sono Luca».
«Giorgia». Dissi stringendola.
«Sei proprio carina, sai?».
«E tu tra non molto sei morto».
Luca parve sorpreso da quell’uscita di Lore. «Wow, che violenza».
«Allora, dove vorreste portarmi?». Chiese Lore, ignorando il commento dell’amico.
«Andiamo fuori, c’è un pallone nella pista, facciamo due tiri».
Ero tentata di intervenire e dire, al posto suo, che di lì a poco sarebbe iniziata la lezione; ma logicamente lo sapevano benissimo entrambi, solo non gliene importava.
«Ho preso una nota oggi».
«E due anni fa sette in un giorno».
Lore sorrise e poi disse: «va bene, ma non fino alla fine della lezione».
«Agli ordini, capo!».
Ci vediamo dopo. Mimò con le labbra, prima di andarsene.
Non avevo niente in contrario al fatto che mi lasciasse da sola, era libero di continuare a vivere la sua vita come voleva; quello che chiedevo era un po’ più di rispetto e serietà rispetto al nostro primo esperimento disastroso e sotto quel punto di vista ero piuttosto soddisfatta.
Stavo per andare da Davide, quando una voce alle mie spalle mi fece irrigidire. «Ehi, Mori. Puoi uscire un attimo?».
Mi voltai e vidi Lonta distogliere lo sguardo. Non era imbarazzato, ma lanciava veloci occhiate in giro come per accertarsi che nessuno ci stesse guardando.
«Sì». Dissi e sgattaiolai fuori dall’aula senza attirare l’attenzione di nessuno.
Arrivammo ad una parete del corridoio completamente vuota e Lonta si fermò di scatto. Per poco non gli andai addosso.
«Da quanto va avanti?». Chiese voltandosi, senza preoccuparsi dei convenevoli.
«Da ieri». Risposi, adeguandomi al suo ritmo.
Lui arcuò un sopracciglio scettico. «Me n’ero accorto, sai? Quelle sparizioni improvvise, un mese fa, non mi sono sfuggite e spesso l’ho anche beccato a guardarti, ma ovviamente ho fatto finta di niente. Poi sembrava esservi passata, non vi rivolgevate più la parola e lui ci è andato giù con parole pesanti quando era con noi, e oggi…oggi scopro che state insieme».
«Non stiamo insieme».
«Non ha importanza se state insieme o no. Ho usato un termine come un altro: tu gli muori dietro e lui ha perso la testa per te, direi che questo basta. Anzi, mi domando se in tutto questo tempo non l’avesse già persa…». Scandagliò la mia espressione per un po’. «So anche che vi conoscete da una vita, praticamente. Lo voci girano, ma non gli ho dato peso…».
«E, se avevi il dubbio, perché non gliel’hai mai chiesto allora?». Ebbi il coraggio di chiedere. Forse perché era la prima, vera conversazione civile che avevo con Lonta e chissà quando sarebbe ricapitata un’occasione del genere.
«Perché?». Mi chiese sarcastico, ridendo di una risata amara. «Perché se ne avesse avuto voglia me ne avrebbe parlato lui. Non credere che sia così leale con noi, eh, anzi il più delle volte ci fa capire che non gliene importa un cazzo di noi. Non ci dice mai niente di lui, passiamo tutto il tempo a dire e fare stronzate».
«Non è vero che non gliene importa. Finge. Altrimenti non darebbe tanto peso al vostro giudizio sulla nostra storia, non ve l’avrebbe tenuto nascosto».
«E allora perché informarci in questo modo? Avrei gradito che ce ne avesse parlato prima».
«Non sei così stupido come sembra, se ti sforzi di pensarci ci arrivi da solo». Vedendo il suo silenzio, aggiunsi: «È una mia personalissima opinione, eppure sono quasi convinta che l’abbia fatto perché crede di non poter avere sia me che i suoi migliori amici. Ci sono cose che non so neanche io e che aspetto di sentire…quello che so per certo è che l’altra volta ha scelto voi, questa volta me».
«È proprio un coglione». Mormorò esasperato e a quel punto non mi trattenni. «Vuoi dirmi che accetterete tutto senza battere ciglio? Senza prenderlo in giro perché sta con la secchioncina sfigata, racchia e quant’altro?». Scossi la testa. «Mi dispiace ma non ci credo».
Lo osservai stare in silenzio e per un po’ rimasi a guardarlo, in attesa di una risposta. Che comunque non arrivò. Mi allontanai decisa, ma neanche dieci passi dopo la sua voce tornò ad echeggiare per quella parte di corridoio deserta. «Puoi non crederci, se vuoi, ma per quanto testa di cazzo possa essere, è pur sempre nostro amico». Fu solo una frase mezza sussurrata, che udii appena da quella distanza, ma suonò finalmente sincera e  fui felice di sentirla e di ricredermi…perché ammetto di aver sempre pensato che quei due seguissero Lore solo per la sua fama di ribelle.
Per la prima volta realizzai di aver giudicato senza conoscere, basandomi solo su quella stupida apparenza che tanto criticavo negli altri.



L’ultima campanella suonò nella gioia generale, salutai Davide e rimasi fuori ad aspettare Lore. Non ero rimasta dentro in primis perché non volevo sembrare la ragazza appiccicosa che in realtà non ero e in secondo luogo perché Curcio e Lonta l’avevano avvicinato.
Mi poggiai contro il muro accanto alla finestra, sentendo di tanto in tanto qualche sprazzo di frase detta con voce più alta. Non passarono neanche cinque minuti che Lore uscì di un passo dall’aula. «Comincia ad andare, ci vediamo pomeriggio».
Provai a protestare, ma il suo sguardo non ammetteva repliche, perciò sospirai rassegnata. «Va bene. A più tardi».
Abbozzai un sorriso storto e mi diressi verso le scale, dove qualcuno mi afferrò per il braccio. Un giorno o l’altro me l’avrebbe staccato a furia di prenderlo con tanta forza.
Ero stretta tra le sue braccia, il suo viso vicino. «Non ti azzardare mai più ad andartene in quel modo». Ridacchiò, prendendomi un labbro tra i denti.
«Ahia». Mi lamentai, pur non avendo sentito dolore e, tuttavia, le sue labbra catturarono quel piccolo gemito andandosi a modellare con precisione alle mie.
«Tutto qui, ragazzo arrabbiato?». Chiesi mordendomi una guancia. Non era da me alludere in quel modo, ma mi era sembrato così naturale farlo che neanche ci avevo pensato. Lore, ovviamente, colse la palla al balzo. Lui, che era il mago delle allusioni e delle frasi a metà, sorrise malizioso. «Non mi provocare. Sai che non me ne importa delle punizioni in cui incapperemmo».
Poggiai le mani sul suo petto e lo allontanai. «Ma a me sì». Gli diedi un bacio sulla guancia e lo salutai con la mano, prima di scendere di corsa le scale.






Quando raggiunsi la fermata non c'era nessuno ad aspettare il pullman. Mi strinsi di più nel cappotto e mi sedetti senza neanche guardare gli orari. Osservai le cartacce per terra muoversi trascinate dal vento, rabbrividendo quando una folata di vento più gelida delle altre mi colpì in pieno viso.
Passarono due autobus, prima che la chioma bionda di Lore mi sbucasse davanti.  Si era piegato sulle ginocchia, poggiando le mani sulle mie, e mi stava guardando dritto negli occhi.
Fui lieta di vedere il sorriso sulle sue labbra e non i lineamenti duri che assumeva quando era arrabbiato. «Sei proprio sciocca, sai?». Mi disse soltanto. Il suo respiro caldo si trasmormò in nuvolette di fumo nell'aria.
«Volevo stare un po' con te, prima di andare a casa». Feci spallucce e deviai lo sguardo dal suo indagatore. Temevo che la mia frase potesse risultare troppo sentimentale e lui di certo non era tipo da regalare rose rosse per San Valentino, perciò avevo preferito nascondermi.
«Bastava che me lo dicessi. Sarei rimasto un'altra volta a parlare con quei due».
Non riuscii a nascondere la sorpresa nel sentire quelle sue parole, ma non aggiunsi altro in proposito. «Non ha importanza. Com'è andata?».
Lui si alzò, sgranchendosi le gambe e le braccia contemporaneamente. «Bene». Rispose con voce piatta e capii che per lui il discorso era finito lì. Ma non per me, così presi l'iniziativa.
«Non sono così male i tuoi amici, dopotutto». Mormorai facendomi coraggio, mentre i denti cominciavano a battere per il freddo.
Lore aggrottò le sopracciglia e si guardò intorno, alla ricerca di qualcosa che non esisteva. «Chi?». Domandò infatti.
«Lonta e Curcio. Oggi ho parlato con Gabriele e ho avuto modo di rivalutarlo». Vedendo la sua espressione interrogativa, aggiunsi: «Mentre tu eri andato via con quel Luca».
I suoi muscoli si rilassarono a poco a poco, finché non si sedette accanto a me. «Non puoi averlo rivalutato con una sola chiacchierata. Con molta probabilità è stata costruita su misura per l'occasione». 
«No...sembr...sembrava sin...sincero, fidati». Balbettai in preda al tremore, quando non riuscii più a nasconderlo.
Era la seconda volta nel giro di due giorni che mi ritrovai a tremare davanti a lui per lo stesso motivo e la cosa mi infastidiva, perché sicuramente ne avrebbe approfittato per concentrarsi su di me e concludere quella parentesi che riguardava lui.
Lore mi fissò scettico mentre mi muovevo sul posto per cercare un po' di calore. «Stai congelando, ancora». Constatò e le mie previsioni si dimostrarono esatte, così come quello che disse dopo. «Ti darei la mia giacca, se non stessi morendo di freddo anche io». Trascorse un istante e fingendosi scocciato mi passò un braccio intorno alle spalle, avvicinandomi al suo tiepido calore. «Però questo lo posso fare».
Poggiai la testa contro la sua spalla e mi lasciai cullare dal lieve movimento circolare delle sue dita, che disegnavano motivetti astratti sul mio braccio.
Era il massimo di gentilezza che potevo ricavare da lui. Poca, tutto sommato, ma ben accetta in ogni caso. Il commento successivo mi uscì spontaneo, con un sorriso nostalgico. «Sei sempre stato un po' stronzo, ora che ci penso». Lore stava guardando la strada poco trafficata davanti a noi, ed anche io stavo facendo lo stesso, perciò mi persi la sua reazione, qualunque essa fosse, dato che non disse nulla in proposito.  «Non come lo eri fino a fino a poco tempo fa, sia chiaro, ma non hai usato mai parole veramente gentili... e non solo con me, con nessuno». Sollevai appena gli occhi, ma sfortunatamente non incontrai i suoi.
«Avresti voluto?».
Scossi la testa impercettibilmente. «Mentirei se ti dicessi che ogni tanto un segno d'affetto in più mi avrebbe fatto piacere. Ma alla fine non credo ce ne fosse bisogno. A modo tuo ci sei sempre stato».
Lore fermò il gioco lento delle sue dita sulla mia pelle e lo sentii irrigidirsi. La sua espressione era contratta, qualcosa lo disturbava. «Tu invece sei proprio tutto l'opposto di me: l'apoteosi delle parole carine e dei gesti sempre appropriati. E non mi hai mai ferito, neanche per sbaglio...neanche quando me lo meritavo davvero». La sua voce suonò tranquilla, per poi assumere una nota più incrinata. «Per quanto ora sia fermamente deciso ad andare fino in fondo, io ti ho persa una volta, Giorgia. E questo non lo cambierà nessuno». 

Quella discussione venne troncata dal brusco arrivo del pullman e nessuno dei due osò riprenderla durante il tragitto verso casa. Io perché non volevo forzarlo a dirmi cose che in realtà voleva tener per se e lui perché probabilmente si era solo lasciato prendere dal momento, senza voler davvero rendermi partecipe di quei suoi pensieri così ben nascosti.
Parlammo solo di cose inutili, quasi non mi toccò e quando arrivammo nel nostro pianerottolo ci fermammo in silenzio.
«Domani pomeriggio ho un incontro». Esordì stranamente serio, come se qualcosa del discorso precedente lo tormentasse ancora. «Ti va di venire a vedermi? È da tanto che non fai il tifo per me». Verso la fine della frase, la sua voce mi sembrò addirittura speranzosa ed io ovviamente non ci pensai un secondo a rispondere. «Certo. Perché no?».
Lui sorrise. «Alle sei all'angolo della strada». Poi fece un passo, o due, in mia direzione, avvicinando la bocca ad un mio orecchio scoperto...e congelato. «È meglio essere discreti con i nostri genitori. Chi li regge più se cominciano a rompere con le loro prediche?».
Ridacchiai perché aveva ragione, ma sapevo che le paternali non erano l'unica cosa che lo preoccupava. Aveva paura che i suoi precedenti fossero giunti alle orecchie dei miei genitori e, lui non lo sapeva, lo immaginava soltanto, ma era proprio così. «Inventerò una scusa. Spero che se la bevano...».
«Sforzati di essere convincente e vedrai che non faranno obiezioni». Mi passò una ciocca di capelli umidi dietro l'orecchio e poi si staccò di scatto, come se avesse deciso che era abbastanza. «Sei in punto. Non mi piace arrivare tardi».
«È già tanto se arrivi al suono della campanella a scuola».
«E chi ha parlato di scuola?».
Lore fece per voltarsi, ma rimase immobile dov'era, con lo sguardo puntato addosso a me. Di sicuro stava pensando a qualcosa. Poi, con un movimento veloce e impercettibile le sue labbra furono sulle mie, ma solo per qualche misero secondo. Infatti, le allontanò immediatamente, per poterci sussurrare sopra. «Porta del cibo, una coperta pesante e di' ai tuoi che farai molto tardi».
Sentii la sua bocca posarsi sulla mia guancia e lo guardai attonita mentre si richiudeva la porta di casa alle spalle, lasciandomi di stucco davanti alla mia.
Un mare di domande mi affollò la mente, di cui due principali.
La prima riguardava il perché di quella richiesta.
E la seconda mi faceva porre il problema di come avrei fatto a far passare la scomparsa di una coperta pesante inosservata.
Mi serviva un piano ben architettato e una chiamata urgente a Martina…qualunque cosa potesse aiutarmi a riuscire nel mio intento. Perché di rinunciare a quella proposta così pazza, misteriosa e allo stesso tempo allettante non se ne parlava neanche.





«Dimenticati il mio aiuto e quello di chiunque altro. Nessuno sano di mente ti crederebbe...e i tuoi purtroppo lo sono». Rispose mia cugina, dopo che le ebbi spiegato il mio problema.
«Grazie mille, Marti. Sei molto d'aiuto». Brontolai delusa mentre mi passavo un asciugamano tra i capelli bagnati.
Il vivavoce del mio cellulare tuonò come in una vera e propria tempesta. «Eh, no! Non riuscirai a farmi sentire in colpa!».
Vidi il mio sorriso allo specchio. Quella frase poteva voler dire solo una cosa: stava già cedendo. Proprio come avevo previsto. «No, ti capisco...le mie qualità recitative sono alquanto discutibili, hai ragione».
«Una festa di compleanno?». Buttò lì Martina, alzando finalmente bandiera bianca.
«Non ho amici. E i miei lo sanno».
«Vai a trovare Rosaria?».
«Li avrei dovuti avvisare prima».
La sentii sbuffare sonoramente. Non le piaceva veder scartare così le sue fantastiche idee. «Ci sono! Davide ti ha invitato ad una cena per presentarti sua sorella. Che, tra l’altro, ti stima tantissimo per l'ottima media scolastica!».
Accolsi l'idea con benevolenza e cominciai a pensarci su. I miei avevano conosciuto Davide, dopotutto, e si fidavano di lui. Nell'ultimo periodo avevo cominciato ad uscire più del solito e ovviamente loro avevano cominciato a farmi domande sulle mie scappatelle. Alla fine avevo vuotato il sacco, dicendogli che avevo conosciuto un ragazzo fantastico e loro avevano voluto che glielo presentassi. Dopo qualche tempo, pochissimo a dire il vero, avevano capito che tra di noi c'era e ci poteva essere solo una grande amicizia.
«Buona idea! Anche se non ricordo neanche come si chiama...». Mi rabbuiai un attimo ripensando al motivo per cui l'avevo rimosso: Lore. Un singulto e un battito fuori posto mi fecero ricordare. «È stata con Lore». Dissi con voce strozzata.
«E mica ci devi andare davvero, è solo una copertura...anzi, è la tua occasione per far capire alle sanguisughe di chi è quel gran pezzo di figo che ti-».
«È chiaro il concetto, Marti». La interruppi a metà. «Ho bisogno dell'appoggio di Davide, però».
«E credi che non te lo darà?». La sua voce suonò terribilmente maliziosa e la risatina compiaciuta di poco dopo mi dimostrò che era proprio quello che voleva trapelasse dalle sue parole. La ignorai.
«Mi aiuterà». Dissi in un sussurro, poi mia mamma bussò insistentemente alla porta e mi congedai da Martina, stringendo bene l'accappatoio ed andando ad aprire.
«Che c'è?». Le chiesi con i capelli ancora gocciolanti.
Mia madre fissò con apprensione l'acqua che stava bagnando il suo adorato pavimento e poi si guardò intorno circospetta. Alla fine i suoi occhi incontrarono i miei ed erano glaciali, spaventati e al contempo spaventosi. «Lorenzo vuole vederti. È in salotto».
Deglutii colpita dal suo modo di fare. Aveva paura di lasciarmi da sola con lui, ma lo aveva fatto entrare.
«Muoviti». Mi esortò con un fil di voce. «Prima che torni tuo padre».
Tutto mi fu più chiaro e il suo atteggiamento acquistò un senso. Sorrisi riconoscente e feci per uscire, ma lei mi rispinse dentro con forza. «Chiudere un occhio si può fare, ma non tutti e due». Sibilò aggiustandosi gli occhiali da riposo sul naso. «Vestiti». Concluse calma, scuotendo la testa.
Annuii e lasciai  che si allontanasse in cucina, indossai un pantaloncino e una maglietta a mezze maniche prima di sgattaiolare fuori con prudenza. 
Non aveva importanza in che condizioni fossi, mio padre sarebbe arrivato da un momento all'altro e se avesse scoperto che io e Lore ci frequentavamo al di fuori del progetto scolastico lo avrebbe tartassato finché non si fosse arreso.
Lo trovai sul divano intento a giocare con il mio cuscino preferito, a forma di hamburger. Era così sereno che mi fermai per guardarlo un po' finché un mio starnuto non attirò la sua attenzione e io fui costretta ad uscire allo scoperto.
Lui balzò in piedi colto di sorpresa, ma quando mi vide rimase immobile sul posto. Rigido e teso come le corde di un violino. «È uno scherzo, vero?». Chiese fissando la scollatura della mia magliettina.
Automaticamente portai una mano sul petto per coprirmi, sebbene niente fosse veramente ai suoi occhi. Le gambe forse...eppure mi sentivo a disagio con quello sguardo penetrante addosso.
«Non c'era tempo». Balbettai a disagio. «Non ho pensato a cosa indossare e....». Continuai ad articolare parole slegate tra loro, finché Lore non mi stoppò sollevando una mano e agitandola. «Ok, va bene...ho capito». Sospirò e sembrò rilassarsi, così feci qualche passo in direzione del divano per sedermi, ma lui me lo impedì piazzandomisi davanti. «Non ho intenzione di fare in modo che tuo padre ci veda parlare qui, di questioni non scolastiche...perciò non mi tratterrò a lungo». Mi minacciò ad un palmo dal naso e aggiunse con una smorfia: «Se tua mamma sembrava sul punto di uccidermi, non oso immaginare cosa voglia farmi lui». Rabbrividì al pensiero, ma si riscosse subito. «Sarò breve: come lo sanno?».
«Papà ti ha visto». Risposi in un sussurro.  «Ogni sera con una ragazza diversa».
Lui sembrava aspettarselo, tuttavia lo vidi stringere una mano a pugno...forse per rabbia nei confronti di se stesso. «Immagino ti abbia detto di starmi alla larga». 
Annuii. «Prova a capirli, non hanno tutti i torti…hanno solo bisogno di tempo e di prove del tuo cambiamento».
Gli sfiorai un braccio per fargli capire che credevo in lui e si addolcì. «Lo sospettavo...». Sbuffò stancamente prima di cambiare argomento e io mi misi in ascolto. «Hai pensato a qualcosa per domani? So quanto sei scarsa con le bugie».
Ridacchiai. «Martina mi ha aiutata».
Lore parve infastidito dalla cosa. Lui e Martina avevano due personalità talmente forti e simili che se non si fossero visti solo una volta ogni mille anni probabilmente si sarebbero già fatti un occhio nero a vicenda.
«E posso avere l'onore di dare la mia opinione sulla sua idea geniale?».
Lo guardai storto. «Sapevi che la sorella di Davide ha un'ammirazione nei miei confronti?». Chiesi con tono serio e senza aspettare nessun cenno di assenso aggiunsi: «Be’, domani sarò a cena da lei». 
Lore strabuzzò gli occhi, sconvolto. «E da quando Carol avrebbe un’ammirazione per te?».
Una strana sensazione di disagio mi assalì nel sentire il nome di quella ragazza. Perché ricordava il suo nome? Be’, in fondo era amico di Davide, chissà quante volte sarà stato a casa sua quando c’era anche sua sorella. Magari non era stata solo una cosa passeggera, anzi, era probabile che la conoscesse più di quanto pensassi.
Quando smisi di rimuginarci su, Lore concluse un discorso che non gli avevo sentito iniziare.
«…non ti coprirà mai, anche se dice che ormai non prova più nulla per me io so che non è così, hai mai visto come mi guarda quando le passo davanti per i corridoi?».
Feci spallucce, cercando di non far trasparire i miei pensieri. «Non ha alcuna ammirazione, infatti, ma che importa? Non ho detto che deve venire a sapere di questa cosa. Davide sarà più che sufficiente».
Lore non disse nulla per una manciata di minuti. «Le ragazzine della sua età sono le più fastidiose da gestire...basta che gli dai un bacetto e ti rimangono appolipate per sempre».
«Se qualcuno non si fosse divertito tanto a loro spese....». Mi lasciai scappare. Quando me ne resi conto mi morsi un labbro, ma non riuscii a ritrattare ciò che avevo detto, in fondo sapevamo bene entrambi quanto le illudesse.
«Non mi sono divertito ad illuderle, Giorgia». Rispose un po' cupo. «Tutte quelle con cui sono stato mi piacevano. Tranne forse quelle conosciute in discoteca».
«Resta il fatto che le illudi, però. Non hai smentito». Alzai le spalle in segno di evidenza. Non era il momento per fare quel discorso, ma prima o poi lo avremmo dovuto affrontare, no? Poteva essere considerato un anticipo.
«Già, ma credevo che…». Si fermò, mi fissò per qualche secondo e poi scosse la testa. «Lasciamo stare, mi fido di te comunque».
Un colpetto di tosse ci fece voltare verso la cucina, dove mia madre stava a braccia incrociate. «Abbiamo finito, mamma».
«Tuo padre sarà qui a momenti e io non voglio avere niente a che fare con...».
«Non ti preoccupare, Laura, me ne stavo andando». Intervenne Lore con un sorriso benevolo. Mia mamma, che a Lore aveva sempre voluto bene, parve perdere un po’ di quella sua aria così tirata.
«Ciao Giorgia. Buonasera Laura». Si congedò velocemente e in due falcate era già alla porta.
«Mi dispiace, Lore. Un anno fa probabilmente saresti potuto rimanere a cena». Lo fermò mia mamma con rammarico evidente. «Cosa hai combinato in tutto questo tempo?».
Lore si fermò e senza voltarsi rispose: «Non ha importanza». Scosse la testa ed uscì senza aggiungere altro. 


Alle sei all'angolo. Questa era la frase che continuavo a ripetermi da quando ero arrivata lì, circa mezz'ora prima dell'ora stabilita, non staccando gli occhi dall'orologio nemmeno per sbaglio. Non mi piaceva essere in ritardo e Lore era stato intransigente sulla puntualità, così per evitare eventuali imprevisti ero uscita in anticipo.
«Non stiamo partendo, Giorgia». La sua voce giunse alle mie spalle, sarcastica come al solito, ma con una punta di dolcezza che avevo imparato a riconoscere.
Mi voltai sorridendo. «Ho dovuto portare questo zaino per metterci le coperte che tu mi hai chiesto». Gli feci presente fingendomi offesa.
«Scherzavo». Mi scompigliò leggermente i capelli e lo lasciai fare, solo perché era lui. «Rilassati, non è...proprio un appuntamento. Non mi aspettavo davvero che ti lasciassero venire».
«È stato facile. Si fidano di Davide».
Lore mi guardò stralunato. «Potrei essere geloso».
Arrossii e feci per incamminarmi, nascondendo l'imbarazzo. «Non vorrai fare tardi?».
Lore scosse la testa e mi passò un braccio sulle spalle. «Ovviamente no.

Trovarmi davanti alla palestra che un tempo mi aveva fatto da seconda casa fu come respirare aria nuova e allo stesso tempo familiare. Ci ero passata qualche volta, per lo più in macchina, ma mai da così vicino e l'idea di rivedere coloro che un tempo ero solita frequentare ogni giorno mi elettrizzava e intimidiva insieme.
«Saranno felici di rivederti, non ti preoccupare».
Mi riscossi dai miei pensieri e mi accorsi di esser rimasta a fissare quell'edificio come un'idiota.
«Faranno domande?». Chiesi preoccupata. Lui intrecciò le sue dita alle mie. «Non molte, quando vedranno questo».
Sorrisi per quel gesto. A quanto pare gli amici della palestra sarebbero stati i primi a vederci insieme in veste ufficiale.
L’interno era tale e quale a come l’avevo lasciato. Riconobbi lo stesso pavimento lucido e i soliti gradoni alti e scomodi su cui ero stata seduta parecchie volte. Persino l’odore di detersivo e i tre allenatori al centro della palestra non erano cambiati.
«Vuoi andare a salutarli?». Chiese Lore intercettando il mio sguardo.
«Meglio aspettare la fine dell’incontro».
Lorenzo strinse di più la mia mano. «Io dico che stai solo cercando di rimandare. Andiamo». E così dicendo mi trascinò in mezzo a quel gruppetto di persone.
«Buongiorno gente». Li salutò Lore con enfasi. Alla OS erano sempre tutti piuttosto informali e a volte erano in grado di farti sentire più a tuo agio di quanto non fossi in famiglia. Ed era proprio questo clima così confortevole che mi era mancato più di tutto.
«Lore, sei in anticipo». Michele, il maestro che seguiva Lore, si voltò allegro come sempre. Non era cambiato di una virgola, eccetto per qualche capello bianco e un paio di rughe in più. Non appena si accorse della mia presenza, assottigliò lo sguardo per scrutarmi meglio. Probabilmente voleva accertarsi che fossi io. I suoi muscoli facciali si rilassarono e, senza darmi il tempo di dire alcunché, mi abbracciò di slancio.
«Giorgia! Non ci posso credere, alla fine ti sei fatta viva!».
«Michele! Che bello rivederti. Sembra che sia passata una vita».
«Non dirlo a me, cara». Sciolse la stretta e si rivolse ad una donna in fondo alla palestra. «Cinzia, guarda un po’ chi c’è venuto a trovare!».
La donna smise di smistare una pila di carte e lo guardò confusa. Poi guardò me e scosse la testa, incredula. Cominciò ad avvicinarsi ed io le andai incontro. Quasi non mi accorsi di aver lasciato la mano di Lore quando la raggiunsi.
«Sei davvero tu. Cominciavo a credere che ti fossi dimenticata di noi».
«Come potrei? Mi siete stati più vicino di chiunque altro in quel periodo».
Fu bellissimo ritrovarsi in mezzo a tutti quei sorrisi sinceri e per quanto cercassi di non piangere mai in pubblico, una o due lacrime sfuggirono comunque al mio infallibile controllo.
«Chiedevamo sempre a Lore di te. Bene o male riuscivamo a sapere come te la stavi cavando». Disse Cinzia con un sorriso.
Di rimando, guardai Lore con la coda dell’occhio e fui ancora più felice di vederlo contendo della mia rimpatriata.
«Allora, sei qui per vedere l’incontro di Lore?». Chiese Giorgio, un uomo buono e dolce che insegnava ai ragazzi più grandi.
«Il tuo amico qui è davvero eccezionale. Siamo molto orgogliosi di lui». Intervenne Michele dandogli alcune pacche sulle spalle. Forse più forti del dovuto, perché Lore emise un gemito di dolore al termine della decima.
«Ehi, vacci piano! Non vorrai mica distruggermi prima della gara?». Si lamentò massaggiandosi la spalla. Poi spostò lo sguardo su di me. «E per la cronaca non siamo più solo amici».
Negli occhi di tutto i presenti passò la stessa, identica reazione. Ma non era stupore. «Era ora, cavolo! Vi siete fidanzati!».
«Più che fidanzati, ci stiamo frequentando». Specificai nell’imbarazzo totale.
«E che differenza fa?». Borbottò Giulia, l’unica che ancora non aveva detto niente, quella un po’ più riservata. «Resta il fatto che inciuciate».
Con un singulto di sorpresa la guardai scandalizzata, ma Michele mi impedì di dire qualunque cosa. «Dobbiamo assolutamente festeggiare dopo l’incontro!».
«Possiamo andare al Red Moon a bere qualcosa». Suggerì Giorgio, ma gli altri lo guardarono male.
«Giorgia è ancora minorenne, vero cara?»
«Io…ecco…». Balbettai non sapendo cosa dire. Mi dispiaceva spegnere la loro gioia, ma io e Lore avevamo già un impegno e io non volevo perderlo per nulla al mondo. Ci sarebbero state altre occasioni per festeggiare con la OS. Feci per parlare, ma Lore mi precedette. «A dire il vero, abbiamo già da fare».
«Oh, un appuntamento?». Chiese Cinzia sognante. «Dove la porti?».
«È una sorpresa».
«Incredibile. Giorgia ha fatto diventare Lore un ragazzo da appuntamenti romantici». Mormorò Michele seriamente sorpreso.
Lore si strinse nelle spalle. «E chi ha detto che è un appuntamento romantico?». E senza dar loro il tempo di reagire mi riprese per mano. «Andiamo Giò».
«Ci vediamo a dopo!». Urlai mentre Lore mi guidava verso l’ingresso degli spogliatoi.
«Ehi, Lore, non portarla dentro! Per quelle cose ci sono altri posti». Lo avvertì Michele ridendo.
Quando ci fermammo, lontano dalle orecchie indiscrete, mi misi a fissarlo con un sorrisetto.
«Che c’è?». Chiese preoccupato guardandosi intorno.
«Credevo non fosse un appuntamento». Dissi avvicinandomi, ricordandogli le parole che mi aveva detto prima di andare.
Lore piegò un solo angolo della bocca. «Andiamo, Giò. Siamo io e te, definirci amici è un’eresia, saremo soli. Come chiameresti questa cosa?».
«Sì, ma prima hai detto…». Provai a lamentarmi, anche se in realtà non avevo niente su cui obiettare. Lore si piegò in avanti, raggiungendo il mio viso col suo.
«Quello che ho detto prima l’ho detto per non farti venire l’ansia fin da subito». Mormorò sulle mie labbra. «Ti dispiace così tanto avere un appuntamento con il sottoscritto?».
Sorrisi e lui si aggiustò la borsa sulla spalla, allontanandosi. «A dopo».
«In bocca al lupo». Dissi, ma così piano che quelle parole si persero solamente nell’aria.
Mi voltai verso i gradoni e spostai lo sguardo su quello più in alto. Vuoto.
Sì, ero proprio tornata a casa.



«Sei stato incredibile!». Accolsi entusiasta Lore fuori dallo spogliatoio, che rimase sorpreso nel vedermi tanto euforica. «Non c'era proprio paragone, voglio dire...eri su un altro pianeta!».
Il suo stupore lasciò il posto ad uno sguardo compiaciuto. «Penso che dovresti riprendere anche tu il karate». Disse con tranquillità, come se non gli avessi fatto tutti quei complimenti. In circostanze normali si sarebbe pavoneggiato per un buon quarto d'ora, invece...
«Dovresti guardare i tuoi occhi mentre ne parli, non credo di averli mai visti così...accesi prima. E comunque ora che le cose tra di noi si stanno sistemando, non ci sono problemi, no?».
Cercai di assumere un'espressione interrogativa. «Chi ti dice che abbia lasciato il karate per te?». Chiesi incrociando le braccia al petto.
Lore sorrise . «So ancora fare due più due».
Inspirai una quantità indefinita di ossigeno, misto al profumo del bagnoschiuma usato da Lore e mi dimenticai di ribattere. Era sempre lo stesso, buonissimo odore che aveva addosso e notai anche che aveva lasciato i capelli un po’ bagnati, come faceva dopo la doccia. «Ti prenderai un accidenti fuori, vai ad asciugarteli meglio, ti aspetto». Dissi mossa dalla preoccupazione.
Lore aggrottò le sopracciglia e mi guardò in modo strano.
«Che c'è?». Gli chiesi, dopo che fu rimasto in silenzio per troppo tempo.
«Sembra di sentire mia madre». Spiegò sforzandosi di non ridere.
«Ehi! Guarda che lo dico per te, se ti ammali son cavoli tuoi. A me non potrebbe fregar di...».
«Ok, ho capito. Torno subito». Intervenne prima che iniziassi a parlare a sproposito e gliene fui grata. Prima di rientrare, però, si guardò intorno furtivo...fermando lo sguardo sugli allenatori. Tutti e tre ci voltavano le spalle. Lore si morse un labbro, come preso da un'incredibile indecisione, e senza che potessi farmi domande o tantomeno oppormi, mi tirò per un braccio dentro con lui.
Non appena realizzai dove mi trovassi, per poco non urlai. «Che fai? Non ci tengo a vedere degli sconosciuti mezzi nudi!».
Lore sbuffò. «E dai, Giò, non c'è più nessuno, non vedi?. Ti pare che ti avrei trascinata qui altrimenti?».
Mantenni lo sguardo fisso e lui capì che la mia risposta era un sì. Parve sul punto di dire qualcosa, ma qualcos'altro dovette balenargli per la mente perché sorrise malizioso. «Aspetta, hai detto sconosciuti». Constatò e, vedendomi sempre più confusa, aggiunse: «Quindi non ti dispiacerebbe vedere ragazzi conosciuti mezzi nudi».
Il modo in cui marcò sulla parola "conosciuti" mi fece rabbrividire. Un'altra occhiata d'intesa  e compresi che stava parlando di lui. «Oh...no...non intendevo dire questo».
«Stavo scherzando, Giorgia. So che l'idea di vedermi a petto nudo non ti elettrizza neanche un po'».
Aprii la bocca per parlare, ma la richiusi non trovando le parole giuste.
Sapevo che mi stava mettendo alla prova, ma ero comunque indecisa tra il ti ho già visto a petto nudo ed è stato tutto fuorché non elettrizzante e il se vuoi puoi spogliarti adesso, così controlliamo che effetto hai su di me. Alla fine non prevalse nessuna delle due, perché Lore mi riportò alla mia amata sanità mentale. Per quanto possibile. «Sarà meglio sbrigarci. Presto si accorgeranno della nostra mancanza».
Lore lasciò cadere la sua borsa, che nell'atterraggio emise uno strano tonfo sordo. La guardai incuriosita, chiedendomi cosa contenesse, e poi riportai lo sguardo su di lui, che stava andando verso gli asciugatori che fungevano da phon con passo veloce.
«C'era davvero bisogno che mi portassi qui?». Domandai un po' a disagio. Era il tipico covo maschile. L'odore del deodorante usato dai ragazzi era ancora forte e pungente.
Lore mi fece cenno di avvicinarmi e, dopo un attimo di esitazione, lo raggiunsi titubante. Con un sorriso strafottente mi lasciò l'asciugatore in mano e posizionò una delle panche di legno sotto il getto da cui sarebbe uscita l'aria calda, sedendovisi sopra.
«Son tutti tuoi». Mi esortò schiacciando il bottone con una mano, che successivamente portò sulla mia vita per avvicinarmi un po'.
Nonostante la panca fosse piuttosto bassa, Lore mi arrivava comunque al petto...altezza perfetta per concludere la mia prima - ed ultima - esperienza da parrucchiera. Scacciai l'imbarazzo per quella vicinanza inaspettata e cominciai ad asciugargli i capelli con estrema lentezza e senza una tecnica precisa.
Fu difficile concentrarsi in quella situazione, in cui le nostre gambe si incrociavano alla perfezione  e la sua mano si muoveva impercettibilmente per tutta la zona circostante la vita, tracciando disegni astratti con la punta delle dita.
Asciutti, i suoi capelli erano ancora più biondi...quasi dorati. Senza rendermene conto mi persi nella loro morbidezza e continuai il mio lavoro anche quando era ormai abbondantemente finito.
La perfetta calma di quel momento venne interrotta solo da Lore, che poggiò la testa sul mio petto e mi strinse con entrambe le braccia, avvicinandomi ancora di più. Ormai eravamo corpo contro corpo, pelle su pelle...e il suo calore, misto a quello dell'aria dell'asciugatore mi fecero rilassare, nonostante il balzo improvviso che aveva preso il mio cuore.
La Giorgia pudica lo avrebbe allontano, ma quella persa per lui non lo mosse di una virgola, anzi...«Adoro i tuoi capelli». Mi lasciai sfuggire e, nonostante il rumore fosse forte, Lore parve sentirmi comunque. 
«Stavo pensando la stessa cosa delle tue mani. Potresti fare la massaggiatrice». Disse con naturalezza, allontanandosi e spegnendo l'aggeggio che tenevo in mano con un mezzo pugno. Stese un po' i muscoli e si alzò.
«Mi ha insegnato qualcosa mio padre». Sussurrai appena, ma Lore colse ancora ogni mia parola.
«Mauro?». Chiese riprendendo il borsone da terra senza alcuno sforzo, sebbene avesse l'aria di essere pesante.
Scossi la testa. «Il mio padre naturale».
Lore mi fissò serio. La solita traccia di ilarità presente sul suo volto, in qualunque momento, era svanita del tutto. E allora compresi: lui sapeva.
Certo le mamme parlano, mi ricordai mentalmente.
«Come sta?».
Feci spallucce ed abbassai lo sguardo. «Questa settimana ci vediamo, vorrebbe che questa volta fossi io ad andare da lui e si è persino offerto di accompagnarmi alla festa di Rosaria domenica prossima».
«E...non sei contenta di rivederlo?». La voce di Lore sembrò tremare. Inchiodai gli occhi nei suoi e capii che doveva aver paura di dire qualcosa di sbagliato. Era la prima volta che mi dava quell'impressione, perciò rimasi immobile a fissarlo senza rispondergli.
«Oh, forse sono stato troppo invadente». Mormorò scompigliandosi i capelli.
Negai con un movimento leggero del capo e gli presi la mano. «Abbiamo tutta la sera per parlare». Mi alzai sulle punte e gli schioccai un bacio sulla guancia.


Fummo beccati in flagrante all'uscita dallo spogliatoio, ovviamente, ma ce la cavammo con qualche scusa. Cioè, fu Lore a parlare, usando qualche espediente -  come il fatto che avesse stravinto l'incontro - mentre io tenni gli occhi bassi, continuando a mormorare scuse imbarazzate. Ma chi ci salvò davvero fu Cinzia.
«Oh, andiamo gente. È il bello dell'essere giovani». Aveva detto con voce sognante. «Pensate, una volta mi hanno beccata con il mio ragazzo nei bagni della scuola...e non gli stavo certo asciugando i capelli». Ridacchiò come se non ci fosse nulla di cui vergognarsi e Lore la imitò, sotto gli occhi increduli miei e dei suoi colleghi.
«Sentito Giorgia? Dovremmo seguire l'esempio...».
Lo fulminai con lo sguardo e lui si zittì quasi all'istante, per poi sbuffare qualcosa sulla mia timidezza e pudicizia.
«Tienitela stretta, ragazzo, al giorno d'oggi è difficile trovarne così. La maggior parte te la sbattono in faccia al primo appuntamento...logico che poi ci caschi e alla fine ti mollano». Brontolò Giorgio. Lasciando di stucco tutti i presenti; eccetto Lore, che in quegli argomenti ci sguazzava come in acque tranquille.
Questa volta gli pestai il piede prima che potesse dare la propria opinione in proposito e lui emise un gemito di dolore, chiedendomi cosa avesse detto o fatto di male.
Alla fine, parlando più del meno, la nostra piccola infrazione del regolamento passò in secondo piano e Lore riuscì persino a farsi prestare la macchina da Michele, dicendogli che gliel'avrebbe portata quella notte stessa.
Una volta salutati, con la promessa che sarei andata a trovarli presto, ci dirigemmo alla Berlina del nostro allenatore.
«Sentiamo, da quando guidi?» Gli domandai sorpresa, una volta raggiunto quel piccolo gioiello. Mia madre non aveva mai accennato al fatto che avesse preso la patente e per di più non l'avevo mai visto guidare. Per andare a scuola prendeva sempre il pullman e di sera usciva a piedi. Mi sentii una sciocca nel pensare a quanto attentamente  avessi osservato i suoi spostamenti per tutti quegli anni.
«L'anno scorso. Diciott’anni appena compiuti». Rispose sintetico, aprendo lo sportello del lato del passeggero per farmi salire.
«Ma tu non hai la macchina». Insistei e lui roteò gli occhi scocciato.
«Hai davvero bisogno di vedere la patente per credermi?»
Sospirai entrando in quello spazio ristrettissimo e chiudendo la portiera al mio fianco con uno scatto forte. Avevo sempre il terrore di metterci troppa forza e rompere qualcosa, ma se non ne avessi usata abbastanza lo sportello sarebbe rimasto aperto e allora avrei potuto rischiare la vita.
Sempre tragica, Giorgia. Pensai rassegnata, mentre Lore prendeva il suo posto con estremo agio.
«Non è la prima volta che la guidi, vero?».
«No, esatto».
Le sue risposte fredde cominciavano a preoccuparmi. Forse gli davano fastidio tutte quelle domande?
Dopo qualche metro constatai che fosse anche piuttosto bravo a guidare e si sa che la curiosità è donna, perciò... «Hai fatto molta pratica». Cominciai con nonchalance, sperando che stavolta non lasciasse cadere nel vuoto la conversazione.
«Sentiamo, cosa vuoi sapere?». Chiese rassegnato, svoltando in una strada che mi sembrava di non avere mai visto.
Presi un gran respiro e trovai il coraggio di sollevare il mio dubbio. «La mattina vai a scuola in pullman, la sera esci a piedi. Quando guideresti?».
Lore mi guardò con la coda dell’occhio e sorrise di sbieco. «Mi osservi».
Sentii le guance scottare. «Non era volontario, ti ho visto qualche volta per caso, dalla finestra…».
«Be’, è vero, qualche volta vado a piedi, o mi vengono a prendere degli amici, ma solo quando i miei devono uscire. Altrimenti prendo l’auto di mio padre».
«E te la lascia guidare?». Chiesi sconvolta. Alessandro lasciava prendere deliberatamente la macchina a suo figlio? Quell’Alessandro?!
Lore ridacchiò sinceramente divertito. «Certo che no». Ci fu una breve pausa in cui una serie di pensieri assurdi si susseguirono nella mia testa, poi proseguì. «La prendo di nascosto, ovviamente. Ho fatto una copia delle chiavi. Un giorno mi aveva chiesto di andare a far visita alla nonna, ma sa quanto mi scocci prendere i mezzi pubblici per andare, così mi ha convinto consentendomi di andarci in macchina. È stato facile e per evitare che mi vedano faccio il giro a piedi fino al garage».
«Sei incredibile. Se un giorno ti scoprisse saresti…».
La macchina si fermò di colpo e capii che eravamo giunti a destinazione. «Non lo scoprirà».  Disse soltanto, dopodiché scese e mi fece cenno di sbrigarmi.
Lo seguii e mi guardai intorno alla ricerca di qualcosa di familiare. Niente. Mi sembrava di essere in mezzo al vuoto, poi qualcosa catturò la mia attenzione: davanti a me c’erano degli alberi più che familiari…pini e aranci. 
Ci misi un secondo a capire dove ci trovassimo, ma lui mi precedette comunque. «So che probabilmente ti eri fatta un milione di film mentali su pizzerie, ristoranti e quant’altro, ma ho pensato che come primo appuntamento     questo fosse il posto ideale».
Rimasi immobile ad osservare il verde circostante, finché una ventata fredda non mi fece rabbrividire. «Sono…».
«Delusa?». Provò a concludere la frase.
«Sorpresa». Lo corressi con un sorriso appena accennato. «Non me l’aspettavo».
«Andiamo regina delle nevi, so che stai già congelando».
Non ero mai stata in quella parte del parco, quella in fondo, da cui io e Lore da piccoli eravamo sempre stati alla larga. Si diceva ci fossero serpenti, mostri e altre idiozie simili lì; ma a quanto pare erano tutte storielle per bambini. Era separata dal resto semplicemente perché lì non c’erano giochi, né panchine su cui sedersi. Mi chiesi se Lore me lo stesse facendo attraversare solo per farmi esplorare qualcosa di nuovo, insieme, come un tempo, ma quando si fermò in mezzo al nulla, all’uscita dagli alberi e parecchio lontano dalla parte gremita di gente, compresi che era proprio lì che voleva arrivare. Mi chiese di porgergli il mio zaino e lo aiutai ad estrarne l’enorme coperta calda, quella che adoperavo in pieno dicembre. La mia scelta era stata proprio mirata.
Quella coperta la tenevo chiusa nell’armadio fino al Natale successivo e mia madre non si sarebbe mai accorta della sua assenza.
Tirammo fuori anche degli asciugamani vecchi che aveva portato lui e li stendemmo a terra alla bell’e meglio. L’erba era ancora bagnata a causa della pioggia dei giorni precedenti, ma quelli sarebbero bastati a evitare che ci infradiciassimo, e gli alberi ci riparavano dal forte vento che si stava alzando. Tutto era perfetto, persino le urla lontane dei bambini che giocavano sembravano un dettaglio fondamentale in quella circostanza.
Sorrisi nel ricordare che pochi anni prima anche io ero una di loro. Eravamo due di loro.
Era così strano essere lì con lui, nel posto che ci aveva visto crescere finché le nostre strade non si erano divise; ma alla fine quella stranezza non si rivelò essere altro che gioia mischiata ad un pizzico di nostalgia, che lasciai correre.
Quando tutto fu sistemato ci sedemmo sugli asciugamani, coprendoci con la mia coperta pesante. Eravamo uno di fronte all’altra, le gambe incrociate che si toccavano nel calore già forte che ci avviluppava.
Era un momento così dolce e delicato che non osai rompere il silenzio in cui eravamo piombati…uno di quei pochi silenzi che in realtà celavano mille parole.
«Hai fame?». Mi chiese guardando il mio zaino. A me era spettato portare il cibo, ma anche quello non era stato difficile da procurare. Avevo da parte abbastanza soldi per fare la spesa e quando mia madre era uscita per andare dalla nonna io mi ero diretta al supermercato. Ci avevo impiegato tutto il pomeriggio, ma alla fine ero stata abbastanza soddisfatta del risultato.
«No, per niente». Dissi reprimendo un brivido causato dall’aria gelida. 
«Vieni qui, dai». Lore sciolse le gambe e io mi ci misi in mezzo, con la schiena poggiata contro al suo petto. Il suo viso era piegato sul mio collo, dove si infrangeva il suo respiro. Serrai la bocca e le sue labbra bollenti si posarono sulla mia nuca, mandando brividi ovunque.
Quando i tremori per il freddo cessarono, Lore smise di lasciarmi baci su quella parte di pelle nuda e lo sentii irrigidirsi leggermente.  «Non ti ho portata qui solo per far una buona impressione. Non ho scelto questo poso a caso…l’ho fatto perché pensavo fosse giusto così».
Socchiusi gli occhi, completamente rilassata. In quel momento, mi fidavo di lui come non mi ero mai fidata di nessun altro. Non avevo paura dei suoi giri di parole…non mi avrebbe delusa, non avrebbe distrutto quella bolla di felicità in cui ci eravamo chiusi insieme. «Che intendi dire?».
Lore respirò a fondo, come se aspettasse quella domanda per poter parlare . «Sei pronta a sentire la verità?». Si fermò, non soddisfatto delle sue stesse parole. «Tutta la verità?».






Note:
Ciao carissime lettrici! So che sono passati più di due mesi dall'ultimo giorno e che vi ho fatto aspettare decisamente troppo, ma vi prego di perdonarmi!
Questa volta non ho nessuna giustificazione, mi sono semplicemente lasciata prendere dalle vacanze e, anche se il capitolo era già pronto, rimandavo sempre l'aggiornamento. Vi chiedo ancora scusa, cercherò di ridurre i tempi per i prossimi.

Per quanto riguarda il capitolo. Non mi sento di commentarlo perché non saprei proprio cosa dire...perciò lascio che siate voi a farlo! Fatemi sapere se vi è piaciuto, se è valsa la pena di aspettare e qual è stata la vostra "scena" preferita, se vi va. La mia è stata quella degli spogliatoi, che tra l'altro non era nemmeno in programma. È stato bello scriverla, così come il resto del capitolo...Giorgia e Lore finalmente sereni! Ora c'è da risolvere solo il problema con i genitori di Giorgia, che non si fidano di lui.
Vediamo cosa ne uscirà fuori e se Lore riuscirà a farli ricredere sul suo conto. Voi che dite?
In ogni caso, la storia ormai è quasi conclusa. Non saranno più di venti capitoli, forse anche di meno, ma è giuto che giunga al suo capolinea ^^ Mi mancherete moltissimo! ç_ç

Per finire, ringrazio di cuore tutte le persone che hanno commentato lo scorso capitolo e tutte quelle che hanno aggiunto la storia alle seguite, preferite e ricordate.
Scusate  se non ho risposto alle recensioni, proverò a recuperarle.

Un bacione a tutte e buone vacanze! 

Veronica

P.s: perdonate gli errori, se mi fossi messa a revisionare un'altra volta il capitolo probabilmente avrei rimandato l'aggiornamento alla fine del mese XD









   
 
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