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Autore: MeliaMalia    19/01/2007    2 recensioni
Sfoderai il migliore dei miei sorrisi saccenti, piegando le labbra in una linea ironica che invitava a prendermi a schiaffi dal mattino alla sera. Dovreste vedermi, quando sorrido così. Vi giuro che, tutte le volte che lo faccio allo specchio, ho una faccia tosta tale che mi verrebbe da prendermi a pugni da solo.
E’ un sorriso adorabile, insomma.
Perciò lo misi sfacciatamente in mostra. Quindi, con voce risoluta, con fare da gran duro, dissi: “E’ ora, signorina, che tu possa tornare ad essere ciò che sei. Ovverosia, un cadavere.”
Sono un tipo dalle frasi d’effetto, io.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO SESTO

Non so descrivere la potenza, la ferocia, l’inaudita spietatezza della creatura che mi ritrovai davanti in quel momento.
Né, tanto meno, so esprimere il mio assoluto, totale, infinito sbalordimento. Ciò che un tempo era stata Aria balzò furiosamente contro il nostro avversario, ancora prima che io avessi il tempo di pensare a fermarla. Non che sarei stato in grado di farlo, sia chiaro.
Era… era una creatura incredibile. E splendida, a suo modo.
Osservai quell’esile corpo smosso da un’energia che non avrei mai creduto possibile, la vidi volare addosso al nostro avversario.
Quel demone, quella maledetta sanguisuga in cui non avevo voluto o potuto credere: eccola lì, intenta ad attaccare un licantropo grande tre volte la sua persona, gli occhiacci neri ridotti a due pericolose fessure, i lucenti canini brillanti nella notte.
Eppure, nonostante quell’immagine agghiacciante, temetti per la sua vita. Pensai addirittura che avrei dovuto urlarle di fermarsi, di stare attenta.
Ero e sono uno stupido, lo so.
Assistere a quel combattimento, a quella lotta tra creature nate dagli albori degli incubi, fu uno spettacolo. Meritevole dell’aggettivo “raccapricciante”.
Lei lo afferrò furiosamente, mettendo in pratica una mossa di lotta libera che sinceramente non avrei mai creduto di possibile attuazione nei confronti di un uomo lupo. La vidi alzare appena il capo, spalancando le fauci, mentre lui, rabbioso, tentava di strapparsela di dosso. O di strapparle un braccio.
Mia sorella…
La mia mano scivolò tremante verso quel fedele paletto che tenevo nella tasca interna della giacca. Lo strinsi tra le dita, fino a farmi diventare le nocche bianche. Cosa volessi fare con quell’oggetto, non lo so. Ma desideravo sentire la sua consistenza nella mia mano.
Aria calò sul collo dell’avversario.
Come una bambina che si stringe affettuosamente al suo bel e scodinzolante cagnolino, la vampira affondò il viso nell’ispido pelo del mostro, mordendolo con ferocia. Sentii il rumore del sangue, del sangue del lupo che scorreva nella sua bocca, avidamente succhiato. Lo sentii con terrificante chiarezza, e quello, potete starne certi, è un suono che non dimenticherò mai, per il resto dei miei giorni.
Lui si dibatté, lottò, cercò disperatamente di sfuggire a quella ferrea presa.
Ma la mia piccola, tenera sorellina aveva un’energia apparentemente inesauribile; al secondo sorso di quell’orrida bevuta, già le mosse della bestia risultarono più lente, impacciate.
Fu questione di qualche minuto, poi il velo della morte calò sui suoi occhi, che si appannarono come finestre sporche, abbandonate.
Con un ultimo spasimo di ribellione, perse conoscenza, accasciandosi.
Aria lo lasciò cadere a terra con un verso di disprezzo. Si pulì il viso sozzo di sangue, leccandosi con fare godurioso le dita sporche di quel liquido. Io, paralizzato, non riuscii ad azzardare un movimento, né a produrre un qualsivoglia suono intelligibile.
Semplicemente, me ne stavo lì, seduto a terra, tremante, fissando quella creatura che finalmente si era rivelata, quel demone dalle fattezze di mia sorella.
E mi davo del cretino.
Eccola, la vera natura di Aria.
Non la ragazzina che si accoccolava a me nelle sere fredde, cercando conforto.
Non la piccola che aveva vezzeggiato un cucciolo di coniglio, intristendosi nell’apprendere di averlo condannato a morte certa solo toccandolo.
Non il mio dolce fiorellino, la mia fresca brezza, la mia indifesa bambolina.
Bensì, quel folle mostro. Che volse i suoi occhi neri come le tenebre verso di me, sorridendo maleficamente. La mia presa sul paletto si fece più forte.
«Ciao, Aster.» la sua voce era diversa, metallica. Retrocedetti, strisciando sull’erba, senza riuscire a distogliere lo sguardo da lei, dal suo sguardo oscuro e beffardo. «Finalmente ho l’onore di parlare con te...»
Mi raggiunse con pochi passi, con delle movenze che m’infastidirono non poco. Era una camminata morbida, la sua, dotata di una nuova… sensualità? Una cosa simile. Era come se, all’improvviso, avesse assunto una nuova consapevolezza del suo corpo, imparando a muoverlo come una gatta.
Aria non si sarebbe mai mossa così.
Si accucciò di fronte a me, senza staccarmi di dosso quegli occhiacci neri e profondi come l’oblio. «Oh, come tremi!» sussurrò, mettendo in mostra i canini con un tremendo sorriso. «Sarebbe così bello, morderti…» allungò una mano verso di me, verso il mio volto. Ma il tragitto dell’arto fu arrestato da un qualcosa che non seppi comprendere, unito ad un suo verso di protesta. Aria si portò l’altra mano alla testa, maledicendo qualcosa che inizialmente non compresi. «Non lo tocco, maledizione, non lo tocco!» strillò, picchiandosi con violenza la tempia destra. Si prese il capo con entrambe le mani, scuotendolo. I neri capelli ondeggiarono come erba scossa dal vento, mentre lei, strizzando gli occhi, mugolava dal dolore.
Mi parve d’avere di fronte una matta completa, che urlava cose inintelligibili contro se stessa.
O forse ero io, che finalmente ero impazzito.
Che bello. Abbandonarsi alla follia. Dimenticare ogni cosa. Sarebbe stato davvero splendido.
Magari era tutto un brutto sogno.
Magari dovevo smetterla di pensare sciocchezze, e preoccuparmi di lei.
«Aria?» sussurrai, ormai oltre lo sbalordimento.
Oh, Dio, era così forte l’impulso di carezzarla, di proteggerla! Anche ora, anche vedendola come l’orrido vampiro che in realtà era: volevo solo stringerla a me. E se mi avesse morso ed ucciso nel frattempo… tanto meglio.
«Non mi chiamo ARIA!» urlò lei, alzando finalmente il capo e rivolgendomi la peggiore delle occhiatacce. «Non osare mai più chiamarmi con quello sporco appellativo umano! Odio questa mocciosa, odio te, odio questa prigione di carne!» si prese nuovamente la testa tra le mani, e ancora una volta la scrollò con tale furia, da farmi addirittura ipotizzare con orrore che potesse staccarsela dal collo.
La comprensione m’illuminò solo in quel momento.
«Sei il demone… il vampiro, vero?» mormorai, basito.
Cercai di sfiorarla, di toccare quei capelli simili alle piume di un corvo. Ma lei si ritrasse, il volto deformato da una smorfia di estremo disgusto.
«Demone? Il… DEMONE? » urlò, e la sua voce fu tanto acuta, da farmi pensare che potesse raggiungere le stelle. I rumori del bosco attorno a noi tacquero, terrorizzati da quegli strilli violenti. «Questa piccola schifosa mi tiene in catene!» sbraitò, indicando il suo stesso corpo. «Mi lascia in un angolo della sua stramaledetta mente, mi zittisce quando urlo dalla fame! E’ lei, il demone! Lei!»
Era esattamente come avevo ipotizzato io: Aria sfruttava i suoi poteri per tenere a bada il vampiro in lei.
E faceva tutto ciò a livello inconscio, ne ero certo.
Dunque era questo, il potere della mia sorellina? Poter controllare una simile creatura senza nemmeno rendersene conto? Poterla nascondere in un angolo del suo cuore, dimenticando ogni informazione riguardante la sua esistenza? Poter ignorare gli strilli rabbiosi del vampiro affamato?
«Mi ha lasciata libera solo ora, come se fossi un cane! Il suo piccolo, stramaledetto cane da guardia!» strepitò furiosa la vampira, proseguendo nel suo non molto comprensibile soliloquio. Non che avvertisse il bisogno di confidarsi con me.
Credo, piuttosto, che quella fosse tutta la rabbia covata in quei mesi in cui Aria l’aveva costretta a starsene buona e zitta. Ora che aveva ottenuto il controllo, si lamentava disperata e furiosa, sbraitava e quasi tentava di farsi del male da sola. Finalmente uscita allo scoperto, strillava al mondo la sua indignazione, la rabbia di una belva costretta alla gabbia ed alla fame.
A modo suo, mi fece pena. Ma non per molto.
«Un giorno scoprirò come liberarmi di lei! Come liberarmi di te!» sbraitò, ormai fuori dalle grazie di Dio. Sempre che ci fosse mai stata.
Non seppi cosa rispondere. Anche perché, dopo queste parole, lei chiuse gli occhi, svenendomi davanti agli occhi, piombando verso terra come un peso morto.
Ovviamente, il mio istinto fu quella di afferrarla al volo, accogliendola tra le mie braccia.
Cos’altro avrei potuto fare?

***

Se c’era una cosa che terrorizzava Aria ancora più del sangue, beh, quella cosa era certamente il vedermi piangere.
Credo fosse una questione al di là della sua comprensione: il suo brillante ed orgoglioso fratellone scosso da singhiozzi ben poco dignitosi e virili? Una brutta faccenda, decisamente fuori dall’ordinario, che avrebbe potuto significare la fine del mondo, almeno suo parere.
Perché io dovevo essere il più forte, tra noi due. E se ero io, a crollare, allora significava che non vi era più speranza per nessuno.
Ma quando la vidi riaprire gli occhi, dopo averla chiamata con disperazione, dopo averla sentita gelida ed immobile tra le mia braccia, quando finalmente la scorsi rialzare le palpebre, illuminandomi con il verde smeraldo delle sue iridi… non riuscii proprio a trattenermi.
Scoppiai in singhiozzi come un bambino, stringendola a me e cullandola, quasi facendole male per la pressione delle mie braccia. Le baciai il capo, i capelli, le guance, bagnandola con le mie lacrime, abbandonandomi ad un movimento ondulatorio del tutto irrazionale.
«Aster…» mormorò confusamente lei, spaventata dal mio comportamento. «Cosa succede? Aster!» si guardò attorno, gli enormi occhi verdi spalancati all’inverosimile, ma io la costrinsi a non guardare altri che me. A non scorgere il cadavere dell’uomo lupo da lei stessa ucciso. Non so perché ebbi l’istinto a negarle quell’immagine, ma lo feci.
«Ssst…» la spinsi ad appoggiare il capo nell’incavo del mio collo, consapevole del fatto che Aria non mi avrebbe mai, mai morso.
Perché non era più la tremenda vampira che aveva massacrato il licantropo: era tornata ad essere la mia sorellina, la mia bambolina. La mia fresca, riposante brezza.
Ed io ringraziai mille ed ancora mille volte Dio per quel miracolo. Grazie, grazie. Scusami se a volte ti maledico, ma che ci vuoi fare? Grazie.
«Che succede, Aster?» lei si liberò dalla mia presa, a dir poco terrorizzata. «Il licantropo? Dov’è andato? Sei ferito? Perché piangi? Aster!»
Una lacrima di paura rotolò lungo la sua bianca guancia. Una goccia di pianto sanguineo che le insudiciò la pelle priva di imperfezioni. La pulii distrattamente, macchiando uno dei miei fazzoletti ricamati.
Ai figli dei duca è fatto obbligo avere dei fazzoletti ricamati. Cosi ripulire il sangue dal viso della sorellina vampira è una faccenda tutta più elegante, no?
«Va tutto bene» sussurrai mentre, faticando nel controllare i singhiozzi, mi beavo del suo sguardo innocente e perplesso, dei suoi modi di fare goffi ed infantili. Eccola, la mia Aria. Perderla, anche se solo per pochi minuti, era stato… come smarrire la mia stessa anima. «Il licantropo è morto. Noi stiamo bene.» riassunsi brevemente. «Non ricordi nulla?» E la osservai intensamente. Cercando tracce di ricordi, o tracce di menzogna nel suo volto. Ma non trovandole.
Lei scosse il capo, abbassando gli occhi con aria colpevole. «Devo essere svenuta dalla paura. Mi dispiace.» si scusò con un mugolio triste, che meritò una mia immediata carezza al capo.
Rialzò lo sguardo, fissandomi, ed io fissai lei. Spiai le profondità di quelle iridi verdi, sapendo che, da qualche parte in quel corpo, vi era un’entità capace di farle diventare nere. Capace di uccidere un licantropo a mani nude.
«Ora va tutto bene» la rassicurai ancora una volta, sistemandole un ciuffo di capelli dietro l’orecchio. Di solito, era mamma a badare a quelle sciocchezze: un colletto messo male, un’imperfezione da nascondere. Lei la rimetteva a posto, con l’amore di una bambina alle prese con la sua bambola.
E adesso che mamma non c’era più io, per quanto fosse inutile badare all’aspetto di una ragazzina spersa nel bosco insieme al suo stupido fratello, non potei fare a meno della rassicurante abitudine di occuparmi di lei.
«Sono così stanca…» bisbigliò, poggiandosi di colpo a me. La sostenni senza fatica. Era così leggera, delicata. «Non lo so perché, ma sono così… stanca…»
«Allora riposa.» le consigliai con voce bassa, sollevandola tra le braccia e rialzandomi da terra. Lei si sistemò meglio, rassicurata dal rifugio che la mia presa le offriva.
Io ero la sua unica difesa contro gli spauracchi del mondo; ero il guerriero in armatura brillante che avrebbe ucciso chiunque avesse attentato alla sua salute.
Non sapeva certo che, quella notte, le parti tra noi si erano invertite. Forse per sempre.
«Sono solo un peso, Aster» sospirò, ormai mollemente abbandonata, le palpebre socchiuse. «Dovresti lasciarmi da qualche parte, e vivere la tua…»
«No.» la risposta mi uscì più aggressiva del previsto. Non volevo risponderle male, ma mi ero istintivamente opposto a quell’idea con tutto me stesso, giacché la trovavo rivoltante. «Ascoltami, Aria» e le mie parole ebbero un’impronta di tale serietà, da indurla a riaprire faticosamente gli occhi, fissandomi con placida aspettativa. «Io non ti abbandonerò mai. Qualunque cosa accada. Dovessi anche sputare in faccia al padrone dell’Inferno. Tu sei mia sorella. Ti proteggerò finché avrò fiato per farlo. Hai capito?»
Aria non aveva certamente compreso tutti i sottosignificati della sentita mia affermazione, ma la gratitudine la commosse ugualmente. Gli occhi le si riempirono di lacrime, sincere lacrime di una dolce e spaventata ragazzina in balia del suo destino. Per fortuna le controllò, o avrei dovuto ripulirla ancora una volta, con fare distratto ma attento, di modo che lei non si accorgesse dell’orrido colore del suo pianto e svenisse a causa di ciò.
«Sei il miglior fratellone del mondo.» si complimentò con sincerità, facendomi provare una strana sensazione, che quasi mi spinse di nuovo verso l’orlo del pianto. Era felicità, credo. O disperazione.
Tornò ad appoggiarsi a me, ricadendo in quello stato di semiveglia cui l’eccessivo sforzo compiuto per salvarmi la vita l’aveva portata.
Osservai il cadavere del licantropo, riverso sull’erba resa umida dalla rugiada. Fissai con insistenza quel pelo ispido, quegli arti abbandonati in posizioni innaturali.
Una bestia imbattibile, che giaceva morta a causa di una ragazzina.
«E tu la migliore sorellina che ci sia» dissi, perché era giusto che lo dicessi.
Tenendola come un dolce fagottino, con le stesse braccia tremanti con cui l’avevo portata via dalla casa degli orrori ove aveva accolto in sé il germe della razza vampirica, mi allontanai da quel luogo, da quell’olezzo di morte, lasciandomi alle spalle quella radura.










Spero che i nuovi sviluppi siano di vostro gradimento. ^^
Ringrazio moltissimo voi lettori che mi avete recensita e consigliata. Spero che la storia ed il suo stile continui a piacervi. ^^
Un bacio.
   
 
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