Serie TV > Sherlock (BBC)
Ricorda la storia  |      
Autore: aria    05/07/2012    3 recensioni
Sherlock è morto da sei mesi e John non riesce a darsi pace.
John sta male, vive come un fantasma e non riesce a smettere di pensare al suo coinquilino.
E se Sherlock non fosse morto davvero?
"Lui vorrebbe solo entrare e ricominciare come se fossero passati sei giorni e non sei mesi. Vuole solo riavere la sua vita con John. Di tutto il resto non gliene frega molto. Anzi, non gliene frega proprio nulla."
Ho fatto minuscole variazioni sugli ultimissimi minuti dell'ultimo episodio della 2 stagione di Sherlock. Licenza poetica :)
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
johnlock1

Quelli che Restano







John si china lentamente, con fatica. La gamba gli fa sempre male da quando lui se ne è andato. Si siede di fronte alla lapide del suo ex coinquilino e si lascia uscire un unico, lungo, sospiro. Dolore, rassegnazione, rabbia, tristezza.

"Ciao Sherlock." Si prende una pausa prima di continuare a parlare. "Continuo a zoppicare, ma non prendertela con me. Lo so che è un dolore psicosomatico, ma fa male comunque. Anche più di prima, sai? Non posso fare a meno di questo." Alza il suo bastone e lo mostra alla fotografia sulla pietra.
"Manchi a tutti, a miss Hudson, a Mycroft, a Lestrade e persino ad Anderson. Adesso che non ci sei più si rende conto che deve lavorare il triplo per non fare casini. Ogni tanto io e Lestrade ci vediamo, chiacchieriamo, beviamo una birra. Cerca di tirarmi su il morale, ma non ci riesce granché. Manchi a me più di ogni altro. Dovevi portarmi giù di sotto con te, io per te il salto l'avrei fatto. Per te, con te. Invece hai fatto come diavolo ti pareva e mi hai lasciato qui."

Si passa una mano sugli occhi, cercando di scacciare le lacrime che gli premono agli angoli delle palpebre. Tira su col naso e si costringe a deglutire il nodo che gli chiude la gola e gli blocca la parola e l'aria. "Oggi ti ho portato un regalo."

Sorride alla foto, mentre estrae il violino e l'archetto di Sherlock e li posa di fronte a lui. "E' bello lucido vero? Lo pulisco io ogni settimana, di giovedì sera. Ho scoperto un sacco di cose che non sapevo sulla cura dei violini. Ho dovuto far spazio nella mia testa. Anche se ancora non riesco a scordare che la terra gira intorno al sole."

John resta in silenzio, le sue orecchie si riempiono delle note prodotte dalla dita di Sherlock, le stesse che suonava dopo cena, mentre lui lavava i piatti. Chiude gli occhi per concentrarsi di più sulla memoria evocativa che permette a quel violino immobile di essere vibrante.

Resta fermo per un tempo imprecisato. Forse venti minuti, forse trenta. Quando li riapre la lapide è ancora lì, lui non è nel suo comodo salotto e la realtà fa quasi più male della consapevolezza della fantasia.

Rimette lo strumento nella sua custodia in silenzio, toccandolo con delicatezza. Sherlock ci tiene a quel violino.

Si sporge in avanti e accarezza con la punta dei polpastrelli il viso statico della foto. E' a colori, ma non rende giustizia alla meraviglia dei suoi occhi o al magnifico pallore della sua pelle. Neanche gli zigomi sono belli come lo sono, erano, nella realtà. John ogni tanto si confonde tra presente e passato. Tra morto e vivo. A volte non è nemmeno sicuro che ad essere morto non sia lui stesso.

Chissà perché tutti piangono quelli che muoiono e mai nessuno che si disperi per quelli che sopravvivono. Sono quelli che restano quelli che vanno pianti, compatiti. I morti sono solo morti. I sopravvissuti invece sono costretti a trascinarsi in giro, a sentirsi lacerati, spaccati. John respira, mangia, beve, lavora. Ma dentro è morto. Arido, secco, accartocciato come un foglio che è stato bruciato.

John si sente fatto di cenere.

Si rialza piano, con ancora più dolore di prima. Guarda un'ultima volta la tomba. "Ci vediamo domenica prossima. Magari trovo qualche caso interessante di cui parlarti."


Sherlock, non la foto ma quello vero, lo guarda andare via. Segue John in ogni movimento da tre giorni, da quando, dopo sei mesi, è stato finalmente sicuro che non ci fosse alcun pericolo a tornargli vicino. Vederlo ridotto in quella maniera lo fa sentire in colpa. Quando le dita di John hanno accarezzato la sua foto, Sherlock avrebbe voluto essere al posto di quell'immagine. Si è chiesto se sarebbero state delicate come se le è immaginate. Ha un brivido lungo la schiena. E' uno dei miracoli di John, quello di fargli provare cose che non proverebbe di norma. Ma con lui niente è mai stato nella norma da quando ha traslocato nel suo appartamento.

Quando l'ha visto davanti alla sua tomba avrebbe voluto corrergli incontro e fargli capire che non l'ha mai lasciato. Non davvero, almeno. Si è trattenuto. Per paura e perché sapeva che non era il momento giusto. John ha bisogno di un posto familiare, in cui si sente a suo agio, al sicuro, per non lasciarsi travolgere completamente dal colpo che la sua riapparizione causerebbe. E il cimitero di certo non era il posto adatto. Può pazientare un altro po', Sherlock ha pazientato per dei mesi, resistendo all'impulso di tornare a casa in quella routine che non si era reso conto di amare.
 

John che prepara il caffè per sé e il tè per lui. Solo tè, perché la caffeina lo manda troppo su di giri e non ce ne è bisogno.
John che carica la lavatrice, borbottando per le macchie di sangue sulle camicie di Sherlock, che lui dovrà prelavare a mano.
John che trasale quando trova pezzi di pelle tatuata sotto formalina, in barattoli etichettati, riposti accanto alle spezie.
John che alza il volume della televisione per coprire la sua voce che ha da ridire su qualunque cosa passi in tv.
John che dice "fantastico" alle sue deduzioni facendogli sentire nel petto un moto d'orgoglio.
John che gli ha tolto i proiettili dalla pistola, perché i vicini cominciano a pensare che forse sarebbe il caso di cacciarlo dal quartiere.
John che gli sorride in quel modo alla John Watson.
John.
John.
John.


Salire le scale è diventata una fatica. Miss Hudson ha provato a suggerirgli di cambiare appartamento con le condizioni della sua gamba, ma lui si è nettamente rifiutato. Paga l'affitto pieno, anche se la donna ha provato a dirgli che non ce n'era bisogno. Ma John ci tiene, perché non vuole un altro coinquilino e non vuole essere iniquo nei confronti di Miss Hudson. Lavora il doppio, ma non gli importa, almeno quando la sera torna a casa è abbastanza sfinito da non avere il tempo materiale di pensare a quanto solitario sia quell'appartamento. E poi lavorare tanto lo fa sentire un po' meno inutile. Solo un pochino, ma è meglio di niente.

Si abbandona sul divano, lasciando che il bastone scivoli a terra e si stringe la gamba con entrambe le mani. Potrebbe tornare dalla terapista. Potrebbe prendere degli antidolorifici. Potrebbe un sacco di cose. Ma non ne farà nessuna, perché quel dolore pulsante, che non lo abbandona mai, gli ricorda che è vivo. C'è solo quello a ricordarglielo. E l'unico motivo per cui è ancora vivo è che uccidersi lentamente con i ricordi e la solitudine gli è sembrata la scelta migliore.

John ha visto molta gente morire mentre era in guerra. Davvero molta. Ma la morte di Sherlock l'ha privato di qualcosa. Gli manca qualcosa dentro, quella cosa che di solito spinge le persone a sorridere in una giornata di sole.

Allunga la mano alla sua destra e afferra un maglione di Sherlock. Se lo porta al petto, stringendoselo addosso, lasciando che le lacrime escano da sole. Non tenta neanche di fermarle, si è abituato a quelle domeniche di pianto, dopo le sue visite all'amico. Durante la settimana il lavoro occupa la maggior parte del suo tempo, ma le domeniche sono un lento stillicidio. Quel maglione John non l'ha rubato dalla stanza di Sherlock, era solamente abbandonato su una sedia della cucina. Non ci è entrato più nella sua stanza. Ha mandato Mycroft a chiudere le imposte e lui l'ha fatto senza obbiettare e senza chiedere nulla. John non ha toccato nulla delle cose di Sherlock. L'intera casa è un museo alla sua memoria. Ci si diletta e ci si distrugge. L'unica cosa che è cambiata è stata la rimozione degli esperimenti nel frigo. Ci ha pensato Lestrade un pomeriggio, facendo irruzione nell'appartamento. Era stato chiamato da Miss Hudson perché John non rispondeva e da lì veniva odore di putrefazione. Si era limitato ad annuire, lasciando che il poliziotto facesse quello che riteneva più opportuno. Lui si era rimasto seduto in poltrona nella più perfetta immobilità.

John sorride al niente. Ogni tanto gli sembra di vedere il corpo nervoso e scattante di Sherlock camminare nel salotto. Ogni tanto sente la sua voce. Adesso lo sente chiedergli di comprare il latte. Sa da quale giorno dove viene quella frase con quell'intonazione. Se lo ricorda perché stavano per prendere il tè e si erano ritrovati senza latte.
John comprerebbe tutto il latte del mondo, se solo servisse a qualcosa.


Sherlock è immobile, la mano sulla maniglia e la fronte sulla porta. Per la prima volta in vita sua non sa assolutamente come andranno le cose. E' come un'equazione fatta di variabili impazzite. Lui vorrebbe solo entrare e ricominciare come se fossero passati sei giorni e non sei mesi. Vuole solo riavere la sua vita con John. Di tutto il resto non gliene frega molto. Anzi, non gliene frega proprio nulla.
 

Sa che John non si limiterà a sorridergli. E' un'opzione altamente improbabile. Teme che reagirà in modo inaspettato come al solito. John, che è un uomo d'istinto più che di logica, reagirà secondo uno di quegli schemi emotivi che lui non è mai riuscito a capire, con suo sommo disappunto.

Sta temporeggiando.

Entra silenzioso, vedendo John rannicchiato sul divano esattamente come un tempo faceva lui. La sua schiena sussulta. Probabilmente piange. Sicuramente piange, ma lo fa in silenzio, perché è pur sempre un soldato.

Si guarda intorno, aggrottando la fronte. E' tutto come l'aveva lasciato, per un attimo ha la strana sensazione di non essersene mai andato. I fogli sono impilati esattamente come aveva fatto lui, il suo microscopio è vicino al frullatore dove l'aveva appoggiato l'ultima volta ed è sicuro che lo troverebbe calibrato per lui.
John non ha mosso uno spillo delle sue cose.

Oh, John.

Il cuore gli precipita nello stomaco. Si sente in colpa più di prima. Si sente un imbecille. Non aveva capito niente né di se stesso né di John. Ha sprecato un mucchio di tempo. Si chiede se non sia troppo tardi. Non ha la risposta. Sa solo che gli sono mancati persino i suoi rimproveri.

Si avvicina al divano, con ancora il cappotto addosso, e lo osserva un secondo, se aspetta troppo potrebbe cambiare idea. Gli stringe una spalla e lo costringe a voltarsi.


Si fissano in silenzio. Uno perché non sa cosa dovrebbe fare esattamente, l'altro perché lo shock gli ha paralizzato il cervello. John riprende a respirare. Dopo la sorpresa sente montare la rabbia.

"Tu sei morto." Lo sibila tra i denti, la rabbia che non gli permette di articolare le mandibole come dovrebbe.

"Mi permetto di dissentire. Sono vivo. E' una deduzione abbastanza ovvia anche per te John." Ha il dubbio di aver detto la cosa sbagliata quando lo sguardo del dottore si fa d'acciaio, gli occhi si socchiudono e lui scatta in piedi fronteggiandolo. Sherlock è più alto, ma si sente un ragazzino di fronte a quella furia. Sa perfettamente di aver detto qualcosa che non va quando il pugno di John gli arriva in piena faccia.

Cartilagine che scricchiola, cede, si rompe. Sangue in bocca. John gli ha appena rotto il naso.


Sherlock arretra sotto il colpo, ma non reagisce. Sa di esserselo meritato.

John lo guarda, le mani a coppa intorno al naso, e riesce a ripetersi solo una cosa: è vivo. Vivo. Vivo. Lo guarda imbambolato dalla situazione e dalla sua reazione. Non sa bene cosa fare, con ancora la scarica di adrenalina che gli circola in corpo. Per cui fa l'unica cosa che gli riesce bene anche con il cervello che non funziona a dovere. Fa il medico.
Si siede accanto a lui sul divano e gli toglie la mano da volto. Si è raddrizzato il naso da solo. Bene, ma gli verranno comunque due begli occhi neri. Gli passa il sacchetto del ghiaccio avvolto in un panno pulito e lo guarda mentre se lo preme sul naso.

"Fa male?"

"Ovviamente."


"Sono contento."


"Sei un medico, il sadismo non è nelle tue corde."


"Stai zitto."

Sherlock tace. Sa che John è arrabbiato con lui, ma spera che il fatto che sia seduto accanto a lui  e che gli abbia appena passato del ghiaccio, siano un buon segno. Deve esserlo. Le persone che non vogliono davvero avere niente a che fare con te, non ti accudiscono. Ma John è una variabile impazzita. La sua variabile impazzita. Prova a farsi avanti timidamente.
"Allora..."

"Stai zitto." John non sa cosa fare. Quello che ha desiderato per mesi, quello per cui ha implorato, pregato, sperato, ora sta premendosi un impacco freddo sulla faccia. Si infila le mani nei capelli tirando le ciocche come se volesse strapparle via. Come se potesse strappar via anche il cranio, i pensieri, i ricordi, fino a non lasciare più niente. "Hai fatto credere a tutti che tu fossi morto."

"Mi dispiace."

"Hai fatto credere
a me che tu fossi morto."

Sente il tono d'accusa nelle parole di John, ma non ha il coraggio di guardarlo in faccia. "Mi dispiace."

"Dimmi perché. Dimmi perché l'hai fatto."

"Volevo proteggerti."

John sente una parte della rabbia svanire, sostituita dal calore di averlo di nuovo lì. Vorrebbe perdonarlo immediatamente, ma non può perché il cuore gli fa ancora male come se ci avessero infilato un ferro arroventato nel centro. "Perché sei tornato? Perché ora?"

"Ho aspettato per essere certo che tu fossi al sicuro. Non potevo pensare di rivivere quel terrore un'altra volta. Avrei dovuto rendermene conto dopo la piscina e prima di quel tetto."

"Non hai risposto. Perché sei tornato?"

"Perché non sopportavo di non tornare."

"Chi altro sa che sei vivo?"

"Solo tu."

John si sente lusingato. Prima di chiunque altro, persino del fratello. Non riesce a reprimere un sorrisetto, ma non importa, tanto Sherlock non lo vede. Ha ancora la testa reclinata all'indietro sulla spalliera e gli occhi socchiusi.
"Capisco."

John mormora, ma l'altro sente il cambio di intonazione. Da rabbioso e guardingo a tranquillo. Potrebbe giurare di aver colto una nota di compiacimento. Sempre senza guardarlo allunga la mano sinistra verso di lui. La tiene a mezz'aria, aperta, il palmo verso l'alto come quando chiedeva a John di passargli qualcosa. Il dottore la guarda senza capire. Non sa cosa vuole. Non avendo niente da passargli, gli riempie la mano con la sua. Ha fatto la mossa giusta. Sherlock gli intrappola le dita con le sue e finalmente si volta verso di lui.

John non resiste. Non credeva che avrebbe mai rivisto quelle pozze blu in cui perdersi. Accorcia la distanza tra loro e gli si preme addosso. Non va a nessuno dei due di parlare, a qual punto sarebbe superfluo. Non sa bene come muoversi, perchè non sa bene come ci si comporta con gli uomini, ma soprattutto non sa bene come comportarsi con Sherlock. Così si limita ad accarezzargli la mano col pollice, in un movimento circolare, cercando di mantenerlo costante.

Se John si sente confuso, lui lo è dieci volte di più. Non ha esperienza con quella sfera della vita umana, specialmente quando sono coinvolte anche le emozioni. Così si limita a stringergli più forte le dita. Non ti lascerò mai più, John.




Fine





Non ci credo che sono arrivata fino in fondo. E' la prima volta che scrivo su questo pairing, ma davvero non potevo più resistere. Quei due sono oltre il bromance.
Ero molto tentata di renderla una rating rosso, ma poi mi sono resa conto che andava bene così, che si capiva comunque che quei due sono più di semplici amici. O almeno spero che si sia capito.
Fatemi sapere che ne pensate.
Baci,
Aria
Per qualsiasi cosa, mi trovate QUI
   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: aria