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Autore: Enavy    05/07/2012    3 recensioni
Chi non ha mai sognato di essere un eroe, elogiato e rispettato fino allo sfinimento. Eppure di eroi non ce ne sono molti, forse perché esserlo comporta molta più fatica e dedizione di quanto se ne possa immaginare.
Il contrasto tra una vita votata agl'altri e una individuale. Due tipi di amore: uno per la patria e uno per un uomo. Tra risposte non date, questioni irrisolte e sentimenti troppo fragili e paurosi da poter essere esternati. E poi una domanda, che può incrinare lo scudo di perfezione che riveste Steve Rogers, e il narcisistico egoismo di Tony Stark.
Dedicata a Chiaky, come promesso :)
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rettangolino della montanara xD ebbene sì eccomi di nuovo qui dopo un paio di secvoli ma gli impegni sono stati molti e io riparto domani per la montagna (faccio da animatrice a dei marmocchi/pesti di quinta elementare xD, potrei non sopravvivere o venirne fuori intatta)....vi dovrò abbandonare ancora "CHE SOLLIEVO"...ok voce fastidiosa taci tutti mi lovvano "-____-" stai diventando una bimbaminchia", vaaaaa bene scherzo chi mi vuole bene chi non mi vuole eh pazienza D: soffrirò in silenzio!!! comunque devo comcludere perché devo avviarmi al supermegaultra suopermercato a fare una spesa colossare dsa portare via domani e da sbvranare durante la settimana all'insaputa dei piccoloi pargoli muahahhahahaha poveri ingenui!!!
Parliamo di questo polentone xD scoperta la mia inettitudine per il comico (per chi segue le mie raccolte traaaaanquilli andrò avanti a scrivere e continuare anche quelle abbiate pazienza TORNERO' come dico sempre ai miei quando esco ahahaha)! Il mio genere è quello drammatico, malinconico, psicologico, analitico, pseudodepresso *corrono via tutti a sentire queste parole*.."sembri una psicotica"...oook ok ricomponiamoci!!! io adoro il genere angst e tutto quello che comporta, mi piace e mi trovo molto più a mio agio a scrivere su tematiche conflittuali che su altro xD quindi eccomi quì a proporvi due Steve e Tony un po' complessati :D leggete e scoprirete come xD no dai seriamente volevo dare una visione più umana alla coppia, inserendo quelli che secondo me possono essere i problemi che incorrono in un eroe, le catene e i pesi che porta e nessuno ha la possibilità di vedere, il tutto mischiato a quel rapporto di amore che lega i nostri eroi. Spero vivamente di averli mantenuti IC, quindi ora vi saluto, spero vivamente che riusciate ad arrivare fino alla fine :D grazie dell'attenzione e a tutti quelli che gentilmente o per pietà o opera misericordiosa commenterano questo obrobriotesto XD qualsiasi critica è ben accetta anzi molto ben accetta! Buona lettura soprattuto a te Chiaky che mi hai convinto a scriverlo :) spero che te gusti!! e grazie a Lusty che mi sprona sempre a pubblicare anche se con metodi poco ortodossi ;D






The Edge of War


 


          Era un’angoscia inconfessabile quella che provava da giorni, un sentimento che lo consumava privandolo del sonno. Gl’occhi apparivano stanchi, ma solo a chi sapeva osservare perché un soldato doveva sempre possedere forze necessarie per poter affrontare qualsiasi imprevisto.
          Eppure gl’incubi lo facevano sentire vulnerabile, come se il suo scudo non riuscisse più a proteggerlo dai proiettili che la vita sparava incessantemente contro di lui, cercando di disarmarlo, e farlo sentire più umano.
          I tuoni rombavano e schiarivano la luce nera della notte. Le stelle scomparivano risucchiate nei vapori e nelle illuminazioni della città che ne impedivano la vista. L’acqua scendeva, ma l’unico cosa che realmente udiva erano i boati, mentre le gocce picchiettavano sui vetri puliti. Il palmo premuto contro la finestra fredda, che si appannava, e la lieve lineatura di quella mano così possente, ma un tempo anche fragile.
          Un supersoldato ecco come era considerato, un uomo sopra gl’altri, ineguagliabile, incrollabile. Lui però non la pensava nello stesso modo, non più.
          Soffriva di insonnia da qualche tempo, si era opposto categoricamente di prendere sonniferi, qualsiasi cosa potesse oscurare o compromettere i suoi sensi o alterare la sua naturale fisiologia, lo metteva a disagio e non rientrava nel suo carattere, propenso al controllo totale del suo corpo.
          Il mondo stava cambiando velocemente, non lo vedeva soltanto riflesso nelle iridi dei suoi compagni, come anche in quelle della gente, ma sentiva questa mutazione sfiorarlo senza colpirlo. Per quanto le trasformazioni si verificassero nelle cose e nelle persone a lui più vicine, il Capitano rimaneva sempre lo stesso. E come sempre faceva quando qualcosa lo turbava, ecco che prendeva la sua sacca e si dirigeva nella palestra di fronte al suo appartamento.
          Il proprietario gli aveva dato una copia delle chiavi, si fidava di lui come tutti del resto, e avere Capitan America che si allenava nella sua proprietà gli garantiva un certo numero di clienti e frequentatori del luogo, c’era solo da guadagnarci.
          Chiuse la porta dietro di sé evitando di produrre rumori molesti che avrebbero potuto infastidire i vicini. Il suo appartamento si trovava in un vecchio edificio, Stark lo aveva pure preso in giro per questa sua scelta così "d'epoca". Le porte cigolavano ed essendo molto pesanti quando venivano serrate producevano rumori molto forti. Steve aveva così imparato a stare molto attento, ogni suo movimento calcolato e dosato era compiuto a regola d'arte.
          Le scale scricchiolavano ogni volta che il suo piede toccava le assi. Arrivato nella strada si tirò su il cappuccio e gettatosi sulla via con la pioggia che lo colpiva, giunse finalmente alla palestra.
          I Vendicatori, lui primo fra tutti, erano un gruppo unito, persone speciali, uniche e con capacità fuori dal comune, ma tutti animati da un senso patriottico di conservazione. Li osservava quando si incontravano, erano pieni di energia, ognuno con la propria vita, i propri problemi.
          Un semi Dio con un fratello alquanto irato e pieno di rancore che aspirava vendetta, una coppia di spie dal passato freddo e burrascoso, e uno scienziato, la cui brama di conoscenza, a causa di un errore, lo aveva portato a diventare un mostro. E poi c’era Tony, azzardato e pieno di sé il più incontrollato del gruppo, ma anche quello con più risorse. Gli ricordava le sue origini, Howard e il suo passato, quello che aveva perso, e quel buco nero pece nella sua vita che mai avrebbe potuto recuperare.
          Era un uomo, non il bimbo che Rogers avrebbe dovuto vedere crescere, e forse secondo Howard proteggere. Non ci sarebbe dovuto essere un letto tra loro, ma una culla, e Steve si sarebbe fermato a fissarlo, intimorito dalla piccola creatura, la migliore che il signor Stark avesse mai potuto creare.
          Continuava a pensare al suo ruolo nella vita di Tony, o almeno quello che avrebbe dovuto avere se non fosse stato congelato per settant’anni. I baci che Tony riceveva da Steve sulla fronte non sarebbero stati teneri e dolci per una questione passionale, ma solo quelli di un probabile zio acquisito, che voleva far sentire protetto il piccolo genietto. Probabilmente lo avrebbe visto crescere, fare i primi passi, avuto un ruolo nell’istruzione del bambino, fornendolo di consigli e sostenendolo come Howard non avrebbe, e non aveva, fatto.
          Le cose sarebbero andate diversamente, e molto probabilmente lui non si sarebbe innamorato di Stark, la cosa sarebbe stata alquanto ambigua e improbabile. In qualunque modo non voleva che tutto scomparisse come era successo settant’anni prima, quel senso di smarrimento e di vuoto, non era pronto a sopportarlo ancora.
          Tony si era intrufolato nella sua vita, come uomo e come Iron Man, violando i suoi sentimenti, ricercando un affetto che sconvolgeva entrambi dal profondo, una passione crescente e incontrollabile. La loro relazione era un evento segreto, e per ora doveva rimanere tale. I loro incontri, e gli sguardi innocenti e provocatori, i sospiri e quelle dimostrazioni di affetto che apparivano del tutto non calcolate, come due palmi che si sfiorano sotto gl’occhi di tutti, mentre i loro volti erano rivolti in due direzioni differenti.
          Era una sfida, una costante sfida alla quale non potevano sottrarsi, troppe cose dovevano essere sistemate prima di poter apparire alla luce del sole come coppia, e la cosa li spaventava entrambi. Stark così abituato alla sua immagine, a quei cliché che lui a dispetto di altri poteva permettersi, una figura che molti avrebbero voluto impersonare. E Rogers con il suo carattere conservatore, silente spettatore degli eventi, l’uomo della patria che tutti non potevano che amare e rispettare, rappresentate del vero americano. Sarebbe stato uno scandalo.
          Non appena gl’occhi stanchi si afflosciavano, il perturbante rullo dei tamburi, lo schiamazzo di voci amiche e nemiche, il ripetersi perpetuo dei medesimi ricordi riguardanti la guerra nei suoi sogni, riemergevano continuando a perseguitarlo. Inoltre il battito di Tony, protetto da quel pezzo di metallo che emanava quella luce azzurra, componeva una melodia che assomigliava al suono delle bombe, che esplodevano devastanti durante le battaglie a cui Rogers aveva partecipato.
          Il Capitano lo aveva intuito pur non accettandolo, che l’intera vita di ognuno fosse un guerra aperta, senza una vera conclusione, se non la morte.
          I colpi erano trattenuti, e conteneva una potente rabbia per non apparire fragile e irascibile. Il peso dei muscoli artificiali fatti da uomini che tentavano di superare Dio, per dare alla vita una macchina umana, capitava che sembrassero un peso troppo grande da sostenere.
          La guerra. Era solo la brama di un popolo egoista e sfacciato ad aver determinato il suo destino. Era chiamato eroe, paladino, combattente, giustiziere, guerriero instancabile e leader fiero e capace. Eppure anche quando sembrava che regnasse la pace, dietro l’angolo più remoto e lontano, una nuova minaccia si svegliava dal suo letargo, o nasceva come contrasto ineluttabile di un futuro fatto di sangue.
          I suoi compagni lo prendevano come esempio, una figura da emulare e a cui dare ascolto, come un saggio che conosce ogni cosa, ma lui era solo un soldato. Si era guadagnato il titolo di capitano, ma a volte era gravoso il suo compito, e non credeva di meritare una tale onorificenza per un lavoro, che a volte risultava secondo lui mediocre.
          Rifugiatosi in quell’angolo della palestra, assordato dai colpi che dava al sacco, non si accorse dell’uomo che lo osservava da lontano, come un tempo aveva fatto Fury, ma con uno sguardo e uno scopo molto diversi.
          «Che cosa ci fai qui a quest'ora della notte?», chiese con fare curioso.
          «Potrei farti la stessa identica domanda Stark, considerato che qui siamo a tre metri da casa mia e tu abiti dall'altra parte della città». Distaccato. Doveva apparire distaccato. Certo si era sorpreso a vederlo lì, ma inizialmente gli era sembrata una visione, come quelle che si hanno nel deserto a causa della fame e della sete.
          «Stavo facendo un giro da queste parti, ho visto la luce accesa e ho pensato di farti un salutino». Il suo era un sorriso fatto apposta per infastidire e incrinare quel volto freddo e tremendamente sudato, senza però riuscirci, Rogers infatti non si scompose.
          «Certo Stark vallo a raccontare a qualcun'altro ». Altri due colpi e l’apparente visione si fece più nitida e vera. Impassibile, sì impassibile. Steve se lo ripeteva, come una cantilena fastidiosa e insidiosa che chiunque avrebbe cercato di eliminare. No lui doveva mantenere un tono fermo, distaccato e impassibile, e doveva convincersene.
          «Sai è la quinta volta in due settimane che passo in questo quartiere, e ti trovo sempre quì a ogni ora del giorno, e della notte». Gli si avvicinò, il fiato quasi sospeso mentre ricercava gl'occhi dell’uomo. La scia di acqua che scendeva dai capelli arruffati e bagnati a causa della pioggia stava formando una piccola pozza ai suoi piedi.
          «Capitano cosa c'é che ti turba?».
          Capitano, quando lo chiamava in quel modo, così serio, con quel tono quasi preoccupato, che un tempo aveva sciolto la corazza che Rogers si portava addosso da sempre, lo turbava quel tanto che gli serviva per farlo ritornare coi piedi per terra.
          Fece un grosso respiro, Steve odiava doversi confrontare con Stark, da quando si erano conosciuti era continuamente soggetto al suo giudizio, quindi evitava il più possibile di farlo. Si passò una mano tra i capelli, scostandoli e massaggiandosi la nuca per diminuire la tensione che quella discussione riscuoteva in lui.
          «E tu perché sei entrato da quella porta solo ora? » lo punzecchiò Steve nel tentativo di far vertere la discussione su qualcosa che non lo riguardasse.
          «Dicono che la sesta sia quella giusta», confessò arricciando le labbra con fare dispettoso. Aveva sempre la risposta pronta, ma per una volta l'uomo davanti a lui avrebbe voluto strappargli la verità, non quella mascherata da quel manto di ironia, quella che caratterizzava ogni singola affermazione di un egocentrico, troppo concentrato su di sé da non capire il bisogno di sentire una reale risposta esauriente.
          Steve era confuso. Non vedeva il miliardario dalla sua ultima visita alla Stark Tower circa un mese prima. Il motivo della visita non se lo ricordava neppure, forse una semplice voglia di rivedere un volto che era ormai diventato familiare.
          Rimaneva un mistero cosa avesse scatenato nel Capitano il coraggio e il bisogno di esternare i suoi dubbi, di credere che il suo presunto amante avesse la soluzione all'esorbitante numero di quesiti che fermentavano come lievito nella sua mente da quando il loro rapporto era mutato, trasformandosi in un'enorme matassa di fili scollegati. Le scosse e il ramificarsi di problemi e sensi di colpa, di ferite lievi ma brucianti, di comportamenti scostanti e ambigui, di sguardi e sotterfugi per poter stare insieme e lontani. Tutto ciò che concerneva a una normale relazione con loro due diventava incasinata, forse perché entrambi non sapevano come gestirla.
          Una domanda, una sola era riuscita ad incrinare quello che già pendeva inverosimilmente verso terra: «Cosa siamo noi due per te Tony? ». Il solo fatto che Rogers lo avesse chiamato per nome era un avvenimento, egli preferiva infatti mantenere una certa distanza, professionale si potrebbe chiamare, ma in quel momento a causa della portata di quell’interrogativo non poteva.
          Non gli aveva chiesto se lo amava, no sarebbe stato troppo imbarazzante, e poi non era da loro avere atteggiamenti mielosi, al limite della commedia romantica. No preferivano la praticità di un contatto fisico, tante parole avrebbero solo rovinato l'attimo e l'alchimia che tra loro appariva così ferma e inscindibile.
          «Se stai avendo una crisi di identità dimmelo subito che vado a cambiare il tuo regalo di Natale. Già direi che procurarti una camicia da notte sarebbe più appropriato per un'eventuale Signora Rogers».
          Non si smentiva mai, la serietà non esisteva né nel suo vocabolario, né nel suo modo di porsi e comportarsi, e il più delle volte la cosa risultava alquanto nervosa e stressante per chi lo frequentava.
          Aveva incrociato i suoi occhi, osservato le sue pupille nere rimanere fisse su di lui. Si arrese, non avrebbe trovato soluzione a quel suo quesito, ogni volta era la stessa storia, se si iniziava a parlare di loro due in modo serio Tony cercava di evadere, di direzionare il discorso verso qualcos'altro.
          La sua risposta non era arrivata, ma solo un lungo e muto silenzio che sembrava far sentire quei minuti lunghi eterni. E poi erano stati interrotti da una chiamata urgente e Stark se ne era dovuto andare. Liquidato così, il Capitano non si era più fatto vivo, nessuna chiamata o messaggi per un mese, fino ad ora, che di persona si era presentato davanti all'imputato. Steve non si era isolato perché si sentisse offeso dall’atteggiamento di Stark, non era così infantile, semplicemente aveva bisogno di tempo per meditare, e dimenticare questa storia.

"Soprassediamo alla conversazione avuta un mese fa, vuoi fare finta che niente sia successo? Va bene farò lo stesso anche io"

          «Sei leggermente masochista lo sai? Toglierti preziose ore di riposo per tonificare i muscoli è decisamente, come dirlo in modo carino: STUPIDO e INSENSATO». Insinuò pur sapendo perfettamente che il Capitano era famoso per questi suoi allenamenti notturni che sostituivano un sano riposo fisico e mentale.
          «C'é chi usa palline antistress come te e chi un sacco da prendere a pugni. Cosa vuoi Stark?» tagliò corto Rogers sicuro che iniziare certi discorsi con quell'uomo avrebbe segnato l'inizio di un'interminabile scambio di battute che non avrebbe portato a nulla.
          «Parlare. Solo e semplicemente parlare, discutere a quattrocchi come persone adulte e mature, invece di evitarci». Si avvicinò al sacco che Steve aveva smesso di colpire come un assennato e lo strinse a sé, lasciando che il capo si poggiasse sul tessuto rosso.
          «Tu mi hai evitato, io il mio l'ho fatto». Scocciato lo era per principio, e cercava di dimostrarlo evadendo dallo sguardo di Tony che ricercava il suo assenso per poter proseguire nell'impresa di comunicare in modo civile.
          «E infatti eccomi qui davanti a te, con una proposta di rappacificamento».
          Faceva male sentire quelle parole, forse perché il Capitano dentro di sé si era ormai rassegnato a quella totale indecisione e imprecisione di un rapporto nato sotto le armi. Fianco a fianco, spalla contro spalla, uno che proteggeva l'altro e viceversa, un tacito accordo di aiuto reciproco che si era trasformato in qualcosa che nessuno dei due poteva quantizzare o identificare pienamente.
          «Vuoi dunque rispondere alla mia domanda?». Il tono chiaro e sommesso, si mischiava con quel retrogusto amaro di riproporre una domanda che presupponeva la risoluzione di una questione che li aveva sempre trovati in conflitto tra loro e con se stessi. La stessa che li aveva tenuti divisi per alcune settimane.
          Steve, in parte non era convinto di voler sentire la voce di Tony esalare parole che avrebbero potuto ferirlo, facendo riaffiorare timori e paure, che in quel periodo erano diventate solo un vago vapore indefinito, senza sostanza. In fondo temeva quel confronto più di qualsiasi altra guerra a cui avesse mai preso parte. Era qualcosa di più intimo, troppo persino per lui, ma doveva affrontare anche questo, combattere se era necessario in nome delle sue convinzioni.
          Alzò gl'occhi specchiandosi nelle iridi opache di Tony che appariva trasandato e stanco, le occhiaie poco appariscenti nascoste dall'ombra delle palpebre.
          «Siamo Steve Rogers» disse indicando con l'indice il Capitano. «E Antony Stark», finì la frase portandosi la mano al petto, coprendo la luce che lo teneva in vita.
          Steve sorrise, non sapeva neppure lui il motivo di quel gesto involontario. La spontaneità e l'innocenza con cui l'uomo aveva detto quella frase lo lasciavano spiazzato. Era un'ovvietà quella che aveva appena espresso, eppure tanto scontata da cadere nell'insignificante. Ognuno di loro era diverso, profondamente diverso, caratteri e comportamenti quasi opposti, e il più delle volte opinioni contrastanti. Eppure ormai non si poteva pensare a uno dei due senza finire col parlare anche dell'altro.
          I giornali li immortalavano insieme in decine di copertine, specialmente Stark che amava essere al centro dell'attenzione, e in un modo o nell'altro ci riusciva. Era un genio e essere un'attrazione per lui risultava tanto facile quanto spontaneo. A Rogers capitava frequentemente mentre prendeva un quotidiano, nel giornalaio sotto casa sua, di intravedere riviste che lo riguardavano, la più famosa era lo "Stark Magazine”, per la quale anche Rogers era stato intervistato.
          L'espressione dolce e serena che mostravano le labbra distese e morbide, sotto la ruvida barba mora di Tony, rasserenavano solo in parte il Capitano.
          Si fissarono in silenzio per vari minuti prima che uno dei due iniziasse a rompere quell'imbarazzante attesa.
          «Almeno credo che tu sia il mio Rogie, con quella faccia da pesce lesso, pure bastonato, potrei prenderti per un cosplay sfegatato decisamente fuori di testa».
          C'erano volte in cui le battutine fatte da Stark pur essendo inappropriate per il contesto riuscissero a smorzare un'atmosfera tesa, ecco questa era una di quelle volte. Le labbra arricciate di Rogers e la sopracciglia inarcata mostravano tutto il suo disappunto verso quest'ultima ironica insinuazione, perché lui doveva sempre dimostrarsi superiore e non cadere in certe provocazioni.
           «Dovresti rilassarti un pochino Rogers», fece sbattendo ripetutamente le palpebre.
           «E tu dovresti prendere le cose più seriamente».
           «Alla gente, però, non piace stare con delle sottospecie di manichini viventi alquanto statici». Sarcasmo e ancora sarcasmo, Steve non si sarebbe mai liberato di quel comportamento che risultava difficile da affrontare con pacatezza.
           «Sono un soldato Stark, la mia educazione prevede un minimo di compostezza, rispetto e austerità». La formalità della sua postura sempre così controllata e mai casuale enfatizzarono la sua affermazione.
           Stark esalò un profondo respiro prima di ribattere per l'ennesima volta a qualcosa su cui lui non concordava.
           «Sarà, ma ti ricordo che ora non sei sotto le armi, e non c'é nessuna guerra alle porte. Concederti un po' di tregua non farebbe del male a nessuno, anzi». Quei continui tentativi di recuperare un clima di serenità entravano in completa opposizione con la volontà di Rogers, che desiderava solo mettere in chiaro le cose, una volta per tutte.
          «Tu proprio non vuoi afferrare e capire che il problema siamo noi due?». Per un uomo abituato a starsene zitto e in silenzio, obbedendo agl'ordini che gli venivano imposti dall'alto senza contestarli minimamente, quel continuo rinfacciargli errori risultava insolito e pedante per certi versi.
           «Noi due? ». Chiese con tono secco e perplesso, convinto di aver liquidato la questione minuti prima.
           «Si noi due, chi altri se no?» disse seccato, fulminandolo a morte perché non riusciva mai a capire e vedere le cose nel modo in cui Rogers cercava di indirizzarlo. Tony provava un fastidio immenso ad avere quegl'occhi accusatori puntati contro. Un astio che non si sapeva spiegare. A quanto sapeva non aveva fatto nulla per meritarsi un simile trattamento.
          «Capitan Offeso calma i bollenti spiriti, non è morto nessuno. Chiariamo la situazione: io non so dare una risposta alla tua domanda, non perché non voglia, ma semplicemente perché non conosco una verità effettiva che possa concretizzare il nostro rapporto, dandoti così la possibilità di identificarlo in uno specifico contesto sociale. Tu stai bramando disperatamente la spiegazione di un qualcosa di indefinito e poco chiaro per entrambi. Pretendere che io sappia quello che persino a te sfugge è alquanto egoistico. E se te lo dico io dovresti farci un pensierino».
           Steve a sentire quelle parole cominciò a torturarsi il labbro, mordicchiandolo e succhiandolo, come fa un bambino quando pur sentendosi in colpa per quello che ha chiesto o detto, pretende ancora chiarimenti, in modo da eliminare qualsiasi possibile dubbio.
          «Io so quello che potremmo essere però. L'anonimato, tutta questa segretezza, persino per me che sono abituato a mantenere i segreti, risulta scomodo, e a volte persino imbarazzante. Averti vicino e non poterti toccare, vederti mentre stringi la signorina Potts, le battute sarcastiche alle quali non riesco a risponderti indietro a volte per timore di allontanarti. E poi spunti fuori all'improvviso, come se nulla fosse, e diventi il più docile degli animali, richiedendomi o quasi pretendendo un contatto che secondo le tue regole non dovremmo avere».
          Lo amareggiava come non mai dire quelle cose, erano pensieri suoi, personali, di cui Stark non era mai stato al corrente. Parlavano, discutevano, ma mai di cose che li riguardavano intimamente. Come una coppia che deve ancora avere la confidenza necessaria per scoprirsi completamente con l'altro.
          Tony non appariva turbato, l'espressione convinta e poco trasparente ricercava la frase che avrebbe salvato quella discussione. Era sempre stato convinto che quella situazione non pesasse su Rogers, sempre pronto ad affrontare tutto con estrema calma, e razionalmente senza soffermarsi su frivole piccolezze. Certo neanche per lui era facile dover tenere comportamenti piuttosto impersonali con Steve, poter essere e dimostrare i suoi sentimenti solo in un privato stretto.
          Grandi amici tutti li vedevano così. Esclusivamente come due persone che dopo un momento di crisi mondiale si erano trovati, come rimaneva un mistero visto l'abisso che li separava, ma molti amavano fantasticarci sopra.
          «Ti prego Steve tranquillizzati, non mi pare il caso di agitarsi. Hai solo bisogno di una bella dormita. Tutta questa adrenalina e questo stress non ti fanno bene. Ora torniamo a casa, per favore, continuare questa discussione non farebbe che peggiorare le cose. E io non lo voglio, e non credo nemmeno tu. Non sei abbastanza lucido, ti accompagno su io, siamo d'accordo?».
          La sua mano poggiata sulla spalla del Capitano. In quella lieve stretta si sentiva la sua fragilità, gl'occhi cristallini che non riuscivano a nascondere un senso di disagio per la situazione, di compassione e di timore. Tony non era mai stato bravo quando si trattava di gestire situazione sentimentali, aspettava che si sistemassero da sole, che le persone arginassero i problemi, se li lasciassero alle spalle e soprassedessero alle sue mancanza.
          Consolare, calmare e controllare gli impulsi aggressivi, nervosi, disperati degli altri non era esattamente l'opera caritatevole a cui avrebbe optato se avesse potuto scegliere. Ma come sempre per Steve aveva fatto un'eccezione, rimasto così colpito da quelle sue alterazioni, che lo sconvolgevano visto l'idea che lui dava a tutti, le sue debolezze erano quasi disarmanti.
          «Va bene». Cercò di pronunciare quelle due parole nascondendo il senso di colpa del disagio che aveva creato a Tony. Il tono gentile con il quale Tony gli aveva chiesto di finire almeno per ora quella discussione lo rincuorava. Non era pronto per quel confronto, non lo era perché mancava quello con se stesso che aveva cercato in tutti i modi di evitare.
          L’intensità della pioggia era diminuita, e la platina lucida dell’acqua che si stanziava in piccoli rivoli che percorrevano la strada gli ricordavano i torrenti vicino alla casa di campagna nella quale era stato con Stark l’estate prima. Doveva essere una vacanza del gruppo dei Vendicatori, e invece si erano ritrovati solo loro due. Era stata una bella settimana.
          Vederlo camminare insieme a lui, a quella distanza che Steve chiamava “di sicurezza” gli ricordava quell’abitudine che consisteva nel cercare di avvicinarsi senza destare sospetto, doveva essere visto e apparire un gesto casuale, normale, ma niente per loro lo era. Aveva imparato come un gatto a non fare rumore, a non far accorgere nessuno della sua presenza, di osservare qualcosa o qualcuno, in questo caso, apparendo distratto e con lo sguardo altrove, perché nessuno doveva sapere.
          Lo seguiva. Tony dietro a Steve continuava ad analizzare quel corpo così perfetto e armonioso salire le scale. Gli mancava rifarsi gl’occhi con quello spettacolo, pur con la consapevolezza, o meglio l’idea stravagante che un alone, di una specie di odio represso, lo circondasse. Era come se l’aura chiara e brillante che lo circondava sempre, e che tutti gli vedevano addosso fosse diventata opaca, oscurandosi lentamente, e un’inesorabile cambiamento stesse prendendo forma, nascosto però agl’occhi ingenui di chi non sapeva guardare oltre alle apparenze.
          Solo in quel momento Tony Stark aveva compreso quanto il Capitano fosse bravo a dissimulare, a rendere invisibili le sue emozioni, a oscurare anche il più piccolo barlume di umanità. Purtroppo per quanto avesse cercato di essere forte, non era abbastanza per sopportare tutto, ecco che come ogni essere sulla terra prima o poi sarebbe esploso, avrebbe gridato, straziato da una sofferenza tagliente e affilata che non gli avrebbe dato altra possibilità se non crollare.
          Un castello sulla sabbia in riva al mare, colpito dalle onde che si dissipava riunendosi a tutti quei granelli, che circondandolo lo facevano apparire diverso, più speciale, ma ognuna delle particelle che lo formavano erano come quelle degli altri, magari più unite, disposte in una formazione diversa, con la peculiare capacità di formare qualcosa di unico.
          Il tintinnio delle chiavi che si muovevano tra le sue mani, con quel suo morboso e continuo movimento degli arti superiori lo rendevano agitato, accompagnare Steve a casa e rimboccargli le coperte non era esattamente la sua maggiore aspirazione.
          Il profumo inebriante e famigliare dell’appartamento del Capitano gli fece venire nostalgia dei pomeriggi passati con lui in quel posto, così amorevole e silenzioso. Erano stati dei bei momenti, strappati qua e là al lavoro e ad impegni vari ed eventuali. Ogni minuto era prezioso, perché trovarne era complicato, soprattutto per Stark quasi sempre monitorato e controllato dalla stampa, andare in luogo senza che lo sapesse l’intero globo era un miracolo.
          Sulla mensola a destra la storica foto dei Vendicatori, scatto fatto subito dopo la vittoria su Loki. Era passato quasi un anno, ma sembrava un'eternità. Ritrovarsi tutti assieme era diventato sempre più difficile, se non era ufficialmente incontrare i componenti del gruppo tutti insieme era un'impresa. Si limitava ormai a incontri singoli il loro rapporto esterno al lavoro, ma nessuno si era mai lamentato, in fondo tutti avevano una loro vita e gli impegni erano tanti e difficili da organizzare per una rimpatriata, e così si erano messi il cuore in pace.
          «Continua ad essere monotono questo buco, modernizzarlo un po' no?», disse Stark. Roteava la testa e gl'occhi con fare tanto indagatore quanto curioso. Ogni cosa era nell'esatto posto in cui se la ricordava, nulla era cambiato.
          «Mi ricorderebbe troppo la tua casa, se quella villa può essere definita tale. E poi sai bene che odio tutto quello sfarzo e sgargiante cafoneria».
          «La mia dimora non è assolutamente pacchiana, semplicemente un po' elaborata, ed ha uno stile personalizzato dal sottoscritto». Quanto gli piaceva elogiarsi e gongolarsi, troppo sicuro e fiero di ogni sua creazione da risultare ripetitivo e stressante.
          «Ancora meglio! Guarda faccio tranquillamente a meno». Il tono ironico gli era riuscito quasi alla perfezione, tanto da fargli abbozzare un sorriso divertito.
          Aprì un piccolo mobiletto d’epoca dentro il quale teneva i bicchieri buoni e i liquori. La bottiglia di whisky che tirò fuori era chiusa, il Capitano non era solito bere, raramente sorseggiava anche un solo goccetto di alcol, soltanto una birra qua e là con gli amici. Stark invece adorava bere, c’era sempre un superalcolico sulla sua tavola, un goccetto scivolava nella sua gola ogni qual volta fosse stata secca.
          «Vuoi un goccio?», chiese porgendogli il piccolo boccale con il liquido scuro dentro che si muoveva come un mare imbottigliato. Tony squadrava quel pezzo di vetro, con la mano si massaggiava il volto, con fare tentennante e insidioso.
          «Non rifiuto mai da bere, ma tu ora dovresti tentare di riposarti ricordi?».
          Steve sbuffò, uno Stark premuroso stava cercando di prendersi cura di lui, e la cosa in parte lo sconvolgeva, non sapeva se sentirsi preso in giro, o lusingato da tali attenzioni. La verità è che non riusciva a dormire, cercava di rilassarsi, di mantenere la concentrazione, di contare le pecore, ma nulla. Socchiudeva le palpebre e ricercava quel mondo immaginario dove nessuno poteva entrare, solo lui e la sua smisurata fantasia, se ne possedeva una. Non riusciva a contemplare l’idea della stanchezza e tentava di impiegare in modo fruttuoso il tempo che avrebbe dovuto destinare al suo riposo.
          «In questo momento non ho sonno, voglio solo bere qualcosa, sedermi e poi…e poi non so. Mi basta stare tranquillo, ecco quello di cui ho bisogno, perciò ti prego Stark, lascia perdere questa tua crociata da salvatore, non c’è nulla da salvare sto bene. Ora sto bene».
          «Steve io lo so cosa ti tormenta ogni notte». Il cuore di Rogers gli si fermò in gola, gli bloccava il respiro. «Credi che non mi fossi mai accorto che mentre dormi ti dimeni sussurrando o gridando ordini contro l'Idra?». Quella confessione lo fece sussultare. La consapevolezza che Tony avesse sempre saputo questo suo segreto lo faceva sentire scoperto, senza difese, inerme.
          Come un bambino che cammina su un campo minato, ecco che il capitano traballava incapace di trovare il modo migliore di porsi di fronte a un tale abbaglio. Tutti i soldati dovevano convivere con il perenne ricordo della guerra, della morte e delle perdite subite, ma lui non lo accettava, dimostrarsi forte ed imperturbabile era un cardine fondamentale della sua persona.
          Perché lui. Lui era Capitan America.
          Non poteva affrontare il disonore di essersi dimostrato debole, soprattutto di fronte a Tony Stark, incrollabile genio. Ma proprio il creatore della famosa armatura cercò di smorzare la tensione che era andato a creare dichiarando impudentemente una verità, che avrebbe forse fatto meglio a tenersi per se. Decisamente meglio, anche se per lui affrontare situazioni critiche non era poi difficile, con un goccio di ironia risolveva tutto.
          «Si dice che un eroe non sia quello che non ha paura, ma quello che pur avendola la supera continuando a lottare». Le parole riecheggiarono come un vento primaverile senza sortire un vero effetto. Cosa stava realmente combattendo Steve? La società in cui era nato e cresciuto ormai scomparsa non rappresentava che un peso per il suo credo considerato antiquato. La sua educazione e le sue convinzioni legate a un modo di vivere troppo estraneo per il presente. Stava iniziando a capire solo ora, dopo mesi dal suo risveglio, il vero moto che faceva girare quel mondo così complicato. Stark aveva provato in tutti i modi ad avviarlo a una vita mondana, cercando di introdurlo in un mondo che per molti versi gli appariva estraneo.
          Steve era evidentemente a disagio, lo si vedeva dal volto contratto, dagl’occhi socchiusi che cadevano verso il basso, dalla contrazione dei muscoli delle braccia ricoperte da vene viola pulsanti.    
          «Stark tu non puoi capire».
          Lo diceva sempre, ma Tony, Iron Man questa volta voleva intendere bene a cosa si stesse riferendo il Capitano. Steve dimostrava sempre poca fiducia in lui. E Rogers dal suo punto di vista credeva che non fosse un argomento che avrebbe trovato un punto di comprensione, c’era troppa carne al fuoco.
          «Sai io sono stato rapito, rinchiuso, ferito e sono quasi morto. Ogni trauma necessita una lotta per essere eliminato, o per lo meno superato». Rievocare quell’esperienza non era una cosa grave, per il miliardario la sola vista del suo petto gli rimembrava quell’evento che aveva cambiato per sempre la sua vita.
           Era quella la piega che avevano preso ultimamente le loro conversazioni; uno dei due si sentiva sempre in torto e tentava di rimangiarsi l'ultima cosa detta. Non c'era nessuna disinvoltura, alcuna stabilità nei loro discorsi, alcuna possibilità di rilassarsi e far calare lo scudo. Al contrario, era un continuo gioco di colpi mandati a vuoto, di trappole e di recuperi impacciati che li portavano a detestare loro stessi e quel rapporto.
          Steve non riusciva a fare a meno di ricercare una spiegazione a quel tormento, un fenomeno in cui non ritrovava se stesso, ma solo il problematico conflitto sentimentale provato per Tony Stark. Il genio in cuor suo non si era mai posto il problema di delineare la loro "storia", né tantomeno di trovarci un senso, come faceva sempre viveva alla giornata. Faceva quello che gli passava per la testa, tutto il resto era irrilevante.
          I pettorali del capitano che si gonfiavano e sgonfiavano a ritmi straordinariamente regolari scandivano il tempo. L'aria da chiuso gravava su quel pesante clima di tensione, l'onere delle cose non dette scivolava come un fiume in piena lungo il corpo muscoloso, scatenando rancori inesistenti.
          Vacillò. Avrebbe voluto dirgli di andarsene, di chiudere la bocca, di non fissarlo in continuazione, aveva fatto e detto abbastanza quella sera, incasinando ancora di più le cose. L’incertezza che ora gli annebbiava i sensi, l’abisso che sembra risucchiarlo in un turbine troppo scuro per vedere con chiarezza le cose, lo mettevano in una posizione scomoda.
          «Non posso combattere anche con questo. Devo, devo proteggere delle persone. La gente conta su di me, le mie paura sono solo mie, non riguardano nessun altro. Lotto ogni giorno, questa battaglia dovrà aspettare». Il respiro alterato, quasi si sforzasse di controllarsi. I rivoli di sudore lungo la fronte, e la gola che si gonfiava mentre la saliva scendeva con un ritmo tumultuoso e irregolare. Il pomo d'Adamo che si muoveva ipnotizzando lo sguardo di Tony, spiazzato da Rogers e da quella sua tremante anomalia comportamentale.
          Stark non riconosceva l'uomo che gli stava davanti. Lo poteva vedere, avrebbe potuto dire che quello era Capitan America, ma le sue espressioni tradivano quell'apparente sicurezza.
          Consolare. Questo gesto non l'aveva mai preso in considerazione. Davanti a Stark un uomo con il peso del mondo sulle spalle stava cedendo a una pressione che mai si sarebbe potuto immaginare di avere. La gloria e la fiducia erano i più grandi macigni che ora lo schiacciavano, e dei quali non poteva liberarsi.
          L'aveva giurato la prima volta che era entrato in campo, che aveva potuto realizzare il suo più grande desiderio: servire la patria. La sua condanna era stata averlo fatto troppo bene. Ma dietro a quel volto, stampato sulle figurine e sui giornali, c'era il dolore e la sofferenza che ogni battaglia comporta. La perdita della possibilità di concedersi di essere umano, di lasciarsi andare, di esprimere timori e ansie. Sopraelevato su un piedistallo avvolto dalle tenebre di una delusione che non avrebbe accettato prima di tutto per se stesso.
          "Fottuto altruista dovresti pensare a te per una volta", ecco cosa pensava Stark, ma il coraggio per dirglielo volava via, come tutti quei giorni passati ad evitarlo.
          E come carta stagna ogni decisione rimaneva impressa in quel contorto grumolo in maniera indefinita, sconvolgendo la stabilità che avrebbe dovuto garantire, almeno come amico. Ma Tony sapeva che tutto verteva sempre e costantemente su di lui, adorava in maniera quasi malata quel suo modo di essere sempre e costantemente al centro, ignorando l'importanza degl'altri, specialmente quelli che malgrado tutto continuavano a rimanergli vicino. Era un suo errore. Un calcolo che non si era premurato di compiere.
          Ora voleva solo avvicinarsi, arrivare a quella distanza che Steve gli avrebbe permesso di raggiungere. Non avrebbe potuto chiedergli scusa, era una pillola troppo amara per essere ingoiata dalla sua ipocrisia.
          Sarebbe rimasto con lui, il tempo non aveva importanza, tanto era stato sprecato, quello non lo sarebbe stato. Pronto non lo era, non lo era mai stato, ma fare da cavia a se stesso lo elettrizzava, dopotutto era uno scienziato. Prima il test e poi la diagnosi. E qui poi si stava parlando di Rogers.
          Steve nel frattempo si era seduto sul letto, con la schiena sporta in avanti, srotolava le bende bianche dalle mani. La cura e la minuziosità con la quale si sistemava era maggiore del solito. Il tessuto pesante e ruvido scivolava tra le dita con fatica. Il volto crucciato appariva sofferente. Le vene sulle braccia pulsavano febbrili. Incapace di trovare pace muoveva la testa su e giù, sostenendola con i palmi. Si sentiva osservato, la figura dell’uomo che svettava di fronte a lui, così immobile che pareva implorasse di essere sostenuta.
         Steve si alzò quasi di scatto. Le bende tra le sue mani gli prudevano, e lo infastidiva continuare a stringerle con così tanta forza da provocargli dei lievi arrossamenti tra le dita. Scatenare la sua forza era uno degli antistress che utilizzava per canalizzare i suoi sentimenti e imballarli in un posto così recondito di sé da non poter essere scovati neppure da lui.
          Passò sul lato destro di Stark dandogli le spalle come se lui in quel momento non fosse lì, non esistesse. Ma Tony non lo accettava. L’indifferenza come scudo no, non poteva accettarlo.  Il cuore di Tony gli appariva come l'unico dei due muscoli che in quell'istante stesse battendo, implorando di essere perdonato, compreso, accettato. Avrebbe voluto che Steve sentisse l'intensità con cui pompava il sangue, di come la gola faticasse a emettere aria, a come tutto lo costringesse a ripetere una preghiera senza fede, a un Dio in cui non credeva, per essere guardato, non come lo facevano tutti, ma come solo Rogers osava, con le sue pupille dilatate e quell'espressione innocente stampatagli in faccia.
          Afferrò la mano di Steve senza pensarci, improvvisamente, come uno stimolo involontario.
          Steve si bloccò sotto quella stretta inaspettata. Era come se tutto si fosse fermato, come se si fosse reso conto che tutto era un sogno e controllarlo non era possibili, andare avanti non sarebbe servito. Ma quella era la realtà e le lancette dell’orologio continuavano ad andare avanti, e la sua lingua intorcolata che non riusciva ad emettere nessun suono.
          Le sue mani erano così morbide e soffici, segno di un lavoro decisamente poco manuale, non troppo faticoso e poco fisico, le dita lunghe e sinuose cha afferravano le sue in una stretta delicata. Non voleva lasciarlo andare, nessuno di loro voleva che l’altro di sottraesse a quel contatto, così puro e casto, eppure tanto equivoco. Potevano farlo solo quando erano soli, le mura li proteggevano da occhi indiscreti. Era strano che proprio loro, due eroi il cui mondo conosceva le loro identità segrete, dovessero tenere nascosto il sentimento che provavano l’uno per l’altro.
          Steve, però, non riusciva a guardarlo, a cadere preda del suo sguardo ora così liquido, e allora gli dava le spalle, convinto che questo suo modo di fare lo proteggesse impedendogli di scontrarsi con la realtà. Si sentiva così in colpa verso Pepper, Tony non doveva essere lì in quella casa con lui, bensì con quella che tutti ormai conoscevano come la sua compagna, la sua fidanzata. Lo Stark forte e deciso, che non si faceva ostacolare da nulla, sembrava sperduto, incapace di cogliere la vera essenza delle sue emozioni, la volontà e l’amore si consumavano a vicenda non trovando un equilibrio stabile.
          Il calore della pelle della mano di Stark che premeva sulla sua, era qualcosa che lo lasciava in bilico. Come una bilancia i cui pesi posti all’estremità ne fanno delineare l’equilibrio ecco che per Stark trovare quello giusto consisteva nello spostare in continuazioni le sue attenzioni, ricercando cosa per lui realmente fosse più importante, per cosa valeva davvero la pena rischiare.
          Di una cosa Steve era sicuro, voleva solo che Tony fosse felice. Non vederlo più non sarebbe stato come dimenticarlo, tentare di fuggire non sarebbe servito a niente, il suo ricordo lo avrebbe perseguitato, come quello della guerra che impetuosa gli faceva rivivere tutti gli sbagli umani più devastanti e crudeli, le scelte che persone smaniose di potere attuano per ottenere ciò che non possono conquistare in altro modo se non con la forza.
          Ci sono tante domande che assillavano il Capitano, ma è solo una la voce dalla quale vuole sentire arrivare le risposte, ed ora era socchiusa incerta su come dovesse far uscire le parole dalle labbra.
          Strinse di più la mano per fargli sentire che era ancora lì, e che non se ne sarebbe andato fino a quando il coraggio che pulsava nel suo cuore non gli avrebbe dato la forza di girarsi ed affrontarlo.
          Steve né quando ancora era un semplice uomo, scarno e goffo, né quando era divenuto un paladino, ricolmo di grandezza, nel gioco dell’amore era risultato un perdente. Esso infatti non sapeva come confrontarsi con un simile sentimento, così complesso e a volte sopravvalutato. Il Capitano risultava impacciato nelle relazioni, legato a quel suo morboso stato di perenne soldato impettito e imperturbabile, razionale e logico, il cui unico scopo risiedeva in una smisurata volontà di essere d’aiuto per il suo paese e il suo prossimo.
          Tony invece sembrava così spigliato e a suo agio , sempre pronto a una nuova conquista, un amatore come pochi, un vero playboy. A volte Steve si era sentito inferiore rispetto a Stark per questa sua peculiarità, così terribilmente disinvolto e fastidioso, riusciva a farlo apparire sempre come un incredibile cretino impedito. Capitan Problematico lo chiamava il miliardario. In effetti si faceva tante di quelle fisime per riuscire ad abbandonare una ragazza che persino Tony, più propenso alla violenza psicologica, lo avrebbe schiaffeggiato con piacere.
          Col senno di poi aveva scoperto che la sua timidezza e il suo essere così impacciato faceva impazzire Tony, al quale piacevano quei modi da bravo ragazzo, tutto d’un pezzo, nel quale non poteva identificarsi, anzi. Non era vivida e chiara la motivazione per la quale Steve e Tony si fossero trovati, non compresi certo, ma accettati l’un l’altro per i loro difetti e pregi, ritrovandosi semplicemente uniti.
          Ed ora Tony la tirò verso di sé, per stringerlo e sentirlo più vicino che mai. Se avesse voluto Rogers avrebbe contrastato il desiderio di Stark, ma il suo cuore no, non glielo permetteva. La stoffa della maglietta di Tony contro la sua, la testa che si posizionava nell’incavo della sua spalla, i capelli gli solleticavano il collo e parte delle guance. Il suo profumo così inebriante e pungente. Rogers pensava di esserselo dimenticato quell’odore.
          Il cuore di metallo di Stark che colpiva i suoi pettorali duri come il marmo, che proteggevano il palpitante muscolo che fremeva per il contatto e la vista di quell’uomo. Le braccia intorno al collo del moro che gli cingeva le spalle con violenza e ardore, anche se in realtà entrambi volevano che ci fosse solo tenerezza e fervore in quell’abbraccio.
          Le candide labbra sfioravano quelle dell'uomo davanti a lui, quasi temesse il contatto così tanto bramato. I loro respiri si scontravano, e andavano a creare come una piccola nebbia tra le loro facce.
          Fu Steve a cedere e poggiare la bocca su quella di Tony. Un brivido percorse la schiena di entrambi, perché ogni volta era come la prima. Ogni bacio rappresentava l'inizio e la fine di tutto. Un'emozione di un'intensità senza pari, e, per quanto rispetto a Rogers, Stark avesse avuto molte più esperienze sentimentali, con il Capitano tutto risultava diverso, più crudo, meno reale, come una fitta allo stomaco mentre si era in dormiveglia.
          Fu Tony a premere con più forza tra loro, la lingua richiedeva tacitamente di essere accolta da Steve. Sapevano entrambi che era sbagliato, che cadere in quella tentazione li avrebbe condannati, come ogni volta che si trovavano da soli e l'atmosfera si faceva calda e imbarazzante.
          Si sfiorarono la punta delle labbra con fare audace prima di decidersi e lasciarsi andare.
          Le mani di Stark si spostarono sul viso del biondo, combaciando perfettamente con le curve del volto. Passava le dita tra i capelli quel tanto che bastava a scompigliarglieli leggermente. Erano così fini e lisci, un po' sudati per via dell'allenamento appena compiuto, ma rimanevano setosi e piacevoli al tocco. Alcune ciocche ricadevano sulla fronte coprendogli parte dell'occhio sinistro.
          Non l'aveva perdonato per tutte le sue mancanze, semplicemente aveva smesso di resistergli.
          L'intreccio di quei muscoli bagnati, i polpastrelli di Steve che premevano sulla spalle di Tony, e il ruvido tocco dei peli della barba sul mento del Capitano li lasciava assopiti in un attimo esclusivamente loro.
          Confusi si staccarono per riprendere fiato, poggiandosi l'uno sull'altro con la fronte. Non osavano guardarsi, per paura che tutto potesse sgretolarsi al solo scambio di un'occhiata. La tela complicata che li legava, solida per un motivo apparentemente ignoto fece unire nuovamente le loro mani.
         Ad occhi serrati con un'unica emissione d'aria delle labbra lievemente schiuse Tony pronunciò
         «Te lo dirò solo una volta, sai che odio ripetermi. Io sono totalmente convinto che valga la pena lottare per questo, qualsiasi cosa sia ».
         Una pausa. Un'attesa. Milioni di opzioni, di pensieri, di alternative, di ricordi, di immagini avrebbero potuto passare nelle due figure. La delusione di Steve nell’aver spinto Stark a rivelare un intento silente che doveva essere nascosto dalle sue manie e dai suoi modi di fare. Spesso impulsivo, le ultime parole che pronunciò apparivano quasi pensate.
           «Per te mio Capitano».
           «Grazie». Un lemma, non riuscì a pronunciare altro che una parola sussurrata, per cortesia, per paura, o forse perché in quell’attimo niente di sensato e appropriato gli era passato per la testa, troppo preso a rielaborare quelle ultime inaspettate informazioni. Fu un  tempo quasi indefinito quello rimasero fermi immobili in quella posizione, una stretto dall’altro, senza fiatare o guardarsi. Avevano solo bisogno di stare vicini, insieme senza nulla che potesse interromperli o bloccare quella quiete che si era formata con tanta fatica.

    
          Quello che successe dopo rimase un ricordo confuso nella mente del Capitano. C'era solo la figura sfuocata di Stark che lo accompagnava a letto, rimboccandogli dolcemente le coperte, e con un delicato bacio sulla fronte a invitarlo a chiudere le palpebre e dormire, riposandosi finalmente.
          Se fosse rimasto con lui rimaneva un mistero irrisolto. La mattina però aveva ritrovato sul tavolo i vestiti di Tony piegati, con un bigliettino vicino che lo avvisava di un prestito d'abiti non autorizzato fatto dal miliardario. Lo invitava infine a riportargli puliti i suoi capi, la pioggia li aveva bagnati e sperava non rovinati. Voleva rivederlo, riprendere la loro normale vita e accantonare i rancori, quella notte doveva forse rappresentare la fine di tutti i loro problemi?
          Quella solitudine, quel vuoto, quella strada, quei pochi passi fatti dal letto al tavolino facevano riemergere timori che delle parole per quanto belle e profonde non potevano sistemare, né diminuire. Disteso sul letto continuava imperterrito a distendere l'avambraccio lungo il posto di fianco a lui, scoprendolo ogni volta vuoto.
          Era solo.
          Se anche Tony fosse stato lì con lui spiritualmente, con il cuore, fisicamente non c'era. E questo gli faceva sentire come una mancanza, un'assenza incolmabile. E fu in quel momento che sentì il tremito di una linea che si infrangeva, di una guerra che avrebbe combattuto al limite tra follia e ragione, che si sarebbe placata solo quando con i cinque sensi avrebbero confermato la presenza di Antony Stark alla sua destra.
          Chiuse le tapparelle e le tende, aveva voglia di sognare, di tornare in un mondo che era tutto suo. E se qualcuno avesse sentito le sue grida, avrebbe udito il suo nome. Tony lo aspettava nei suoi incubi.

 
  
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