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Autore: AhiUnPoDiLui    06/07/2012    0 recensioni
Questa raccolta di racconti potrei definirla un insieme di resoconti letterari, resoconti di vicende comuni, quotidiane; vicende che hanno suscitato in me alcuni pensieri, che magari arriveranno sino a voi. Dedicata a G.V.
Racconti pubblicati:
1-Concerto;
2-Coincidenze;
3-Giochi di ruolo;
4-Silenzio.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Silenzio

 

La strada che procede verso Feste, passando per Sant’Olena, è di quelle spesso trafficate, abbastanza larghe, che permettono che vi si viaggi abbastanza velocemente. Venendo dal centro di Altarino si deve passare per via degli Alpini, se si va verso la città festense, dove sulla sinistra della strada l’occasionale guidatore avrebbe la breve visione di una piccola e graziosa chiesina (il piccolo santuario dell’Assunta), sempre chiusa e silenziosa, che solo i riflessi più incantati della primavera e quelli più trasognati dell’inverno sanno addobbare di magnifico.
         Un giorno fu visto un uomo, che procedeva a piedi carico di borse, zaini e valigie, fermarsi davanti l’esile figura del santo edificio. Tentennava come davanti l’abisso di un’importante decisione, ma infine, avvicinandosi alla porta sempre chiusa a chiave, prese a bussarvi con una certa timidezza – una timidezza che non avrebbero colto i passeggeri delle sfreccianti automobili che correvano per la strada. Aveva l’aria di un bambino castigato quando, rinunciando all’idea che la porta si aprisse, si levò dalla schiena la chiocciola dei suoi zaini e delle sue borse, e si abbandonò su una panchina lì vicino, rivolta verso il piccolo edificio. Nell’eco dell’asfalto strisciato dalle gomme e di un latrare lontano sembrò che si assopisse, quasi che una farfalla si fosse posata sulla sua fronte, coprendo con un grazioso movimento delle ali i suoi occhi.
         Al negozio di alimentari di Piero entravano gli ultimi clienti. Il campanellino posto sulla sommità della porta aveva preso a suonare sempre meno, sempre più il tempo passava, e gli sbadigli della moglie del bottegaio avrebbero svegliato chi si fosse già addormentato. A quelle ore all’alimentari si respirava una certa atmosfera di desolazione, si percepiva un vuoto proibito, che era meglio non indagare. Vi era un senso particolare di attesa, ma un’attesa misera, che si sapeva incapace di produrre alcunché. Eppure il silenzio aveva un che di cosmico, e nel ronzio ininterrotto dei frigoriferi si percepiva il mistero di un significato superiore. Lo scampanellio educato della porta che veniva aperta destò Piero dalle sue meditazioni.
         << ‘Sera! >> salutò l’ometto che era appena entrato. La moglie di Piero lo accolse con un sorriso illucidato delle lacrime del sonno. << E allora? >> chiese l’ometto alla bambina che tentava di nascondersi dietro la sua mole. << Non saluti Piero e la Patrizia? >> Tutti si lasciarono sfuggire sospiri deliziati quando la piccola tolse da dietro la schiena una manina paffutella e l’agitò davanti al viso in un inconfondibile saluto bambinesco. << Sono qua per poco >> disse l’ometto, passandosi una mano sul capo, dove compariva, tra due catene di radi riccioli, una chiarissima pelata.
         Piero fece spallucce, come a dire che poteva restarsene lì quanto voleva. << Cosa ti do? >> chiese Patrizia, pulendo gli occhiali con un fazzoletto. << Siamo qua per un po’ di gelato, non è vero? >> chiese l’ometto, ottenendo come risposta che la piccola bambina si illuminasse tutta nello sguardo e si facesse più spavalda, muovendo qualche passo verso il bancone. << Come vai a scuola? >> chiese Piero, mentre Patrizia, con un sorriso di tra le labbra, ciabattava verso il frigorifero dei gelati. La bambina non disse nulla, si limitò ad una espressione vagamente terrorizzata, che scatenò una confusa accozzaglia di risate.
         << Eh beh, >> disse Piero << vedrai che crescendo incontrerai i seri, veri problemi della vita. >> Da fuori venne il rauco e lontano abbaiare di un cane. Patrizia tornò presto. Dopo che il conto fu pagato, e l’entrata fu nuovamente sigillata dalla scampanellio della porta, uscì dalla bottega, dicendo che si sarebbe fatta una doccia. Piero rimase il tempo necessario per chiudere le luci e sistemare alcuni prodotti che erano stati riposti disordinatamente sugli scaffali.
         La luce diafana della luna lo bloccò, dov’era, davanti le vetrine che davano sulla strada. Sotto l’ombra minacciosa del piccolo santuario dell’Assunta notò una sorta di strano fagotto, che giaceva su una panchina del piccolo piazzale. Lì rimase, immobile, a contemplare il suo vago, rarefatto riflesso sul vetro della bottega, senza osar muovere lo sguardo verso il piazzale della chiesa.
         Poi, qualcosa, un movimento. Dalla panchina scivolò qualcosa, a peso morto, sembrava un grande sacco.
         No, era un uomo.

  
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