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Autore: CaskaLangley    21/01/2007    0 recensioni
Anche se è tornato finalmente a casa con i suoi amici, Sora non trova la pace che aveva dato per scontata. Forse anche la luce può essere troppa...? (Sora/Kairi) /Riku/Sora)
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kairi, Riku, Sora
Note: Lemon | Avvertimenti: Spoiler!
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Con il corpo

Alle undici meno un quarto di sera già sapeva che non sarebbe riuscito a dormire.

Camminava per la sua stanza senza sosta, toccando gli oggetti, osservando le pareti con incredibile attenzione, ed era come se tutte quelle cose lo stessero ingannando, perché avevano una forma, sì, e una consistenza, ma non dovevano averla, perché quelle cose non sarebbero dovute esserci.

O forse era lui, quello che non ci doveva essere.

Era mancato da casa per due anni. Due anni, nell’arco di una vita intera…guardandola in proporzione, non erano niente. Ma a quindici anni due anni sono una vita, e dopo tutto quello che aveva passato si sentiva come un adulto che tornando alla stanza della sua infanzia non la riconosce, anche se è rimasta invariata; il tempo aveva modificato il ricordo, e la stanza del ricordo era infine diventata più vera di quella reale.

Quando si sentiva così non lo aiutava che sua madre gli parlasse e lo guardasse come se niente fosse stato, come se si fosse allontanato per una settimana, se fosse stato in gita scolastica, e dopo un iniziale entusiasmo per il ritorno aveva immediatamente ricominciato a rimproverarlo per la scuola e perché non sparecchiava mai la tavola. Era assurdo. Da quando era tornato, quello che aveva vissuto si stava allontanando.

La sala della chiamata…Riku che veniva inghiottito dalle ombre…Kairi che era una principessa e lui che riceveva un’arma leggendaria per salvarla e portare la pace nei mondi…più ci pensava, più queste cose si sfumavano fino a perdere la loro consistenza. I ricordi diventavano così precisi, ma così poco vividi, da diventare praticamente sogni.

La prima settimana, quando tutti e tre si sforzavano di vivere come avevano sempre fatto, a Sora era sembrato di aver definitivamente compiuto l’impresa. Di aver salvato tutto quello che c’era da salvare.

Poi aveva capito che Riku non si era perdonato.

Lo avevano fatto tutti, ma lui…lui non poteva ancora perdonare se stesso.

Quando si era isolato nel rifugio, Sora aveva dovuto arrendersi all’evidenza : non esisteva modo di riportare indietro il passato, anche se tutti e tre lo avrebbero voluto. Il mare, il sole, la sabbia, l’albero di Paopu, quelle cose non sarebbero cambiate. Erano stati loro a cambiare.

Le cose non sarebbero mai più state le stesse, se non in quei ricordi che sembravano sogni.

Uscì fuori con molta cautela, per non svegliare i propri genitori.

Si fermò ad osservare il proprio riflesso distorto dalla cascata, sentendo l’acqua fredda schizzargli sulla faccia. Si chiese come stessero Donald e Goofy, sorridendo a questo pensiero.

Davanti al rifugio erano nati rigogliose siepi di fiorellini bianchi. Chissà se chi li aveva piantati sapeva che dietro a quello che sembrava un inutile buco ci fosse una grotta, probabilmente sì, e forse lo avevano coperto proprio per impedire che i bambini giocando ci si inoltrassero e si facessero male.

Tutte le volte che Sora attraversava quel cespuglio, graffiandosi coi rami e soffiando i piccoli petali inodori dal naso, aveva come la terribile sensazione che il loro stesso mondo li stesse chiudendo fuori.

Riku stava ancora dormendo.

Era sdraiato per terra, incurante del sacco a pelo che Kairi aveva insistito per dargli, quasi sdegnasse l’idea di averne bisogno. Messo così, appoggiato contro la parete della roccia, sembrava un animale selvatico che era stato prima addomesticato e poi abbandonato di nuovo alla natura. Ogni notte dormiva sotto la porta chiusa, come se stesse facendo la guardia ad una casa senza famiglia. Si vedeva benissimo che aveva provato ad aprirla con la forza, le sue mani sanguinavano sempre.

Il senso di colpa continuava a gettare detriti nel cuore otturato di Sora.

"Si può sapere che cosa stai guardando?"

Lui sobbalzò dallo spavento. Si guardò alle spalle, preparandosi inconsapevolmente alla lotta, poi capì e guardò Riku, che lo stava fissando con fastidio.

"Credevo che dormissi, mi hai fatto prendere un colpo!"

"Infatti stavo dormendo, poi sei arrivato tu a fare casino" -si girò dall’altra parte, dandogli la schiena.

"Non ho fatto affatto casino, e comunque fa lo stesso, tanto ero venuto per svegliarti."

"Perché dovrei svegliarmi?"

"Perché è ora, no?"

"Ora di cosa?"

"Di svegliarti!"

"Che ore sono?"

Sora scrollò le spalle: "Sarà quasi l’una, credo. Non so."

Riku finalmente si mise a sedere. Non sembrava per niente uno che aveva dormito fino a quel momento. Buttò un occhio verso il passaggio, poi disse: "Sarà appena passata mezzanotte."

"Certo, adesso sai anche leggere l’ora dalla luce…"

"Non ci vuole tanto per chi non è tonto come te" appoggiò la schiena contro la porta e si passò le dita tra i capelli per sistemarli "…sono stato in posti dove c’era così poca luce, che ho imparato a riconoscere le sfumature delle tenebre…"

Sora si sedette accanto a lui, e chiuse gli occhi in silenzio.

C’era un altro motivo per cui non riusciva a dormire.

Nonostante spesso si sentisse fuori luogo come una battuta venuta male, le sue giornate scorrevano tranquille. Stava con Kairi, ed era felice, una felicità ridicola, addirittura bovina.

Ma quando cominciava a diventare buio, e restava solo, lo stomaco cominciava a dargli fastidio.

Era come se le membra gli si contorcessero.

Come se una mano di fuoco lo stritolasse dentro.

Si sentiva ribollire lento, come lava in un vulcano. E poi tutto quello che provava, tutto quello che ricordava e che pensava…tutto si scioglieva.

Provava un senso abbacinante di bisogno. Un’urgenza inappellabile, folle, che lo faceva sudare e diventare nervoso, irascibile, intrattabile, ipersensibile, ma anche indolente. Le mani gli tremavano, e faceva fatica a respirare bene. Somigliava ad una fame feroce, insaziabile, ma non era affatto una fame –e si era rassegnato a questo solo dopo tre notti in cui era sgattaiolato in cucina ad ingozzarsi di carne come se fosse rimasto ad abitare nelle Terre del branco. Ed era doloroso, ma non era nemmeno un dolore.

Era piuttosto un’attesa; resa ancora più bruciante dall’incoscienza, perché non aveva la più pallida idea di che cosa stesse aspettando, e quindi non poteva nemmeno mettersi a cercare.

Non aveva mai provato niente di tanto insistente. Gli mandava il sangue alla testa, gli rendeva impossibile stare fermo. Avrebbe tanto voluto avere un qualche migliaio di Heartless da massacrare, anche a mani nude, ma non c’era niente da massacrare lì.

Così andava da Riku, anche se spesso questo peggiorava la situazione.

Doveva essere l’odore sulla sua pelle.

Quell’odore di sangue, di sudore e di metallo, di fuoco e di terra bruciata dopo aver lanciato un Thundaga.

L’odore di chi ha combattuto impugnando un Keyblade.

Quell’odore lo perseguitava. Quando sua madre preparava il pesce, quando i fiorellini bianchi fuori dal rifugio profumavano al mattino, quando era sulla spiaggia e le onde gli bagnavano i piedi, Sora a volte sentiva quell’odore.

In quei momenti voleva essere stretto. Non abbracciato: stretto. Voleva che qualcuno gli impedisse di esercitare il desiderio di distruggere.

La sera prima, poi, mentre ripensava alle parole di Kairi su Naminé, Sora aveva finalmente realizzato l’ovvio all’improvviso: a Roxas mancava Axel.

Lo aveva pensato con una tale lucidità, una tale sicurezza, che era come se fosse stato lui a dirglielo, esasperato dalla sua ottusità. Gli mancava in un modo furioso e irragionevole, un modo che faceva venire voglia a Sora di sbattere la testa contro al muro fino a rompersela.

Per farlo soffrire così, lui e Axel dovevano essere stati molto amici.

"…Riku?"

"Mh?"

"Quando eri nell’oscurità…hai avuto occasione di conoscere Axel?"

"Axel?"

"Uno dei tredici. Con i capelli rossi."

Riku appoggiò la testa contro la porta e ce la batté più volte, come per aiutare i pensieri a convogliare in un unico punto: "Axel, Axel, Axel…"

"Smettila di ripeterlo…" - era come essere pungolato insistentemente con uno spillo in un punto sensibile.

"Axel!"

"Te ne sei ricordato?"

Riku simulò uno sguardo falsamente sexy e lo puntò col dito: "A-X-E-L! Memorizzato?"

"Lui! Lui"

"Che razza di deficiente, accidenti. Sì, mi è capitato d’incontrarlo. Perché?"

"Lui e Roxas erano amici."

"Ancora con queste storie?"

"Credo che lui gli manchi molto."

"E?"

"Roxas non aveva un cuore…"

"…e?"

"Com’è possibile? Come può una persona mancarti tanto da fare così male, senza nemmeno avere un cuore?"

"Una persona non ti manca solo col cuore."

"E come altro?"

"Con la testa, col corpo.."

"Come fa a mancarti qualcuno col corpo? E’ illogico!"

"E noi tutti ci fidiamo ciecamente del tuo concetto di cosa è logico e cosa non lo è…" lo schernì, poi si alzò in piedi e dichiarò: "Vado a farmi una nuotata, vieni?"

Sora, cancellando completamente ogni possibile pensiero impegnato dalla mente, spalancò gli occhi: "Che cosa?!"

"Ho detto che vado a nuotare."

"Sì, non sono sordo, ho capito!"

"Allora cosa lo chiedi a fare? Stupido."

"E’ tardi!"

"Tardi per che cosa?"

"Per nuotare!"

"Sarà tardi per te, per me è presto. Mi sono svegliato adesso."

"Ma è buio!"

"E allora?" gli sorrise maliziosamente.

Sora saltò in piedi come un gatto in allerta. Si sentiva esattamente come da piccolo, quando Riku si prefiggeva di disubbidire deliberatamente agli ordini degli adulti, e riusciva sempre a fare in modo non solo di convincerlo, ma di metterlo addirittura nelle condizioni di scongiurarlo di portarlo con lui. Quel sorriso spavaldo e quasi sensuale non era mai stato di buon auspicio per lui.

"Nuotare di notte è pericoloso."

Riku si limitò a ridergli in faccia e si incamminò. Sora gli andò dietro e continuò, come il Grillo parlante: "E se ti attacca una medusa?"

"Nell’ultimo anno mi hanno attaccato cose ben peggiori, Sora. Credo di poter gestire una medusa" si aprì senza riguardo una via tra i fiori bianchi e Sora si prese in faccia la maggior parte dei rami.

"Le meduse fanno male! Bruciano, e sono velenose, e se ci pensi sembrano dei piccoli nobody!"

"So gestire anche un nobody, sebbene nella sua leggendaria e letale forma tascabile."

"Ma brucia!" ripeté lui, come se quella fosse l’argomentazione migliore possibile. E lo era, lui lo sapeva bene, a cinque anni una medusa gli si era appiccicata alla faccia, e poteva giurarlo sulla testa del Re, preferiva dover impacchettare altri diecimila regali per Babbo Nachele piuttosto che sentire ancora una volta quell’orribile dolore.

"Che paura."

"Se ci sono gli squali?"

"Faccio un bagno vicino alla riva, non vado in mare aperto a pescare gamberi."

"E se escono i pesci velenosi che si nascondono di giorno?"

Riku rise: "Non esistono pesci del genere!" –e a pochi metri dalla riva cominciò a spogliarsi.

Sora cercò di dire qualcos’altro, ma prima che potesse formulare una frase sensata l’amico gli lanciò in faccia giacca e maglia. Lui buttò tutto a terra con rabbia e continuò a seguirlo.

"Al buio non puoi vedere bene dove stai andando!"

Riku si girò e gli stoccò un’occhiata, un misto di ilarità e sdegno così eloquente che non dovette nemmeno aggiungere altro. Sora si sentì subito un cretino e aggiunse: "Qui non è come andare in giro nell’oscurità bendato ad ammazzare mostri con il Keyblade!"

"No, qui potrei pestare una conchiglia rotta."

"Sì!"

Riku rise ancora e si tolse i jeans. Sora incrociò le braccia sul petto: "Se ti prende uno squalo te lo scordi di chiedere aiuto a me."

"Se mi prendesse uno squalo ti butteresti in acqua senza pensarci nemmeno un secondo."

Sora si limitò a guardarlo male: "Sì, è vero."

"Adesso però gradirei che ti girassi e coprissi gli occhioni innocenti."

"Come se non ti avessi mai visto nudo. Nell’oscurità hai subito qualche altro cambiamento di cui non mi hai ancora reso partecipe?"

Riku fece un mezzo sorriso provocatorio: "Non è l’oscurità, è la crescita, quella cosa che a te non tocca. Non voglio scatenare gelosie ingestibili."

"Se non ti ammazza lo squalo lo faccio io" decretò lui prima di dargli la schiena. Quando poi si rese conto che Riku non faceva rumore da un po’ si girò preoccupato, e sospirò di sollievo quando vide che era già in acqua.

A volte, senza nessun motivo, veniva colto dall’ansia e dal terrore atavico di girarsi e scoprire che Riku e Kairi non erano più con lui. Temeva di perderli di nuovo più di qualsiasi altra cosa.

Sora si avvicinò all’acqua la toccò con la mano. Aveva dimenticato che il mare fosse così caldo di notte. Ci pensò su un po’, poi si disse che oh, al diavolo, anche lui poteva gestire una medusa, e sicuramente tra lui e Riku potevano gestire uno squalo, quindi si spogliò e si buttò, tagliando con un tuffo la prima onda che si fece avanti.

Quando riemerse aveva i capelli appiccicati alla faccia e si sentiva bene.

Si avvicinò a Riku, che fece una breve risata -compiaciuto per essere riuscito ancora una volta a fargli fare quello che voleva lui. Sora scrollò le spalle con fare indifferente: "Se arriva uno squalo io gli salto sulla schiena e lo colpisco. Ho fatto pratica, in questo."

"Io gli squarcio la pancia a mani nude."

"Io gli strappo la pinna e la uso come arma contro di lui."

"Io gli cavo gli occhi e li uso come arma contro di te."

"Perché, che ti ho fatto?"

"A quel punto lo squalo sarà morto e avrò ancora voglia di combattere, suppongo" detto questo, si immerse. Sora si guardò intorno per cercare di seguire la sua sagoma, perché aveva imparato negli anni che in quei casi era meglio non distrarsi, le strategie di Riku per spaventarlo erano variegate e potevano ancora stupirlo.

Invece lui si limitò a riemergere e a sputargli acqua addosso. Poi gli chiese: "A te non capita mai?"

"Che cosa?"

"Di avere voglia di combattere."

Sora scosse la testa.

"Non ci credo."

"Perché?"

"Perché non è vero."

"E’ vero, invece. Sono stanco di combattere…E dovresti esserlo anche tu."

"E’ ovvio che sono stanco, ma questo non toglie che a volte ne abbia voglia. E ce l’hai anche tu."

Sora chiuse gli occhi con superiorità: "Pensa un po’ quello che vuoi."

Poi li riaprì e vide che Riku gli stava facendo di nuovo quel sorriso malizioso che non prometteva niente di buono. Già temeva che lo avrebbe sfidato a qualcosa di pericoloso, come a chi tratteneva di più il fiato sott’acqua, e senza la sua coda da tritone dubitava che sarebbe riuscito a batterlo. Riku si sarebbe affogato, pur di non tirare la testa fuori prima di lui.

"Dai, dimmi che non ti dava i brividi."

Sora non gli rispose. L’altro insistette, più serio: "Dimmi che ammazzare quelle cose non ti eccitava."

Sora pigolò offeso: "Torno a riva" - fece per girarsi, ma Riku gli afferrò un braccio. Quel contatto lo fece sobbalzare, e risvegliò in lui l’orrendo mal di pancia che lo teneva sveglio la notte. Questo lo innervosì ancora di più.

"Che c’è, cosa vuoi?"

Riku lo tirò più vicino, fino a far quasi toccare i loro corpi.

Gli stese un braccio sulla spalla, lentamente, si chinò su di lui e gli sussurrò roco all’orecchio: "Stai forse cercando di dirmi, Sora, che massacrare ondate di Heartless non ti hai mai dato piacere?"

A Sora sembrò di essere sul punto di sputare il cuore.

Gli diede una spinta, con cui riuscì a staccarselo di dosso e a farlo quasi cadere.

Sibilò a denti stretti, respirando come se lo avessero spaventato: "Mi dispiace, io non sono come te."

Dopo aver nuotato per al massimo due metri verso la riva si sentì schiacciare con forza sul fondo del mare. Cercò di divincolarsi, ma arrivò fino a sbattere il muso contro la sabbia e la ghiaia. L’aria cominciò a mancargli e iniziò a dimenarsi, scalciare e graffiare, finché non fece un disperato tentativo ed aprì la bocca per mordere l’aggressore. Riuscì ad agguantargli il braccio, e fosse l’ultima cosa che faceva glielo avrebbe strappato e risputato sulla spiaggia. Finalmente la morsa lo liberò e poté riemergere, con i polmoni in fiamme e il respiro affannoso da fare male. Gli occhi gli bruciavano e aveva bevuto almeno due litri d’acqua, che continuava a rigurgitare dalle profondità dello stomaco, mentre ne soffiava istericamente altra fuori dal naso. Era cresciuto su un’isola, ma non aveva mai imparato a sopportare l’acqua nel naso. La odiava, e quel bastardo lo sapeva benissimo. Non aveva ancora smesso di tossire, quando Riku gli prese con forza il polso: "Che cosa vorrebbe dire che non sei come me?"

Sora gli morse la mano e subito Riku gli diede uno schiaffo con l’altra. Lui gli diede un pugno nello stomaco che gli tolse momentaneamente il respiro, così poté liberarsi facilmente e raggiungere la riva. Mentre cercava i suoi vestiti con lo sguardo Riku gli urlò ridendo: "Sei un ipocrita, Sora!"

Non gli diede retta. Doveva andarsene. Doveva solo andarsene in fretta.

Riku però non era della stessa idea, gli arrivò alle spalle e lo strattonò così forte che per un pelo non gli slogò la spalla. Sora ebbe i riflessi abbastanza pronti da abbassarsi e dargli una gomitata, poi lui lo bloccò e gliene piantò a sua volta una nella schiena. Sora gli azzannò un fianco e riuscì a liberarsi, sfracellandosi con la faccia contro la sabbia, che adesso non sembrava così morbida. Il tempo di cominciare a sputare granelli che Riku lo rigirò senza troppi problemi e gli spappolò mezza gengiva con un cazzotto sulla guancia. Sora si strozzò con sangue, ma lo inghiottì quasi con piacere, e gli sputò addosso quello che restava mentre con la mano libera lo colpiva alla mascella, poi se lo tirò con forza vicino, gli conficcò le unghie nella schiena e gli morse il collo quanto più forte poteva, finché Riku non afferrò il suo con entrambe le mani e continuò a stringere; Sora fu costretto ad aprire la bocca per respirare, e si lasciarono entrambi andare.

Un attimo dopo, Riku gli aveva bloccato le mani al terreno.

A Sora bruciavano gli occhi per via della sabbia, che diventava ulteriormente molesta appiccicandosi ai loro corpi bagnati. Sputò altro sangue sulla bocca di Riku, che lo leccò e gli sorrise, con le labbra che gli sanguinavano per i pugni.

Sora gli sorrise a sua volta, prima che lui lo lasciasse andare e gli desse così l’occasione di saltargli nuovamente alla gola e azzannarlo. Riku lo prese per la fronte e se lo tolse di dosso, sbattendolo con forza di nuovo contro la sabbia. Ghignò, sadico e soddisfatto: "Sempre a mordere, piccolo bastardo, sei un uomo o un leoncino?"

Sora prese il respiro prima di rispondergli "sono stato in tempi diversi entrambe le cose", e con una ginocchiata nello stomaco riuscì ad ottenere di nuovo la posizione dominante.

Continuarono a picchiarsi con entusiasmo, riempiendosi di morsi e di lividi, e quando alla fine Sora si ritrovò sopra di lui senza fiato, affannato, col sangue che ribolliva nelle vene e il viso arrossato, Riku lo afferrò per i capelli, se lo portò vicinissimo e gli disse a pochi centimetri dalle labbra: "Ripetimi ancora che non ti dà piacere".

Sora lo accontentò con un mezzo sorriso, ma scosse lentamente la testa con un tranquillissimo "no". Lui allora gli strinse più forte e lo costrinse a guardare in basso.

Le loro erezioni dure e palpitanti dicevano l’esatto contrario.

Sora scoppiò a ridere, non avendo altro da aggiungere. Riku doveva averla interpretata come una resa, perché si rilassò, e lui non si rilassava mai prima di essere del tutto sicuro di aver reso innocuo il suo avversario, anche se quell’avversario era il suo migliore amico.

Sora aveva la testa vuota e dolorate, ma anche la piacevole sensazione di aver riciclato qualcosa all’interno del suo corpo. Sputò altro sangue sulla sabbia e ridacchiò: "Ti odio, prima di domani avrò inghiottito duecento litri di sangue."

"Sono io che ti odio, mi hai quasi strappato il collo, stupido pazzo."

Lui sospirò beatamente: "Domani avrò così tanti dolori che non riuscirò ad alzarmi dal letto."

"Così almeno per qualche ora non penseremo ad altro…"

Sora rotolò giù da lui e si sdraiò al suo fianco. Poi fece un verso disgustato: "Se vedo ancora sabbia mi metto a gridare."

"Allora credo che dovresti andartene."

"Già. Qui ci sarà sempre un sacco di sabbia, vero?"

"Andiamocene."

Sora smise di guardarlo. Rivolse gli occhi al cielo e sorrise: "E dove te ne vuoi andare?"

"Non lo so. Che cosa non abbiamo ancora visto?"

"Non lo so…forse questa volta abbiamo davvero visto tutto."

"Ti sbagli. Sicuramente ci sono ancora un sacco di cose da vedere."

Sora sorrise tra se e se. Per Riku ci sarebbe stato sempre qualcosa da vedere, perché per Riku c’era sempre altro. Sora poteva avere dei dubbi, e anche quei lunghi momenti di rimpianto. Ma era una persona semplice, in fin dei conti. A lui andava bene anche così. Le stelle, il mare, le cose che lo avevano cresciuto. Aveva visto abbastanza.

Riku non avrebbe mai visto abbastanza.

Era stata quell’ansia irragionevole di vivere il più possibile a renderlo il pupazzo di Malefica, ma era stata quella stessa ansia a salvare il suo cuore.

Sora non aveva quell’avidità, ma non aveva nemmeno quella forza.

Chiuse gli occhi, godendosi finalmente in pace l’odore che di solito lo tormentava.

Forse le cose erano andate in modo sbagliato quando la porta della luce si era aperta.

Odiava pensarlo, ma a volte sentiva che forse la cosa migliore per loro sarebbe stata restare dall’altra parte. In un mondo in cui tutto è niente, e si vive di ricordi come relitti di vascelli in fondo all’oceano.

"Come fai a sapere che Roxas e Axel erano amici?"

Sora girò la testa: "Perché ti viene in mente adesso?"

"Mi è venuto in mente e basta. Te l’ha detto Roxas? O è una di quelle cose che sentite?"

"Me l’ha detto Axel, prima di sparire. Ha detto…" tornò a guardare il cielo, mentre una profonda tristezza gli saliva fino agli occhi. All’improvviso gli veniva da piangere.

"…ha detto che Roxas era l’unico che gli piaceva. E che lo faceva sentire come se avesse avuto un cuore…"

"Addirittura."

"Addirittura…"

Adesso aveva le lacrime agli occhi. Che orribile, orribile situazione. Non era più nemmeno padrone delle sue emozioni. Se solo avesse potuto infilasi una mano in gola e sradicare Roxas da lì sarebbe stata la persona più felice del mondo, ma purtroppo non poteva, e non solo perché Roxas non era una placca infiammata, ma soprattutto perché non poteva dire con certezza che cosa scatenasse quei sentimenti assurdi dentro di lui.

Non che facesse alcuna differenza, in fondo.

Poi sentì Riku ridere.

"Che c’è?"

"Senti, ma ti ha detto proprio così? Mi fa sentire come se avessi un cuore?"

"Già."

Riku rise ancora. A lui non sembrava molto carino ridere dei sentimenti altrui, specialmente con Roxas lì davanti (beh, davanti idealmente), ma prima che potesse avanzare una critica Riku disse divertito: "Allora credo che tu ti sia perso un passaggio, Sora."

"Uh?"

"Non sarebbe una novità, diciamo che non sei mai stato esattamente la pallina più brillante dell’albero di Natale…"

"Visto che tu invece sei così sveglio spiegami un po’ che cosa mi sarei perso!"

"Se non altro, cominciano a tornare un po’ di cose…"

"Uffa, piantala di rimuginare da solo!"

"Prima mi hai chiesto come si fa a sentire la mancanza di qualcuno col corpo, no?"

"Sì."

"Fai due più due. A mente, se ci riesci, altrimenti puoi usare le dita."

"Non capisco cosa stai cercando di comunicare…"

Riku rise e Sora sbuffò: "Per me non hai capito niente e mi stai solo prendendo in giro."

"Sono dell’organizzazione! Sto cercando di confonderti!"

Sul subito Sora non capì, ma quando ci arrivò Riku aveva già aggiunto: "Ho sentito tre idioti dire questa cosa un sacco di volte, per non ammettere che non capivano niente."

"Rikuuu! Almeno non ti vantare perché sei rimasto a spiarci senza farti vivo neanche una volta, non è proprio il caso!"

Niente da fare, Riku stava ridendo di lui e non avrebbe smesso molto presto. in fondo era meglio così. La sua risata lo tranquillizzava fin da quando erano bambini, e Dio, se aveva bisogno di essere tranquillizzato adesso.

Dopo un po’ che se ne stavano in silenzio, ancora nudi, con gli occhi chiusi e solo le onde del mare a suonare come una ninna nanna, Sora sbadigliò. Riku incrociò le mani dietro alla testa e disse: "Forse è il caso che tu torni a casa. Domani ti aspetta un’altra interminabile giornata di sole…"

"Dovrei anche lavarmi questa sabbia di dosso…"

"Ormai si sarà seccata."

Sora provò a spolverarla e vide che in effetti andava via facilmente. Si sarebbe fatto una doccia per bene a casa. Inghiottì un altro po’ di sangue e tirando fuori la lingua per il disgusto biascicò: "Non ti perdonerò mai."

Riku rispose troppo seriamente: "Lo so."

"Per la gengiva…" specificò, a bassa voce.

Un attimo dopo Riku era sopra di lui e gli teneva ferme le braccia.

Sora sentì una terribile, insopportabile vampata di calore.

Poi Riku gli prese la testa, gliela piegò su un lato e gli azzannò il collo.

Sora gridò fortissimo e lui gli tappò la bocca. Sora gli morse la mano, ma lui non la tolse, così continuò a mordere il più forte possibile, come se volesse sbriciolargli le dita. Lo morse con tutte le sue forze perché il cuore gli batteva come un trapano nel petto. Perché la pelle gli bruciava a contatto con la sua. Perché la stretta salda e violenta attorno i polsi lo eccitava. Perché aveva voglia di prendere in bocca i suoi capelli bianchi e tirarli, di avere le mani libere per graffiare ancora la sua schiena. Perché sentiva tutto il suo corpo sul punto di far esplodere ogni più piccola terminazione nervosa. Avrebbe voluto che quel dolore sublime non finisse mai.

Quando Riku lo lasciò lui mollò la sua mano, e non poté trattenersi da ricominciare a respirare affannosamente, sconvolto, e spaventato.

Riku gli diede un colpetto sulla fronte con le dita e gli disse: "Così impari a mordermi, piccolo bastardo".

Sora non rispose. Le sue maledette viscere avevano preso fuoco e si stavano squagliando come gelato flambé. Riku si fece serio, guardandolo, poi guardò la mano che recava il segno dei suoi denti e constatò: "Un giorno potresti diventare il Re della giungla."

Sora cercò di recuperare la voce: "Una volta ci ho provato, ma secondo Rafiki non ero adatto…"

Riku rise e si alzò.

Quando i loro corpi furono nuovamente divisi, sotto la pelle di Sora ricominciò una battaglia furiosa; dalla soddisfazione per essere finalmente in salvo, a uno struggente senso di mancanza. Cercò di alzarsi, ma gli girava la testa. Chiuse gli occhi.

"In quanto alla cosa di Roxas, pensaci. Buona notte, stupido leoncino."

Sora riaprì gli occhi solo quando sentì che Riku era tornato in acqua.

Si mise faticosamente a sedere, ma non riusciva a mettere bene a fuoco le cose. Gli sembrava di avere la febbre. Quindi era vero che nuotare di notte può essere pericoloso.

Sputò altro sangue e vide che ce l’aveva ancora duro.

Il suo primo pensiero fu di dolore, per quando avrebbe dovuto togliere la sabbia da lì.

Anche il secondo fu di dolore, ma di un dolore meno veniale.

Toccò l’erezione per controllare che fosse vera. Beh, era vera.

Pensò a Roxas. Pensò ad Axel. Pensò a Riku.

Axel e Riku.

Axel e Roxas.

…oh, no.

  
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