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Autore: ReeGray    06/07/2012    3 recensioni
La New Generetion (no, non mobile) di HP.
Due protagoniste, due versioni, tanti misteri...FF nata dalla mente mia e di una mia amica.
Dal prequel:
Ma allo stesso tempo avrebbe avuto nostalgia del suo aspetto tenebroso, che avrebbe dovuto abbandonare per lasciar posto a qualcosa di più dolce e innocente; ma lui non aveva nulla d'innocente, aveva ucciso troppi innocenti, innocenti per davvero.
Genere: Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dominique Weasley, Rose Weasley, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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CAPITOLO 11 "Christmas part. 1"


Pov. Dominique


Era dalla sera della partita che mi sentivo strana. Avevo un sacco di cose in testa, mille pensieri, anche se molti risultavano davvero sciocchi. Prima di tutto c’era lui, Zach, lui e il professor Elisir. Ogni tanto di notte, quando non riuscivo a dormire (il che capitava molto spesso), prendevo la mappa degli zii Fred e George e sussurravo il nome “Ector Howard” e ogni volta appariva come un puntino fisso che si muoveva nello studio del professore. Il problema era che non potevo fare nulla, non potevo litigare con un professore, per altro molto amico con la McGranitt. Quei due erano sempre andati d’accordo, si vedeva anche a due kilometri di distanza. Oppure ero semplicemente io quella che non sapeva come reagire, quella che aveva troppa paura per fare qualsiasi cosa… Si, non mi ero mai esposta a tal punto ed ero sicurissima che se ci fosse stato Harry, lui ci sarebbe riuscito, lui l’avrebbe fatto. Avevo sempre provato ammirazione verso lui e cercavo di assomigliarli.
Anche Rose era molto più coraggiosa di me. Non si direbbe mai, è vero, ma era così. Non si fermava davanti a nulla, anche se non l’avrebbe mai ammesso, lei era davvero coraggiosa. Arrivava fino in fondo, ed era per questo che a scuola si beccava un mucchio di richiami, perché non aveva paura di andare contro un’autorità, qualcuno o qualcosa più grande di lei. L’ammiravo.
Io invece ero sempre troppo precisa, sempre timorosa di non aver ragione, nonostante farsi i fatti propri non era mai stato il mio forte. Contraddittorio a sentirsi dire, ma vero. Ogni volta che vedevo qualcosa che non andava a scuola, mi ero sempre immischiata, sentendomi in dovere di difendere una determinata persona, di fare un po’ l’avvocato delle cause perse, per così dire, e facendolo mi ero beccata degli insulti molte volte, però era più forte di me. Ora invece non ci riuscivo, non riuscivo a scendere dal letto non appena vedevo Howard nello studio del professore, non riuscivo ad arrivare fin lì e di restare ad ascoltare quello che dicevano. Difficile ammetterlo per una orgogliosa come me, ma avevo paura. Mi faceva paura tutta quella situazione, che stava succedendo davvero?
Inoltre a complicarmi la vita, si era aggiunto Lucas, che mi evitava educatamente ogni volta. Ormai mi ero confessata, non potevo fare più nulla. La sera della partita c’erano quasi tutti i ragazzi di Serpeverde, amici di Scorpius, ma Lucas non c’era, nonostante fosse uno tra i suoi migliori amici. Forse non si era ancora ripreso, ma se davvero fosse stato così, Madama Chips non l’avrebbe mai e poi mai fatto uscire. Molto probabilmente e molto più semplicemente, si era rifiutato di venire per evitare il mio incontro. Forse credeva stessimo giocando, forse era troppo stronzo per aprire o anche chiudere un argomento, forse mi ero illusa del suo bacio, forse mi aveva usato come usava ogni altra ragazzina “dai facili costumi” che frequentavano la scuola. Ma si sbagliava se pensava questo, e prima o poi gliel’avrei fatta pagare.
 
Rose continuava ad essere sempre più triste man mano che si avvicinavano le vacanze di Natale. Fosse dipeso da lei sarebbe restata a scuola, ma sua madre la sarebbe venuta a prendere e l’avrebbe portata a casa a calci nel sedere. Questo sempre per detta di Rose.
 «La vuoi smettere di lamentarti?!» esclamai a pranzo, due giorni prima della partenza per casa, mentre fuori piccoli fiocchi di neve cadevano a terra, posandosi sul manto bianco già alto una ventina di centimetri. «Cazzo, non è poi tanto difficile prendere in mano un fottutissimo libro e studiare! Studiare, perché è quello che farai e se non ti decidi al più presto ti costringerò io!»
«Dominique. Tu. Non. Capisci.» disse arrabbiandosi. Prima che potesse spiegarmi cosa c’era di tanto difficile, però, le lanciai un’occhiata arrabbiata, sperando che i miei occhi avessero assunto il colore e le sembianze di un fuoco davvero molto caldo. «Non c’è assolutamente nulla da capire. Vuoi essere espulsa? Vuoi davvero passare il resto della tua vita senza aver neanche finito di frequentare la scuola perché non sei riuscita a prendere sufficiente nei G.U.F.O.? Vuoi metterti a fare la spazzina? NO. E non m’importa che sia una punizione ingiusta, tu ti metti a studiare. Tutto chiaro?, Bene!» urlai, facendo girare praticamente tutti il tavolo dei Grifondoro.
«Grazie, eh» bofonchiò Rose a bassa voce, prima di addentare una coscia di pollo, scena che mi ricordava tanto zio Ron al pranzo di Pasqua. Io, dopo aver perso le staffe, tornai bella sorridente. Sembravo una pazza isterica, lo sapevo, ma ero davvero troppo felice che fra pochi giorni fosse Natale, e non riuscivo a mantenere il broncio di fronte alla bellezza della neve, era più forte di me.
Le lezioni erano già state sospese, così quel pomeriggio decisi di andare a fare una passeggiata e scattare alcune foto al paesaggio invernale. Misi gli stivali e una volta indossato il cappotto uscii dal castello. Faceva davvero freddo, ma era piacevole passare del tempo all’aperto. Andai alla ricerca di qualche posto in cui quello spettacolo naturale apparisse ancor più bello, poi mi sedetti ai piedi di una quercia secolare ricoperta di neve e incominciai a scattare fotografie tutt’intorno. Ero molto affezionata alla mia macchinetta fotografica babbana. Mi erano sempre piaciuto gli oggetti babbani, e fin da piccola mi mio nonno mi aveva trasmesso una vera e propria passione per questi. Io al contrario suo però, avevo sempre avuto una certa aspirazione nel capire il loro utilizzo e a volte risultavo una vera babbana, mi sentivo parte di quelle tecnologie! Certo, non quanto adorassi la magia, ma comunque tanto.
C’erano ragazzi che giocavano, che facevano pupazzi di neve, tutt’intorno si respirava un’aria piacevole e di festa. Il signor Ovis stava trascinando un grosso pino fin dentro la scuola che sarebbe poi stato decorato con oggetti natalizi. Sembrava molto triste, probabilmente perché aveva dovuto abbandonare la sua pecora da compagnia, che ora sicuramente si trovava al riparo dalla neve.
Senza accorgermene restai lì seduta per un’ora e, quando finalmente mi decisi ad alzarmi sospirando, vidi in piedi, al lato della quercia dov’ero stata seduta, il professor Elisir.
«Oh p-professore! Mi ha spa-spaventato!» dissi, spaventata e tremante.
«Dominique, con te sarò sincero: non ho voglia di dover guardarmi le spalle da te e la tua cuginetta stupida. Perciò ti avviso, se succederà un’altra volta che vedo Rose spiarmi sarò costretto a prendere provvedimenti molto seri, la espelleremo immediatamente, chiaro? E tu non vuoi che le succeda questo, giusto?» disse calmo, con un’aria scocciata e un velo di cattiveria nella voce che non gli avevo mai sentito prima. Lanciò uno sguardo schifato alla mia macchinetta e poi continuò: «Mi dispiace averti disturbato mentre giocavi, oggetti del genere non dovrebbero essere neanche ammessi in questa scuola.» Poi si voltò e mentre sembrava camminare in direzione della foresta disse ancora: «Arrivederci… pezzente di una Weasley»
Non servì a nulla a abbassare la voce nell’ultima parte della frase, lo sentii forte e chiaro. A quel punto mi arrabbiai, dimenticai che dovevo restare calma, dimenticai che lui era un professore e dimenticai anche tutto ciò che pensavo sul mio scarso coraggio. «Mi scusi, professore. Lei, non mi fa paura. Lei, con il suo presuntuoso modo di fare,lei, se ne può anche andare a fanculo! E non si permetta mai più di sputare sul mio cognome, sulla mia famiglia, oppure giuro che soffrirà fino alla morte, ogni singolo minuto sarà un inferno per lei.» Avevo i denti stretti, i pugni chiusi e il fuoco che speravo mi apparisse negli occhi mentre parlavo con Rose, ora ero sicura che fosse ben visibile.
Il professore aveva smesso di camminare, ora era fermo, di spalle. Una risata finta gli sgorgò dalle labbra e poi, lentamente si voltò. «Mi stai minacciando mocciosa?»
«Cos’è che mi proibisce di farlo?» buttai fuori, spinta dall’adrenalina.
Elisir si stava avvicinando, camminava piano, lentamente, con un lieve sorrisino sul volto contratto. Io cominciavo a sentirmi in difficoltà, ma cercavo di mantenere la mia aria spavalda. Quando mi fu vicino, mi prese il mento, con le sue dita fredde su cui apparivano molti graffi e mi sussurrò con voce dura: «Ascoltami bene, tu farai come ti ho detto piccola ingenua Dominique, altrimenti quella che soffrirà molto sarai tu.» Poi mi lasciò andare e velocemente sparì dietro gli alberi.
Mi lasciai sfuggire un singhiozzo e senza più forze corsi verso il castello, conscia che a quell’ora tutti stavano cenando e lasciandomi l’ormai cielo buio alle spalle. 
 Non mi permisi di piangere, mi allungai sul letto e chiusi gli occhi, senza cercare di pensare a nulla, per far sbollire la rabbia dentro di me e soprattutto per trattenermi dallo scaraventare un qualsiasi oggetto verso il muro della camera. Poi, quando mi fui calmata a sufficienza decisi di tornare dai miei amici nella Sala Grande. Cercai si sembrare il più disinvolta possibile, nonostante sentissi lo sguardo del professore su di me ed evitai di guardare verso il tavolo dove si trovavano tutti i professori fingendo di salutare i compagni di classe. Fortunatamente erano tutti molto occupati a pensare alle vacanze e a discutere dei loro progetti, così non si accorsero delle mie stranezze. Soltanto un paio di volte vidi Hugo fissarmi preoccupato, ma poi tornò a parlare con i suoi amici senza curarsi di me. Bene.
Decisi di non raccontare l’accaduto a nessuno, per il momento, men che meno fino a quando ci trovavamo ancora ad Hogwarts, che non avevo mai visto tanto pericolosa. Nessun altro sembrava accorgersi di ciò che succedeva, nessuno se ne curava o pareva interessarsene. C’era davvero qualcosa che non andava.
Io mi ritrovai a preparare la valigia, conscia che in quei giorni sarebbe potuto succedere di tutto, ma con una nuova speranza che mi rassicurava e mi incoraggiava: dovevamo chiedere allo zio Harry se ne sapeva qualcosa. Era un Auror in fondo, e ci avrebbe aiutato.
Anche Rose pareva apprezzare quest’idea, così non ci restava che affrontare il solito lungo viaggio verso casa. Come avevamo fatto qualche mese prima, ci sedemmo in uno scompartimento tutti insieme e anche Ginger si unì a noi, senza, stranamente, nessuna occhiata contraria da parte di Albus.
Ora che ci pensavo era da tanto che non facevo due chiacchiere con Albus e Ginger, ma a quei due ci avrei pensato più tardi, ora volevo solo godermi le risate di Rose e Hugo che prendevano in giro James, le occhiate di Scorpius verso Rose e… le caramelle TuttiGusti+1 che mi si rovesciavano addosso mentre James cercava di correre lontano dai miei cugini. Erano pazzi.
«Oh ragazzi!» dissi ridendo, mentre cercavo di fuggire dallo strano odore che emanavano quelle caramelle. Lo scompartimento fu immediatamente inondato di risate e, mentre ridevamo ancora, sentimmo annunciare l’arrivo alla stazione 9 e ¾. Scendemmo tutti assieme e trovammo le nostre famiglie, anch’esse assieme, ad aspettarci. Ci salutammo tutti affettuosamente poi, con i miei genitori, mio fratello Louis e mia sorella partii verso Villa Conchiglia, felice, mentre ridevamo e scherzavamo insieme.
Ero affezionata alla mia piccola casa in riva al mare e non appena entrai corsi in camera mia per posare le valigie, mi feci una doccia, e indossai un semplice jeans e una felpa. Fuori faceva freddo, così tirai sul il cappuccio e decisi di fare una passeggiata in riva al mare. Le onde si infrangevano sugli scogli, spinte dal vento ed era piacevole risentire finalmente il rumore del mare, il suo profumo, che era così familiare e dolce per me. Era come se conoscessi ogni singolo granello di sabbia, quella era casa mia.
Mi sedetti in riva al mare, stringendomi nella felpa per riscaldarmi e una sensazione di benessere mi avvolse.
Passò qualche minuto, e sentii una mano che si poggiava sulla mia spalla; la riconobbi subito, era mia madre, con i suoi lunghi capelli biondi, la sua bellezza devastante. Senza dire nulla di sedette al mio fianco e mi abbraccio. Con mia madre avevo sempre avuto un rapporto bellissimo, non parlavamo molto, certo, più che altro comunicavamo con gli sguardi. E così, mentre ci limitavamo a guardare il mare mosso restammo zitte, ognuna persa nei propri pensieri.
 
Era tardo pomeriggio quando Victorie ci chiamò, dicendo di raggiungerli. Tornando verso casa mi fermai a guardare il luogo in cui lo zio Harry aveva seppellito Dobby durante la Guerra Magica. Io non avevo mai visto né conosciuto quell’elfo domestico, ma mi sentivo legata a lui, alla sua storia, a ciò che mi avevano sempre raccontato i miei genitori e i miei zii. Ormai volevo bene a Dobby, in qualche strano modo gli volevo bene.
Poggiai le dita sulla piccola targhetta di legno su cui erano inciso il suo nome e pensai ancora una volta alla sua storia, salutandolo e ringraziandolo in silenzio.
Poi raggiunsi la mia famiglia e fui sorpresa di vedere Victorie e mio padre che sollevavano un grosso pino.
«Bill, ma che state facendo?» disse mia madre, con la sua voce melodiosa e dolce come sempre.
«Cara, dobbiamo addobbare l’albero di Natale!» rispose mio padre sorridendo.
«Si ma, non possiamo usare semplicemente la magia?»  chiese mia madre, prendendo la sua bacchetta e sfoderando un sorriso di denti perfetti.
«Non ti permettere neppure! Useremo i modi babbani, tanto non abbiamo nessuna fretta, no? E poi è più divertente!» mio padre continuava a sorridere di buonumore e le sue parole provocarono la risata cristallina di mia madre: «Come vuoi allora!» e ripose la sua bacchetta a posto andando ad aiutarli per trasportare il grosso albero. Presi Louis in braccio e insieme, incominciammo a dirigere il lavoro, ridendo come matti. Alla fine, dopo un paio di unghia rotte di mia sorella, decidemmo che il posto migliore era sulla spiaggia, qualche metro distante da casa. Dopo averlo sistemato (e dopo aver convinto mio padre che l’unico modo per farlo era usare la magia), cominciammo a addobbarlo tutti insieme con palline e varie decorazioni di natura babbana.
Più tardi, dopo aver cenato, decisi di andare a dormire per riposare e togliermi di dosso la stanchezza. 
Non appena aprii la porta però, mi sorpresi di scoprire che la mia stanza non era vuota come credevo.
«Che diamine di fai qui?!»
  
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