Non sa dire, con esattezza, se la gente senza volto stia guardando proprio lei.
Gli occhi. Non li hanno; come potrebbe mai capire dove sia puntato il loro sguardo?
Gli occhi, gli occhi: sono lo specchio dell'anima, quindi, queste persone-
-queste persone non hanno un'anima?
Non le fanno paura, le fanno tristezza.
Non possono piangere, non possono ridere.
Non la toccano, la seguono, però; non la toccano, la sfiorano, però.
Non si mette a correre, non scappa.
La gente senza volto non è cattiva, non è pericolosa, è solo tanto -tanto- triste.
Non è colpa loro, se non hanno un volto.
Qualcuno li ha fatti così, qualcuno li ha resi così.
Non è colpa loro, se non hanno un'anima.
Una bambina senza volto si avvicina, piano, tende una mano verso di lei.
Piano.
In mano ha solo nebbia; lei la prende.
La prende, l'afferra; la gente senza volto si stringe intorno a lei.
La nebbia è uno specchio.
E nello specchio c'è il suo riflesso, il riflesso del suo viso.
È così, che scopre di essere anche lei senza volto.

Note:

Una drabble partorita male, 180 parole sono troppe ma non avevo voglia di toglierne.
Nata da un'idea che mi angoscia sempre: spesso penso che la gente che mi circonda sia superficiale, ma, pensando in questo modo, non sono forse superficiale anch'io? Se io e "la gente" siamo uguali, io non sono forse "la gente"? Forse siamo tutti gusci vuoti che possono vedere il vuoto solo negli altri, convincendoci con un "no, io sono diverso."

Forse siamo tutti senza volto.