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Autore: Flami Destrangis    07/07/2012    4 recensioni
“Per un attimo le sembrò di aver dimenticato tutto. Il telefono perso, il motivo per cui si trovava lì, le preoccupazioni degli ultimi mesi. Kogoro, Shinichi, Conan, Sonoko.. le sembravano solo nomi lontani. Poi, la realtà tornò a bussare con insistenza alla porta. E per quanto lei non volesse aprire, prima o poi la realtà si stufava di aspettare. Estraeva la chiave di scorta e apriva la porticina della sua mente, irrompendo come un fiume in piena.”
In un giorno di primavera, Conan scompare improvvisamente. L’ultima immagine che Ran ha di lui è quella di un bambino che corre, attirato da una strana Porsche nera parcheggiata nelle vicinanze. Due giorni dopo, il suo corpo viene ritrovato nei pressi del porto. Chi è stato? Ran è sempre più confusa, al dolore per la morte di Conan si aggiunge lo strano e improvviso silenzio di Shinichi. Perché non la chiama più?
Per mantenere viva la speranza di ritrovarlo, Ran decide di partire. Un viaggio alla ricerca di Shinichi, un percorso che la porterà in giro per il Giappone, tra città sconosciute, antichi templi e una leggenda che assomiglia fin troppo alla sua storia. Finché la leggenda non si tramuterà in realtà.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Kogoro Mori, Ran Mori | Coppie: Ran Mori/Shinichi Kudo
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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“Chi mai amò che non abbia amato al primo sguardo?”

(Marlowe, “Ero e Leandro”)

 

3. Gli occhi di Shinichi

 

Erano ancora le dieci di mattina, ma quel sole bollente di inizio estate aveva già occupato prepotentemente il cielo. Dalla finestra aperta della sua camera Ai poteva sentire un leggero venticello entrare e scompigliarle leggermente i capelli. Lavorava al suo computer, nonostante ormai le sembrasse un tentativo senza senso. Stava continuando le ricerche sull'antidoto dell' APTX. Lei non voleva tornare grande, no, questo no. Ma non completare le ricerche le sembrava un oltraggio alla memoria di Conan o, meglio, di Shinichi. Si era ripromessa di arrivare al termine prima che quegli uomini dall'impermeabile nero trovassero anche lei.

In realtà, le possibilità di essere scoperta non erano per nulla aumentate. Conan era rimasto ucciso solo perché si era esposto troppo. Gin doveva averlo notato e non aveva esitato due volte ad ucciderlo, nonostante fosse solo un bambino. Che mostro.

Molto probabilmente, l'Organizzazione non sapeva niente dell'effetto che l'APTX aveva avuto su di lei e Shinichi. Eppure, da quando il detective non c'era più, si sentiva sola, insicura, inerme.

Incontrare Ran al cimitero qualche settimana prima le aveva lasciato una gran tristezza nel cuore. Quella povera ragazza si affidava con tutte le sue forze alla possibilità che Shinichi fosse ancora vivo. Ai si sentiva terribilmente in colpa a lasciarle quell'illusione: eppure avevano deciso così, lei, Agasa, Heiji e i genitori di Shinichi. A Ran non andava rivelato nulla, per proteggerla. Se fosse venuta a conoscenza della verità, si sarebbe di sicuro esposta troppo, rischiando di rimanere intrappolata prima o poi nella tela di quei ragni neri.

Ma davvero era giusto così? Meglio la speranza della certezza? Ai non ne era più tanto convinta. Ritrovarsi davanti gli occhi carichi di malinconia di Ran l'avevano davvero fatta sentire un diavolo davanti ad un angelo. Forse sarebbe stato meglio confessarle tutto, finché poteva. Sì, finché poteva, perché aveva il terrore che gli Uomini in Nero arrivassero da un giorno all'altro e la portassero via sotto il loro mantello. Una bimba che scompare catturata dagli uomini cattivi. Come quelle storie che si raccontano ai bambini per farli stare buoni. Viveva nella paura costante, faticava a dormire, le sue orecchie erano sempre tese a captare ogni singolo rumore.

Smise di digitare sulla tastiera del computer e si affacciò alla finestra, che dava sul retro della casa. Gli uccellini cinguettavano sugli alberi e le persone camminavano tranquillamente per la strada. Era brutto vedere che il mondo era incurante dei suoi problemi. Vedere come tutto andasse comunque avanti anche se lei si era fermata, le faceva percepire tutta la sua inutilità. Aveva la mente occupata da tutti questi insensati pensieri, quando improvvisamente sentì un rumore. Uno scatto. Qualcuno aveva aperto il cancello principale. Ma chi poteva essere? Agasa aveva detto che non sarebbe stato di ritorno fino al primo pomeriggio. Un botto. Il cancello era stato richiuso con violenza. Passi concitati sulla ghiaia. Qualcuno stava camminando di fretta per arrivare alla porta della casa.

Il cuore di Ai perse un battito. Il primo pensiero che le attraversò la mente come una scheggia impazzita fu quello degli Uomini in Nero. Che fossero loro? Da quando in qua agivano in pieno giorno? Mentre sudava freddo, la probabilità andava pian piano trasformandosi in certezza nella sua testa. Le mani le tremavano, ma si impose di restare calma. Aprì piano la porticina della sua stanza e tentò di scendere le scale a passi felpati. La paura le impediva di compiere le azioni più banali, tanto che scivolò più volte e rischiò in

più di un occasione di rotolare fino al pianerottolo come una bambola di pezza lasciata cadere. Si fermò all'ultimo gradino, il muro che la nascondeva agli occhi di chiunque avesse aperto la porta. Prese la prima cosa che le capitava sotto mano, pronta a colpire. Affannata com'era, non si accorse nemmeno di aver scelto un vasetto di cactus che non avrebbe spaventato neanche un insetto. Era talmente sudata che la maglietta le si era ormai attaccata alla schiena. Il cuore le batteva a mille. Tum tum, tum tum. Sembrava un martello.

“Stai tranquilla, Ai. E' solo il tuo corpo che reagisce, aumentando la produzione di adrenalina. Ti sta preparando a combattere.”

Un pensiero che a tutti sembrerebbe assurdo, ma che alla piccolo scienziata fu utile per recuperare almeno in parte le sue facoltà mentali. La aiutava ad imparare a controllare i sintomi tipici della paura.

Ma il cuore non la smetteva di battere. Soprattutto ora che qualcuno stava infilando qualcosa nella serratura. Maledizione. La porta si apriva in maniera dannatamente lenta. Avrebbe fatto un infarto.

Quando finalmente vide spuntare due baffi e una folta chioma grigia, pensò che sarebbe svenuta. Che ci faceva già lì il dottor Agasa? Era uscito appena un'ora prima. Si innervosì leggermente, ma capì subito che la colpa non era dell'anziano signore: era lei che stava diventando paranoica.

Le venne da ridere notando la piantina di cactus che stringeva fra le mani. Voleva abbattere Gin, alto il quadruplo di lei, con quella microscopica piantina? Non aveva ancora decisamente imparato a controllare la paura.

Uscì dal suo nascondiglio, decisa più che mai ad essere la solita Ai. Non voleva mettere il dottor Agasa al corrente delle sue fobie.

“Dottore! Come mai già di ritorno?”

“Ai!” esclamò subito di rimando. Solo allora la bambina notò che Agasa era pallido, e sembrava terribilmente preoccupato.

“E' successo qualcosa?”

Il dottore chiuse la porta e andò a sedersi sul divano.

“Si tratta di Ran.”

Ran? Che è successo a Ran?”

“E' partita.”

“Cosa? Che vuol dire? Si spieghi meglio per favore!”

Ai era diventata incalzante.

“Per Shinichi. Si è messa in testa di ritrovarlo ed ha lasciato Tokyo per cercarlo.”

“Mi dica che non è vero..”

“Abbiamo sbagliato noi, Ai. Dovevamo dirle la verità.”

La bambina sembrava non aver nemmeno sentito quest'ultima frase: “Se, non trovandolo, dovesse contattare i giornali o la televisione... sarebbe la fine.”

“E' tutta colpa nostra, Ai.”

“L'abbiamo fatto per proteggerla. Proprio per evitare di smuovere le acque.”

“Non abbiamo tenuto abbastanza in considerazione i suoi sentimenti. Abbiamo fatto dei calcoli, e basta. Ma l'amore non è calcolo. Penso che Ran non si arrenderà finché non avrà trovato Shinichi.”

“Ma non lo troverà mai!” esclamò Ai, in preda alla disperazione.

“Chi gliel'ha detto?” aggiunse poi.

Kogoro.”

“E Ran è ancora a casa?”

“Era andata alla stazione. Non so se sia ancora lì.”

Senza aspettare un secondo di più, Ai si fiondò fuori di casa.

“Ehi, Ai..?!”

“Non c'è più tempo dottore!”

Iniziò a correre a più non posso in direzione della fermata della metropolitana più vicina. Prendere l'autobus per arrivare fino alla stazione sarebbe stato un suicidio. Dato il traffico cittadino della metropoli più affollata del Giappone, avrebbe perso più di un'ora. Mentre il vento, unito alla sua folle corsa, le sferzava addosso, cercò di ricordarsi la linea giusta per arrivare fino alla meta. Si intrufolò nel sottopassaggio, sgattaiolando tra le borse altrui e sgomitando per farsi strada. Riuscì a superare le biglietterie. Fare le fila per comprare il biglietto le avrebbe rubato troppo tempo. In fin dei conti, aveva fatto parte della più grande organizzazione criminale del Giappone. Che cos'era, a confronto, prendere per una volta la metro senza il biglietto?

La sua corsa era giusto in arrivo. Tirò un sospiro di sollievo e, quando il treno arrivò, si intrufolò velocemente, per non rischiare di rimanere fuori. A Tokyo una delle cose più complicate era riuscire ad entrare in una metropolitana. Per fortuna, ce l'aveva fatta.

Quando la voce meccanica annunciò la sua fermata, scattò fuori, rischiando di trascinare via con sé molte valigette ventiquattrore, insieme a qualche imprecazione.

Risalì fino in superficie alla velocità della luce e, una volta alla luce del sole, si ritrovò con il fiatone davanti alla stazione di Tokyo. Era un via vai continuo di persone. Entravano ed uscivano turisti, pendolari, ragazzi, studenti, famiglie. Cercò di farsi strada tra quella folla che si muoveva in maniera del tutto scomposta da una parte all'altra del grande salone. Dove poteva essere Ran? Si sentì persa. La stazione era talmente affollata che, dal basso del suo metro e venti, riusciva a malapena ad osservare il tabellone con gli orari delle partenze e degli arrivi. Trovare Ran era praticamente impossibile. Non poteva nemmeno chiamarla, dato che nella fretta aveva anche dimenticato il cellulare a casa. Cosa poteva farle? Nient'altro che tornare a casa. Aveva agito troppo d'impulso.

Lanciò un'ultima occhiata sconsolata al tabellone. Era appena partito il diretto per Tottori.

 

 

Ran si sdraiò sul letto, percependone subito la scomodità. Il materasso era terribilmente duro e le molle cigolavano ad ogni suo movimento. Le sembrava di essersi stesa per terra. Poco importava, doveva già ritenersi fin troppo fortunata ad aver trovato un hotel a poco prezzo per quella notte.

Prese il cellulare dalla borsa, per scrivere al padre e a Sonoko che il suo primo viaggio era trascorso senza tante complicazioni. Appena illuminò, notò subito un paio di chiamate perse da un numero non registrato in rubrica e che pure le pareva familiare. Corrugò la fronte e si fermò un attimo a riflettere. Quel numero.. ma certo, era la casa del dottor Agasa! Cosa voleva il dottore? Forse aveva saputo della sua partenza e voleva telefonarle per chiedere come stava. Pazienza, lo avrebbe richiamato più tardi. Ora aveva solo voglia di fare una bella doccia e di mangiare qualcosa. Aveva giusto visto un fast-food nei pressi dell'hotel, nella piazza adiacente alla stazione.

Doveva confessare che, appena arrivata a Tottori, si era sentita persa. Era la prima volta che viaggiava così, tutta sola, e Tottori, seppure non fosse una città poi così grande rispetto alla sua Tokyo, le aveva comunque dato l'impressione di essere un labirinto inestricabile. Attorno a lei c'era solo gente sconosciuta. Non voleva ammetterlo, ma si sentiva un po' sola. Come per dare uno scossone ai suoi pensieri, si girò di botto, sdraiandosi supina. Le molle del letto protestarono per quel gesto inaspettato, mentre invece quella trave di legno camuffata da materasso sembrava del tutto disinteressata al movimento improvviso di Ran.

Si alzò piano, cercando di non fare rumore, nonostante nessuno potesse di fatto sentirla. Il bagno sembrava pulito e alcune asciugamani erano riposte con cura su uno sgabello. Non male per quanto aveva pagato. Lasciò che i vestiti le scivolassero addosso, e si diede ad una doccia rinfrescante, evitando di bagnare i capelli che aveva lavato giusto quella mattina.

Pensava a come avrebbe potuto iniziare le ricerche di Shinichi. Non era facile attraversare un'intera città con una foto in mano, chiedendo alla prima persona che le capitava davanti se avesse per caso visto il suo amico. Forse avrebbe dovuto contattare qualche televisione o mettere qualche annuncio sul giornale. Eppure una prospettiva del genere la faceva sentire un po' in colpa nei confronti di Shinichi: ogni volta che si era fatto sentire, lui le aveva chiesto di non dire a nessuno delle sue telefonate e delle sporadiche visite. Ma perché? Da cosa o chi si nascondeva? Forse anche adesso Shinichi continuava a nascondersi. E non le si mostrava per non metterla in pericolo.

Ma insomma, perché fantasticava così tanto? Tutta quell'acqua le aveva infradiciato i neuroni. Si asciugò piano e prese alcuni vestiti dalla valigia. Prima di uscire diede un'occhiata veloce allo specchio e si accorse delle occhiaia scure che le contornavano gli occhi. Accidenti, era davvero impresentabile. Cercò di migliorare la situazione con un filo di matita, e notò con piacere che il nero che le contornava gli occhi faceva risaltare l'azzurro delle iridi. Appoggiò la matita sul comodino e sorrise amaramente allo specchio. Ora era truccata, sì. Ma chi doveva vederla quella sera? Nessuno, a parte qualche abitante di Tottori che le sarebbe passato accanto senza nemmeno notarla.

Uscì in fretta, cercando riparo dalla sua solitudine nelle vie semi affollate della città. Quando passò davanti alla reception, l'uomo che sedeva davanti al computer la chiamò, porgendole i suoi documenti.

“Grazie.” disse Ran.

“Buona serata, signorina.” rispose quello, sorridendo. Doveva avere poco meno di una trentina d'anni. Ran passò avanti, non potendo fare a meno di notare gli sguardi continui che il ragazzo le lanciava e i sorrisi sdolcinati che le riservava. Ma a lei non importava. Non le importava di nessun ragazzo a parte lui.

Cenò al fast-food, un panino, qualche patatina, un sorso di Coca-Cola, e poi via, nuovamente fuori tra le vie della città. Nonostante fosse un normalissimo giorno feriale, c'era chi non rinunciava ad una passeggiata in una sera di inizio estate. Alcuni negozi erano ancora aperti, e quelli già chiusi avevano comunque le vetrine illuminate, con vestiti, scarpe, giocattoli, o cosa per essi, in bella vista. Ran si fermò ad osservare un delizioso vestito a fiori, indossato divinamente da un manichino un po' troppo magro. Dalla vetrina poteva vedere il riflesso di tutte le persone che le passavano dietro, tante piccole formichine in cerca di un po' di relax. E fu allora che le sembrò di vederlo. Gli stessi capelli, la stessa camminata: mani in tasca, passo sicuro. Era lui. Si girò, il cuore che batteva a mille. La figura che aveva intravisto stava cominciando a svanire, inghiottita dalla folla che procedeva sul marciapiede. Eppure poteva ancora vedere quella testa sbucare fra un centinaio di altre teste.. no, non poteva permettersi di perderlo. Non più. Cominciò a sgomitare per passare oltre, per riuscire a inseguirlo. Shinichi!, avrebbe voluto urlare, ma la voce le si strozzava in gola. La bocca secca testimoniava la sua emozione. Ecco, lo rivedeva chiaramente. Era davanti a lei, ma le dava le spalle. Cercando di controllare il fiatone, afferrò il braccio del ragazzo.

Shinichi!” esclamò a mezza voce.

Il giovane di voltò. E quello che Ran vide fu un colpo al cuore. Quel ragazzo aveva due grandi occhi castani. Quelli non erano gli occhi di Shinichi. Lui li aveva azzurri, come il mare quando non ci sono tempeste. Come il cielo in una mattina d'estate.

Ran si accorse che il ragazzo la stava guardando con un'espressione accigliata e leggermente infastidita. Forse le aveva anche chiesto cosa volesse, ma lei non aveva sentito.

“Scusami. Ti ho scambiato per un'altra persona.”

Ora aveva anche le allucinazioni? Sognava di vedere Shinichi, di rincontralo? Ritrovava qualcosa di lui in qualunque persona le passasse accanto. Perché l'aveva abbandonata? La stava facendo impazzire. Si accorse che, in fondo al suo cuore, un po' lo odiava. Lo odiava perché l'aveva lasciata sola, non facendosi più sentire. Lo odiava semplicemente perché ne era talmente innamorata da non poterne fare a meno. Avrebbe mai potuto perdonarlo per quanto la stava facendo soffrire?

Si voltò e ricominciò a camminare verso l'albergo. Non aveva più voglia di stare in giro. Quella città non le piaceva. Sarebbe partita il giorno seguente, prendendo il primo treno per Kyoto. Si strinse nel suo maglioncino di cotone, nonostante non facesse per niente fresco.

Quella sera, nel buio della sua stanza, faticò ad addormentarsi. Troppi pensieri le affollavano la testa. Aveva spento il cellulare, per non essere disturbata. Non aveva voglia di parlare con nessuno. Ma si era completamente dimenticata di chiamare il dottor Agasa.

 

 

 

Angolino autrice:

 Eccomi qui con enorme ritardo causa vacanze! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto :) .. ho aggiornato il prima possibile!

Vorrei ringraziare tutti coloro che hanno commentato, cioè Kaity Aya_Brea mangakagirl Silver Spring AliHolmes I_Am_She e Kikari_ ! Grazie mille, i vostri commenti mi hanno davvero fatto piacere:)

Grazie a Kikari_ e Silver Spring che hanno la storia tra le preferite, a Kaity che l’ha inserita fra le ricordate e a chi la segue, cioè 88roxina94, Aya_Brea, Melinda Malfoy, I_Am_She, BlackFeath,Kikari_, AliHolmes, Yume98, Toru85, _MyOwnForgottenWorld_ . Grazie davvero! Spero di non aver dimenticato nessuno!

Al prossimo capitolo,

Flami

  
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