Searching
“Chi mai amò che non abbia amato al primo sguardo?”
(Marlowe, “Ero e Leandro”)
3. Gli occhi di Shinichi
Erano
ancora le dieci di mattina, ma quel sole bollente di inizio estate aveva già
occupato prepotentemente il cielo. Dalla finestra aperta della sua camera Ai
poteva sentire un leggero venticello entrare e scompigliarle leggermente i
capelli. Lavorava al suo computer, nonostante ormai le sembrasse un tentativo
senza senso. Stava continuando le ricerche sull'antidoto dell' APTX. Lei non
voleva tornare grande, no, questo no. Ma non completare le ricerche le sembrava
un oltraggio alla memoria di Conan o, meglio, di Shinichi.
Si era ripromessa di arrivare al termine prima che quegli uomini
dall'impermeabile nero trovassero anche lei.
In
realtà, le possibilità di essere scoperta non erano per nulla aumentate. Conan
era rimasto ucciso solo perché si era esposto troppo. Gin doveva averlo notato
e non aveva esitato due volte ad ucciderlo, nonostante fosse solo un bambino.
Che mostro.
Molto
probabilmente, l'Organizzazione non sapeva niente dell'effetto che l'APTX aveva
avuto su di lei e Shinichi. Eppure, da quando il
detective non c'era più, si sentiva sola, insicura, inerme.
Incontrare
Ran al cimitero qualche settimana prima le aveva
lasciato una gran tristezza nel cuore. Quella povera ragazza si affidava con
tutte le sue forze alla possibilità che Shinichi
fosse ancora vivo. Ai si sentiva terribilmente in colpa a lasciarle
quell'illusione: eppure avevano deciso così, lei, Agasa,
Heiji e i genitori di Shinichi.
A Ran non andava rivelato nulla, per proteggerla. Se
fosse venuta a conoscenza della verità, si sarebbe di sicuro esposta troppo,
rischiando di rimanere intrappolata prima o poi nella tela di quei ragni neri.
Ma
davvero era giusto così? Meglio la speranza della certezza? Ai non ne era più
tanto convinta. Ritrovarsi davanti gli occhi carichi di malinconia di Ran l'avevano davvero fatta sentire un diavolo davanti ad
un angelo. Forse sarebbe stato meglio confessarle tutto, finché poteva. Sì,
finché poteva, perché aveva il terrore che gli Uomini in Nero arrivassero da un
giorno all'altro e la portassero via sotto il loro mantello. Una bimba che
scompare catturata dagli uomini cattivi. Come quelle storie che si raccontano
ai bambini per farli stare buoni. Viveva nella paura costante, faticava a
dormire, le sue orecchie erano sempre tese a captare ogni singolo rumore.
Smise
di digitare sulla tastiera del computer e si affacciò alla finestra, che dava
sul retro della casa. Gli uccellini cinguettavano sugli alberi e le persone
camminavano tranquillamente per la strada. Era brutto vedere che il mondo era
incurante dei suoi problemi. Vedere come tutto andasse comunque avanti anche se
lei si era fermata, le faceva percepire tutta la sua inutilità. Aveva la mente
occupata da tutti questi insensati pensieri, quando improvvisamente sentì un
rumore. Uno scatto. Qualcuno aveva aperto il cancello principale. Ma chi poteva
essere? Agasa aveva detto che non sarebbe stato di
ritorno fino al primo pomeriggio. Un botto. Il cancello era stato richiuso con
violenza. Passi concitati sulla ghiaia. Qualcuno stava camminando di fretta per
arrivare alla porta della casa.
Il
cuore di Ai perse un battito. Il primo pensiero che le attraversò la mente come
una scheggia impazzita fu quello degli Uomini in Nero. Che fossero loro? Da
quando in qua agivano in pieno giorno? Mentre sudava freddo, la probabilità
andava pian piano trasformandosi in certezza nella sua testa. Le mani le
tremavano, ma si impose di restare calma. Aprì piano la porticina della sua
stanza e tentò di scendere le scale a passi felpati. La paura le impediva di
compiere le azioni più banali, tanto che scivolò più volte e rischiò in
più
di un occasione di rotolare fino al pianerottolo come una bambola di pezza
lasciata cadere. Si fermò all'ultimo gradino, il muro che la nascondeva agli
occhi di chiunque avesse aperto la porta. Prese la prima cosa che le capitava
sotto mano, pronta a colpire. Affannata com'era, non si accorse nemmeno di aver
scelto un vasetto di cactus che non avrebbe spaventato neanche un insetto. Era
talmente sudata che la maglietta le si era ormai attaccata alla schiena. Il
cuore le batteva a mille. Tum tum,
tum tum. Sembrava un
martello.
“Stai
tranquilla, Ai. E' solo il tuo corpo che reagisce, aumentando la produzione di
adrenalina. Ti sta preparando a combattere.”
Un
pensiero che a tutti sembrerebbe assurdo, ma che alla piccolo scienziata fu
utile per recuperare almeno in parte le sue facoltà mentali. La aiutava ad
imparare a controllare i sintomi tipici della paura.
Ma
il cuore non la smetteva di battere. Soprattutto ora che qualcuno stava
infilando qualcosa nella serratura. Maledizione. La porta si apriva in
maniera dannatamente lenta. Avrebbe fatto un infarto.
Quando
finalmente vide spuntare due baffi e una folta chioma grigia, pensò che sarebbe
svenuta. Che ci faceva già lì il dottor Agasa? Era
uscito appena un'ora prima. Si innervosì leggermente, ma capì subito che la
colpa non era dell'anziano signore: era lei che stava diventando paranoica.
Le
venne da ridere notando la piantina di cactus che stringeva fra le mani. Voleva
abbattere Gin, alto il quadruplo di lei, con quella microscopica piantina? Non
aveva ancora decisamente imparato a controllare la paura.
Uscì
dal suo nascondiglio, decisa più che mai ad essere la solita Ai. Non voleva
mettere il dottor Agasa al corrente delle sue fobie.
“Dottore!
Come mai già di ritorno?”
“Ai!”
esclamò subito di rimando. Solo allora la bambina notò che Agasa
era pallido, e sembrava terribilmente preoccupato.
“E'
successo qualcosa?”
Il
dottore chiuse la porta e andò a sedersi sul divano.
“Si
tratta di Ran.”
“Ran? Che è successo a Ran?”
“E'
partita.”
“Cosa?
Che vuol dire? Si spieghi meglio per favore!”
Ai
era diventata incalzante.
“Per
Shinichi. Si è messa in testa di ritrovarlo ed ha
lasciato Tokyo per cercarlo.”
“Mi
dica che non è vero..”
“Abbiamo
sbagliato noi, Ai. Dovevamo dirle la verità.”
La
bambina sembrava non aver nemmeno sentito quest'ultima frase: “Se, non
trovandolo, dovesse contattare i giornali o la televisione... sarebbe la fine.”
“E'
tutta colpa nostra, Ai.”
“L'abbiamo
fatto per proteggerla. Proprio per evitare di smuovere le acque.”
“Non
abbiamo tenuto abbastanza in considerazione i suoi sentimenti. Abbiamo fatto
dei calcoli, e basta. Ma l'amore non è calcolo. Penso che Ran
non si arrenderà finché non avrà trovato Shinichi.”
“Ma
non lo troverà mai!” esclamò Ai, in preda alla disperazione.
“Chi
gliel'ha detto?” aggiunse poi.
“Kogoro.”
“E
Ran è ancora a casa?”
“Era
andata alla stazione. Non so se sia ancora lì.”
Senza
aspettare un secondo di più, Ai si fiondò fuori di casa.
“Ehi,
Ai..?!”
“Non
c'è più tempo dottore!”
Iniziò
a correre a più non posso in direzione della fermata della metropolitana più
vicina. Prendere l'autobus per arrivare fino alla stazione sarebbe stato un
suicidio. Dato il traffico cittadino della metropoli più affollata del
Giappone, avrebbe perso più di un'ora. Mentre il vento, unito alla sua folle
corsa, le sferzava addosso, cercò di ricordarsi la linea giusta per arrivare
fino alla meta. Si intrufolò nel sottopassaggio, sgattaiolando tra le borse
altrui e sgomitando per farsi strada. Riuscì a superare le biglietterie. Fare
le fila per comprare il biglietto le avrebbe rubato troppo tempo. In fin dei
conti, aveva fatto parte della più grande organizzazione criminale del
Giappone. Che cos'era, a confronto, prendere per una volta la metro senza il biglietto?
La
sua corsa era giusto in arrivo. Tirò un sospiro di sollievo e, quando il treno
arrivò, si intrufolò velocemente, per non rischiare di rimanere fuori. A Tokyo
una delle cose più complicate era riuscire ad entrare in una metropolitana. Per
fortuna, ce l'aveva fatta.
Quando
la voce meccanica annunciò la sua fermata, scattò fuori, rischiando di
trascinare via con sé molte valigette ventiquattrore, insieme a qualche
imprecazione.
Risalì
fino in superficie alla velocità della luce e, una volta alla luce del sole, si
ritrovò con il fiatone davanti alla stazione di Tokyo. Era un via vai continuo
di persone. Entravano ed uscivano turisti, pendolari, ragazzi, studenti,
famiglie. Cercò di farsi strada tra quella folla che si muoveva in maniera del
tutto scomposta da una parte all'altra del grande salone. Dove poteva essere Ran? Si sentì persa. La stazione era talmente affollata
che, dal basso del suo metro e venti, riusciva a malapena ad osservare il
tabellone con gli orari delle partenze e degli arrivi. Trovare Ran era praticamente impossibile. Non poteva nemmeno
chiamarla, dato che nella fretta aveva anche dimenticato il cellulare a casa.
Cosa poteva farle? Nient'altro che tornare a casa. Aveva agito troppo
d'impulso.
Lanciò
un'ultima occhiata sconsolata al tabellone. Era appena partito il diretto per Tottori.
Ran si sdraiò sul letto,
percependone subito la scomodità. Il materasso era terribilmente duro e le
molle cigolavano ad ogni suo movimento. Le sembrava di essersi stesa per terra.
Poco importava, doveva già ritenersi fin troppo fortunata ad aver trovato un
hotel a poco prezzo per quella notte.
Prese
il cellulare dalla borsa, per scrivere al padre e a Sonoko
che il suo primo viaggio era trascorso senza tante complicazioni. Appena
illuminò, notò subito un paio di chiamate perse da un numero non registrato in
rubrica e che pure le pareva familiare. Corrugò la fronte e si fermò un attimo
a riflettere. Quel numero.. ma certo, era la casa del dottor Agasa! Cosa voleva il dottore? Forse aveva saputo della sua
partenza e voleva telefonarle per chiedere come stava. Pazienza, lo avrebbe
richiamato più tardi. Ora aveva solo voglia di fare una bella doccia e di
mangiare qualcosa. Aveva giusto visto un fast-food nei pressi dell'hotel, nella
piazza adiacente alla stazione.
Doveva
confessare che, appena arrivata a Tottori, si era
sentita persa. Era la prima volta che viaggiava così, tutta sola, e Tottori, seppure non fosse una città poi così grande
rispetto alla sua Tokyo, le aveva comunque dato l'impressione di essere un
labirinto inestricabile. Attorno a lei c'era solo gente sconosciuta. Non voleva
ammetterlo, ma si sentiva un po' sola. Come per dare uno scossone ai suoi
pensieri, si girò di botto, sdraiandosi supina. Le molle del letto protestarono
per quel gesto inaspettato, mentre invece quella trave di legno camuffata da
materasso sembrava del tutto disinteressata al movimento improvviso di Ran.
Si
alzò piano, cercando di non fare rumore, nonostante nessuno potesse di fatto
sentirla. Il bagno sembrava pulito e alcune asciugamani erano riposte con cura
su uno sgabello. Non male per quanto aveva pagato. Lasciò che i vestiti le
scivolassero addosso, e si diede ad una doccia rinfrescante, evitando di
bagnare i capelli che aveva lavato giusto quella mattina.
Pensava
a come avrebbe potuto iniziare le ricerche di Shinichi.
Non era facile attraversare un'intera città con una foto in mano, chiedendo
alla prima persona che le capitava davanti se avesse per caso visto il suo
amico. Forse avrebbe dovuto contattare qualche televisione o mettere qualche
annuncio sul giornale. Eppure una prospettiva del genere la faceva sentire un
po' in colpa nei confronti di Shinichi: ogni volta
che si era fatto sentire, lui le aveva chiesto di non dire a nessuno delle sue
telefonate e delle sporadiche visite. Ma perché? Da cosa o chi si nascondeva?
Forse anche adesso Shinichi continuava a nascondersi.
E non le si mostrava per non metterla in pericolo.
Ma
insomma, perché fantasticava così tanto? Tutta quell'acqua le aveva
infradiciato i neuroni. Si asciugò piano e prese alcuni vestiti dalla valigia.
Prima di uscire diede un'occhiata veloce allo specchio e si accorse delle
occhiaia scure che le contornavano gli occhi. Accidenti, era davvero
impresentabile. Cercò di migliorare la situazione con un filo di matita, e notò
con piacere che il nero che le contornava gli occhi faceva risaltare l'azzurro
delle iridi. Appoggiò la matita sul comodino e sorrise amaramente allo
specchio. Ora era truccata, sì. Ma chi doveva vederla quella sera? Nessuno, a
parte qualche abitante di Tottori che le sarebbe
passato accanto senza nemmeno notarla.
Uscì
in fretta, cercando riparo dalla sua solitudine nelle vie semi affollate della
città. Quando passò davanti alla reception, l'uomo che sedeva davanti al
computer la chiamò, porgendole i suoi documenti.
“Grazie.”
disse Ran.
“Buona
serata, signorina.” rispose quello, sorridendo. Doveva avere poco meno di una
trentina d'anni. Ran passò avanti, non potendo fare a
meno di notare gli sguardi continui che il ragazzo le lanciava e i sorrisi
sdolcinati che le riservava. Ma a lei non importava. Non le importava di nessun
ragazzo a parte lui.
Cenò
al fast-food, un panino, qualche patatina, un sorso di Coca-Cola, e poi via,
nuovamente fuori tra le vie della città. Nonostante fosse un normalissimo
giorno feriale, c'era chi non rinunciava ad una passeggiata in una sera di
inizio estate. Alcuni negozi erano ancora aperti, e quelli già chiusi avevano
comunque le vetrine illuminate, con vestiti, scarpe, giocattoli, o cosa per
essi, in bella vista. Ran si fermò ad osservare un
delizioso vestito a fiori, indossato divinamente da un manichino un po' troppo
magro. Dalla vetrina poteva vedere il riflesso di tutte le persone che le
passavano dietro, tante piccole formichine in cerca di un po' di relax. E fu
allora che le sembrò di vederlo. Gli stessi capelli, la stessa camminata: mani
in tasca, passo sicuro. Era lui. Si girò, il cuore che batteva a mille. La
figura che aveva intravisto stava cominciando a svanire, inghiottita dalla
folla che procedeva sul marciapiede. Eppure poteva ancora vedere quella testa
sbucare fra un centinaio di altre teste.. no, non poteva permettersi di
perderlo. Non più. Cominciò a sgomitare per passare oltre, per riuscire a
inseguirlo. Shinichi!, avrebbe voluto urlare, ma la
voce le si strozzava in gola. La bocca secca testimoniava la sua emozione.
Ecco, lo rivedeva chiaramente. Era davanti a lei, ma le dava le spalle.
Cercando di controllare il fiatone, afferrò il braccio del ragazzo.
“Shinichi!” esclamò a mezza voce.
Il
giovane di voltò. E quello che Ran vide fu un colpo
al cuore. Quel ragazzo aveva due grandi occhi castani. Quelli non erano gli
occhi di Shinichi. Lui li aveva azzurri, come il mare
quando non ci sono tempeste. Come il cielo in una mattina d'estate.
Ran si accorse che il ragazzo la
stava guardando con un'espressione accigliata e leggermente infastidita. Forse
le aveva anche chiesto cosa volesse, ma lei non aveva sentito.
“Scusami.
Ti ho scambiato per un'altra persona.”
Ora
aveva anche le allucinazioni? Sognava di vedere Shinichi,
di rincontralo? Ritrovava qualcosa di lui in qualunque persona le passasse
accanto. Perché l'aveva abbandonata? La stava facendo impazzire. Si accorse
che, in fondo al suo cuore, un po' lo odiava. Lo odiava perché l'aveva lasciata
sola, non facendosi più sentire. Lo odiava semplicemente perché ne era talmente
innamorata da non poterne fare a meno. Avrebbe mai potuto perdonarlo per quanto
la stava facendo soffrire?
Si
voltò e ricominciò a camminare verso l'albergo. Non aveva più voglia di stare
in giro. Quella città non le piaceva. Sarebbe partita il giorno seguente,
prendendo il primo treno per Kyoto. Si strinse nel suo maglioncino di cotone,
nonostante non facesse per niente fresco.
Quella
sera, nel buio della sua stanza, faticò ad addormentarsi. Troppi pensieri le
affollavano la testa. Aveva spento il cellulare, per non essere disturbata. Non
aveva voglia di parlare con nessuno. Ma si era completamente dimenticata di
chiamare il dottor Agasa.
Angolino
autrice:
Eccomi
qui con enorme ritardo causa vacanze! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto
:) .. ho aggiornato il prima possibile!
Vorrei ringraziare tutti coloro che hanno
commentato, cioè Kaity Aya_Brea mangakagirl Silver Spring AliHolmes I_Am_She e Kikari_
! Grazie mille, i vostri commenti mi hanno davvero fatto piacere:)
Grazie a Kikari_ e Silver Spring che hanno la storia tra
le preferite, a Kaity
che l’ha inserita fra le ricordate e a chi la segue, cioè 88roxina94, Aya_Brea, Melinda Malfoy, I_Am_She, BlackFeath,Kikari_, AliHolmes, Yume98,
Toru85, _MyOwnForgottenWorld_ . Grazie davvero!
Spero di non aver dimenticato nessuno!
Al prossimo capitolo,
Flami