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Autore: avalon9    23/01/2007    1 recensioni
Gli youkai sono essere terribili: affascinano e uccidono. Sono esseri diversi. I ningen sono insignificanti, per uno youkai; creature semplici, irrazionali, che trascinano la vita senza comprenderla. Dei ningen gli youkai non si curano; li ignorano con superiore indifferenza.
Sesshomaru è youkai ed è orgoglioso della sua essenza. Ma un inverno, incontrerà una ningen e, da quel momento, la linea netta che separa uomini e demoni inizierà ad assotigliarsi.
Genere: Romantico, Malinconico, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Sesshoumaru
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao a tutti

Ciao a tutti!

 

Scusate se non mi dilungo, ma sono davvero di fretta: l’esame è vicinissimo e io devo finire di ripetere- Perciò, vi lascio subito il capitolo e scappo a studiare.

 

Buona lettura!

 

Per Jame: grazie della mail. Scusa se non ti ho risposto, ma sono presissima. Comunque, rimedierò appena avrò un minuto libero.

 

 

 

CAPITOLO 30

PAURA

 

 

“Il Principe è morto! Il Principe è morto!”

La notizia volò per il campo e il palazzo come un fulmine, di bocca in bocca, seminando il panico.

Voci confuse si accavallavano, fornendo particolari sempre più precisi e contraddittori. Il messaggero cui chiedere era sparito, inghiottito dai corridoi del palazzo. Doveva riferire. Subito.

 

Kumamoto, che in quel momento stava visionando gli approvvigionamenti, sbiancò appena la voce gli giunse. Mise malamente in mano all’attendente carte e pergamene e si precipitò all’interno. Se si trattava di uno scherzo, il suo autore avrebbe passato un brutto quarto d’ora. Gli stava per venire un colpo.

 

Non poteva crederci. Il principe…morto. No. Era impossibile. Sesshomaru non poteva essere morto. Continuava a ripeterselo come una cantilena snervante, eppure era perfettamente cosciente che non c’è nulla di più facile che cadere in un’imboscata, mentre si è in perlustrazione. Per di più, se ci si intestardisce a compiere le sortite ciechi e non ancora abbastanza capaci di fronteggiare uno scontro in campo aperto.

 

Alessandra aveva cercato di farlo desistere. Senza risultato. Lui voleva partecipare a quelle ricognizioni, e nessuno glielo avrebbe impedito. Le ferite superficiali riportate non gli avevano insegnato nulla. O forse anche troppo. Lo avevano messo di fronte a un’incapacità che non riusciva ad accettare. Come gli era impossibile restare nelle retrovie, confinato a palazzo in attesa di notizie. Era un uomo d’azione, razionale e calcolata, certo. Ma sempre d’azione.

 

Kumamoto raggiunse il messaggero prima che entrasse nella sala del consiglio e con lui tornò verso la piazza d’armi. Vivo o morto che fosse, era ben intenzionato ad andare a riprendere il suo signore. E il sollievo fu grande quando gli fu detto che Sesshomaru era vivo. Ferito, ma vivo. E che si stava dirigendo verso il palazzo.

 

Si era imbattuto in un’avanguardia nemica, per di più in posizione sfavorevole. Ma non era servito. Questa volta, gli avversari avevano con sé quelle strane canne che riuscivano a uccidere gli youkai prosciugandoli della loro aura. Sotto un fuoco di sbarramento che non si curava di chi colpisse, era iniziato un duello all’arma bianca. Il vecchio generale si rabbuiò. Se adesso iniziavano a portarsi dietro quei maledetti aggeggi, significava che erano sempre più vicini.

 

Nella piazza d’armi trovò gli altri generali a palazzo e un vociare confuso. La notizia della presunta morte dell’inuyoukai aveva seminato il panico ovunque, e qualche ardimentoso stava già proponendo di uscire in massa per andare a vendicarlo. Un’idea magnifica. Dritti nelle braccia della morte. Ci volle l’intervento della guardia scelta che faceva capo direttamente al vecchio generale per sedare gli animi e riuscire a riportare la calma. Kumamoto ordinò di inviare messaggeri agi altri reparti in perlustrazione, perché comunicassero di tornare subito; rafforzare le guardie lungo le mura e costituire un gruppo di volontari, non numeroso, perché andassero nuovamente in avanscoperta, col preciso ordine di non ingaggiare battaglia. C’era bisogno di informazioni, non di nuovo morti.

 

Ordinò a Jacken, appena sopraggiunto, di allertare i curatori del palazzo, perché probabilmente sarebbe stata necessaria la loro opera, e di informare Alessandra dell’accaduto. Voleva che la ragazza fosse lì quando sarebbe entrato dalla porta principale con il Principe, perché lo prendesse subito in consegna.

 

Jacken, che si era allontanato di corsa per eseguire gli ordini, si bloccò pietrificato dall’ultimo. Cosa che non sfuggì a Kumamoto. Il demonietto tremava di paura; doveva sapere qualcosa di importante. E di poco piacevole. Lo agguantò per il kimono e gli urlò a pochi centimetri dal viso di parlar chiaro, invece di balbettare scuse. Non ottenne alcun effetto; Jacken si spaventò ancora di più e le sue parole era suoni gutturali e privi di una qualsiasi articolazione. Ma non ci fu bisogno di alcuna parola.

 

Kumamoto vide qualcosa attraversare a grande velocità tutta la piazza, fendendo la folla dei soldati, e dirigersi verso il grande portone aperto. Gli ci volle un secondo per capire cosa fosse. Gettò malamente Jacken a terra e si precipitò dietro a quella scia.

 

La fermò che ormai stava per attraversare il portone. Le si materializzò davanti all’improvviso, costringendola a tirare le briglie per evitarlo. Si aspettava una ragazza in preda all’isterismo, sconvolta dal dolore e piangente, come avevano subito pianto le donne del palazzo. Invece, si trovò di fronte qualcosa di veramente inaspettato. Alessandra lo fissava con il buio negli occhi. Era seria, composta e da lei emanava una determinazione incredibile. Nessun segno di lacrime, di cedimento. Tuttavia, la preoccupazione era evidente nel suo pallore.

 

Quando le era giunta la notizia, aveva affidato un’allibita Rin a Homoe e aveva afferrato le sue armi e una bisaccia, infilandovi dentro il minimo necessario per un primo intervento. Non poteva credere che Sesshomaru fosse morto. Non voleva crederlo. Lo aveva salutato poche ore prima. E lui l’aveva baciata. A sorpresa. Attirandola fra le ombre del corridoio deserto, col rischio di essere scoperti. L’aveva stretta e baciata con un ardore immenso. Quasi fosse l’ultima volta che la vedeva. Adesso, Alessandra non voleva credere che lui lo sapesse. Che se lo sentisse che quello era l’ultimo bacio che le dava.

 

L’ultimo bacio…

 

Aveva scosso la testa con violenza e si era precipitata alle scuderie. Una settimana prima, Sesshomaru le aveva donato uno stupendo cavallo-demone, col manto nero attraversato da sottili striature d’argento. Incredibilmente resistente e veloce, capace di volare e creare barrire difensive, anche se deboli. Le aveva insegnato a montarlo, a comunicare con lui.

 

Era stata una settimana strana, quella. In cui il demone aveva passato più tempo del solito con lei e Rin. Lontano da occhi indiscreti, nella parte dei giardini interni riservata solo a lui. Una cosa davvero inusuale. Però, Sesshomaru sembrava volersi ricordare di qualcosa, di qualche sentimento. Una settimana, da quella sera, da quando avevano nuovamente dormito assieme. Una settimana in cui lo aveva convinto ad allenarsi con Koga, e non più con un attendente. Perché almeno il principe degli Yoro non avrebbe trattenuto i colpi.

 

Era montata in sella e aveva lanciato la cavalcatura in una corsa folle verso l’uscita. Voleva andare da lui. Scoprire con i suoi occhi se quelle parole fossero vere, o solo voci ingigantite da molte bocche. Voleva sperare di rivederlo. Ce l’aveva quasi fatta, ma adesso, invece, l’anziano generale le era davanti, e teneva saldamente il cavallo per le briglie, impedendogli di muoversi.

 

“Non fare pazzie”

 

“Devo andare da lui”

 

Alessandra cercò di liberare le briglie dalla presa del demone. Inutilmente. Era troppo salda. E in fondo sapeva che aveva ragione. Rischiava di mandare a monte tutte le precauzioni di quelle cinque settimane e di esporsi in prima persona a un pericolo mortale. Eppure, non le importava nulla. L’unica cosa che aveva in mente era l’immagine di Sesshomaru e il bacio di quella mattina. Si sorprese a pregare. Per lui.

 

Kumamoto percepì la sua agitazione, ma rimase comunque sorpreso della razionalità con cui aveva agito. Aveva preso con sé delle armi, e una bisaccia che probabilmente doveva contenere dei farmaci. Però, non poteva lasciarla andare. Se le fosse successo qualcosa, non solo il Principe, ma lui stesso non se lo sarebbe mai perdonato. Affidò le redini ad un soldato appena sopraggiunto e la trascinò di peso giù dalla sella. Alessandra aveva provato a resistere, ma il generale, anche se anziano, era ancora vigoroso e aveva facilmente avuto la meglio.

 

E ora la ragazza era vicinissima a lui e lo fissava con due occhi pieni rabbia e angoscia. Non aveva mai visto nessun ningen guardarlo così. E anche fra gli youkai erano pochi quelli che si azzardavano a rivolgergli un simile sguardo. Eppure, Alessandra lo faceva. E sembrava non avere la minima paura di quello che sarebbe potuto succederle. Lo stava sfidando. Promettendogli, con quegli occhi freddi e taglienti, che in un modo o nell’altro lei sarebbe andata. Non l’avrebbero lasciata indietro.

 

Una voce dal ballatoio di guardia li costrinse a interrompere il loro duello silenzioso. Stava arrivando qualcuno. Si voltarono; dal bosco avanzava una macchia informe. Ma, mano a mano che si avvicinava, assumeva sempre più contorni definiti. Infine, fu chiaramente riconoscibile la sagoma di Sesshomaru.

 

Procedeva in testa, con passo un po’ malfermo. Aveva un profondo taglio sulla fronte, la corazza insozzata di fango e sangue e numerose macchie rosse su tutto il corpo. Eppure, sul suo volto era intrappolata una durezza che gli scolpiva i lineamenti. Alessandra liberò un profondo respiro di sollievo. Era vivo. E nel complesso sembrava star bene. Però…però i suoi occhi erano troppo freddi. Sembravano voler uccidere chiunque lo guardasse. La dolcezza dell’amante era scomparsa, lasciando il posto alla glacialità del guerriero.

 

Si trattenne dal gettarglisi al collo e baciarlo. Erano in mezzo a troppa gente. E poi, la sua attenzione fu catturata da una barella, che aveva seguito il demone a poca distanza. Un graticcio di canne, portato a spalla da due dei soldati superstiti. C’era disteso qualcuno. Koga.

 

La barella si fermò vicino ad Alessandra, mentre il Principe dei demoni la superava. Sfuggendo volutamente i suoi occhi. Lasciò un ordine a riempire l’aria. Un sussurro freddo e altero. Con quel tono che lei odiava.

 

“Salvalo”

 

*****

 

Un leggero suono metallico le fece alzare gli occhi dai suoi libri. Sul tavolo, alcune piccole sferette di metallo. Lucevano in modo sinistro al chiarore della lucerna. Alzò lo sguardo e incrociò il suo viso. Non lo aveva sentito entrare. Un po’ perché troppo concentrata sui testi, un po’ perché molto stanca e ormai prossima al sonno.

 

Aveva smesso la corazza e l’abito imbrattato di sangue, ma indossava ancora un kimono da battaglia. Probabilmente, era stato in riunione fino a quel momento, e forse ci sarebbe dovuto stare ancora per molto. Per quella notte, quindi, non c’era speranza che le raccontasse cosa era successo. Gli accarezzò il viso con gli occhi. La fronte ormai priva del segno di qualsiasi ferita, la mascella forte, i graffi rosati, le labbra pallide e sottili. Si fermò sui suoi occhi. Oro opaco. Spenti. E freddi. Come la prima volta che lo aveva incontrato. Un muro di ghiaccio a dividerli.

 

Ricambiò lo sguardo. Un mare profondo, un blu oscuro e pieno di tenebre, cosperso di scintille d’acciaio. La luce si liquefaceva nei loro occhi, donava ai loro visi sfumature calde e complici, ma inutili.

 

Sesshomaru scosse leggermente la testa, come se si fosse ricordato solo in quel momento dove fosse. L’inclinò un po’ verso destra, lasciando che i capelli gli ricadessero leggeri sul petto e sulle spalle e le sorrise dolcemente. Ma Alessandra non aveva intenzione di cedere. Non quella volta. Anche se adesso era di nuovo il ragazzo. Anche se aveva nuovamente smesso la maschera fredda e austera, questa volta non lo avrebbe accontentato. Non si sarebbe alzata per baciarlo, non gli si sarebbe avvicinata per abbracciarlo. Anche se sapeva che l’youkai era andato in camera sua per quello. No. Non questa volta.

 

Il demone percepì la sua ostilità, la sua rabbia repressa. E sospirò mentalmente. Già. Lei non era come le altre. Se si fosse recato da una delle nobildonne del palazzo, sarebbe stato accolto con tutti gli onori e avrebbe trovato qualcuno pronto a cercare di distrarlo da quanto avvenuto in giornata. Con abbracci, carezze, baci; con passione e ardore. Con superficialità. Perché sarebbe stata solo una parentesi fra le preoccupazioni. Nemmeno realmente appagante.

 

“Erano nei corpi dei soldati uccisi oggi. Hai idea di cosa siano?”

 

Va bene. Se non voleva smettere subito la sua rabbia, lui non l’avrebbe costretta. In fondo, aveva ragione lei. Ma non lo avrebbe mai ammesso. Mai. Così, preferì aggirare l’argomento. Il fatto che non fosse della sua epoca poteva giocare a suo vantaggio. Forse lei conosceva qualcosa in più, conosceva quelle strane sfere che i curatori gli avevano consegnato. Si sedette sul cuscino, affianco a lei. Per il momento, avrebbero solo parlato.

 

Alessandra sospirò. Va bene, non avrebbe affrontato subito il discorso. Avrebbe aspettato. Ma non aveva la minima intenzione di lasciarlo cadere di nuovo. Questa volta, il demone non sarebbe riuscito a sottrarsi incanalando il discorso verso una direzione diversa o facendole scordare le sue parole con i suoi baci e il tocco della sua mano.

 

“Nel mio mondo, si chiamano proiettili”

 

“Proiettili?...”. Sesshomaru aggrottò la fronte. Non aveva mai sentito quella parola, ma non gli piaceva per nulla. Istintivamente. Sapeva di morte. Alessandra annuì, e iniziò a spiegargli cosa fossero e a cosa servissero, ma si accorse ben presto dello sguardo smarrito dell’youkai. Sembrava che gli stesse raccontando qualcosa di incredibile.

 

“Sesshomaru…tu hai mai visto un fucile o una pistola?”

 

Il ragazzo pensò un attimo, cercando di ricordare se mai avesse incontrato qualcuno con un’arma simile a quella che la ragazza gli aveva descritto. Ma per quanto si sforzasse, non riusciva a identificare nulla di simile. Alla fine, scosse la testa in segno di diniego. Alessandra iniziò allora a raccontargli come fossero fatte quelle armi, ma lui non l’ascoltava completamente attento. Certo, seguiva le sue parole, ma si perdeva nelle sfumature della sua voce. Perché stavano parlando di quello? Perché invece non faceva smettere quelle parole e non la baciava? Ne aveva sentite molte, di chiacchere, quel giorno. E anche di malcelati rimproveri. Era stufo. Almeno con lei, avrebbe voluto non parlare di guerra.

 

Si sorprese di quel pensiero. Da quando aveva incontrato Alessandra, nulla sembrava più riuscire a interessarlo così tanto come in passato. Neanche le battaglie per cui era sempre vissuto. Eppure, sapeva che la situazione fra loro era ancora incerta. Nebulosa. Anche se, forse, lo era solo per lui.

 

L’aveva condotta con sé, l’aveva fatta dormire con lui. Nei suoi appartamenti. L’aveva baciata. Ma nulla di più. Non le aveva mai detto di amarla. Non le aveva mai detto nulla. Nessuna promessa. Nessun impegno. Lei, ufficialmente, era lì come archiatra. Ma in realtà, che ruolo aveva per lui?

 

Le voleva bene, questo non lo poteva negare. Questo glielo aveva detto. Un affetto simile a quello che provava per Rin, solo molto più intenso. Qualcosa che lo faceva sentire triste se lei non gli era accanto. Che lo rigettava nel tunnel buio del suo passato. Eppure, non sapeva ancora cosa fosse per lui. Se, quando la teneva fra le braccia, l’amasse. Se quello significasse amare. Se lo chiedeva spesso.

 

Perché, se la risposta fosse stata affermativa, allora non avrebbe potuto accettarla. Perché avrebbe voluto dire commettere lo stesso errore di suo padre. Compromettere la sua stirpe pura, gettare nuovo fango sulla sua casata. Non avrebbe mai accettato di amarla, e soprattutto non avrebbe mai potuto sposarla. Forse era prematuro pensare al matrimonio, ma non poteva certo dimenticarsi che chi sarebbe stata la sua consorte aveva, per la corte, un solo compito: procreare un erede maschio. Un demone puro. Completo. Non avrebbero mai accettato un hanyou. Come non lo avrebbe mai accettato lui. Come non lo aveva mai accettato.

 

Sesshomaru si rese improvvisamente conto del fatto che, benché lo avesse ribadito e avesse fatto di tutto per evitare quella voce, in realtà trattava Alessandra proprio come un’amante. Anche se non l’aveva mai sfiorata con un dito. Lei non chiedeva nulla di più che stare con lui, ma fino a quando sarebbe potuto durare?

 

Si passò una mano sul viso. Non ci volva pensare. Non in quel momento. Di lei aveva bisogno. Della sua presenza. Per recuperare la sua forza. Per vincere la cecità. La stava forse…usando? Seducendo perché gli stesse accanto senza creargli troppi problemi per poi abbandonarla? No. No. No! Ma cosa diavolo gli passava per la testa? Era forse impazzito?

 

Lei non sarebbe mai stata la sua amante. Non era un oggetto da usare e poi gettare. Non l’avrebbe mai abbandonata. Alessandra era…era…

 

…importante…

 

Sì. Ecco cos’era. Importante. Qualunque cosa volesse dire quella parola.

 

Ritornò a concentrarsi sulla sua voce. Non capiva più di cosa stesse parlando, ma si accorse che doveva essersi appoggiata al tavolo, perché ora la voce era più vicina. E anche il suo profumo. Non ci pensò due volte. Si piegò su di lei cercando le sue labbra. Non le trovò. Sentì invece, sulla stoffa del petto, una mano che lo fermava.

 

“Ti rendi conto di quello che hai rischiato?”

 

Ci risiamo. Di nuovo la solita storia. Non voleva proprio capire che lui non poteva esimersi dal partecipare almeno ad alcune di quelle esplorazioni. Non poteva mostrare come la cecità lo aveva reso vulnerabile, altrimenti avrebbe messo in dubbio non solo il suo prestigio, ma anche la sua credibilità.

 

“Non è successo nulla di irreparabile”

 

Le sorrise, cercando di sdrammatizzare. Sapeva bene che era falso. Che l’irreparabile quasi era accaduto. E che se non fosse stato per Koga, a quest’ora lui sarebbe solo un cadavere. E Alessandra e Rin prigioniere di quei maledetti. Se non peggio.

 

Già…Se non fosse stato per il principe degli Yoro, adesso si troverebbe lui in un futon, e non certamente con una semplice spalla trafitta. Non si era accorto di quanto Naraku fosse riuscito ad avvicinarsi a lui. Fin a meno di due metri. Confuso dalla battaglia, dai rumori, dagli odori, non lo aveva percepito. Aveva solo sentito la sua voce leggermente ironica vicina. Troppo, perchè si trovasse ancora ai margini del campo. Poi, la detonazione. Assordante. Ma nessun dolore. Niente. Un grido strozzato, e un corpo che gli cade addosso.

 

Perché lo avrà fatto?...

 

“Sesshomaru. Mi stai ascoltando, almeno?”

 

Era arrabbiata. Si era preoccupata molto quando la voce della sua morte era circolata a palazzo e il resoconto che gli avevano fatto alcuni soldati, mentre li curava, aveva solo aumentato i suoi timori. Ora che il giovane Ookami sarebbe stato costretto a letto per un po’, non solo il Principe non avrebbe più potuto continuare i suoi allenamenti, ma si trovava di nuovo totalmente esposto al pericolo. Un pericolo da non sottovalutare, visto che Naraku, a quanto le avevano raccontato, era riuscito a scaricargli addosso l’arma da una distanza pressoché minima. Ed era stato solo per pura fortuna che il proiettile intercettato dal corpo di Koga fosse scivolato sulla corazza, perforandogli la spalla, ma senza restare dentro. Altrimenti, a quest’ora…

 

“Sì”. L’youkai sospirò. Non l’aveva mai sentita così, con un tono quasi isterico nella voce. Una voce che tremava, di paura e di frustrazione. Perché in fondo Alessandra si riteneva responsabile della cecità del demone. Anche se non lo aveva mai ammesso a se stessa, era convinta che se quel giorno lei non ci fosse stata, adesso Sesshomaru avrebbe la vista.

 

“Sì, ti ascolto. Ma non mi farai cambiare idea”

 

“Ma perché? Che senso ha esporsi inutilmente?”

 

Alessandra faticava a trattenere le lacrime. In quel momento, con ancora tutta la tensione della giornata addosso, era sicura che non ce l’avrebbe fatta a sopportare un’altra attesa del genere. Vederlo andare, senza mai sapere se poi lo avrebbe anche visto tornare. Sapeva di rincorrere solo parole vuote. Conosceva perfettamente le risposte. Gliele aveva già date lui. Ma le conosceva da prima. Erano le stesse che suo padre dava a lei e a suo fratello quando erano piccoli.

 

“Ne abbiamo già parlato”

 

Voce fredda. Forse con quel tono avrebbe smesso di insistere. Forse sarebbe riuscito a farla tranquillizzare, a rassicurarla. Che stupido! Non era certo alzando muri di finta indifferenza che non l’avrebbe fatta preoccupare. La sentì alzarsi e andare verso la veranda. Credeva di capire come si dovesse sentire. Un po’ come si sentiva lui quando suo padre non gli permetteva di andare in battaglia con lui.

 

Era una sensazione di vuoto, di incompletezza. L’impressione di essere insignificanti, se non di troppo. Un peso. Inutili. Lui si era sentito così, delle volte, da piccolo. Ma Alessandra era diversa. Non era inutile.

 

La raggiunse, mentre ancora cercava di trattenere le lacrime e fissava la neve che scendeva lenta nella speranza di calmarsi. L’abbracciò da dietro, avvicinandola a sé. Poteva avvertire i suoi respiri profondi, le mani della ragazza accarezzare la sua. Sentiva il suo profumo strano avvolgerlo e stordirlo.

 

Alessandra si era lasciata abbracciare. Non ce la faceva ad allontanarlo di nuovo. Aveva bisogno di lui. Del contatto del suo corpo. Della sua sicurezza quasi sfacciata. Del suo apparente menefreghismo. Ne aveva bisogno. Per convincersi che lui sarebbe sempre tornato.

 

“Promettimi almeno che sarai prudente…”

 

Sesshomaru la strinse di più a sé, piegando la testa a regalarle un bacio sulla guancia, mentre i suoi capelli le ricadevano sul petto e il suo profumo l’inebriava.

 

“Promesso…”

 

La lasciò con rammarico. Avrebbe preferito trascorrere la notte con lei, e non in una sala a discutere. Però, sapeva che finchè Alessandra non avesse visto le luci dell’ala sud spegnersi anche lei non avrebbe smesso di lavorare. Fino allo sfinimento. Fino ad addormentarsi sul suo tavolo. Per aspettarlo. Per salutarlo un’altra volta.

 

“Sesshomaru…”. Si sentì chiamare che già era alla porta. Girò appena la testa. “Non esiste qualcun altro capace di aiutarti negli allenamenti?”

 

Il bel demone soppesò un attimo la risposta. Era ovvia: lui era il più forte dei demoni, nessuno poteva stargli alla pari. Solo suo padre avrebbe potuto batterlo. Aveva accettato di allenarsi con Koga perché il principe dei lupi era veloce e potente, un ottimo avversario con cui allenarsi, e perché non lesinava in forza durante gli attacchi. Neanche se si trattava di allenamenti. Con lui avrebbe avuto la sicurezza di sapere sempre a che livello si trovava. Non c’era però nessuno al suo livello. Di questo era certo.

 

Ma allora perché gli si era materializzata nella mente l’immagine sfuocata di un ragazzo, molto simile a lui, eppure così diverso? La scacciò subito, anche se non potè impedirsi di pensare a lui, e alla sua forza. Ma mentì, perché ammettere il contrario sarebbe equivalso ad ammettere qualcosa che non poteva essere vero.

 

“…Nessuno…”

 

*****

 

“Come vi sentite?”

 

Koga si liberò delle mani di Ayame, che tentavano, senza molti risultati, di farlo stendere nuovamente, per evitare che la ferita si riaprisse e la ragazza avesse lavorato per nulla. Ma era un’impresa difficile. Un po’ per orgoglio, un po’ per carattere, il principe degli Yoro non accettava facilmente di dover rimanere confinato in un letto. Soprattutto al pensiero che ha obbligarcelo era stato Naraku.

 

Alessandra aveva sentito le loro discussioni già in corridoio. Aveva pensato di non entrare, inizialmente. Ma poi, complice anche la curiosità di conoscere meglio il ragazzo, aveva cambiato i suoi progetti. In definitiva, Sesshomaru avrebbe avuto da fare ancora a lungo, quel giorno, e lei era stanca per le molte ore già trascorse su rotoli e pergamene. Aveva deciso di staccare un po’ e stare con Rin, ma la bimba era occupata con Homoe e aveva preferito non disturbarle. Di allenarsi o distrarsi con una cavalcata, poi, neanche a parlarne, vista la tormenta che imperversava.

 

Alla fine, si era lasciata attrarre dalle voci degli ookami. In fondo, doveva ancora ringraziare Koga per aver salvato il suo Principe. Non lo avrebbe potuto fare direttamente, certo, ma almeno interessandosi a lui si sarebbe sdebitata, anche se le vere motivazioni dei suoi gesti le avrebbe sapute solo lei.

 

Aveva aperto la porta scorrevole, attirando l’attenzione dei due ragazzi. Koga la fissava con un po’ di sospetto. Non ricordava il volto di chi l’avesse curato due giorni addietro, arso dalla febbre e semicosciente a causa dell’emorragia. Nei giorni precedenti, si era sorpreso non poco nel vedere comparire nella sala delle riunioni una ningen. Una ragazza umana nel castello di Sesshomaru. Del Principe dei demoni.

 

Ayame gli aveva parlato di una ragazza, ma non aveva capito che si trattava di un’umana. O forse, non aveva voluto crederci. L’aveva vista più volte e adesso era lì davanti a lui. E sembrava anche godere anche di buona salute. Cosa strana, visto che si trovava nella case di chi odia gli esseri umani.

 

Alessandra gli sorrise tranquilla. Aveva sempre visto il demone solo di sfuggita o da lontano. E alle descrizioni di Ayame aveva prestato solo un po’ di attenzione, giusto per non essere scortese. Però, in quel momento, guardando il ragazzo disteso nel futon, i lunghi capelli neri sciolti che gli ricadevano sulla fasciatura attorno alla spalla e al torace prestante, dovette ammettere che era molto bello. Una bellezza diversa da quella di Sesshomaru, ma sempre capace di affascinare. Se il Principe ammaliava con la sua freddezza e la purezza dei suoi lineamenti, Koga seduceva con il trasposto dei suoi occhi, con l’indole selvaggia che trasmettevano le sue membra.

 

Si riscosse quando riavvertì la voce di Ayame che cercava di nuovo di convincerlo a sdraiarsi. Lo aveva intuito dal modo in cui ne parlava, ma adesso ne aveva la conferma. Dai suoi gesti. Dal tono della sua voce. La yasha ne era innamorata. Doveva voler molto bene a quel ragazzo un po’ scontroso, ma che alla fine cedette e acconsentì alle sue pressioni.

 

E quello che era un semplice sospetto si trasformò in realtà certa quando vide Koga attirare a sé la ragazza con un trucco e baciarla con ardore. Ayame si abbandonò solo un attimo alle sue labbra. Si ricordò che non erano soli nella stanza e si allontanò da lui, imbarazzata.

 

“Ma che ti salta in mente?!

 

“Volevo solo chiarire le cose”. Lo disse con un sorriso malizioso. Ma anche molto intrigante. Che fece arrossire maggiormente la yasha e sorridere Alessandra. Li invidiava. Invidiava la luce sotto cui potevano amarsi. Invidiava la mancanza di pensieri, la spensieratezza con cui rincorrevano i loro sguardi, le loro mani.

 

Ripensò al suo rapporto con Sesshomaru. Alle sue corse nel buio perché non venissero scoperti; agli stratagemmi per incontrarsi, ai baci scambiati con timore e trepidazione. Riassaporò il desiderio di infrangere tutto e urlare forte il bene che gli voleva e la razionalità che le diceva di tacere. Di aspettare. Il bel demone era la sua vita. Colui che le aveva restituito la vita. La spensieratezza della sua età. Eppure, sapeva bene che c’erano dei punti oscuri nel loro rapporto. Qualcosa che scivola silenzioso fra le pieghe della mente, e che nessuno dei due ancora si decideva ad affrontare. Una realtà che è meglio ignorare, finchè possibile.

 

Onna! Quando potrò alzarmi?”

 

“Koga! Ma ti sembra il modo?!

 

La voce autoritaria del demone la riscosse. Come l’aveva chiamata? Neanche Sesshomaru si era mai permesso quel tono con lei e viceversa. Se adesso, il demone-lupo sperava di aver trovato una ragazza docile e remissiva solo perché l’aveva sempre vista silenziosa, si sbagliava di grosso. Raddrizzò le spalle istintivamente e gli scoccò uno sguardo duro e determinato. Uno sguardo freddo.

 

“Alessandra”

 

Si scambiarono uno sguardo ostile. Poi il ragazzo sorrise mostrando un canino appuntito. Una provocazione. Per vedere la sua reazione. La sua paura. Ayame non riusciva a capirlo. Un attimo prima stavano litigando, poi l’aveva baciata e adesso si divertiva a provocare la ragazza. Perfetto. Tutto chiaro. Le sfuggiva solo un particolare: perché? Non era da lui quel comportamento totalmente irrispettoso. Non fino a quel livello.

 

Alessandra stava sostenendo senza alcun timore il suo sguardo. Koga non credeva che avrebbe mai incontrato un’altra ningen, dopo Kagome, capace di parlargli a quel modo. Con la sfrontatezza di volerlo mettere in riga. E, in più, questa ragazza non possedeva nessun potere particolare. Era un semplice involucro di carne. Debole. Eppure, gli stava davanti come se fosse sua pari.

 

Se fosse stata l’amante di Sesshomaru il suo atteggiamento avrebbe avuto almeno un senso. Ricoprendo quel ruolo, avrebbe potuto esigere un certo rispetto. E ottenerlo. In vari modi anche. Invece, era solo l’archiatra. Allargò maggiormente il ghigno, fino a trasformarlo in un sorriso. Gli stava simpatica. Aveva coraggio. Forse, anche un po’ di follia.

 

“Va bene. Quando portò alzarmi, Alessandra?”

 

Ayame si sorprese. Non era da lui cedere a quel modo. Ma che diavolo gli passava per la testa? Lo vide tranquillo, mentre attendeva la risposta della ragazza. Forse, per un attimo aveva pensato a Kagome e aveva voluto fare un paragone. In fondo, anche lei non aveva potuto esimersi dal pensare alla strana sacerdotessa quando aveva incontrato Alessandra per la prima volta.

 

“Non molto presto, Principe”

 

Alessandra si era inginocchiata accanto al futon e stava esaminando con occhi attenti la ferita. Fortunatamente, il proiettile aveva attraversato il muscolo senza ledere ossa e organi vitali. La corazza l’aveva deviato ad arte.

 

Koga sbuffò contrariato. L’immobilità forzata non faceva per lui. Inoltre, pensò all’impegno che si era preso con l’inuyoukai. Non che fremesse dal desiderio di allenarsi con lui, ma aveva dato la sua parola. E poi…Se quell’allenamento non fosse continuato, per il Principe sarebbero stati grossi guai.

 

Bevete. Vi lenirà il dolore e impedirà che le possibili tracce di veleno agiscano”

 

Ayame gli allungò la scodella. L’odore non era invitante, ma il sapore era decisamente pessimo. Tuttavia, Koga fu costretto a inghiottire tutto, perché Ayame non allontanò il contenitore finchè non fu desolatamente vuoto. Solo allora il ragazzo potè respirare e lamentarsi per il sapore orribile, subito cancellato da quello delle labbra della yasha.

 

Ayame gli scompigliò leggermente i capelli ed uscì. Probabilmente, Alessandra aveva da chiedere qualcosa al demone, e la sua presenza li avrebbe solo distratti. Più tardi Koga le avrebbe fatto un esauriente riassunto. E guai a lui se le avesse mentito.

 

Nella stanza però era calato il silenzio. Alessandra aveva solo una cosa da chiedere, ma non voleva che il demone la prendesse male. In fondo, lo conosceva appena. Sospirò e si fece coraggio. Doveva sapere cosa ne pensava del modo di combattere di Sesshomaru

 

Koga-sama…”

 

“Non sopravviverà

 

Le parole le gelarono il sangue. Lui aveva capito tutto e le stava dicendo la realtà. Anche se adesso Alessandra si pentiva di averla voluta conoscere. Perché era una paura che prendeva forma concreta. E con lei la sicurezza di non avere una soluzione pronta. Di non poter far nulla per affrontarla. Una verità che le faceva male. Sbattuta in faccia come uno schiaffo. E che più di tutto doveva angosciare terribilmente Sesshomaru.

 

“Se non continua ad allenarsi come in questi ultimi giorni, non ce la farà”

 

Koga si era voltato verso di lei. E come già Kumamto, si sorprese nell’incontrare uno sguardo buio e freddo. Un cielo privo di stelle. Sembrava che quella ragazza non sapesse piangere. Che nulla riuscisse a farle perdere una freddezza e una lucidità davvero invidiabili. Se fosse stata un demone, sarebbe stata molto potente.

 

Ayame era un demone completo, eppure Koga ricordava bene come aveva pianto di gioia quando lui aveva ripreso conoscenza. Il pianto di una bambina. Molto umano. Infinitamente dolce. E ora, quella ragazza, che di disperarsi aveva mille ragioni, se lui aveva capito davvero cosa il bel demone significasse per lei, stava silenziosa e assorta.

 

Prima, l’aveva provocata apposta. Per saggiare il suo carattere. Per metterla alla prova. Per vedere se era solo un fantoccio debole e insignificante, come aveva sentito a corte, o se aveva una sua personalità, come invece sosteneva Kumamoto. Esame superato. Non era forte, ma non era neanche debole. Una forza latente. Una delle più pericolose.

 

Gli era simpatica. Gli ispirava tenerezza. Un po’ come Ayame. Forse perché gliela ricordava. Nel colore simile di capelli. Nel dolore che entrambe conoscevano: stavano accanto a due uomini che, per posizione, imponevano loro di essere sempre controllate e rigide. E Alessandra più ancora di Ayame, che almeno poteva godere dell’appoggio del nonno e di molti nella tribù. La ragazza invece era perlopiù sola. Il Principe non si sarebbe mai potuto esporre in prima persona. Non in un momento come quello.

 

Sempre che quel ghiacciolo possa provare davvero qualcosa per lei…

 

“Principe…”

 

Il ragazzo scosse la testa. Non gli piacevano i titoli. Gli erano sempre andati stretti. Preferiva il suo nome. Schietto. Diretto. E glielo disse: voleva che lo chiamasse semplicemente così. Koga. Come se fosse un amico. Alessandra sorrise. Non lo avrebbe considerato un amico; non subito almeno. Ma sentì di potergli dare un po’ di fiducia. In fondo, anche con Sesshomaru non aveva mai tenuto le distanze. A parole, il dargli sempre del tu era stato un modo per stupirlo e imporgli il suo pensiero.

 

“Non prenderla male, ma…Esiste qualcuno che potrebbe sostituirti?”

 

Koga chiuse gli occhi. Voleva riflettere. Non era facile come risposta. Dunque, Sesshomaru, anche se cieco, era fortissimo. No. Il punto non era aumentare la sua forza. Ci voleva qualcuno che non temesse nell’attaccarlo; capace di effettuare attacchi da più parti, magari senza coerente prevedibilità. Che fosse forte, e al tempo stesso veloce per simulare un attacco su più fronti. In definitiva, erano requisiti da poco, ironizzò fra sé l’ookami: Facilissimo trovarne uno così. In realtà non aveva idea si dove diavolo cercarlo. Sarebbe equivalso a trovare un ago in un pagliaio.

 

Poi, si ricordò di un legame. Di una parentela. Forse, aveva trovato il candidato giusto. Un po’ difficile da convincere, ma la ragazza seduto accanto a lui ci sarebbe riuscita. E così, avrebbe anche potuto ringraziarlo per quel maledetto consiglio. Perché se adesso era con Ayame, in parte lo doveva a lui.

 

Sorrise tranquillo, regalando con la sua risposta un po’ di fiducia anche ad Alessandra.

 

“Sì”

 

*****

 

La porta si aprì silenziosa nella notte.

Koga si rigirò sotto le coperte. Si era appena addormentato. Cosa diavolo era successo perché lo svegliassero a quell’ora? Almeno i feriti avrebbero potuto farli riposare, in quel castello. Invece, neanche quello. Sperò solo che non ci fossero problemi al campo. Perché di alzarsi per andare a risolverli proprio non ne aveva voglia. In più, se Ayame avesse scoperto che aveva lasciato il letto, poteva iniziare a invocare clemenza.

 

Il silenzio prolungato lo spazientì e lo fece girare, imprecando in modo non proprio amichevole. Era davvero scocciato. Ma trattenne ogni parola quando si rese conto di chi era. L’ultima persona al mondo che si sarebbe aspettato.

 

Sesshomaru richiuse la porta in un fruscio leggero. Solo una domanda. Doveva sapere solo una cosa. Per riuscire a comprendere esattamente quel demone-lupo. O rischiava di impazzire.

 

“Perché?”

 

Koga lo guardò. Alla luce della luna che filtrava dalla finestra i capelli del demone risplendevano come neve, dandogli una parvenza perfettamente eterea. Simile a quella di un’altra persona in un suo ricordo lontano. Sì. Sesshomaru, per quel che riusciva a ricordare di lui, assomigliava molto al padre. Di sfuggita si sarebbero anche potuti confondere. Ma forse stava esagerando con le sue elucubrazioni. In fondo, la seconda e ultima volta che aveva visto Inutaisho aveva solo quindic’anni. Praticamente un bimbo piccolo.

 

Sesshomaru non aveva pronunciato nient’altro. Era chiaro che era l’unica cosa che gli premeva sapere. Da quella risposta, forse, si sarebbe deciso il loro futuro rapporto. E anche la possibilità di restare dentro il palazzo. Koga sapeva perfettamente che se si trovava lì e non nella sua tenda all’accampamento lo doveva ad Alessandra e non certo ad un ordine del Principe. In fondo, a lui i giardini interni erano stati preclusi. E giardini uguale ali del secondo corpo dell’edificio. Poteva accedere a ogni parte dei luoghi principali, ma non agli appartamenti del Principe come gli altri generali.

 

Koga si mise faticosamente a sedere. Avrebbe voluto alzarsi, ma non ci riuscì. Una risposta. Una risposta…ma per dire cosa? Che neanche lui lo sapeva bene il perché? Che aveva agito di riflesso?

 

“Per rispettare una promessa”

 

Un sorriso malinconico sulle labbra. Sesshomaru assottigliò le iridi vuote. Non gli piaceva non capire. E odiava dover far domande perché gli altri si spiegassero. Quello era un gioco che solo ad Alessandra era permesso.

 

Koga se ne accorse. Aveva gettato la pietra. Ora, non poteva ritirare la mano. Doveva raccontare tutta quella vecchie storia. Che Sesshomaru sembrava non conoscere.

 

“Tuo padre salvò la vita al mio un giorno, in battaglia. Ho solo restituito il favore”

 

Silenzio. Nessuno aggiunse altro né commentarono. Solo il sussurro lieve del vento e l’ululato dei lupi che, dall’accampamento, chiamavano il loro signore. Sesshomaru si riscosse dai sui pensieri e si voltò, aprendo la porta. Ma non uscì subito.

 

“Appena ti sarai rimesso, riprenderemo l’allenamento”.

 

Tentennò ancora un attimo. Ormai, era tempo che Rin superasse le sue paure. In fondo non le avrebbe affrontata da sola. Ci sarebbe stata Alessandra con lei, e anche lui. Sì. Era tempo. Avrebbe informato la ragazza, e avrebbe sentito la sua opinione. Ma quelle parole gli uscirono spontanee delle labbra.

 

“Spero che presto sarai in grado di venire a far rapporto nei miei appartamenti, generale”

 

  
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