Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: MedOrMad    09/07/2012    18 recensioni
Med ha 24 anni e non ne fa una giusta. Porta avanti una relazione di sesso con un soggetto di discutibile fascino, è 2 anni fuori corso ad una facoltà che non ha intenzione di terminare, è sovrappeso ed è pure stronza. O forse è solo socialmente inadeguata.
Ma più di tutto è persa: nella collana di errori che l’hanno portata a questo punto, ha dimenticato chi voleva essere.
Con Med ci sono Bet e Jules, le persone che di lei sanno tutto. Un trio improbabile, con l’eleganza oratoria di un gruppo di scaricatori di porto, che passa la metà del tempo a prendersi in giro e parlare di sesso. L’altra metà del tempo, però, si completano a vicenda.
All’apice della stronzaggine di Med, arriva lui: un po’ arrogante, impiccione e con un’ossessione - a quanto pare - per il grosso culo di lei.
Una storia di affetti, ridicoli avvenimenti, sesso e parolacce: perché a 24 anni la vita è anche quello.
E anche le ciccione, stronze e infelici fanno sesso. A volte.
Dal Testo:
“Che...che...che cosa vuol dire?” balbetto inebetita.
“Vuol dire che da oggi io e te avremo tantissimo tempo per fare l’amore in ogni stanza della casa.” mi risponde lui, facendomi l’occhiolino.
Questo mi manda ancor più fuori di testa.
“Tu sei tutto scemo! Io starò con la Amish che non si lava, non con uno la cui priorità è il proprio pisello!”
Lui mi fissa smarrito e, suppongo, anche un po' divertito.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Licenza Creative Commons
Quest' opera è distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Italia


IPTT- CAP 5- Sotto il cappuccio verde
CAPITOLO 5


- Sotto il cappuccio Verde -



 

La mia mattina non è cominciata nel migliore dei modi. Da quando mi sono svegliata quella lumaca narcisista che mi hanno assegnato come coinquilino ha invaso il bagno e non sembra dare segni di vita, ragion per cui cerco disperatamente di tenermi occupata e di distrarmi preparando la colazione, nel vano tentativo di non farmi pipì addosso.

"Uomo dell'hamburger, se non esci da quel bagno entro tre minuti ti avviso che ti faccio la pipì sul letto!" strillo dalla cucina e mi compiaccio della scorrettezza che mi scorre nelle vene già di prima mattina. Sono veramente portentosa.
Sorrido soddisfatta e mi metto ad imburrare una fetta di pane mentre aspetto che il caffè sia pronto e sento le voci di Bet e J che si avvicinano alle mie spalle.

"Oh, gli innamorati..." sorrido mentre loro entrano in cucina.
La mia amica è ancora in pigiama, il che mi fa intendere che passerà la giornata a ripetere. Il suo ragazzo, invece, è già pronto per uscire.
Quando mi volto per salutarli, vedo che entrambi si bloccano e i loro volti assumono un'espressione di stupore: restano in quello stato qualche secondo, e io inclino la testa di lato per cercare di capire che cosa abbia attirato la loro attenzione.

"Ho della marmellata sulla bocca?" domando allora con curiosità e Bet deglutisce a fatica e, per un istante sembra sul punto di dirmi qualcosa. Poi però J si schiarisce la voce e, sorridendo, mi risponde.
"No, no, niente marmellata."

"Perfetto. Buongiorno, giovani cuori in amore."
“ Buongiorno a te, cicciona!” mi risponde Bet afferrando la moka e versandosi il caffè.
“ Perché in questa casa pensate tutti che sia grassa?” chiedo offesa.
“ Per due ragioni: la prima è che non sei proprio un’acciuga; e la seconda è perché dormire sul divano con te è stato terribile” brontola lei, aggiungendo il latte nel caffè.
“ Oh, va bene signorina Slim Fast, allora la prossima volta cercherò di pressarmi di più”
 
“ Brava!” replica la mia amica in uno sbadiglio e dandomi degli strani colpetti sulla testa.
"Che stai facendo?" le domando cercando di scacciare la sua manina tozza, ma lei non si arrende e persevera nel picchiettamento.
"Non fare domande. Lo faccio per il tuo bene." risponde semplicemente Bet prima di leccarsi un pollice e avvicinarlo pericolosamente alla mia faccia.
"Ti sei fatta una canna? La tua saliva sulla mia pelle delicata non ce la metti" mi ribello io scappando dall'altro lato del bancone.
"Med, fidati.."
"Col cazzo..."
E iniziamo una sorta di danza della fuga dal pollice sbavato prima che questo delicatissimo momento venga interrotto dalla risatina di J che, infilandosi il giaccone, richiama la nostra attenzione.
“ Voi due non siete normali, lo sapete vero?”

“È lei che è una stupida malfidata." borbotta Bet additandomi come se fossi una criminale ed io rispondo dandole una spinta leggera.
"Malfidata? Vorrei ricordarti che tu sei quella che periodicamente mi mette il dentifricio sotto il naso mentre dormo per vedere se mi farò la pipì addosso!"
"È una ricerca scientifica. Lo faccio per il bene dell'evoluzione umana. Voglio capire se è solo una leggenda metropolitana e tu dovresti immolarti per la causa."
"Lo so io dove ti immolo, tu e la tua stupida testa bionda."

La risata genuina di J ci distrae nuovamente dalla nostra discussione, Bet smette di darmi importanza e, con lo sguardo disgustosamente innamorato, si allontana da me.

"Esci già, Amo’?” gli chiede Bet raggiungendolo alla porta d’ingresso.
“ Sì, devo correre in università. Ma ti chiamo dopo, ok?”le risponde lui chinandosi e dandole un bacio.
“A stasera.” Lei lo incontra a metà strada, facendo schioccare le labbra sulle sue e sorridendogli. Poi gli accarezza i capelli e lo spinge gentilmente fuori di casa.
“Vi supplico, non cambiate mai voi due !” sento che grida lui scendendo le scale e andandosene.
“ Ciao J, buona giornata” ricambio io ridendo mentre Bet richiude la porta e torna a sedersi sullo sgabello della cucina.

Io la raggiungo, timorosa che la nostra lotta non sia del tutto terminata quando la porta del bagno si spalanca (finalmente) e la voce di Alex mi saluta con un:
"Allora? Hai compiuto atti di vandalismo in camera mia, Scintilla?"
Sospiro e mi volto per rispondere come si deve e sento Bet che suggerisce alle mie spalle di non farlo assolutamente, ma io scelgo di ignorare quella donna dai pollici insalivati e porto gli occhi sul mio coinquilino. Per onore di cronaca specificherò che l'incivile ha l'ardire di mostrarsi in nostra presenza a petto nudo, col capello tutto spettinato e goccioline di acqua che cascano di qui e di là.

Suppongo che, se non mi stesse così sulle palle, in questo momento considererei l'ipotesi del limone duro: invece penso solo che questo tizio sta sgocciolando su metà del nostro parquet.
"Oddio Med, che cosa cazzo hai fatto?" domanda invece lui con un evidente accenno di panico nella voce.

E adesso che c'è?!

"Perchè?"
"Cosa è successo alla tua faccia?" insiste lui, ora indicando il mio viso e sgranando gli occhi
"Cosa è successo alla mia faccia?" chiedo a questo punto io, investita da una scarica di terrore.

E se ho subito una mutazione? O magari ho avuto una reazione allergica alla bava di Bet! Già non ero una gran gnocca, se poi muto, sono a posto.

I due ragazzi con cui mi trovo in casa in questo momento tacciono per quelli che sembrano i secondi più lunghi della storia e io strillo angosciata:
"Che cosa è successo alla mia faccia?!"

Alex lascia cadere una mano lungo il fianco, inclina di lato la testa e mi osserva con grandissima attenzione, aggrottando la fronte e aguzzando la vista:
"Sembra che un elefante con il sedere sporco ti si sia seduto sopra, credo."

Un campanello di allarme inizia a squillare insistente nella mia testa e mi muovo come il suddetto elefante per spintonare Alex via dalla porta del bagno e raggiungere uno specchio per verificare le condizioni del mio - una volta piacevole - viso. E, con mio orrore, scopro che stamattina sono bellissima. I miei capelli hanno assunto la forma di una frittata verticale, con una sorta di oasi spiaccicata all'altezza del cervelletto, stile cerchi nel grano. Ieri sera non mi sono struccata e l'esito è uno splendido decoro nerastro che si estende verso le mie tempie e che potrei tranquillamente spacciare per henné e, in ultimo, avendo tentato di dormire sul divano con Bet, sul lato sinistro della mia faccia si stagliano gloriose una serie di linee rosse che, stranamente, hanno proprio la forma dei decori dei cuscini che mi ha regalato mia madre. Come dicevo, dunque, sono un fighino da competizione.


Resto imbambolata a fissare la mia immagine riflessa per un minuto, poi urlo rabbiosa il nome della mia amica che, con indifferenza, mi raggiunge e mi domanda:
 
"Allora, che programmi hai per oggi?"
"Bet, ma perchè non mi hai detto come ero ridotta?"
"Senti, io ho provato a renderti presentabile ma tu ti sei ribellata..."
"Tu volevi ricoprirmi di sputo!"
"Era un gesto materno, ingrata."
E con aria scocciata se ne torna a fare colazione in solitudine: seguendola vedo Alex sghignazzare e dirigersi verso camera sua, perseverando nella fastidiosa azione di sgocciolare sul parquet.

"Comunque, dopo che ti sarai levata tutto quello schifo dalla faccia e io mi metterò a studiare, tu che farai?" si informa Bet, masticando con poca eleganza una fetta biscottata.
"Suppongo che andrò a fare la spesa: il frigorifero è vuoto e ci sono più bocche da sfamare qui dentro. Speravo mi avresti accompagnata..." spiego mentre mi specchio nel vetro del forno a microonde e lego i capelli con un elastico tutto sfilacciato. Almeno quel problema l'abbiamo risolto.
"Non posso proprio, tesoro. Sono indietro di almeno due libri" e, alla sua risposta, non riesco a trattenere un piccolo broncio al quale lei risponde sorridendo teneramente, "Oh, su avanti! Ce l'ho io la soluzione alternativa!"

E io sorrido deliziata. Stupida ingenua!

Bet salta giù dallo sgabello e corre verso la zona notte per poi fermarsi davanti alla stanza di Alex.

Oh, no! Per quanto è vero che sono nata magra, no! Non sta per fare quello che io penso stia per fare!

"Alex?" domanda con voce stucchevole alla porta chiusa e sento lui rispondere dall'altra parte.
"Bet, no!" sibilo tra i denti, raggiungendola.
"Avrei bisogno che accompagnassi Med al supermercato a fare la spesa. È un problema?"
"Brutta donna dalla testa periforme, giuro che questa me la paghi." mugolo a denti stretti e dandole un pizzicotto sul braccio giusto prima che l'insopportabile sorriso di Alex spunti da dietro la porta.

"Come potrei rifiutarmi..." sogghigna lui compiaciuto, spostando gli occhi su di me e aggiungendo: "Restaurati roomie, ti porto al supermercato."

Ma porca di quella cotoletta!

Con la tensione che mi attraversa il corpo mi infilo nel bagno e cerco di sistemare, per quanto possibile, il Picasso che adorna i miei lineamenti prima di uscire di casa e raggiungere quel luogo meraviglioso che è l'Esselunga. Alex non la pianta di ridere per tutto il tragitto e trova incredibilmente esilarante la mia presa di posizione che consiste nel non rivolgergli la parola e fingere che non sia lì.

Varcando le porte del supermercato, mi volto e, porgendogli un euro per il carrello, affermo con voce secca:
"Nel caso non l'avessi intuito, tu sei qui solo ed esclusivamente per aiutarmi a portare le borsine."
"Sei sempre così dolce. Non possiamo fare un po' di conversazione mentre facciamo scorte per il nostro nido d'amore?"
"Alex, c'è un limite alla tua stupidità o sarò costretta a sostenere la molestia della tua voce a lungo?"
Lui non risponde ma ammicca ripetutamente mentre si allontana.

Io lo guardo e alzo gli occhi al cielo. Non voglio fare l'ipocrita: il ragazzo ha senza dubbio un piacevole didietro ed è pure belloccio. Forse non è esattamente il mio tipo - anche perché a me, di solito, piacciono bruttini e un po' Biafra - ma è senza dubbio un esemplare di maschio che buona parte della popolazione femminile non disdegnerebbe.
Se non fosse per quella irritante personalità e per il fatto che ha scelto di occupare metà del mio appartamento: questi sono due enormi difetti che mi rendono difficile l'idea di imparare a tollerarlo.
E poi ha l'occhio bionico scrutante. Quello è forse la cosa che più mi altera: probabilmente perché, al momento, io ho milioni di cose che gradirei tenere nascoste e Mr. Curiosity continua a fare lo scanner della mia anima ogni volta che mi distraggo.

Io non posseggo lo stesso superpotere, quindi ho il diritto di maltrattarlo.

"Andiamo?" chiede facendo ritorno col suo carrello tutto storto (il fenomeno non sa neppure procurarsene uno che non tiri tutto a destra ogni volta che fai due passi) e indicandomi il reparto frutta.
Io non rispondo e mi incammino verso le mele, determinata a interagire il meno possibile con il mio coinquilino e pregando che ci sia poca gente alla cassa una volta che avrò terminato i miei acquisti.

Mezz'ora più tardi sono ferma immobile di fronte ad una infinita sfilza di preparati per dolci e contemplo quale marca mi offra il miglior rapporto qualità-prezzo: sono una studentessa fuori corso, disoccupata e che ancora fa affidamento sulla famiglia d'origine per il proprio sostentamento. Il risparmio è un dovere, non un'opzione.
Alex, che a questo punto ha rinunciato a ricevere risposta alle inutili domande che mi rivolge nel tentativo di intavolare una conversazione, se ne sta piegato sul carrello, con i gomiti appoggiati sul manubrio, le mani intrecciate e una postura che urla disperazione.

Io lo ignoro.

"Med, ti prego, ti dai una mossa? Non è una decisione difficile: sono tutti preparati uguali. Fanno schifo allo stesso modo!"
Io sventolo una mano nella sua direzione per fargli comprendere che non sono interessata al suo parere e poi afferro due scatole che recano la scritta muffin. Bet ama i muffin.
Cercando di essere il più lenta possibile, leggo attentamente tutte le scritte superflue che sono stampate sulle confezioni e, con mio piacere, vedo Alex dare segni silenziosi di insofferenza.
Sicura di avergli arrecato sufficiente disagio, opto per la marca che dichiara "Real American Blueberry Muffin" e la lancio nel carrello, pronta a dirigermi verso la sezione formaggi.

"Questa porcheria in casa mia non ci entra." dichiara, però, il ragazzo alle mie spalle e, per la dodicesima volta nello spazio che va dal reparto frutta a quello colazione, mi trovo a non riuscire ad impedire ai miei occhi di roteare verso l'alto.
"Che c'è che non va in quel prodotto?!" domando scocciata, pentendomi all'istante di avergli rivolto parola.
"Questi non sono veri blueberry muffin americani." ribatte lui impugnando la scatola e riponendola sullo scaffale.
"E chi lo dice?" protesto dunque io, recuperando il preparato e gettandolo nuovamente nel carrello.
"Lo dico io!"
"Ma cosa vuoi saperne tu..." borbotto e, all'inarcarsi dei un suo sopracciglio, resto con la bocca aperta e con la battuta a mezz'aria.

Merda! Alexander, Med. Alex è americano.

"Senti, se ci tieni tanto a mangiare i muffin te li faccio io, ma questa roba non la compriamo. Punto."
"Io non voglio niente da te." rispondo cocciuta. Io voglio il mio preparato per muffin: lo voglio essenzialmente perchè lui non lo vuole.
"Finiscila, Med. Ho detto no."

Ah, il capo ha detto no? Ma te lo somministro io il no, cretino.
"Chi sei, mio padre?"
"No, sono quello che paga metà della spesa."
"Ecco, io avrei da ridire su questa cosa. Non capisco perchè tu non ti puoi fare la tua spesa e io la mia, come fanno tutti i coinquilini del mondo."

Ora quello che non risponde è lui e, spingendo il carrello, se ne va, dirigendosi verso una nuova corsia.
Io recupero i miei Real American Blueberry Muffin e lo seguo, arrendendomi. Più o meno.
Mentre cammino dietro di lui una domanda balena all'improvviso nella mia mente e non riesco a trattenerla.

"Di dove sei, Alex?"

Il mio quesito sembra stupirlo per un attimo, poi mi guarda e sorride:

"Cleaveland, Ohio."

Non sono mai stata in Ohio. Non sono neppure sicura ci sia qualcosa di interessante da vedere in Ohio. Chiaramente Alex non poteva venire da qualche fascinosa città come Chicago o Buffalo, da cui, quantomeno, si possono raggiungere le cascate del Niagara.
Vorrei esprimergli il mio disappunto per non avermi detto che, invece, veniva da New York, quando mi accorgo dello sguardo perso e vagamente riflessivo che decora i suoi occhi e, forse posseduta dall'essenza del saccarosio dopo aver soggiornato troppo a lungo nella corsia dei dolci, mi trovo a domandargli:

"Ci sei più tornato da quando vi siete trasferiti?"
Lui sembra ricordarsi di me solo al suono della mia voce e agita impercettibilmente la testa, prima di rispondere di no.
"Non ti manca?"

Med, che razza di domande fai? Ma soprattutto, perché le fai?
Lui accenna il fantasma di un sorriso e ammette di sì.
"Ogni tanto. Mi piace stare qui, non fraintendermi, però, onestamente, casa mia quasi non me la ricordo più."

Occhi da Pokemon, occhi da Pokemon, mi ripeto insistentemente in testa, sperando che anche le mie orbite inizino a sberluccicare come fanno le sue quando fa l'impiccione, e invece niente; i miei tutt'al più hanno l'effetto panda, che non sembra servire a niente, dato che il mio coinquilino ha ricominciato a camminare e a spingere il carrello mezzo pieno.
Ma io sono improvvisamente assetata di informazioni. Non so perché, ma sospetto che abbia qualcosa a che fare con la strana espressione che ha mostrato qualche minuto fa. E io ora sono curiosa. E penso anche di averne diritto: posso sapere se vivo con uno psicotico serial killer americano, no?

"Perchè siete venuti qui?" strillo alle sue spalle senza rendermene conto, e una decina di paia di occhi si piantano sul mio faccino paonazzo, inclusi quelli di Alex che lasciano trapelare una buona dose di imbarazzo.

"Parlavo con lui..." mi giustifico con un sorriso insicuro e poi raggiungo il mio spingi-carello-porta-spesa.
"Allora?" lo incalzo, sperando di ottenere una risposta nonostante l'evidente disagio che trasuda dalla sua postura, ma veniamo interrotti da una gracchiante e acuta voce dietro di me che urla in modo isterico:

"ADRIANA!"
Io sobbalzo per lo spavento e mi giro nella direzione della voce, restando con la punta della scarpa incastrata nel carrello e traballando verso Alex che, senza fare una piega, mi rimette in posizione verticale con una mano e osserva la fonte dello strillo.
A due passi da me compare una vecchietta tanto tenera, all'incirca venti centimetri più bassa di me e che mi ricorda tanto Serenella de La Bella Addormentata nel bosco- trent'anni dopo.
Ci fissa severa e con le mani sui fianchi tondeggianti mentre la borsa le penzola lungo una gamba e i piccoli occhiali rotondi le scivolano sulla curva del naso; e i suoi occhi puntano proprio a me!

"Adriana! Cosa ti avevo detto?"

Chi cazzo è Adriana? Sono io?

Guardo Alex per capire se sto avendo un'allucinazione ma, dalla sua espressione, direi di no.

"Non si corre via dalla nonna, per andare a fare sconcerie con i ragazzi, per di più!"

Io non ce l'ho più la nonna. E non faccio sconcerie in pubblico da quando avevo quattordici anni.

Alex sopprime una risata e la signora si avvicina alla mia faccia e mi sventola sul naso un ditino tondo che reca uno smalto perlato:
"Adriana, rispondimi!" e io deglutisco, sorridendo.
"Si-Signora, io non sono Adriana..."

Lei mi osserva per qualche secondo e poi sembra recuperare la lucidità. Lascia cadere il braccio lungo il corpo e, d'improvviso, sembra smarrita.
Io mi scambio un'occhiata veloce con il mio coinquilino e poi richiamo l'attenzione della donna su di me.

"Si sente bene?"
Lei mi guarda e accenna un sorriso per nulla convincente prima di rispondere.
"Certo. Ora andiamo a casa, Adriana?"

Ancora? Io non mi chiamo Adriana!

"Signora, credo ci sia un errore..."
"Quello sfrontato è il tuo fidanzatino? Che cosa ti ho detto sui ragazzi? Non devono entrare nel tuo prato e impollinare il tuo fiore!

Oh, con calma. Qui nessuno impollina niente. E soprattutto non Alex.

"Signora, io glielo dico che non dobbiamo fare certe cose, ma lei insiste..." interviene quel demente accanto a me con un'espressione deliziata.
"Che cosa?!"

Ecco, ora le viene un colpo apoplettico perché Alex le mente sulle abitudini della mia vagina.

"No, signora si calmi. Qui nessuno entra nel mio prato." poi sposto la mia attenzione su Alex e sussurro "Cretino, credo che la signora si senta male. Una vecchietta è in preda alla pazzia e tu ci scherzi?"
"Non scherzavo con lei, scherzavo con te."
"Ah, non mi è sembrato proprio. Che facciamo? Non possiamo lasciarla qui."
"Sei tu Adriana. Trovala tu la soluzione."

Sbuffo e gli vorrei tirare un ceffone ma temo che la signora mi potrebbe mettere in castigo gridandomi "giochi di mani, giochi di villani", quindi mi limito a cercare di far girare gli ingranaggi del mio cervello. No, niente. Non so che fare.

"Finisci la spesa, io la accompagno al banco informazioni..." ordina Alex sospirando e, prima che io possa protestare, si avvicina dolcemente alla vecchietta e le sussurra qualcosa che io non sento, per poi allontanarsi e mollarmi lì come una scema a contemplare se sia il caso di cambiare il mio nome in Adriana.

Quando sono in coda alla cassa, annoiandomi a morte nell'attesa che la cassiera finisca di combattere con la macchinetta delle carte di credito che si rifiuta di accettare il pagamento del tizio prima di me, il mio cellulare vibra nella mia scadente borsa a tracolla per indicarmi che ho ricevuto un sms: dopo una faticosa operazione di recupero, riesco ad estrarlo e faccio scorrere il dito sullo schermo per leggere il messaggio.

Qui la cosa va per le lunghe. Torna pure a casa. Io trovo il modo di riportare a casa la tua cara nonna. Alex.

Fisso la scritta per una manciata di secondi e poi comincio a guardare attorno a me, alla ricerca del mio coinquilino; poi lo vedo appoggiato al bancone dell'ingresso che chiacchiera con fare civettuolo con la responsabile delle informazioni.

Che porco...

Alzo gli occhi al cielo per l'ennesima volta e poi mi arrendo alla presa di coscienza che mi toccherà scarpinare fino a casa carica come un mulo. Ed ecco che il ragazzo perde anche l'unica utilità che avevo scelto di vedere in lui.



INTERVALLO

 SI CONSIGLIA PAUSA PIPì PRIMA DI PROCEDERE CON LA LETTURA


 
Quella sera, dopo che Bet si è cortesemente offerta di aiutarmi a sistemare la spesa - e nel processo è riuscita a ingurgitare 2 Camille e una scatola di tonno (sì, lei le mangia così, col cucchiaio) ogni volta che mi distraevo - decidiamo di concederci un'ora di relax insieme, ingozzandoci di Ringo e godendoci una puntata di uno dei telefilm che, al momento, attraggono maggiormente il nostro interesse: One Tree Hill.

“ Ma quanto sono teneri Haley e Nathan? Comunque io proprio non capisco come Lucas e Brooke possano lasciarsi dopo, si amano così tanto!” si lamenta Bet mentre spegne la tv.
“ Forse perché l’amore non basta?” chiedo stiracchiandomi prima di alzarmi in piedi e andare a caccia delle mie Silver.
“ Ma perché devi sempre essere cinica e distruttiva?” mi domanda lei con una nota di disappunto nella voce. Me lo dice sempre che sono fastidiosa, ma io non lo so controllare.
“ E’ la mia natura. Noi ragazze single e non desiderate cerchiamo sempre una giustificazione alla nostra solitudine” le sorrido infilandomi le scarpe.
“ Ok, me ne devo andare, L mi aspetta...” continuo legandomi i tristi capelli in una roba che chiamo coda. Lei mi guarda insicura e poi sospira, delusa.
“ Sì, lo so, lo so. Ma non tutte troviamo l’uomo della nostra vita a ventun' anni, Bet.” mi giustifico con un sorriso forzato e afferrando il cappotto.
“ Non ho detto niente. Va, divertiti, per quanto ci si possa divertire con L, e usa sempre il preservativo” mi raccomanda.
Io rido e, uscendo, dico: “ Ovviamente, il sesso sicuro al primo posto. E poi vorrei risparmiare al mondo la sua progenie!”.
 
Mentre cammino per strada osservo le persone che mi passano accanto. È buio e fa freddo ma, nonostante tutto, mi viene da sorridere.
 
È come se io avessi un  passo molto più lento di tutto ciò e chi mi circonda. Come se avessi una visione privilegiata delle cose attorno a me in questo momento e fossi l’unica in grado di notare i particolari. Loro si muovono; guardano ma non vedono. La loro mente è troppo impegnata a pensare. Io invece, grazie al mio trucco di bloccare tutto fuori, non immagino  nulla. Assorbo solo le informazioni che il mondo mi passa in questo istante.
 
E tutto ciò mi fa stare bene. È come se mi venisse offerta la possibilità di vivere per qualche secondo in una vita diversa da quella che devo imparare a gestire. Come se chi sono, cosa faccio e sento, in questo minuscolo frangente di tempo, non avesse alcuna importanza. L’unica cosa che conta è l’odore dell’aria, più pungente e più fresco del solito. I colori, rumori e movimenti del traffico, tanto banali da affascinare nella loro ripetitività. Le espressioni della gente sono quelle che mi vanno più sotto pelle.
 
Adoro immaginare o cercare di indovinarne i perché. Osservare il volto di un estraneo per una frazione di secondo e inventarne la vita. Fingere di sapere perché qualcuno sorride o perché ha l’aria di chi, come me, ha perso la chiave che apre il lucchetto della propria esistenza. C’è chi sembra felice, e di quella persona vorrei rubare il segreto, vorrei fermarla e chiedere come fa, implorarla di insegnarlo anche a me.
 
Chi fa di tutto per trattenere le lacrime, così  sconfortato da farmi venire voglia di abbracciarlo. Chi controlla la rabbia e la frustrazione accumulate. Chi sogna senza fare a caso a dove va.
È bello vederli camminare nella vita, sopravvivere come si riesce, perché è questo che facciamo tutti. Cerchiamo la nostra verità; quella verità che permette di sopravvivere a modo nostro ed andare avanti.
 
Sono praticamente arrivata a destinazione, e mi viene da sorridere quando vedo due ragazzi che si baciano. Sono stretti l’uno all’altra, lui preme la schiena di lei contro la porta, mentre cerca di infilare alla cieca la chiave nella serratura, senza rompere mai il bacio. Continuo a guardarli, schiavi di chissà quale passione o voglia, mentre mi avvicino sempre di più. E quando ormai sono a una decina di passi da loro mi fermo.
 
Mi blocco e sento che le orecchie mi si tappano. Il mio sguardo fisso sulle spalle di lui. Di questo lui, che fa scorrere affamato le mani sulla lei senza volto. Ma lui un volto ce l’ha. Non ha bisogno di voltarsi e mostrarmelo. Conosco bene quella schiena, come conosco bene quel corpo.

E ancora meglio conosco quel giubbotto. Gliel’ho regalato io due Natali fa.

E in questo preciso istante mi rendo conto che quando le mie amiche hanno deciso di soprannominare questo ragazzo L, sono state anche troppo benevole.
 
Non so per quanto tempo resto ferma sull’altro lato della strada a fissarli. Nella mente mi scorrono mille immagini, nelle orecchie risuonano i  te l’avevo detto di chi avrebbe tutto il diritto di dirmelo.
 
Vorrei urlare, ma le mie corde vocali sembrano non saper vibrare. E la cosa peggiore è che non posso urlare. Non posso picchiarlo. Non posso dirgli nulla. Ed è solo colpa mia.
Non ho nessun diritto come fidanzata. Perché non sono la sua fidanzata.
 
Sono solo un’amica con cui va a letto. Ed è colpa mia perché ho accettato questa condizione. Posso prendermela solo con me stessa se, adesso che lo vedo baciare un’altra, non ho diritto di spaccargli la faccia. I ruoli sono sempre stati chiari: il fatto che io fingessi di essere l’unica con cui stava, è esattamente il motivo per cui ora mi sento una lama nello stomaco.
Mi volto lentamente e  ricomincio a camminare verso casa. Qualche metro più in là sento il rumore del portone che sbatte, indice del fatto che sono riusciti  ad entrare, e penso che, tra poco, nel suo letto, al posto mio, ci sarà lei.
 
E per la mia stupidità, non ho voce in capitolo.
 
Mi muovo a rallentatore, cercando di prolungare la strada che mi ricondurrà al mio appartamento: sembro uno zombie mentre i miei piedi si spostano per inerzia.
E in questo momento, probabilmente, qualcuno che mi incrocia sul marciapiedi, sta facendo il mio stesso gioco. Sta cercando di immaginare perché sul mio viso è scolpita la faccia della delusione e della consapevolezza.
Mentre mi avvicino a casa inizia a piovigginare. Quella pioggia leggera e fastidiosa.
 
L’unica cosa che mi protegge è il sottile cappuccio della mia amata felpa verde, ma quella non può aiutare a riparare quel cuore e quell'orgoglio che hanno incassato l'ennesimo colpo. Non basterebbero mille felpe per custodire l'ultimo frammento di amor proprio che credevo di aver conservato: sono stata la carnefice di me stessa quando ho scelto che, stare male con lui, era meglio che stare male senza di lui. Ed ora che lo stare male con lui si è trasformato nello stare male con me stessa, rivoglio indietro il mio tempo; rivoglio la mia saggezza, rivoglio l'occasione di tornare indietro e decidere che no, io non sono una ragazza da scoparsi quando gira a lui. Non lo sono mai stata.

Salendo le scale cerco di capire quanto tempo sono rimasta fuori. Ma è inutile, non lo so quantificare. 
Apro la porta di casa e mi accorgo che dentro è tutto spento: c’è solo tanto silenzio. Forse è tardi e dormono già tutti. Forse non sono ancora rientrati.

Non lo so e non mi importa.
 
Mi levo le scarpe e mi sdraio sul divano senza togliermi nemmeno i vestiti inzuppati. Non ne ho voglia. Non ne ho la forza. Mi alzo la coperta fino al mento e chiudo gli occhi.
 
Non voglio piangere perché sarebbe come regalargli quell'ultima oncia di me che ero riuscita a conservare, eppure gli occhi pizzicano in modo insopportabile: è forse delusione? O è semplice e banale dolore? Quel dolore degli innamorati di cui parlano sempre tutti.

L'amore è sofferenza, dicono. Beh, io questa sofferenza non la voglio. Non ho bisogno anche di questa. E poi quello che provo verso L non è amore.
E allora capisco che, forse, questo dolore non è per lui; è per me. Soffro per quello che ho fatto a me stessa per lui: ed è lì che tutto si trasforma in rabbia.
 
Stringo un pugno attorno alla trapunta e cerco di sfogare il rancore.
 
L’odio verso un ragazzo che non merita di sfiorare il mio dito mignolo.
 
L’ira verso me stessa e la mia stupidità.
 
Tra i miei pensieri confusi e la vista che comincia ad appannarsi di lacrime - che non voglio lasciar scorrere -, non mi accorgo nemmeno del rumore di una porta che si apre.
Poi una voce calda mi chiede “ Med?”
 
È Alex. No, cazzo, non Alex!

Io non mi volto. Resto ferma cercando di controllare il respiro e sperando che, per una volta, si faccia gli affari suoi e se ne vada; chiaramente non sono così fortunata.
“ Med, che ti è successo?” mi domanda appoggiandosi allo schienale del divano per essere più vicino. Io continuo a tacere e a respirare il più profondamente possibile per ricacciare le lacrime da dove sono venute.
 
Lui aggira il sofà e si accuccia di fronte a me.
“ Ti senti bene?” mi sussurra scostandomi una ciocca zuppa di pioggia dal viso.
“ Direi di no” bisbiglia fissandomi i capelli dietro l’orecchio e io tremo appena.

Oh, perché si allarga? Al momento la mia capacità di intavolare un battibecco con lui è andata a correre la maratona di New York. E il suo superpotere della lettura dell'anima, unito alle mie difese abbassate, sono un mix terribile.

Annullare la missione. Annullare la missione. Recuperare il controllo e rispedire demone dallo sguardo languido da dove è venuto.

Io lo guardo negli occhi ma non parlo. Gli arriva la mia richiesta di andarsene?
 
“ Bet ha detto che eri dal tuo amico non molto simpatico” dice piano. Io annuisco e i suoi occhi si muovono sul mio viso sempre più intensamente, cercando di leggermi dentro; ora però non ho davvero voglia di combattere.

“ Sei tutta bagnata, Scintilla. Non puoi dormire così.”
 
“ Perché no?” borbotto io, arricciando il naso e strofinando un polso su un occhio nella speranza di far passare il bruciore causato dalle lacrime che continuano a minacciare di cadere.
 
“ Perché mi inzupperai il divano” scherza lui “ e perché, se ti viene il raffreddore, russerai ancora più forte”
“ Ok.” rispondo senza pensare a ciò che dico e senza accennare il minimo movimento.

Mi sento come se qualcuno mi avesse staccato la spina e all'improvviso avessi perso la capacità di essere me stessa. Oppure adesso la solita me stessa si è stancata di proteggermi ed è andata a raggomitolarsi in un angolo pacifico di me, lasciando la parte più cretina di Med a gestire il tutto. Beh, questa Med sta fallendo su ogni fronte.

“ Che ne dici se stanotte il divano lo prendo io?” mi bisbiglia tenendo saldo il sorriso e alzandosi in piedi. 
 
“ Io non voglio dormire sul pavimento!” ribatto, contemplando l'idea di un incontro ravvicinato con il mio parquet impolverato.
 
Lui trattiene una risata e risponde:
“ Non era esattamente quello a cui avevo pensato.”
“ Oh. E cosa avevi pensato tu?” chiedo tirando su col naso e cercando - con scarsi risultati - di mettermi a sedere in modo vagamente femminile.
“ Su, alzati.” mi dice prendendomi le mani e cercando di tirarmi, fingendo che il mio galattico culo non stia opponendo resistenza. Lo scruto qualche attimo e poi decido che non è carino da parte mia  costringerlo ad alzare proprio tutto il mio peso e allora collaboro e lascio che mi aiuti a sollevarmi.
 
“ E ora?” domando confusa. Lui ride.
“ E ora vai in camera mia.” afferma lui indicandomi la sua porta.
“ Perché?”
 
“ Perché sì. Dai, scintilla, non fare tante storie.” e mi prende per un polso, conducendomi verso la stanza.
“ Alex…” sussurro quando siamo sulla soglia “ perché lo fai?”
“ Perché sì. Perché devi sempre fare tante storie? Sto cercando di essere una persona gentile, per una volta...” mi mormora, fermando una lacrima lungo il mio viso, con il pollice. E quella da dove è sbucata?
"Vorrai in cambio la mia anima, come minimo." protesto con voce asciutta e deglutendo a fatica. Forse ho mandato giù un po' di senso di colpa?
"Come si fa a farti smettere di protestare? C'è un modo? Non puoi semplicemente accettare l'offerta e basta?"
“ Ma tu non mi conosci, io sono un’estranea” dico confusa.
“ Sei anche la mia coinquilina” risponde lui sorridendo
 
“ E allora?”
“ Ma tu fai sempre tutte queste domande?” mi chiede ridendo.
“ Sì.” rilancio perdendomi nei suoi occhi.
 
Lui scuote la testa e mi spinge dentro la sua stanza, che profuma di qualche bizzarra spezia. Io lo lascio fare.
"Camera tua sa di femmina." constato voltandomi nella sua direzione e lui scoppia a ridere.

Ma che si ride sempre?

“ Dove sta quella cosa che usi per dormire e definisci vintage?” 
“ Nel bagno.”
“ Vai a mettertelo...“ mi comanda dandomi le spalle e iniziando ad armeggiare con qualche cosa sul letto.
Vorrei dirgli che non accetto ordini dagli stronzi, ma in questo momento mostra accenni di umanità, invalidando il mio diritto alla scortesia, quindi faccio come dice, indossando il mio pezzo forte notturno - composto da un pantalone con fantasia militare, rigorosamente felpato, abbinato ad una casacca extra-large che reca la faccia di una mucca sul davanti e, lascio a voi intuire cosa, sul di dietro: però ha in più l'impareggiabile particolare della coda attaccata sul retro che si può muovere ed alzare. Pigiami così impazzavano negli anni '90: l'abbinamento con la parte inferiore, però, è tutta roba mia. Lo faccio per dare un tocco di personalità.

Nella vestizione non ho neppure acceso la luce e, velocemente, torno in camera di Alex, muovendomi nel buio. Sono Occhi di Gatto.
Quando entro nella stanza lui si volta verso di me e storce il naso non appena prende atto del mio outfit per la notte.
Medito di rispondergli per difendere il mio pigiamino ma, d'improvviso, mi torna in mente l'immagine di L con quella ragazza e Alex e la sua opinione sul mio guardaroba tornano ad essere irrilevanti.
Sento gli occhi ricominciare a pizzicare e temo che questa volta non riuscirò a fermare quelle sciocche lacrimucce.
 
“ Che strano, sembri quasi piccola in questo momento” mi dice lui sorridendo.
“ Sei uno stronzo” rilancio avvicinandomi al letto.
“ E tu sei una ragazza molto scurrile” il suo sorriso si fa più grande mentre mi scosta il piumone per farmi entrare.
Io mi raggomitolo sul materasso e mi copro in fretta. Appoggio la testa sul cuscino, lui mi fa l’occhiolino e si dirige verso l’uscita.
 
“ Alex..” lo fermo io e la saggia e intelligente Med che aveva lasciato spazio a quella debole, impreca.
“ Che c’è?” mi chiede guardandomi, probabilmente sorpreso che, per una volta, io abbia qualcosa da dire.
 
“Ecco, dunque... sai una cosa? Non fa niente. Non era importante.”
“ Sputa il rospo, Med” ride lui in silenzio e, con mio orrore, mi trovo a domandargli:
“ Se ti chiedo di restare prometti di non rinfacciarmelo?”
Lui mi fissa smarrito e sospetto si stia chiedendo se io abbia completamente perso il senno.
“ Resta...” ripeto, senza sollevare la testa.

Sono chiaramente posseduta.

“ Come?” domanda lui sempre più confuso e non posso biasimarlo.

Forse sono schizofrenica. Forse ho un disturbo da personalità multipla e quella incompetente di Jules non me lo ha diagnosticato.

“ Solo un po’…resti qui un po’?”

Ma cosa sto dicendo?! No, no, non restare. Lasciami qui da sola nella tua camera che sa di femmina.

Nei suoi occhi leggo incertezza e titubanza.

Siamo in due, fratello!

"Io? Vuoi che io resti qui? Non vuoi che ti chiami Bet?"
"Tu o un peluches senza un occhio sarebbe più o meno lo stesso. È la presenza che conta..."
"Ah, sì, così mi sento proprio amato e mi convinci senza dubbio."
"Dovresti sentirti lusingato anche solo da fatto che io te lo chieda e che ingoi il mio orgoglio..."

E ancora con i suoi silenzi carichi di tensione: mi guarda e mi contempla.
"Per favore..."
 
Le mie ultime parole sembrano convincerlo, perché torna verso di me. Io gli faccio spazio e lui si sdraia sopra la coperta. Si mette su un fianco e incrocia il mio sguardo.
Restiamo in silenzio e ,a quel punto, mi accorgo che una sola lacrima si è fatta un giro sulla mia guancia.
“ I tuoi occhi sono belli quando piangi” si lascia sfuggire Alex e poi si ferma, imbarazzato.
 
“ Anche i tuoi” rispondo stupidamente io per allentare la tensione e lui ride.
 
“Quanto sei stupida..."
“Non ne hai idea... “ bisbiglio io, continuando a fissare i suoi occhi. Sembra che abbiano un effetto calmante, perché ho l’impressione che la rabbia stia un po' scemando e che la stanchezza si stia, piano piano, diffondendo nelle mie vene. Forse è un altro potere dell'occhio bionico; o probabilmente sono solo stremata da tutto quello che mi ha attraversato la mente.
 
“ Cerca di dormire, così il tuo russare mi farà da ninna nanna” mi prende in giro lui e questa volta io rido e chiudo le palpebre.
Restiamo avvolti dal buio e dal silenzio. Poi lui mi chiama:
 
“ Ehi, Med?”
“ Mmmh?” mugolo io
“ Lo sai che te lo rinfaccerò, vero?” domanda, e nella sua voce riconosco un sorriso.
“ Lo so,  Alex” dico, lasciando che gli angoli delle mie labbra guardino verso l’alto.
 
Poi, forse completamente impazzito, sfida la fortuna e mi accarezza i capelli: di norma gli avrei fatto uno strizzacapezzolo, ma la mia bisnonna diceva che bisogna sempre mostrare gratituidine. Io forse non lo so fare, ma posso almeno evitare di maltrattarlo per qualche ora, visto come sono andate le cose.
So bene che Alex non resterà. So che non sarà qui al mio risveglio. Ma non voglio che ci sia. 
 
Ed è proprio questa consapevolezza che mi permette di abbandonarmi e di entrare nel mondo onirico.


AN: Come ogni volta, il mio primo immenso grazie va a quella santa di leti10 che, con una pazienza infinita, si pippa il cumulo di roba che la mia mente riesce a partorire: in questo caso, come lei ben sa, la mia gratitudine è doppia, data l'impossibile lunghezza di ciò che le avevo spedito!
E non posso non ringraziare tutte quelle persone che hanno scelto di dedicare un po' del loro tempo a questa storia, leggendo le assurdità che ci piazzo dentro e commentandola: avete ampiamente contribuito alla mia ispirazione (e, forse, la mia Beta non ha troppo apprezzato eheheh).
Sperando di non avervi tediato troppo e che nessuno di voi si sia addormentato prima di arrivare alla fine del capitolo, vi saluto caldamente ;)
   
 
Leggi le 18 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: MedOrMad