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Autore: Laurana Lauranthalasa Efp    09/07/2012    2 recensioni
Dicono che per risalire, bisogna prima aver toccato il fondo.
Senti che sei pronta.
Ora la penna scorre veloce sul foglio bianco.
I pensieri hanno fretta di mettersi in fila.
Ti agiti un poco. Ma in fondo non è nulla... stai solo scrivendo un racconto. Il tuo.
Le parole sotto la pelle sono graffi che fanno male. Da morire.
E' una vita che non escono . Adesso è venuto il momento.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Prima prova d’esame: diciotto anni e poi?

 
Maledetta sveglia! Proprio stamattina non doveva suonare!
Hai mezz’ora di tempo per fare colazione, vestirti in modo decente, inforcare il motorino e arrivare a scuola!
Non c’è la farai mai!
Hai il cuore che batte a mille, l’ansia ti prende lo stomaco e sai già che entrerai in aula in pessimo stato!
Oddio, devi darti una calmata o andrai giù di testa.
Mentre di vesti e mandi giù il caffè bollente, nella mente riaffiorano ricordi ed emozioni lunghi cinque anni.
Ti viene quasi da piangere al pensiero di lasciare la tua aula, la tua scuola, i compagni e vorresti che il tempo si fermasse, si congelasse nell’attimo che per la prima volta hai varcato la soglia dell’Istituto professionale di moda e designer.
Sono stati anni belli, densi di sapere e curiosità, peccato siano volati dietro le tue spalle come passi perduti lungo un sentiero.
Vorresti restare li per sempre, chiusa in un limbo senza tempo, senza spazio, senza età.
Ma sai che non è possibile. Fuori da quelle aule ti aspetta la vita vera.
A casa stamattina non c’è nessuno a farti gli auguri per l’esame e così te ne vai via in compagnia dei tuoi pensieri tristi e malinconici.
Sali in sella al motorino, il casco nasconde una lacrima e parti verso la scuola.
Finalmente arrivi davanti al portone. Vedi Eleonora che ti aspetta e con un cenno della mano ti invita a sbrigarti ad entrare in classe.
Corri trafelata verso di lei, le afferri una mano ed insieme a passo spedito vi sedete ognuna al vostro posto.
La guardi: ti sembra calma e rilassata, sicuramente l’opposto di te che sembri uscita da una maratona!
Il commissario d’esame estrae i temi e fra quelli dati ne scegli uno. Quello che ti sembra più fattibile, più interessante.
Sul foglio in alto il titolo recita:
 
“Avevo vent’anni.
Non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita”
Paul Nizan
 
Rifletti un attimo, poi inizi a scrivere.
 
Ho da poco compiuto 18 anni, Per la legge sono maggiorenne, per la scuola sono o dovrei essere matura e tutti mi dicono che questa è l’età più bella.
Teoricamente dovrei dar ragione a tutti quanti.
Vivo in una famiglia normale, né povera, né ricca. I miei genitori lavorano, non hanno studiato ma con l’esperienza di vita accumulata darebbero il filo da torcere ad un laureato.
Ho una sorella più piccola che frequenta la scuola media, è coccolata e viziata oltre misura e fa di tutto per rendermi la vita impossibile con i suoi dispetti e i suoi piagnistei.
A detta dei miei genitori non mi manca nulla, quindi rispetto al resto del mondo che soffre la fame, non solo sono fortunata, ma  non posso di certo lamentarmi e devo essere contenta di quello che ho.
Ma in mezzo a tutta questa perfezione, sento una nota stonata.
Ed è questa musica stridente che mi fa dire che i miei 18 anni non sono l’età più bella.
Un senso di ansia, di inquietudine mi attraversa l’anima.
Non ho sogni, desideri, sfide che possano contrapporsi a questo mio disagio.
Ho tutto, ma nel contempo non ho nulla.
Sento il vuoto, che è come un dolore profondo, sconfinato.
Alle volte mi sembra di morire. Ma non sono l’unica. Come me sono in agonia tanti altri giovani.
Probabilmente è un nuovo fenomeno, una nuova moda, Non so bene come definire questa cosa.
Ho 18 anni e una famiglia normale, lo ripeto.
Eppure dentro di me non ho passato, non ho futuro. Sono in un limbo. Dentro una vita sospesa.
Il mio presente è questo foglio bianco che devo riempire con parole che non sento mie, con frasi che sanno di vecchio, di stantio.
Sinceramente sento di aver perso anche le parole.
Non ho speranza in niente, e come me non hanno speranza centinaia di altri diciottenni che usciranno dalla scuola per trovarsi in un mondo che non sentono suo.
L’altro giorno a pranzo, si facevano previsioni sugli esami e sui risultati. Mio padre raccontava a me e a mia sorella i suoi vent’anni. Era quasi esaltato quando raccontava del sindacato, della politica, dei diritti di ognuno, dei suoi primi amori, del primo bacio dato a mamma… E mamma che non aveva finito la scuola raccontava del capo fabbrica che la tiranneggiava, degli scioperi ad oltranza fatti per difendere il diritto al lavoro, del poco che si aveva ma si faceva bastare, di quanto erano felici lei e papà quando riuscivano a darsi un bacio di nascosto dal nonno..
Ed io ero lì, seduta a tavola che li guardavo triste, con le lacrime e il magone che mi saliva su. Certo, sorridevo per finta, per farli contenti, per non far vedere loro che dentro di me c’era il nulla.
Mi veniva da piangere a vederli così felici al ricordo dei loro 18 anni. Papà era povero. Senza grandi sicurezze, la casa in affitto. Mamma lavorava da mattina a sera per portare a casa i soldi e far quadrare i conti in casa, i nonni braccianti agricoli, una vita spesa nel sudore a lavorar la terra, con enormi sacrifici avevano fatto studiare i figli.
Gente normale, laboriosa, con sogni e speranze nel cuore.
Forse a me e alla mia generazione si è imborghesito il cervello.
L’anima si è rattrappita davanti alle speranze svanite.
Sono giovane ma mi sento vecchia dentro.
Ho confuso i sogni con lo stipendio.
Il posto sicuro con l’intraprendenza.
Il computer è al posto del cuore.
E i miei sogni finiscono dentro ad un social network dove dicono tutti di essere amici tuoi e dove si fa a gara a chi riceve più “mi piace”.
Questi sono i miei 18 anni.
 
Ps. Non ho seguito la traccia del tema. Bocciatemi pure. Almeno rimango qui un altro anno.
   
 
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