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Autore: eloise de winter    09/07/2012    1 recensioni
Nessuno credeva che avrebbero avuto nuovamente l'onore -o l'onere- di incontrarla, e invece eccola lì che camminava, il mento tanto in alto che per vedere dove passava doveva tenere gli occhi socchiusi, in un'espressione di superiorità ostentata ed esibita come si mostra, vanesi, al mondo un nuovo abito o un raffinato monile.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dolor et Lacrymis

 


Era appena sceso il buio, quando Eloise scese le scale del ballatoio di pietra di una vecchia residenza nobiliare nel Borgo di Aldenor, dove si era stabilita dal suo ritorno –in tutti sensi-.
 
I tacchi degli stivaletti neri risuonavano in un ritmico, ipnotizzante ticchettio e le gonne scure frusciavano sfiorando con l’orlo i bordi dei gradini duri e freddi, gelidi.
 
Gli alamari d’argento del mantello nero erano ben chiusi ed il cappuccio tirato fino a coprire la fronte lasciava intravedere solo lo scintillio innaturale dei suoi occhi scuri.
 
Pizzo del color della notte le ricamava le braccia e le mani, fino a poco al di sopra della conca morbida e pallida del gomito.
 
Arrivata al termine della lunga scalinata, prese a camminare nell’ombra, sempre più svelta, sulle pietre irregolari del selciato antico del Borgo di Aldenor.
 
Era immersa nei suoi pensieri, non riusciva a comprendere.
 
Perché dopo così tanti anni e dopo la morte di tutti –meno uno- dei suoi assassini, lei non riusciva ad accettare o solo a comprendere la morte di Axel?
 
Per giunta, rimuginò, Axel non era l’unico ad essere stato ucciso quella notte, anni fa, eppure il suo dolore era sempre stato incentrato sulla perdita del Princeps.
 
No, tutti e quattro i Vandemberg erano morti.
 
Tutti e quattro.
 
Su cinque.
 
Il quinto non era ancora nato al tempo di quel massacro, e nessuno a parte una ristretta cerchia di eletti ed amici sapeva della sua esistenza.
 
Anna aveva appena scoperto di essere incinta di un bambino quando…tutto ciò che era successo era accaduto.
 
Poi, Alexander William Vandemberg era nato.
 
Un povero bambino orfano di padre e nato nel dolore di una perdita immane, per la famiglia e per il Regno.
 
Gli rimaneva soltanto la madre e un vecchio consigliere del nonno come famiglia.
 
E lei.
 
Ma lei si era rinchiusa nel suo dolore, aveva passato mesi assente, lasciando che il tempo le scivolasse tra le dita sottili e bianche, senza neanche tentare di fermarlo, e ad adattarsi a…lei.
 
La nuova lei.
 
Avevano tutti cercato di aiutarla, ma avevano fallito.
 
Solo una persona era riuscita a starle accanto e ad alleviarle in modo infinitesimale  la sua pena: Ashton.
 
 Ma non si era mai ripresa, anche se era uscita dal suo doloroso e volontario isolamento.
 
Era riuscita a svegliarsi e a trovare qualcosa per cui valesse la pena –letteralmente- lottare: la vendetta.
 
Aveva passato anni a rintracciare, scovare ed uccidere tutti i responsabili della sua morte.
 
Ce l’aveva fatta, ma mancava ancora la persona –se così si poteva definire-  che era stata il mandante e il vero colpevole di tutto.
 
Lui aveva già tentato di uccidere lui, ma soprattutto lei, però doveva aver rivisto le sue prerogative ed allora aveva attaccato lui.
 
Uccidendolo.
 
E lei non avrebbe più avuto pace –per quanto potesse ottenerne un essere come lei- finché non avesse avuto il suo sangue a imbrattarle il volto, la sua testa su di un vassoio d’argento e il suo cuore, ancora pulsante, tra le mani.
 
Lo aveva giurato sulla sua anima dannata e su tutto ciò di sacro, per quanto questo potesse valere.
 
Venne riscossa da questi macabri pensieri da una mano che le si posò su volto e da un’altra che la attirò per la vita in un vicolo stretto e buio.
 
Con uno strattone si liberò e si voltò a fronteggiare il suo assalitore, al che la figura che aveva tentato di rapirla le parlò:
 
«Eloise, basta.»
 
Quella voce la folgorò, l’aveva sentita molte volte, ma ora era diventata, se possibile, ancora più musicale e morbida, ipnotizzante più di quanto –tanto tempo prima- non fosse.
 
Non riusciva a muoversi, non poteva muoversi, non voleva muoversi: temeva di spezzare l’illusione.
 
Non poteva essere.
 
Lui era morto!
 
Aveva pianto sul suo cadavere ancora tiepido, aveva visto il suo viso sparire in una bara e la bara venire tumulata in una cappella antica come la sua stirpe.
 
La figura nell’ombra avanzò fino ad entrare nel cono di luce proiettato dalla luna, che nel frattempo era sorta, piena e scintillante.
 
Alzò le mani e si abbassò il cappuccio: una chioma dorata catturò un raggio lunare e lo rifletté in un lampo d’oro.
 
Gli occhi di Eloise si riempirono di lacrime cremisi che scivolarono sul viso eburneo della fanciulla immobile, lasciando strisce di sangue scuro e denso.
 
«Tu dovresti essere morto» sussurrò, incredula.
 
 
 
 
 
 
 
 
lo so, è una carognata lasciarvi così sul più bello –ammesso che qualcuno abbia letto-.
Mi dispiace, ma mi sembrava la scelta più adatta.
Non so quando riuscirò ancora ad aggiornare, causa vacanze, ma spero di riuscire a farlo prima di Agosto almeno un’altra volta.
Detto questo, vi lascio, grazie di tutto.
 
 
 
eloise
e.d.w.
 
   
 
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