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Autore: JulietAndRomeo    09/07/2012    2 recensioni
Io rimasi un attimo interdetta: Nick? Quel Nick? Il figlio di Jeremy? Il tipo che avevo odiato a prescindere?
Come se ci fossimo letti nel pensieroci girammo l'uno verso l'altra: «Cosa?»
«Sta zitto!», «Sta zitta!» urlammo all'unisono e continuammo: «Io?»
«Tu!»
«No!»
«No?»
«Si!»
«Smettila!» concludemmo.
questa è la prima storia che scrivo e l'ho fatto per un concorso letterario a scuola quindi non so neanche come è venuta: la pubblico perché mi piacerebbe avere un vostro parere, non so ancora quanto sarà lunga perché il concorso sarà a settembre quindi devo ancora finirla. E' un giallo/commedia perché non piacciono neanche a me le cose troppo pesanti da leggere quindi l'ho 'alleggerita'. Non vi chiederò un commento, quello deve essere a vostro buon cuore. Adesso vi lascio, buona lettura
Genere: Commedia, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Bonjour a tous :) con un giorno di anticipo rispetto al previsto, dati i miei improrogabili impegni con la spiaggia e il mare, eccovi il nuovo capitolo. Buona lettura :D



Capitolo 8: Ok, niente ladri.

Uscimmo dal distretto con più domande e più dubbi di prima: perché i numeri? Che significavano? Se stavamo avendo a che fare con un qualche tipo di setta o di banda, di che si occupava? Era una setta a livello locale o dovevamo rivolgerci a qualcuno più in alto nella scala gerarchica per avere informazioni? Erano molti i membri?
Le domande senza risposta erano aumentate di giorno in giorno, da quando avevamo scoperto il cadavere di Jennings.
«Taxi!» chiamai alzando un braccio, appena raggiungemmo la strada.
Un tassista si fermò poco più avanti e io e Nick salimmo in silenzio: «353 San Vicente Boulevard, Santa Monica, per favore» dissi al tassista.
Il tassista annuì rigido e premette un pulsante sul cruscotto, quello che credetti essere il tassametro. Passammo una parte del viaggio in silenzio, poi Nick disse: «Mi sembri pensierosa».
«Lo sono: i cadaveri sono già diventati due e noi non abbiamo idea di dove sbattere la testa. Se ne venisse trovato un altro o se qualsiasi tipo di informazione trapelasse, i media assalterebbero il distretto, le forze di polizia e, se si sapesse che collaboriamo alle indagini, anche noi; di conseguenza, se abbiamo a che fare davvero con una società che opera nell'ombra far sapere all'intera California che siamo immischiati in questo casino, non sarebbe un bene».
Alle mie parole il tassista, che si era rilassato appena partiti dal distretto diretti a casa, si era irrigidito: pover'uomo, infondo non era cosa di tutti i giorni sentire i nostri discorsi; suggerii quindi a Nick di chiudere il separatore che divideva i sedili posteriori, su cui eravamo seduti, da quelli anteriori.
«Hai ragione, ma per ora non lo sa nessuno e possiamo continuare le nostre indagini con calma» disse Nick.
Io alzai una spalla: «In ogni caso, siamo lontani dalla risoluzione del caso: non abbiamo alcun tipo di indizio, a parte le impronte del vicolo dove è stato trovato Jennings che potrebbero essere di chiunque, i numeri sotto i piedi delle vittime che potrebbero significare tutto o niente e i modi in cui sono morti».
«Possiamo seguire la traccia dell'azoto liquido» consigliò Nick.
«L'azoto liquido si compra anche al supermercato. Dato che viene usato anche in cucina, non ci vogliono permessi speciali per ottenerlo e le diverse transazioni non sono quindi rintarcciabili. Siamo in un vicolo cieco, accettalo» dissi scendendo dall'auto.
Lui fece lo stesso e, percorso il vialetto d'entrata, prese le chiavi dalla tasca e aprì la porta.
«Grazie, tenga il resto» dissi al tassista attraverso il finestrino.
Diedi le spalle al tassista e raggiunsi Nick in casa.
Lo sentii sbuffare dalla cucina: «Hey che succede?» dissi mettendo la testa dentro.
«La signora Smith ha lasciato la finestra aperta» disse Nick camminando per andare a chiuderla.
«La finestra aperta? Strano di solito le chiude sempre tutte» affermai.
Mi guardai intorno alla ricerca della donna o di qualcosa fuori posto, ma niente sembrava spostato.
«Magari l'ha lasciata aperta apposta, per far cambiare l'aria» disse Nick alzando una spalla.
Mi affacciai dalla suddetta finestra e mi guardai intorno, finché sul terreno ancora bagnato dagli annaffiatoi, non vidi due orme, troppo grandi per essere della signora Smith e troppo piccole per essere di Charles: se io e Nick eravamo rimasti fuori tutto il giorno c'era qualcosa che non andava.
Notai che c'erano solo impronte rivolte verso la finestra e non verso il cancello d'uscita.
«Nick, credo di aver lasciato l'agenda in macchina l'altro giorno, ti seccherebbe andarla a prendere? Non vorrei perdere tutti i dettagli del caso che ci sono dentro» chiesi continuando a guardare fuori dalla finestra attentamente.
«Mi spieghi come fai a dimenticare sempre tutto?».
«Genetica credo. Lo fa anche mio padre» ribattei ansiosa.
«Ok, ok vado» disse incamminandosi verso i sotterranei.
Io aprii un cassetto della cucina e tirai fuori un coltello: di solito usavo gli altri per giocare al tiro a bersaglio, ma la situazione adesso era diversa; se le orme erano rivolte verso la finestra solamente e non verso il cancello, vuol dire che l'intruso era ancora in casa.
Doveva essere un uomo di circa un metro e settantacinque, probabilmente bianco.
Sperando che Nick non smettesse di cercare la mia agenda, che in realtà non era mai esistita dato che tenevo a mente tutto, in macchina, aprii lentamente la porta della cucina, che si affacciava quasi direttamente nel salotto.
L'uomo poteva essere un qualsiasi ladro e quindi sarebbe andato a cercare una qualunque porta chiusa a chiave, credendo che i 'tesori' fossero lì, oppure avrebbe preso un qualsiasi oggetto, anche se non di grandissimo valore.
Guardai i soprammobili più costosi del salotto: non erano stati toccati.
'Ok, niente ladri' pensai.
Avanzai guardinga fino al divano e mi abbassai dietro la spalliera, quando sentii dei passi risuonare per le scale, pregando fosse Charles o la signora Smith così avrei potuto mandarli via.
Sbirciai oltre il divano e, come avevo previsto, un uomo bianco, sulla cinquantina e alto più o meno un metro e settanta, camminava guarandosi intorno alla ricerca di qualcuno che potesse nuocerli.
Ringraziai per una volta tutti i santi del paradiso per avermi donato la mia bassa statura e nascosta in silenzio, aspettai che l'uomo passasse vicino al divano per stendere la gamba e farlo inciampare.
Purtroppo, dovetti anche bestemmiare quegli stessi santi, che un minuto prima stavo ringraziando, per aver fatto spuntare Nick dalla cucina, un secondo prima che l'uomo inciampasse nel mio piede: «Non c'è nessun tipo di agenda in macchina, Macy... anzi, adesso che ci penso, io non ti ho mai visto usare...» disse Nick guardandosi i piedi e alzando poi lo sguardo: «...un'agenda» concluse guardando l'uomo che in un attimo gli fu addosso.
L'intruso mollò un pugno sul naso di Nick, che stese quest'ultimo in meno di un batter d'occhio e, credendo fosse finita, cominciò a correre verso la finestra della cucina ancora aperta.
Con l'intenzione di mutilarlo, strappandogli un orecchio, o ferirlo gravemente, prendendo una vena principale, tirai il coltello con la punta in avanti, ma tutto quello che riuscii a fare fu sfiorarlo, facendo così in modo che si accorgesse anche di me: lui si voltò e, prima di uscire dalla finestra con un solo balzo, ghignò nella mia direzione, con un'espressione indecifrabile sul volto.
Dopo che fu uscito, mi affacciai alla finestra, non prima di aver staccato il coltello dal muro in cui si era conficcato, per accertarmi se ne fosse andato e poi tornai correndo verso Nick che era ancora riverso sul pavimento sanguinante: «Nick, guardami, sono io, sono Macy, mi riconosci?» dissi scuotendolo con forza.
«Mamma, ciao! Com'è l'Italia?». Wow, la botta doveva essere stata davvero forte!
«No, Nick, non sono tua madre e tu devi avere una commozione celebrale, vieni ti porto in ospedale».
Effettivamente quando era caduto aveva dato una testata allo stipite della porta, ma non credevo gliel'avesse data così forte!
«Io non voglio andare all'ospedale... ba bù» disse mentre lo aiutavo a rimettersi in piedi, facendo le smorfie che si fanno ai bambini piccoli per farli ridere.
Mi credeva una bambina? Santissimi numi!
«Come ti ho già detto, io sono Macy, non una bambina e se non vuoi andare all'ospedale, allora ti porto...» mi interruppi mentre pensavo: «Al lunapark» conclusi sperando di convincerlo a salire in macchina, rimanendo in tema 'bambini'.
«Ok...» mormorò prima di accasciarsi su di me.
Accidenti alla mia bassa statura e maledetto chi me l'aveva appioppata!
Caddi per terra con lui -svenuto- di sopra a schiacciarmi: «Porco cazzo, Nick, ma quanto pesi?!» ansimai cercando di prendere aria.
Rotolai su un fianco ribaltando la situazione, dopodiché mi alzai e lo afferrai da sotto le ascelle: in qualche modo dovero pur portarlo fino in macchina, no? Oppure potevo chiamare un'ambulanza. Mi diedi della stupida per non averci pensato prima e cominciai a cercare il telefono come una dannata.
Alla fine lo trovai nella borsa, in mezzo a un mucchio di stronzate varie, e composi il numero d'emergenza.
Mi rispose una voce di donna: «911, qual è la sua emergenza?».
«Un uomo si è introdotto in casa mia e ha colpito il mio amico che credo abbia una commozione celebrale, mandate all'istante un'ambulanza» dissi in preda al panico, vedendo che Nick non si riprendeva.
«Può fornirci una descrizione dell'uomo?».
«Ve la do dopo una descrizione dell'uomo, mandate una fottutissima ambulanza!!» urlai.
«Mi dica il suo nome e i suoi dati anagrafici, dobbiamo inserirla nel database» disse la donna con calma.
«Mi sta per caso prendendo per il culo? Vaffanculo lei e i suoi stramaledettissimi computer!» urlai isterica mentre riattaccavo.
Tirai quindi il telefono in un luogo a caso alle mie spalle e riafferrai Nick -ancora incosciente- per le ascelle cominciando a tirarlo verso le scale della cucina.
Arrivata lì mi posi il problema di come avrei dovuto tirarlo fin lì sotto e, senza pensare troppo, cominciai a scendere le scale al contrario, trascinandomi Nick dappresso.
Ad ogni gradino che scendevamo, lui sbatteva la schiena contro la pietra dei gradini e io gli chiedevo 'scusa'.
Poteva anche sembrare una scena comica se non fosse stato che avevo un moribondo tra le mani.
Arrivati alla fine in macchina, riuscii a sollevarlo quel tanto che bastava a farlo entrare nella Porsche color panna: avevo provato ad 'issarlo' sul SUV per farlo stare più comodo, ma io sono alta uno e sessantacinque circa, lui più di un metro e ottanta, e ancora non faccio magie.
Quindi appena il garage si aprì partii sgommando e passai con il rosso a 210 km/h in circa cinque semafori.
Ogni tanto, quando sembrava si stesse riprendendo cominciavo a chiamrlo per nome, sperando mi riconoscesse, ma tutto era inutile, visto che era bello che andato.
Arrivai all'ospedale e, dopo aver parcheggiato nel posto riservato alle ambulanze, entrai chiedendo di un medico competente e di due infermieri che mi aiutassero a tirare Nick fuori dall'auto.
Gli infermieri lo presero e lo deposero delicatamente su una barella. Cominciarono a camminare a passo svelto lungo il corridoio e io gli correvo dietro, tentando di tenere Nick sveglio, mentre un dottore mi faceva delle domande riguardo le sue condizioni. Quando passarono le porte, che facevano accedere all'ala dell'ospedale riservata ai dottori e al personale, mi bloccai sulla soglia della porta, continuado a guardare, oltre i vetri e con sguardo assente, il gruppetto di persone attorno a Nick che si allontanava.
«Ma perché non ha chiamato l'ambulanza?» mi disse una donna seduta vicino alla porta.
«Come fa a sapere che non è arrivato con l'ambulanza?».
«Forse lei non se n'è accorta, ma quando è entrata ha cominciato ad urlare, non a parlare ad alta voce» disse la donna con voce canzonatoria: «Non è un atteggiamento che si addice ad una signorina».
L'avrei picchiata: giuro che in quel momento l'avrei picchiata.
«Mi scusi, ma a lei che diavolo importa del mio atteggiamento? Si faccia i cazzi suoi piuttosto e guardi che l'unico problema di suo figlio è la madre, che lo lascia giocare in mezzo al fango e non lo tiene d'occhio!» scattai inviperita.
«Come fa a sapere che...».
«Come faccio? È chiaro come il sole che è qui perché suo figlio ha cominciato a vomitare senza sosta! Se lei lo tenesse d'occhio, il marmocchietto non mangerebbe il fango e non gli verrebbe un'indigestione tale da dover costringere i medici a sprecare risorse e soldi della comunità, per fargli una lavanda gastrica. E prima che me lo chieda, si vede dai suoi vestiti sporchi di vomito e fango e da tutti i fazzoletti di carta pieni di moccio che ci sono vicino a lei. Inoltre so che è un maschio, perché una bambina non mangerebbe mai del fango e quindi lei non sarebbe qui se avesse avuto una figlia femmina!» conclusi.
La donna mi guardò come se mi fosse spuntata una seconda testa che in quel momento stava per divorarla e, pallida e con gli occhi sgranati, si allontanò correndo, girando la testa ogni tanto per controllare che non la seguissi per accopparla.
Mi lasciai cadere sulla sedia dell'ospedale come se tutte le energie fossero fuggite via con quella signora. Andai anche per prendere il telefono, ma mi ricordai di averlo lanciato nel salotto probabilmente, dopo la chiamata al 911.
'Che tu sia maledetto 911!' pensai in un momento di stizza.
Passai le seguenti 4 ore aspettando che mi dessero notizie, ma nessuno si degnò di farmi sapere qualcosa sulla salute di Nick.
Mi domandai che ore fossero e ripercorsi tutta la giornata: verso le dieci, Lewis era piombato in casa nostra; avevamo, quindi, passato circa 3 ore al distretto e poi eravamo tornati a casa, dove la nostra sopresina ci attendeva; considerando inoltre che erano passate circa 4 ore buone da quando ero arrivata all'ospedale con Nick, direi che erano più o meno le sette e mezza di sera.
Sbuffando come una locomotiva a vapore, mi alzai e cominciai a camminare avanti e indietro per il corridoio: chi diavolo era quell'uomo? Se non era un ladro -perché ero sicura non fosse un ladro- che stava cercando in casa? E perché non era armato? Pensandoci in effetti, se dovessi commettere un'effrazione, porterei con me almeno un'arma, per difendermi in caso le cose andassero storte. E come me credo farebbe chiunque.
In quel momento interrompendo la fiumana di pensieri che dilagavano liberi nella mia testa, un medico uscì dalla zona d'emergenza: «Black?» chiese ad alta voce.
Io mi girai e gli andai incontro: «Io! Cioé, il mio nome è Cullen, ma sono la sua migliore amica, i suoi genitori sono dall'altra parte del mondo» balbattai confusa.
«Mi segua, signorina» disse il medico indicandomi il corridoio oltre la porta.
«Allora? È grave?» chiesi ansiosa mentre camminavamo.
«No, il naso era rotto, ma quello tornerà a posto in un pò di tempo, per quanto riguarda il resto, aveva una piccola lesione alla parte anteriore del cranio dell'emisfero...».
«Dottore, mi perdoni, ma io non capisco un accidente di quello che dice, mi devo preoccupare?».
«No, non deve assolutamente preoccuparsi, ma il paziente rimarrà qui per accertamenti per qualche giorno e poi potrà tornare a casa».
«Accertamenti di che tipo?».
«Dobbiamo essere sicuri non abbia niente di grave e non peggiori. Quando lo dimetteremo, avvertirà dei leggeri mal di testa e della sonnolenza qualche volta, ma è normale, non dovrà minimamente preoccuparsi» disse il dottore sorridendo: «Ecco, questa è la stanza del signore, ha dieci minuti scarsi e soprattutto, non lo faccia agitare» mi ammonì l'uomo.
Io annuii e abbassai la maniglia della porta: quando entrai, trovai il deficiente che rideva con un'infermiera bionda -tutta tette, ovviamente.
Mi schiarii la voce lui mi guardò confuso e poi mi sorrise: «Hey, Macy, come ci sono finito in ospedale? E perché ho un mal di schiena incredibile?» disse massaggiandosi la parte dolorante.
«Non te lo ricordi?».
«A tratti, ma il contesto generale mi sfugge».
A quel punto, dopo aver lanciato un'occhiata torva nella direzione dell'infermiera che non sembrava aver la minima intenzione di andarsene, mi sedetti sulla sedia vicino al letto e raccontai tutto.
Verso la fine, cominciò a guardarmi con tanto di occhi: «Mi hai trascinato?!» chiese incredulo.
«Beh, si io...».
«Questi vestiti costano un occhio della testa!» esclamò interrompendomi.
«Si, ma...».
«Non posso credere di aver pulito l'intera casa con la schiena!» mi interruppe ancora.
«Ok, però...».
«Cristo, non potevi... che ne so? Appoggiarmi su un telo?» continuò come se non mi avesse sentita.
Ragazzi, io non ero un'assassina, ma non mi piaceva per niente essere interrotta, e lui aveva commesso tre volte lo stesso madornale errore!
«Hey!» esclamai: «La vuoi piantare? Stavo dicendo che se non ti avessi trascinato, tu non saresti qui a parlare con me, ma ancora svenuto in salotto! Quindi devi ringraziarmi, non rimproverarmi perché ti ho 'ucciso' i vestiti!» dissi tutto d'un fiato.
«Si, si, hai ragione, mi dispiace, ma se penso ai miei poveri vestiti...».
Lo interruppi con un'occhiata che non prometteva niente di buono e lui si zittì.
«Adesso devo andare, ma ti chiamo appena trovo il cellulare e ti faccio sapere, riposati e non combinare casini» dissi mentre raggiungevo la porta: «Ci vediamo domani!».
«A domani» rispose accompagnando il saluto ad un gesto della mano.
Uscii dall'ospedale a passo di carica: presi le chiavi della macchina dalla tasca e raggiunsi la macchina dall'altra parte del parcheggio, dove l'avevo spostata durante le 4 ore di agonia, per non farmi fare una contavvenzione.
Saltai dentro e prima di partire composi il numero del distretto dal telefono della macchina.
Accesi il motore, mentre aspettavo che qualcuno rispondesse e mi misi in marcia lentamente, verso la stazione di polizia.
«Dipartimento centrale di polizia di Los Angeles, come posso esserle utile?» disse la solita voce anniata di donna.
«L'ispettore Lewis, è urgente».
«Glielo passo subito» disse la donna.
Evidentemente era ansiosa di liberarsi della chiamata per tornare a fare il nulla assoluto, perché l'ispettore prese il telefono dopo qualche secondo: «Lewis, chi parla?».
«Ispettore, sono io, Macy. Qualcuno si è introdotto in casa mia oggi e ha aggredito Nick» esordii.
«Aggredito?!» chiese incredulo.
«Si, per Diana, aggredito! Non è difficle! Ho a mente una descrizione dell'uomo, tra cinque minuti sarò al distretto, ma credo di averlo preso di striscio con un coltello, ci dovrebbe essere del sangue secco sul ripiano della cucina di casa mia, si faccia aprire dalla signora Smith o da Charles e lo vada a prendere, voglio beccare quel grandissimo figlio di... sua madre» continuai dopo un secondo di esistazione.
«Manderò due agenti a casa sua; l'aspetto al distretto Cullen, si sbrighi» concluse chiudendo la chiamata.
Premetti il tasto per chiudere la conversazione e pigiai sull'accelleratore, cominciando a sfrecciare attraverso le luci di L.A..
   
 
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