Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Segui la storia  |       
Autore: unknown_girl    10/07/2012    1 recensioni
[...] Pronunciò quella frase osservando il paesaggio umido fuori dalla finestra. Il vetro appannato rendeva indefiniti i contorni delle auto e delle case all’esterno. I pochi suoni che si percepivano, il motore di un autobus, il gracchiare di un corvo solitario o lo sgocciolio delle tettoie, erano resi ancora più ovattati dal silenzio dell’alba inoltrata.
http://ificanstop.wordpress.com
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

– Fantastico! Quindi hai visto un sacco di posti in vita tua! Come ti invidio! –

La voce dell’americano risuonava potente lungo il banco frigo del supermercato in cui lui e Francis si erano recati per fare spese. Come aveva ben accettato anche l’inglese, era il francese che da quando si era trasferito da Arthur si occupava della maggior parte delle mansioni di casa. La spesa era solo una delle sue tante attività. Il motivo per cui si trovava lì anche l’americano era che Francis l’aveva invitato ad unirsi all’uscita. Gli era sembrato vagamente annoiato quel pomeriggio e probabilmente una passeggiata e un po’ di spesa lo avrebbero distratto. L’idea era stata buona, anzi ottima. Aveva già avuto l’impressione che andassero d’accordo all’inizio, ma più parlavano più si rendeva conto che le loro personalità erano felicemente compatibili da molti punti di vista. Inoltre, entrambi mostravano un atteggiamento simile nei confronti degli eventi: un’instancabile tendenza a cercare sempre il lato positivo delle cose e a dare un po’ di fiducia al tempo. Non era male per niente.

– Ti piace viaggiare? – Domandò il francese allontanando per un attimo lo sguardo dall’altro per cercare dello yogurt tra gli scaffali. – È questo il punto. In realtà mi piace moltissimo, ma non ho mai viaggiato un granché. Anzi, se proprio devo essere sincero, l’unico posto che ho visitato è l’Inghilterra, Scozia al massimo. Insomma, immagino ci sia tanto altro da vedere oltre a quest’isoletta fredda e umida, no? – Domandò retorico, con un pizzico di scherno nel tono che poteva permettersi solo perché certo che Arthur fosse assente. Il francese non poté fare a meno di assentire con una risata trattenuta. – Oh, su questo non posso certo darti torto. Il mondo è pieno di meraviglie. Per quanto io possa aver viaggiato, le mie esperienze si limitano comunque all’Europa. Per esempio, non sono mai stato negli Stati Uniti. – E tornando su di lui lanciò da una breve distanza due vasi di yogurt nel carrello che Alfred teneva davanti a sé.

– È un bel posto! – Esclamò il ragazzo. – Se mai vorrai venire non esitare a chiamarmi. Ho amici e conoscenze sia a New York che a Washington, Los Angeles, persino in Florida. Potrei garantirti un soggiorno spettacolare. – Concluse con un sorriso a trentadue denti. – Troppo gentile, sarebbe davvero magnifico. È un paese per il quale nutro un grande fascino. – Rispose il maggiore mentre avanzava lentamente lungo il bancone gelido. – Dai, raccontami qualcosa! Che paese europeo mi consiglieresti di visitare per primo? Cosa c’è di bello da vedere? E il cibo? Dov’è che si mangia davvero bene? – Sembrava un bambino in attesa dei racconti fantastici della buonanotte e irrefrenabile nella curiosità. Gli sorrise di nuovo, accontentandolo. – L’Europa è piena di bei posti, devo dire. Prima di tutto, potrei farti una splendida guida completa della Francia, se vorrai, dove si mangia divinamente. Sono sincero, non lo dico per nazionalismo. Se ti interessa continuare a mangiare bene non puoi saltare l’Italia ovviamente; in aggiunta, ho sperimentato delle buone cucine anche in Austria e in Germania, anche se magari meno variegate per quel che riguarda gli alimenti. Trovo sottovalutata anche la Spagna, sai? È uno dei posti in cui più mi sono divertito e dove ho mangiato meglio. Danimarca e Belgio anche non sono male. –

Alfred osservava il compagno con sguardo estasiato, perdendosi ad immaginare chissà quali meraviglie culinarie, non facendo altro che aumentare il suo perenne e portentoso appetito. Continuarono ad affiancare il banco frigo, inserendo di tanto in tanto qualcosa nel carrello mentre le parole scorrevano a fiumane dalle labbra del francese. – Vieni, andiamo di qua. – Suggerì il maggiore mentre poggiando una mano sulla schiena dell’americano lo direzionava verso il successivo settore del supermercato. Alfred sorrise, avanzando coi gomiti poggiati pigramente sul carrello e dando uno sguardo al suo interno. – Sai, non pensavo Arthur potesse davvero mangiare questa roba. – L’altro giovane si voltò con un: – Mh? –

– Voglio dire.. – Continuò l’americano per spiegarsi meglio. – ..non avevo idea che per esempio potesse piacergli il muesli. – Concluse indicando col dito la confezione di cereali misti che poco prima il francese aveva riposto tra la spesa. – Aah, capisco. – Rispose tirando leggermente indietro la testa, come se le parole dell’altro avessero acquisito un senso solo in quel momento. – Bé, devo dire che è un tipo forse un po’ schizzinoso; poi è terribilmente diffidente. Solo per riuscire a fargli assaggiare una cosa mi occorrono almeno quindici minuti di paziente attività persuasiva. A volte penso di assomigliare ad un sofista. –

– Un che? – Domandò con tono acuto l’americano. – Niente, niente. – Rispose Francis con un cenno della mano, aggiungendo poi: – Però se mi dici che non avresti mai immaginato iniziasse a mangiare muesli vuol dire che forse sto facendo progressi! – Concluse con una risata di circostanza, molto più scettica delle sue solite ben più spontanee. – Guarda che è una cosa eccezionale. Voglio dire, alla fine Arthur è una persona complicata; non è facile stargli appresso. A dirla tutta, io non riesco nemmeno a credere che abbia davvero deciso di ospitarti in casa. è stato un po’ uno shock. – Disse il più giovane cominciando a giocherellare con le ruote del carrello. Francis lo osservò per qualche istante prima di rispondere con un altro sorriso. – Eheh, penso di capire quello che vuoi dire. Ma in ogni caso, non penso di andargli molto a genio. Spesso ho la sensazione che mi sopporti a malapena. – Alfred abbassò la testa nascondendo un sorrisetto. Quindi rispose sollevando il viso e facendo spallucce. – Fidati di me. Se davvero non ti sopportasse non ti avrebbe fatto infilare nemmeno un piede in casa sua. Questo lo so per certo. –

Il francese infilò le mani nelle tasche, spostando la sua attenzione sui prodotti dello scaffale davanti al quale si trovavano, prendendosi un attimo per riflettere su quelle parole. – In realtà sono contento, sai? A parte quei pochissimi amici dell’università, non l’ho mai visto frequentare nessun’altro. Quindi è positivo che faccia nuove conoscenze. Se poi ha pure deciso di ospitarti in casa, vuol dire che ci sono buone probabilità che ti rispetti o che ti consideri comunque degno della sua…mhh, disponibilità, ecco. – Alfred alzò la testa, mettendosi ad osservare il soffitto, come se riflettesse sulle parole giuste da utilizzare o se cercasse di capire se si fosse espresso con correttezza. La mano con la quale cominciò a strofinarsi il mento enfatizzava la posa riflessiva che aveva assunto. – Ahah, questa sì che è una bella notizia allora! Se non altro, posso sperare che almeno non mi uccida nel sonno! – I due risero insieme, sciogliendo quella leggera tensione che forse l’argomento aveva alimentato, continuando con serenità il loro giro all’interno del supermercato e rifornendosi dell’occorrente. In effetti, quelle parole dell’americano erano più confortanti di quanto potesse pensare; non nascondeva che molto spesso si era sentito messo da parte o tenuto distante anche solo con uno sguardo di Arthur, con un suo gesto, con quelle parole mancate che tuttavia molto spesso sono più chiare di un no. Non che Arthur Kirkland fosse una persona da considerare temibile, almeno non per lui, ma in ogni caso era evidente che aveva una grande capacità di tenere a distanza le persone a lui sgradite. Sapeva bene che entrambi non potevano considerarsi amici, eppure il discorso di Alfred unito a degli episodi di maggiore avvicinamento che aveva avuto con Arthur in quegli ultimi giorni, lo rincuorarono. Per tutto il pomeriggio ebbe la sensazione che in qualche modo la sua presenza in quella casa fosse maggiormente giustificata e armonizzata nel contesto. Inizialmente non nascondeva che aveva avuto il serio timore di perdersi in quelle mura fatte solo di silenzi e di post-it che gli ricordavano inesorabilmente che era un estraneo, un esiliato, un ospite sospetto all’interno di un appartamento che spesso mutava in un mondo a parte, completamente alieno. Il mondo di Arthur Kirkland, avrebbe voluto aggiungere. Così impenetrabile quanto affascinante. Così affascinante quanto pericoloso. Ma in effetti, Francis amava il rischio. Bruciarsi sarebbe stato sempre meglio che vivere nel rimpianto.

Fu sulla strada di casa che gli venne in mente che sarebbe stata perfetta un’uscita tutti e tre insieme, magari a cena. Cosa sarebbe potuto andare storto o peggiorare? Nulla, ne era più che sicuro. Non esitò quindi a consultarsi con Alfred, che accolse la proposta con entusiasmo. Probabilmente era la sua natura curiosa ed altruista -anche se Arthur l’avrebbe semplicemente definita ficcanaso- che lo spingeva a simili improvvisate, ma era genuinamente sincero il suo desiderio di distendere gli animi di quei due; riappacificarli e riavvicinarli. In parte, stava già succedendo. Come meglio suggellare una pace degli spiriti se non con una piacevole serata in compagnia, magari accompagnata anche da una birra? Gli piaceva volare con la fantasia, al francese, e mettersi a costruire degli scenari che avrebbero fatto invidia ad un set cinematografico; eppure, era certo che non vi potesse essere soluzione migliore.

 

_______________________________________________________________________________________________________

 

 

– Tanto tornerai in meno di una settimana, mi ci gioco quello che ti pare. –

William se ne stava in piedi, appoggiato allo stipite della porta di legno, osservando il fratello maggiore afferrare concitato abiti e cianfrusaglie varie dal letto per poi gettarle con foga nel borsone da palestra che teneva accanto. – Sta’ zitto Wil. Tu non sai proprio un bel niente. – Rispose secco e diffidente Barclay.

Arthur si trovava seminascosto, dietro a William, cercando di spiare la scena. – Pensi davvero che da domani potrai iniziare una nuova vita? A sedici anni? Condividendo un appartamento estivo con due tuoi amici svitati? Insomma, ragiona Barc. – Il maggiore sembrava ignorare le parole dell’altro, limitandosi a completare i preparativi per l’imminente partenza. William sospirò profondamente, sciogliendo le braccia dalla loro posizione incrociata all’altezza del petto. – Quale diavolo è il tuo problema? Se sei in preda ad un’altra delle tue crisi adolescenziali almeno cerca di non coinvolgere chi ti sta attorno! –

­– Ti ho detto di stare zitto maledizione! Non sono affari tuoi! – Tuonò Barclay, finalmente voltandosi verso il fratello e notando solo in quel momento che dietro a William ci fosse anche Arthur. I suoi occhi infiammati di rabbia si posarono su di lui, lasciando l’ambiente nel silenzio totale per dei lunghi istanti. Poi, come ridestato, sollevò lo sguardo verso William, rispondendo ora con maggiore autocontrollo:

– Non ho intenzione di sprecare altro tempo nella scuola e in questo posto, è chiaro? È la mia decisione e ne ho pieno diritto. Quindi fatti da parte. – Tornò a dare le spalle ai fratelli, cercando di finire la propria borsa. – Barclay, a sedici anni nessuno è pronto per vivere in maniera autonoma. Potrai resistere qualche mese forse, ma senza un lavoro cosa pensi di fare? Dovresti cercare di darti una calmata invece, con tutta questa smania di andare Dio solo sa dove. Sei preda di un moto di ribellione, niente di più. –

William fece un passo verso di lui, intraprendendo un difficile tentativo di persuasione che già immaginava non sarebbe andato a buon fine. Nonostante fosse di un anno più giovane di Barclay, William aveva sempre dimostrato una maturità molto spiccata, che a volte quasi stonava con i suoi fragili quindici anni. – Che cazzo ne sai tu di cosa sono preda, eh? Perché non ti fai un bel pacco di affari tuoi, piuttosto? Se tu vivi bene qui fai pure, io ne ho le palle piene. – Arthur continuava ad osservare la scena in silenzio, non più nascosto dietro al fratello ma adesso coperto dal profilo della porta, non avendo il coraggio di fare neanche un solo passo in avanti. Cominciava ad essere abituato a quelle scene che negli ultimi due anni erano diventate piuttosto frequenti in casa Kirkland. Dai quattordici anni in poi, Barclay era diventato sempre più problematico, quello che di solito i professori della loro scuola definivano come “un ragazzo difficile”. Negli studi andava sempre peggio, aveva rischiato di essere rimandato più di una volta, e come se non bastasse si aggiungeva a questo una perenne irrequietudine e repulsione verso tutto ciò che entrasse in contatto con lui: dai famigliari, agli amici, ai professori. Per completare il quadro, ultimamente era saltato anche fuori un bel coinvolgimento in serate fin troppo all’insegna dell’alcool, del fumo e dello sballo. A undici anni Arthur non poteva certo avere gli elementi per decifrare tutti i messaggi che gli scorrevano ogni giorno davanti agli occhi, ma altrettanto certo era il fatto che comprendesse perfettamente che le cose non stavano andando per il verso giusto. La mente di Barclay era diventata qualcosa di impenetrabile persino per loro, i suoi fratelli; gli unici che avessero avuto qualche vantaggio su di lui rispetto ai loro genitori.

– Calmati. – Fece William avvicinandosi ancora di qualche passo e ponendosi al suo fianco, accennando con i palmi delle mani un invito alla distensione. – Adesso sei arrabbiato, prenderesti solo una decisione stupida e avventata. Cerca di ragionare. Pensa a mamma e papà. – I suoi sforzi erano lodevoli, ma Barclay era decisamente una testa calda fuori dal comune per accettare di farsi sedare dal fratello più giovane. – Io ho già ragionato! Piantala di trattarmi come un idiota, ti credi di sapere tutto eh? Stai solo cercando di fare le loro veci e non ne hai alcun diritto. Sta’ al tuo posto e non rompere! – Tuonò di nuovo, estirpando ogni speranza dell’altro di approcciarsi con un dialogo pacifico. – Barclay.. – Tentò di ricominciare daccapo William, ma fu bruscamente interrotto.

– Vaffanculo! – Tagliò corto il maggiore, tirando con violenza la chiusura lampo della borsa e afferrandone i manici, scostandosi dal fratello e urtandolo con una spalla, mentre si voltava verso la porta. I riflessi di William però lo guidarono bene: afferrò di colpo Barclay per un polso, arrestandone la dipartita. – Vuoi aspettare? Lo capisci che nessuno è contro di te? Sto solo cercando di aiutarti. Andarsene in questo modo è da stupidi e non servirebbe a nulla. Te ne prego, rifletti un attimo e parliamone. – La voce del più giovane era distesa ma ferma, sperando che almeno col tono potesse convincere il fratello riottoso a dargli una possibilità. Gli occhi di Arthur erano fissi sui due ragazzi, i cui contorni erano illuminati da una debole luce artificiale che trafilava dai fori della serranda. Non osava aprire bocca. Anche perché non avrebbe saputo né cosa dire né cosa fare; era come immobilizzato ad osservare scorrere il flusso degli eventi, esattamente come uno spettatore impotente. In cuor suo, sperava solo che William riuscisse a fermare Barclay. Ammetteva che ormai a stento era in grado di riconoscerlo negli atteggiamenti e nella personalità, ma era pur sempre suo fratello; ed era sempre il suo preferito. Il più amato dei suoi fratelli maggiori.

– Ascoltami bene, William.. – Cominciò Barclay svincolandosi dalla presa del fratello con un gesto brusco e piuttosto violento. – ..tu prova a metterti sulla mia strada ancora una volta.. – Aggiunse lasciando in sospeso la frase, probabilmente per caricare di tensione la minaccia rivolta all’altro. – ..e non mi farò alcuno scrupolo. Nemmeno nei tuoi confronti. – William fissava il fratello negli occhi, senza alcuna esitazione. Abbassare o volgere altrove lo sguardo avrebbe significato una sottomissione ai suoi capricci umorali di adolescente frustrato, e William non aveva mai amato mostrarsi inferiore rispetto al maggiore, tantomeno nelle sfide. Senza contare che c’era Arthur a pochi passi da loro. Sarebbe stato ancora più umiliante mostrarsi debole di fronte a lui; e non avrebbe dato un buon esempio. Le sue labbra erano serrate, gli occhi ancora fissi su di lui. Non una parola. Non una risposta.

Lo stesso Arthur sembrava sospeso in un silenzio tombale, trattenendo il respiro nel terrore che la situazione potesse degenerare e volgere al peggio. Non sarebbe stata la prima volta che i due fratelli maggiori fossero arrivati alle mani; era già capitato. Ma l’idea che potesse succedere in quel momento davanti ai suoi occhi, lo pietrificava nell’incertezza: l’incapacità di scegliere se chiedere aiuto o scostarsi dalla responsabilità di farlo.

Barclay continuò a fissare scuro in volto il fratello finché non gli sembrò abbastanza da poter lasciare la stanza. Con un lento e calibrato movimento di spalle, ruotò piano su se stesso stringendo con maggiore forza i manici della borsa e inspirando così profondamente da diventare quasi rumoroso, visto il silenzio spettrale nel quale erano calati. Finalmente si decise a voltarsi del tutto e a cominciare a camminare. Passi pesanti, come tonfi, e rapidi nella successione. I suoi occhi brillavano di rabbia come due fiamme e non si soffermarono su niente, tantomeno sul fratello minore ancora seminascosto dallo stipite della porta. Arthur non ebbe il coraggio di alzare lo sguardo su di lui se non nel momento in cui Barclay lo superò, potendone osservare quindi solo la schiena. Lo fissò. Lo fissò intensamente avanzare lungo il corridoio e poi sparire, ingoiato dalle scale. In quell’istante la sua mente si svuotò, come acqua risucchiata dal lavandino. La sua gola era secca. I muscoli tesi e lo sguardo contrito in un’espressione ferita. Sentì gli occhi scottargli. Prese a voltarsi lentamente verso l’altro fratello rimasto esattamente immobile dov’era. Il suo volto era nascosto e rivolto verso il basso; poteva udire il suo respiro farsi sempre più affannoso.

La sensazione di impotenza e frustrazione che scaturì in sé quel giorno sarebbe rimasta un ricordo indelebile. Realizzò solo parecchio tempo dopo che, come un debole, non era mai riuscito a fare assolutamente nulla durante situazioni simili. Sarebbe rimasto sempre l’osservatore che finge indiscrezione, arbitro inconsapevole di una partita che non sarebbe mai stato in grado di dirigere.

– Va’ in camera tua. – La frase di William, pronunciata come una sentenza, fu come un colpo di frusta su carne fresca. Arthur ebbe un sussulto seguito da un leggero tremore. Avrebbe voluto dire qualcosa, qualsiasi cosa. Avrebbe voluto non sentirsi ingerire da una crudele sensazione di inadeguatezza. Ma la verità era che non era mai stato adeguato. Almeno, non ancora.

Si sentì scoppiare in un istante: scattò come una lepre spaventata, ruotando le piante dei piedi in un batter di ciglia e correndo senza voltarsi nella propria stanza. La rabbia e la mortificazione erano tali che non ebbe neanche le forze per chiudere la porta dietro sé una volta entrato. Inspirò, trattenendo delle lacrime infiammate che sentiva scalciare dentro i suoi occhi. Odiava quel periodo della sua vita: essere costretti ad osservare impotenti lo sgretolarsi di una tela i cui fili lo avevano sempre sostenuto, dandogli forza e certezze. Volare ad ali spiegate sotto un cielo pieno di luce per poi ritrovarsi a cadere, sempre più giù, osservando sciogliersi dal proprio corpo un sostegno dopo l’altro. Soffrire, piangere, gridare, eppure ancora continuare a cadere. Una caduta libera verso gli scogli e la schiuma del mare che calcifica un risentimento selvaggio quanto ingenuo verso se stessi.

Arthur si volse verso la finestra, incrociando con lo sguardo la figura di Barclay che si allontanava per la via, accarezzata dalla debole luce di lampioni color piombo. Il vetro era freddo così come il suo respiro. Una stretta al petto lo accompagnò per tutto il tempo che restò ad osservare il fratello. Non si sciolse neanche quando lo vide scomparire come un’ombra dietro un albero spoglio. Trattenne il fiato e sollevò lo sguardo al cielo scuro: non si vedeva neanche una stella quella notte.

 

 

 

L’americano distese un braccio verso l’inglese, affiancandosi a lui. Gli strinse una spalla, tirandolo a sé in un gesto amichevole. Riconosceva che fosse una mossa azzardata, ma ormai la sua filosofia era diventata “o la va o la spacca”. – Allora Art, come procede lo studio per gli esami? –

Il francese, egregio regista qual’era, aveva osservato con la coda dell’occhio le mosse di Alfred e aveva leggermente affrettato il passo, quel poco necessario per distanziarsi leggermente dai due. Avrebbe supportato le tattiche dell’americano per riuscire a ristabilizzare il suo rapporto con l’inglese.

Inglese il quale non nascose un certo disappunto verso quella mossa, storcendo il naso e voltandosi verso di lui con un’espressione scettica e soprattutto suscettibile. Conosceva bene quella tecnica. – Già, gli esami. Sbaglio o anche tu ne avresti nella sessione invernale? – Disse rispondendo con un’altra domanda. – Certo, sì, infatti non appena sarò tornato a casa mi metterò subito a studiare per bene e vedrai che bei voti prenderò! Sarai fiero di me! Eheheh! – Concluse ridendo tra sé e concentrandosi per sondare ogni più piccola reazione dell’amico. – Non parlare come se fossi tua zia. Non sarei fiero di vederti prendere un voto decente; sarebbe anzi il minimo richiesto dal tuo senso del dovere, se solo ne avessi. –

– Ahi, ahi, ahi. – Sussurrò tra i denti Alfred, con un sorriso, rivolgendosi poi al francese appena più avanti.

– Ehi Francis, perché non mi dai una mano? Mi sa che devo ripartire da capo! – Il ragazzo più grande si voltò senza interrompere il passo, offrendogli un suggerimento: – Retromarcia Al, retromarcia. – E strizzò un occhio. L’inglese sospirò piegando l’angolo delle labbra verso l’alto. – Cos’è? Una consulenza in diretta questa? – Non c’era astio nella sua voce. Poteva essere una splendida occasione per continuare l’abbordaggio. – Lo sai che sono uno stimato consulente, no Arthur? – Disse il francese mentre tornava a guardare di fronte a sé. Il britannico stava per aggiungere un commentino caustico, ma fu preceduto dall’americano. – Okay, okay, allora facciamo rewind. – Esclamò Alfred assestando una pacca sulla spalla dell’amico. Poi si schiarì la voce, come se stesse iniziando a parlare solo in quel momento senza che prima si fosse già rivolto ad Arthur. – Arthur! So che sarai molto occupato con la preparazione degli esami, ma volevo chiederti se potevi darmi una piccola mano con matematica. Sai, ho iniziato a studiare pe- –

Il ragazzo non poté completare la frase. – Fai da solo. Sei grande ormai per farti aiutare. E poi non ho tempo da perdere a colmare le tue lacune scolastiche. – Rispose conciso Arthur, scostando lo sguardo verso l’americano e rivolgendogli un sorriso beffardo, provocatorio. Un’ottima cosa. Quando Arthur Kirkland si affidava ad uno sgarbo divertito e pungente significava che era di buon umore; o meglio, che almeno non era troppo arrabbiato. Per chi, come l’americano, era in grado di riconoscere quei segnali, quello era un ottimo incentivo per continuare la conversazione. Alfred rispose con un’altra risata sincera, sollevato anche dal fatto che l’amico per il momento non sembrava avere intenzione di scostarsi dal suo goffo abbraccio.

– Mhh, mi sa che è meglio se vado a piedi, che dici Francis? – Domandò al più grande riferendosi alla metafora di prima, senza raffreddare quel grande sorriso che si era stampato sul volto. – Ahahah! – Francis apprezzò molto quell’ironia matura dell’americano; era un’ottima tattica per mostrarsi decisi ma al tempo stesso divertenti nei confronti dell’inglese. – Facciamo che se va male anche questa prendiamo un autobus eh. – Aggiunse scuotendo leggermente le mani all’interno delle tasche del cappotto, per poi voltarsi nuovamente a dare un’occhiata ai due ragazzi. Come si aspettava, quell’atmosfera rilassata unita all’ironia che lui stesso stava sostenendo insieme ad Alfred, non potevano lasciare indifferente Arthur che anzi, come previsto, aveva colto la palla al balzo per unire a quel gioco di battute un po’ del suo sempre vivace sarcasmo. D’altronde, Francis l’aveva sempre saputo che il buonumore era contagioso.

– Silenzio allora, devo concentrarmi. – Disse Alfred con tono volutamente austero, fingendo di dare un’aria solenne a quei momenti. Rimase a pensare con lo sguardo fisso verso il marciapiede mentre l’inglese si limitava ad alzare gli occhi al cielo e a sospirare, con l’aria di uno che nutriva scarse aspettative. Poi un’esclamazione: – Ah! – Arthur sussultò senza accorgersene e la sorpresa lo fece voltare verso l’americano al suo fianco. – Cosa urli, cretino? – Alfred ricambiò lo sguardo, rispondendogli come se non avesse sentito l’insulto gratuito dell’amico. – Ci sono, ci sono! Visto che siamo in vacanza, visto che agli esami manca il tempo che manca, e visto che siamo tre amici che staranno insieme ancora per poco, io propongo di affrettarci a raggiungere il locale per festeggiare e basta! Che dite? Fantastico, no? – Disse a gran voce, guardando prima l’inglese, poi il francese, carico di un entusiasmo puro e infantile, come se avesse proposto l’idea più incredibile dell’universo.

Francis rispose prontamente al suo entusiasmo. – Mi sembra un ragionamento perfetto. Per me è un sì assoluto. – E conclusa la risposta affermativa tornò ad accostarsi a loro, restando adesso al passo e lanciando occhiate di fervente attesa verso l’inglese il quale, nel momento in cui stava schiudendo le labbra per pronunciare il suo prevedibile rifiuto, venne rapidamente tirato da un lato da Alfred. – Ah! L’autobus! Sta arrivando alla fermata! Dai saliamo che so già dove portarvi! – E senza chiedere né confrontarsi, l’americano trascinò con la propria forza il ragazzo verso l’autobus quasi in partenza, costringendolo a una breve accelerazione, mentre il francese si godè lo spettacolo esilarante che si era creato, seguendo il gruppetto e salendo sul mezzo con un agile salto. Almeno, alla fine l’avevano preso davvero quell’autobus metaforico. Persino Arthur dopo le prime proteste avrebbe apprezzato una serata diversa dal solito come quella; Francis vedeva Arthur sempre più vicino al traguardo “perdoniamo Alfred o perlomeno torniamo ad essere amici”. Per quanto non fossero affari suoi, poteva solo che apprezzare un finale di quel genere. Sarebbe stata una splendida serata, ne era certo.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: unknown_girl