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Autore: margherIce46    11/07/2012    1 recensioni
Dal terzo capitolo:
“[...]Senza sapere esattamente cosa dire, si limitò a osservare con dispiacere il livello del pregiato Cabernet-Sauvignon calare molto più velocemente di quanto avrebbe voluto, poi il suo calice ancora vuoto e infine l’espressione stravolta di El.
“Ho bisogno del tuo aiuto!” esclamò infine la donna, dopo avere vuotato anche il secondo bicchiere di vino.
L’uomo si sporse verso di lei e si preparò ad ascoltare [...]”
Terza classificata al contest "You and I: di coppie, intrighi, vendette e tradimenti", indetto da LunaGinnyJackson su efp.
Genere: Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo ottavo
 
A New York le coincidenze non esistono
 
Era mattina inoltrata quando il telefono sulla scrivania di Elizabeth suonò. Quel pomeriggio la Burke Premiere Events avrebbe organizzato due grandi catering per illustri personaggi in città e tutto l’ufficio era in fibrillazione: impiegati correvano a destra e a sinistra, fax arrivavano ogni minuto, continui arrangiamenti dell’ultimo momento, snervanti ordini per piatti a dir poco particolari, poi disdette e ancora di nuovo prenotazioni… dire che quella era una giornata frenetica sarebbe stato dir poco!
Elizabeth dal canto suo era già sfinita così, quando prese il ricevitore e se lo portò all’orecchio, la sua voce risuonò sbrigativa mentre nella sua mente si stava già pregustando una pausa pranzo da passare in assoluto relax.
“Pronto?” chiese.
Dall’altro lato parlò una voce di donna, sottile, bassa, un tantino roca: “Parla Elizabeth?”.
“Sì, sono io” rispose.
“Credo che io e lei dovremmo incontrarci. Abbiamo un affare in comune da portare avanti” le disse la stessa, ignota voce.
“Lei chi è? Con chi sto parlando?” domandò Elizabeth, questa volta un po’ scocciata a causa della stanchezza e delle oscure parole che sentiva e alle quali non riusciva ad associare ne` un senso, ne` il viso di una persona a lei conosciuta; persona che invece sembrava conoscere lei abbastanza bene.
“Non c’è tempo per le presentazioni, al momento. Lei è una donna impegnata; lo sono anche io. Ma abbiamo in comunque un affare di cui sono certa desidera portare a termine la pratica al più presto” la interruppe la stessa voce, questa volta con una nota di irritazione forse dovuta alle sue domande.
“È esatto, non ho tempo da perdere parlando con qualcuno che non conosco e con cui non ho affari da spartire. Arrivederci” esclamò sbrigativa Elizabeth, pronta a riattaccare.
Ma venne fermata dalla voce della donna; appena in tempo.
“D’accordo Elizabeth, come desidera. Sarò breve, poi se vorrà potrà mettere fine a questa conversazione e io non la contatterò più: ho solo un nome per lei. Peter Burke”.
Elizabeth si bloccò all’istante, i sensi in allerta. Chi c’era dall’altro capo del telefono? Cosa voleva da lei e da Peter, quando lei era assolutamente certa di non avere mai sentito una voce simile prima? Di sicuro le sarebbe rimasta impressa nella memoria, visti la cadenza e il suono strano. Ma allora come faceva questa donna misteriosa a conoscerla? A conoscere Peter?
“Chi è lei?”  domandò di nuovo Elizabeth, adesso chiaramente interessata a quanto la voce misteriosa  stava dicendo.
“Una persona che sa quali sono i sui sentimenti verso di lui. E li condivide. Incontriamoci domattina, al Mad46 del Roosevelt Hotel. Lo conosce?”.
“Sì” riuscì solo a dire Elizabeth.
“Parleremo lì faccia a faccia. Le assicuro, non se ne pentirà”.
“Ci sarò” concluse Elizabeth.
Ma non ci fu risposta dall’altro capo, solo il suono di una telefonata portata a termine e poi la linea libera. La donna aveva già riattaccato, come sapendo che lei non avrebbe rifiutato: non aveva nemmeno atteso la sua conferma.
 
***
 
Una grande vetrata mostrava ai clienti una trafficata via di New York, taxi gialli che correvano su e giù, uomini e donne con completi costosi e ventiquattr’ore in mano diretti in ufficio; a un tavolino davanti alla suddetta finestra, due persone stavano sedute l’una di fronte all’altra. Due donne che si incontravano per la prima volta.
Un paio di décolletés beige, attillati pantaloni scuri a fasciare un paio di gambe snelle, una camicetta nera a maniche corte appena aperta a lasciare intravedere il solco fra i seni; un affascinante collo dalla pelle chiara, segnato da una cicatrice evidente. Un bel viso dai lineamenti marcati, capelli chiari raccolti in una coda alta, occhiali scuri a nascondere due intensi occhi nocciola.
Delle semplici ballerine azzurre, un completo chiaro giacca-pantalone color pastello, una camicetta celeste ad avvolgere un corpo morbido e a farne risaltare le forme ben definite; un viso simpatico dai tratti dolci in cui spiccavano due occhi azzurri appena truccati, con dei piccoli ma evidenti cerchi scuri appena sotto e lunghi capelli neri sciolti sulle spalle.
Fra loro, due caffè, un paio di brioches alla crema, un bicchiere di succo d’arancia per Elizabeth e uno di acqua per la donna sconosciuta a completare quella che si potrebbe definire come una perfetta colazione.
Fu Elizabeth la prima a parlare, incapace di sostenere oltre la tensione, desiderosa di sapere chi fosse la donna, cosa volesse da lei, perché avesse richiesto quell’incontro.
“Lei…” non riuscì a finire la frase, subito interrotta.
“Non mi chieda chi sono, Elizabeth. Non è necessario, non ora. E nemmeno prudente. La situazione adesso non le è chiara, ma sono certa che presto capirà il perché di tutto questo mistero. Veniamo subito al dunque: so che cosa le ha fatto Peter, so dei suoi sentimenti verso di lui e… verso quel ragazzo, Neal”.
“Come fa a sapere tutto ciò?” sbottò Elizabeth.
“A sapere che è stata tradita dall’uomo che amava? E anche da un suo carissimo amico? Che i due uomini più importanti della sua vita l’hanno tradita, insieme? O invece a sapere che l’hanno spinta a strisciare ai loro piedi, a elemosinare ancora un po’ di amore e di carezze andando a letto con entrambi perché era l’unico modo che lei aveva per evitare l’immediato fallimento del suo matrimonio? Diciamo che è il mio lavoro, se così lo vuole definire…”.
Lo sguardo perplesso e imbarazzato di Elizabeth spinse la donna a spiegarsi meglio.
“No, si tolga quell’espressione dalla faccia, mia cara. Non sono una sorta di guardona che si apposta con un cannocchiale davanti alle finestre delle case di ignari, comuni cittadini, aspettando che le coppiette si tradiscano fra loro. Non ho bisogno di fare tutta questa fatica”.
“Allora, come?” chiese di nuovo Elizabeth, con enfasi.
L’imbarazzo stava ora lasciando il posto alla paura e alla rabbia. Quella donna aveva ficcato il naso nella sua vita, nei suoi affari. Sapeva di come fosse stata costretta a mettersi in ginocchio per non perdere l’amore della sua vita; l’aveva vista umiliarsi, e questo non poteva sopportarlo, non di nuovo. Erano già troppe le persone che sapevano dei suoi patetici tentativi di salvare una storia che in realtà non poteva essere salvata e ora spuntava anche questa donna.
“Grazie a queste” rispose la bionda, passandole dei fogli di carta.
Elizabeth li aprì e rimase per un attimo impietrita. Non poteva crederci. Quelle erano le sue e-mail a zia Bessie, la sua più cara amica e confidente! Una donna non molto più vecchia di lei, sorella di sua madre, da cui andava sempre a rifugiarsi da ragazzina quando litigava con i genitori o combinava qualche guaio. L’aveva sempre sentita più simile a un’amica che non ad una parente.
Era una persona dalla mente aperta, sempre pronta a dispensare consigli utili senza mai giudicare. Quando erano iniziati i problemi con Peter le aveva confidato le sue paure e i suoi sospetti; quando era andata a letto con Neal e il marito per la prima volta, le aveva raccontato anche quello. Ultimamente, le aveva parlato dell’odio crescente che provava non solo verso di loro, ma anche verso se stessa e che non riusciva più a sopportare. Bessie le aveva detto di non fare cose sciocche, di aspettare, dare loro una seconda occasione o semplicemente prender armi e bagagli e andarsene in attesa che il tempo sistemasse ogni cosa, ma lei aveva intenzione di usare una soluzione molto più rapida: la vendetta.
“Come le ha avute?” scattò “Mia zia sta bene?”.
“Non si preoccupi per sua zia, Elizabeth, se la dovessi incontrare per strada non avrei nemmeno idea della sua faccia. Non l’ho mai incontrata di persona, non è stato necessario. Vede, esistono dei programmi che si chiamano “reverse spider”, che in base a delle frasi e delle parole chiave intercettano tutto ciò che mi serve che fa parte del traffico di e-mail che ogni giorno vengono scambiate nella nostra grande città. Nelle sue e-mail si ripetono spesso le minacce e l’intenzione di vendicarsi di suo marito e io peraltro la capisco benissimo: nessuna donna dovrebbe accettare di vivere una situazione come la sua…”.
Elizabeth rimase muta, ascoltando con attenzione. Notando che non aveva nulla da dire - dunque che evidentemente la mora era molto interessata alla sua proposta anche se cercava di non darlo a vedere apertamente - la donna continuò.
“Lei è alla ricerca di una soluzione ai suoi problemi. Non vuole aspettare oltre, non vuole più umiliarsi. Io sono la sua soluzione. Rapida, vantaggiosa, sicura. Ma non sono a buon mercato, ho il mio prezzo”.
“Quanto?” chiese Elizabeth senza esitazione.
“Diciamo, un paio di milioni di dollari. Che per lei scendono a solo un milione. Non è l’unica a cercare vendetta verso suo marito, quindi lui sarà un lavoretto omaggio, gratuito; detto in altre parole, per me sarà più un piacere personale che un lavoro. Il ragazzo, quel Neal, non so chi sia e nemmeno mi interessa; lui non è gratis ed ecco il perché del mio prezzo”.
“Lei vuole vendicarsi di mio marito, come mai?”.
“Innanzitutto, Elizabeth, smetta di riferirsi a lui chiamandolo “marito”, dopo quello che è successo nell’ultimo periodo non mi sembra proprio il caso! È Neal quello che lo può chiamare così, se proprio vogliamo dirla tutta, e certo non lei. Lo chiami Peter e prenda le distanze. In secondo luogo, ho un affare in sospeso con lui, una partita da chiudere, iniziata tanti anni fa”.
“Non capisco. Lei è stata…” esalò Elizabeth, interdetta.
“Una sua amante? Certo che no mia cara, nemmeno per sogno!” rise la donna e fu una risata bassa, inquietante. Strana.
“Allora cosa?” insisté l’altra.
“Lui, il suo Peter, è la causa della mia voce, del mio collo deturpato, di questa cicatrice rossastra; lui mi ha fatto perdere cinque anni di vita, passati in una cella più adatta a un cane che a una persona. Ora voglio la mia vendetta” concluse.
E per Elizabeth il tempo parve fermarsi in quel preciso istante, mentre la sua mente faceva gli opportuni collegamenti.
***
 
“Amore, io vado allora. Ci vediamo per cena, d’accordo?” le aveva detto Peter.
“Cerca di non fare tardi, ho in serbo per te una bella sorpresina…” gli aveva risposto lei, prima di  baciarlo e dargli una scherzosa pacca sul sedere.
“Non vedo l’ora!” aveva aggiunto lui felice stringendola, uscendo poi dalla porta per dirigersi in ufficio.
Elizabeth lo aveva salutato dalla finestra, poi si era messa a sistemare un po’ la casa. Erano sposati da appena un anno e lei amava suo marito come il primo giorno. Quella sera sarebbe stata speciale, perché Peter il giorno prima era tornato a casa eccitato e felice, annunciando alla moglie che finalmente la sua squadra aveva risolto un caso che li aveva tenuti impegnati per quasi tutto il mese precedente. Si trattava di una serie di rapine in banca.  Una era anche finita male, aveva scoperto lei dai giornali: il malvivente aveva sparato a due guardie giurate che avevano tentato di intervenire. Una di loro era sposata, la moglie incinta aveva avuto un mancamento quando due agenti erano andati a portarle il triste annuncio della morte del marito. Elizabeth aveva quasi pianto, leggendo la notizia sul quotidiano, pensando a quella povera donna e a suo figlio, e aveva sperato con tutta se stessa che Peter trovasse il colpevole e lo consegnasse alla giustizia. Il bambino non avrebbe avuto indietro suo padre, ma la consolazione di sapere che quel criminale avrebbe pagato per le sue colpe, almeno quella sì. E ora che finalmente tutto si era concluso nel migliore dei modi, era davvero sollevata.
Stava spolverando la piccola mensola accanto al camino quando aveva per sbaglio urtato il tavolino basso del salotto, facendo cadere a terra tutto ciò che vi era poggiato sopra. Era stato nel momento in cui si era chinata per raccogliere i vari fogli scivolati a terra che aveva notato la copertina di un fascicolo di Peter. Sapeva di non avere il permesso di leggere il contenuto, si trattava di affari riservati dell’FBI, lei non era un’agente e non era autorizzata a ficcare il naso in faccende come quella, eppure -  pensò - non era mica colpa sua se i fogli erano caduti proprio sotto al suo naso e lei ora li doveva rimettere in ordine!
Si era seduta sul divano, cercando di riordinare il fascicolo e lanciando ogni tanto un’occhiatina curiosa ai vari paragrafi, ma li aveva trovati per la maggior parte incomprensibili e indecifrabili. Sembravano scritti in una lingua propria: “il poliziese” aveva pensato con un risolino. Poi era arrivata a una pagina che sembrava essere un resoconto di un arresto e aveva realizzato che in realtà aveva fra le mani niente meno che il verbale dell’operazione volta a fermare il rapinatore di banche. Si era ritrovata quasi senza accorgersene a leggere dell’arresto, gioendo per la buona riuscita dell’operazione che era stata coordinata dall’FBI con l’aiuto del dipartimento di polizia e infine era rimasta senza fiato davanti a quella che probabilmente era stata una sorpresa non solo per lei, ma anche per gli agenti addetti al caso: il criminale che era stato capace di uccidere a sangue freddo due uomini, era in realtà una giovane donna sui venticinque, ventisei anni. Cheryl Hepsie.
 
***
 
“Lei è Cheryl Hepsie, vero?”  mormorò Elizabeth, che nella sua mente aveva confrontato la fotografia di quella giovane donna e il viso che si trovava davanti a lei in quel momento, notando finalmente le somiglianze. Ora tutto tornava.
La donna si limitò a un cenno di assenso e a un sorriso compiaciuto; evidentemente la moglie del federale era una donna sveglia, più di quanto avesse pensato all’inizio.
“Credevo fosse stata mandata in prigione…” aggiunse Elizabeth.
“E` così, infatti. Da dove pensa provenga questa cicatrice, uh?” rispose di rimando l’altra.
“Come se l’è fatta?”  non poté fare a meno di chiedere la mora, notandone la forma irregolare e  sgradevole a vedersi.
“Il carcere non è un posto per signorine” si limitò a dire Cheryl.
“Perché si trova qui? Ha ucciso due uomini a sangue freddo, credevo le avrebbero dato almeno vent’anni per una cosa simile, anche se evidentemente non è così…” ribatté Elizabeth.
“Chi ha detto che li ho uccisi? Nessuno ha visto in volto quel rapinatore, non fu mai trovata una pistola. Potrei non essere stata io, ci ha mai pensato?” fu l’enigmatica risposta di Cheryl.
“Il fatto che lei sia qui a propormi di uccidere Peter e il suo amante per me, a sangue freddo: questo me lo dice” fece l’altra.
“E il fatto che lei abbia già accettato l’accordo mi dice che lei non è meglio di me, in questo momento, Elizabeth. Perché lei ha già accettato. Ho ragione?” chiese Cheryl.
“Sì…” confermò la mora, senza abbassare lo sguardo.
“D’accordo, lasci che pensi io a tutto. Avrà presto mie notizie; sarà un vero piacere lavorare con lei” concluse Cheryl.
Si alzò, lasciò i soldi della colazione sul tavolo e uscì tranquillamente dal locale, senza mai guardarsi indietro.
 
 

  
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