“Arrivo
subito” Mi rispose. “Ma devo
preoccuparmi?” Continuò inevitabilmente
già preoccupato. Ma non gli risposi
perché nemmeno io sapevo se doveva o no. Così
chiusi la conversazione e lasciai
quell’attimo interrogativo al rumore di una chiamata chiusa.
Cattiva.. Ecco
cos’ero: cattiva. Cattiva e anche molto stupida. Ma oramai
ero abituata a
ripetermelo da sola. Tanto che mi pareva essere un complimento. Avevo
fame
d’amore e la mia anima vagava come una lupa scarna in cerca
di una preda
facile. “Ma perché devi fare questo proprio a lui
che è l’unico che si sia
mostrato un poco predisposto al tuo bene?!” Mi ripeteva
inesorabilmente la
coscienza che, stranamente, questa volta decisi di non ascoltare. Mi
spazzolai
i capelli ancora lisci e fluenti, ancora come li avevo preparati per il
mostro.
Presi anche il sapone da bagno e con una spugnetta pulii il sangue che
avevo
trascinato per tutta la stanza. Se qualcuno mi avesse vista in quel
momento
certamente mi avrebbe scambiata per una killer seriale. Ed era
così a pensarci,
stavo per dare il colpo finale, come con un coltello, al mio cuore che
oramai
stentava a rimanere unito. Al mio cuore malato. Stavo per fare del male
ad un
ragazzo che come unico errore aveva commesso quello di cercare di
portare in
salvo la mia vita che oramai era naufraga in balia delle onde.
“Perché
vuoi farlo!? Fermati fin che sei
in tempo che rovini tutto!” Esordii una vocina fastidiosa
nella mia mente.
“Taci” gridai tappandomi le orecchie e stringendo
gli occhi. Quella vocina che
era la mia coscienza mi aveva sempre spinta a non fare del male agli
altri e a
comportarmi come si deve; dimenticandosi però che anche io
avevo un’anima a cui
badare; nonostante con il passare del tempo credevo sempre
più che fosse
sparita. Presi l’I-pod e infilandomi le cuffie
repressi quella vocina tanto soave, mi misi davanti allo
specchio e mi
guardai riflessa. Guardai quei fianchi stretti ed invidiabili
attorniati da
lividi scuri a forma di mano accarezzati dal vestito a fiori che
indossavo da
quando.. Chiusi gli occhi e mi scorsero nella mente le immagini di me e
Josh
riflesse sulla vetrina di fronte a noi. Quel sorriso sfacciato sul
volto che
aveva mostrato fiero premendomi rabbiosamente il coltello
sull’incavo del
collo. Sollevai lentamente la mano e con un gesto delicato misto tra
rabbia e
rassegnazione sfiorai il solco che poco prima sanguinava copiosamente.
“Sonny?”
Una voce velata dalle
auricolari mi chiamava bussando delicatamente alla porta. Premetti
sullo
schermo dell’I-pod e fermai la musica. Quella non era
più la voce della
coscienza; era la voce di Marco.
Avanzai
velocemente per raggiungere la
porta, e ad ogni passo mi avvicinavo cercando di auto convincermi che
quello
che stessi per fare fosse corretto. Sfruttare qualcuno per sfogare la
propria
rabbia? No, non lo era.
Aprii
la porta cercando di mantenere uno
sguardo serio, ed il suo sorriso illuminò la stanza buia.
“Ciao”
lo salutai lentamente senza
aggiungere altro. Così mi scostai lentamente e con la mano
gli feci cenno di
entrare. “Non farlo! Non rovinare tutto ancora una
volta!” Urlava il mio cuore
sbattendo i pugni sulla porta dello stanzino buio dove lo avevo
rinchiuso.
“Allora
che succede?” Chiese felice
sedendosi e sobbalzando sul letto a baldacchino.
“Non
farlo”. Erano le ultime parole
famose di un cuore che ormai non sapeva più come convincermi.
Guardai
in terra arrossendo per la
vergogna. Dovevo farlo. Dovevo sfogare la mia rabbia su qualcuno.
Mossi
qualche passo verso di lui che
oramai mi guardava interrogativo.
“Ma
che..” Non lo feci finire che
chinandomi per raggiungerlo mi attaccai dolcemente alle sue labbra. Ma
nonostante il mio sfogo iniziasse da lì non riuscivo a
coinvolgerlo; rimaneva
fermo ancora con quello sguardo interrogativo. Non ci stavamo baciano.
Ero io
che baciavo lui. Gli presi il volto tra le mani e lo spinsi lentamente
sempre
più indietro. Lui indietreggiava sul letto come a voler
fuggire. “Non scappare,
lo so che lo vuoi” Gli sussurrai all’orecchio con
voce soave da tentatrice.
Cosi estrassi le mani dalla matassa di capelli scuri e lentamente le
appoggia
sul suo petto spingendolo dolcemente per farlo sdraiare. Ma pur
continuando a
baciarlo, continuavo a non ricevere un bacio. Percorsi il suo fisico
magro e
asciutto stando attenta a non guardarlo negli occhi. Era il mio punto
debole. I
suoi occhi. “Dove vuoi arrivare?” Quelle parole
furono come uno schiaffo in
pieno volto per me e mi bloccai immediatamente. Stavo rovinando tutto,
ed ero
molto brava a farlo. Strisciai le mani sul su petto e stringendo i
pugni lo
colpii piano sul cuore. Chiusi gli occhi per imprigionare quella
lacrima che
stava per scivolare giù e strinsi i denti. Appoggiai il
volto sulla sua pelle
calda per cercare quell’abbraccio di cui tanto avevo bisogno.
Mi strinse a sé e
si tirò su tenendomi stretta tra le braccia come una
bambolina.
“Guarda
che lo so che c’è qualcosa che
non và. Non sei per niente brava a nasconderlo. Ma se mi hai
chiamato solo per
portarmi a letto allora cia.. ” “NO!” Lo
interruppi singhiozzando. “Non te ne
andare ancora. Ti prego non farlo.” Continuai singhiozzando.
“Ho
bisogno di qualcuno mi stia accanto,
ora che tutti scappano da me. Non ti ho chiamato perché
volevo portarti a
letto” Mentii dicendo la verità.
“Ah
no? Davvero?” chiese sentendosi
preso in giro, ma nonostante ciò mi teneva stretta a se.
“Volevo
farlo.. Per poi scomparire.. Per farti
capire come mi sento io ogni volta.” Così si
alzò e prendendomi la mano si
avvicinò al camino acceso. Ci sedemmo di fronte al fuoco e
senza che nessuno
dei due proferisse parola ci addormentammo l’uno accanto
all’altra mano nella
mano cullati dal tepore della fiamme.