Parte 03
Se c’era una cosa
che amava delle sue visite mensili con Angel, era certamente il silenzio che
regnava in quella stanza. Fuori da lì, il mondo correva veloce, scalpitava, si
dimenava e urlava ..e a volte, per lui era semplicemente troppo. Correre da lui
era un sollievo. Una piacevole vacanza, un tuffo nel passato e una zattera di
salvataggio lanciata verso il futuro. Era così che viveva i suoi incontri con
Angel. Peccato che durassero poco e peccato che fossero così diluiti nel tempo.
Non era neanche certo di sapere perché tornasse ogni volta, non sapeva neanche
se gradiva le sue visite, e questo faceva un po’ male, ma lui tornava sempre e
quando alla fine lo salutava, appena usciva, cominciava già ad aspettare con
ansia la visita successiva. Aveva bisogno di questo rituale. Aveva bisogno di
suo padre, dei suoi mezzi sorrisi e dei suoi
silenzi.
Per rispettare
quell’appuntamento mensile, talvolta doveva fare mille acrobazie, ma in quattro
anni, non era mai mancato una volta. Tutto il resto passava in secondo piano e
sbiadiva nel mare della normalità della
sua vita felice, a cui sarebbe certamente tornato il giorno dopo. Angel
aveva la priorità assoluta. A volte doveva raccontare bugie, inventarsi scuse,
come fingere di avere la febbre per giustificarsi con i Reilly sul suo mancato
rientro a casa nei fine settima. Gli capitava anche di saltare gli allenamenti,
oppure mentiva spudoratamente alla sua ragazza o ai docenti, ma mai e poi mai
avrebbe rinunciato a quell’incontro. Era l’unica cosa che lo univa ancora ad
Angel e non avrebbe mai reciso quel legame con le proprie radici.
Loro non parlavano
mai tantissimo. Per lo più stavano in silenzio. Sapevano che c’erano parole che
non dovevano mai essere pronunciate. Parole che richiudevano significati enormi
ed erano, per entrambi, fonte di sofferenza. Shanshu – Quortoth – Holtz – Wesley
– Tradimento – Perché parlarne se
quelle parole facevano male? Meglio parlare di cose neutre. Sai che ho superato l’esame di ammissione
per psichiatria? – Davvero? Sono contento, Connor ..o ancora meglio il
silenzio. Quello lo preferivano decisamente entrambi.
Connor si guardò
intorno, e come sempre, ciò che vide non gli piacque. Non si può vivere così, pensò. Si
rimboccò le maniche e cominciò a ripulire il sangue dal pavimento. Acqua calda,
spugna, detergente al limone ..e olio di gomito. Sorrise perché trovò buffo che
lui comprasse quel genere di cose. Immaginò di vederlo davanti alla cassa del
centro commerciale, mentre faceva la fila spingendo il suo carrello. Non erano mai stati insieme al centro
commerciale. L’odore dei limoni gli ricordava la casa di nonna Reilly, anche
se lui non l’aveva mai conosciuta, non realmente. Ad ogni modo, notò, che
sebbene in quella stanza regnasse l’abbandono e l’odore di vecchio fosse
ovunque, non c’era alcuna traccia di sporcizia. Non si stupì, fra le altre cose, Angel era anche un
tipo metodico e amava l’ordine ossessivamente. Questo pensiero lo rasserenò
molto. Se Angel curava l’ambiente in cui viveva e curava la sua persona, voleva
dire che la depressione non era ancora così grave. Ma non vi era dubbio che lui
fosse depresso, lo sapeva anche senza iscriversi al corso di psichiatria. C’era
sempre una tristezza di fondo che velava i suoi occhi e a Connor faceva male
vederlo così solo. Ma Angel non voleva il suo
aiuto.
Non puoi andare avanti così, Angel. Perché non ti
prendi una pausa? Sono anni che combatti da solo. Sembra che sia l’unica cosa
che conti per te. Non sei stanco dopo tutto questo
tempo?
“Il tappeto è da
buttare” Disse a sé stesso. “Impossibile recuperarlo” ma lo lavò comunque
strofinandolo bene ..con rabbia. In
bagno raccolse giacca e camicia che Angel aveva lasciato per terra e lavò anche
quelle. Sentiva l’odore acre del veleno misto al sangue, ed ebbe un altro conato
di vomito ..e di lacrime. Si sentiva impotente, Angel non l’avrebbe mai
ascoltato, era ostinatamente determinato a portare avanti la sua lotta, come se
cercasse deliberatamente la morte. Non gli importava niente di lui, se così
fosse stato, sarebbe venuto a vedere la sua squadra, a volte giocavano di notte. Oppure
sarebbe venuto a sentirlo mentre discuteva la tesi. La laurea di un figlio era
una cosa importante. Si era laureato con il massimo dei voti, proprio l’anno
prima, in un tardo pomeriggio di maggio. Lui aveva chiesto di essere chiamato
per ultimo, perché sperava che Angel potesse arrivare da un momento all’altro,
ma aspettò invano. Ogni volta che si voltava, tutto ciò che vedeva era il
sorriso ansioso di Laurence Reilly, ma nessuna traccia di suo padre. C’erano delle volte che
credeva di sentire la sua presenza e avrebbe giurato d’aver sentito il suo
odore, ma tutte le volte che si voltava a cercarlo, non era mai riuscito a
vederlo e cominciò a temere di avere le allucinazioni. Lui non era mai lì. A lui
importava solo della lotta, della caccia, e di farla pagare a tutti quelli che
l’avevano ingannato.
..eppure, quando andava da lui, Angel lo accoglieva
con un sorriso, con i suoi silenzi ..il camino acceso ..e ordinava per lui del
cibo cinese ..e lui si sentiva a casa.
Lavò via ogni
traccia di sangue. Lavorò febbrilmente. Il bagno, ora lucidissimo, così come
tutto il resto, sembrava più grande e luminoso. No, non era questo. Era Connor che
sentiva una sorta di gioia farsi strada dentro lui. Realizzò che era la prima
volta, in quattro anni, che vedeva Angel per due giorni di seguito. Tornò da
lui. Dormiva ancora ma si agitava nel sonno e la fasciatura si era già
allentata. Facendo pianissimo, sfilò da sotto la spalla gli asciugamani intrisi
di sangue e li sostituì, ma non toccò la fasciatura. Non voleva
svegliarlo.
Tornò in cucina,
aveva fame. Nel frigo trovò una coca e un avanzo di pizza di ieri. Fredda non
era un granché, ma lui non aveva un microonde. Angel viveva da solo in questa
unica stanza e aveva rinunciato a qualsiasi genere di comfort. Viveva come fosse
un eremita. Era molto lontano dai sui standard abituali, sicuramente era lontano
anni luce da come viveva alla W&H
e anche da come viveva quando abitava all’Hotel Hyperion.
In quella stanza
c’era solo una cucina, un divano, una credenza, uno scrittoio e una sedia. Poco
più in là, oltre il paravento c’era il letto, l’unica cosa grande di quella stanza. Un comodino,
una poltrona e un armadio erano gli unici arredi della zona notte. La porta del
bagno era a pochi metri dal letto. La stanza era priva di finestre. Ricordò le
enormi vetrate della W&H, quando l’aveva visto inondato dalla luce del sole.
Un bel cambiamento di stile di vita,
pensò Connor. Abbondavano le armi, però. Erano sparse ovunque, e molte erano
appese alle pareti. Ma in quella stanza, c’era una cosa che Connor amava molto.
Accanto allo scrittoio, vi era un camino in pietra e gli piaceva tantissimo.
D’inverno, durante le sue visite, lo trovava sempre acceso e gli piaceva pensare
che Angel l’accendesse per lui, per dare a suo figlio un caldo
benvenuto.
Notò che aveva
quasi finito la sua scorta di sangue. Decise di uscire per andare dal macellaio,
quando si fosse svegliato, Angel doveva assolutamente nutrirsi. Prima di uscire
si assicurò che dormisse ancora. Nel delirio febbrile di quel sonno agitato, lo
sentì pronunciare un nome. Buffy
“Torno subito”
disse sottovoce. Prese il giubbotto che aveva lasciato sulla sedia davanti allo
scrittoio e solo allora notò la scatola di scarpe, i due fogli, la busta e
ancora quel nome. Buffy
Chi era Buffy? Era
certo di aver già sentito quel nome, ma non ricordava quando. Per un attimo fu
tentato di leggere quei fogli. Era sicuramente una lettera, ma Angel non avrebbe
approvato. L’istinto gli disse che Buffy apparteneva a quel genere di
parole che non dovevano mai essere pronunciate. Uscì subito, doveva affrettarsi,
non voleva lasciarlo solo a lungo.
“È per il signore
che sta qua di fronte?” Chiese il macellaio. “Quel tipo mi mette i brividi. I
suoi occhi sono così freddi. Mi scusi, ma a cosa gli serve tutto questo sangue?”
“È un vampiro
ovviamente” Rispose Connor. “Ma di quelli buoni. A meno che non sia affamato.
Nel qual caso, consiglio di non farlo arrabbiare.. ha dei canini affilatissimi ..grrrrr
..grrrrr”
Il macellaio gli
lanciò uno sguardo terribile “Certo, come no. Cinque dollari, alla cassa. Levati
di torno ragazzo” Connor sorrise soddisfatto. Funzionava sempre ..e quel tipo
meritava di essere preso in giro. Così
impari a dire quelle cose su Angel. Pensò ridendo fra sé, mentre
usciva.
Angel, a fatica
riemerse dal sonno. Il dolore lancinante alla spalla gli ricordò che doveva
evitare di muoversi. La sua attenzione fu catturata dal fortissimo odore del
limone e sorrise. “Connor?” Non ricevendo risposta, per un attimo, un solo
interminabile attimo, si sentì perso, e il silenzio della solitudine fece più
male della ferita stessa. “Se ne è già andato” mormorò
deluso.
Ma che cosa stava pensando? Era per caso
impazzito? Doveva essere quel veleno che lo faceva sragionare così. Ovvio che se
ne era già andato e se non l’avesse fatto, l’avrebbe mandato via lui stesso. Più
gli stava lontano, maggiori probabilità aveva di stare al sicuro.
Voltò la testa di
lato e sul tavolo vide la lettera ancora aperta. “Cristo. Non posso lasciarla
lì” Tentò di alzarsi, riuscì a fatica a mettersi seduto sul letto, ma le gambe
non vollero saperne di sorreggerlo e dovette aggrapparsi al comodino per non
cadere. Connor entrò in quel momento. Lanciò le buste della spesa sul tavolo, e
corse da lui afferrandolo prima che potesse
cadere.
“Dove.. dove sei
stato?” Chiese Angel. Odiava ammetterlo, ma era felice che fosse
tornato.
“Riesci a stare
seduto per qualche minuto?” Disse Connor, aiutandolo a sedersi sulla poltrona lì
accanto. “Cambio le lenzuola. Dove trovo quelle
pulite?”
Ad Angel non
sfuggì il vago tono di rimprovero della sua voce. “Non è necessario, posso
fare..”
..da solo, ma non terminò la frase che rimase solo nella
sua testa. Lo sguardo di Connor non ammetteva repliche, e Angel sapeva che lui
aveva ragione. Indicò l’armadio e di nuovo chiese “Dove sei stato? Pensavo fossi
andato via da un pezzo..”
“Dal macellaio. Ho
fatto un po’ di spesa. Sai che quel tipo ha paur..” Si fermò a pensare alla
domanda di Angel. Si sarebbe aspettato di sentire il solito -Perché sei qui?- invece gli aveva
chiesto dove era stato e aveva percepito ansia nella sua voce. Questa era una
novità. Angel aveva bisogno di lui, aveva
bisogno del suo aiuto, e per la prima volta lo aveva espresso ad alta voce.
Per fortuna gli dava le spalle, perché ora avrebbe visto gli occhi di Connor un
po’ più lucidi. Lo aiutò a tornare a letto e vide che era stanchissimo. “Cosa
dicevi del macellaio?” chiese Angel poggiando la testa sul cuscino. “Niente,
lascia perdere”
Così come aveva
fatto con i demoni, uccidendoli per proteggere Angel, così aveva fatto con il
macellaio, uccidendolo metaforicamente sempre per proteggere Angel. Ma era
meglio non dirlo a lui. “Tu hai bisogno di un microonde. Quanto buono può essere
il sangue appena tolto dal frigo? Comunque questo è fresco. È a temperatura
ambiente ..e tu hai bisogno di nutrirti”
“Non mi serve un
microonde”
Aveva sempre
evitato di nutrirsi davanti a Connor. Non voleva che lo vedesse bere sangue, per
gli umani era una cosa disgustosa, ma ora non aveva scelta ed era affamato.
Annuì e lo seguì con lo sguardo mentre si dirigeva in cucina. L’occhio cadde di
nuovo alla lettera per Buffy. Sospirò per la frustrazione. Odiava non potersi
muovere e odiava dover dipendere dagli altri.
“Connor?” – “Si?”
– “Sul tavolo c’è una scatola, dei fogli, e una busta. Puoi.. puoi portarli
qui?”
Fece come aveva
chiesto. Quando prese in mano le lettere sentì che sfiorava qualcosa di sacro.
Qualcosa che in circostanze normali non avrebbe mai potuto sfiorare. Si sentì a
disagio e non riuscì a guardarlo negli occhi. Vide Angel chiudere la lettera
nella busta in cui aveva scritto quel
nome, che ripose poi dentro la scatola. Infine la chiuse con il coperchio,
riconsegnandola a lui.
“Il suo posto è
dentro la credenza, accanto a quella
teiera. Grazie, Connor.”
La voce di Angel
era ferma e decisa. Si fidava di lui. Ne era certissimo. Era solo una sensazione
ma Connor non aveva dubbi. “Questi?” chiese, indicando la cartella e la
stilografica che erano sul tavolo. “Nel cassetto dello scrittoio” rispose Angel.
Aprendo il cassetto, vide che vi erano anche alcune matite, fogli da disegno e
dei carboncini. Angel disegnava? E da
quando?
Tornò ancora da
lui con un bicchiere di sangue che posò sul comodino. Pensò che fosse meglio
allontanarsi, aveva capito benissimo che Angel non lo voleva lì mentre si
nutriva ed era giusto rispettare la sua privacy. Voltò le spalle per andar via,
quando sentì la sua voce che lo chiamava. In quel momento capì che il loro
rapporto era giunto ad una svolta decisiva. Angel mostrava a lui la sua
debolezza e gli chiedeva aiuto. Non era mai accaduto prima
d’ora.
“Ho paura di non..
credo mi serva una mano.. non riesco.. ad afferrare il
bicchiere..”
Tornò da lui con
delle cannucce e lo aiutò a bere. Doveva dirgli una cosa importante e questo era
il momento giusto. “Ok. Il piano è semplice e non sono ammesse modifiche. Io
resterò qui finché non starai meglio. Ho già sistemato tutto. Per un po’, il
mondo là fuori non avrà bisogno di me. Ho l’aiuto di una preziosa alleata,
ovviamente” Sorrise soddisfatto “La mia ragazza è un attrice nata e quando si
tratta di raccontare storie non la batte
nessuno..”
Angel sapeva che
aveva ragione. Aveva bisogno d’aiuto. Il torpore che sentiva in tutto il corpo
non gli permetteva di muoversi come avrebbe voluto. Gli occhi erano di nuovo
pesanti e presto sarebbe crollato ancora nei suoi sogni febbrili, preda delle
allucinazioni.
Naturalmente non
aveva detto a Connor che per tutto il tempo che aveva dormito, aveva avuto delle
allucinazioni terrificanti. Vedeva Buffy accanto a lui sul letto. Dopo aver
fatto l’amore, lei giurava di amarlo per sempre, poi esponeva il collo in modo
sensuale, invitandolo a bere il suo sangue, dicendogli che lo avrebbe salvato
dalla morte. Tu vivrai. Tu devi vivere.
Bevi. Bevi me. Ogni volta lui la mordeva, Buffy moriva e rinasceva vampira.
La visione riprendeva da capo, ripetendo la stessa seguenza e quando beveva da
lei, non riusciva mai a fermarsi in tempo. Lei, tutte le volte moriva fra le sue
braccia. Erano più che semplici sogni, erano allucinazioni e sembravano
estremamente reali. Il veleno lo indeboliva nel corpo e nell’anima. Rivivere
quelle scene con Buffy era doloroso per lui e lo rendevano più vulnerabile. Se
qualcuno lo avesse attaccato, non avrebbe potuto difendersi. Annuì a Connor,
accentando il suo aiuto. Inoltre desiderava che accadesse questo da un infinità
di tempo. Fin da quando Connor era nato, non aveva desiderato altro. Vivere con
suo figlio accanto.
“Dio li fa e poi
li accoppia” disse ridendo “Siete entrambi dei bugiardi, a quanto pare” Vedendo
la faccia di Connor, chiarì meglio e chiese sottovoce “..a lei cosa hai
raccontato?”
“Oh, beh.. ho solo
detto che avevo bisogno di staccare un po’. Lei sa che sono a New York per un
concerto e che starò via per una settimana. Prima si è arrabbiata, poi ha deciso
di aiutarmi. Non ama quel genere di concerti.. lei è più.. stile musica celtica
medioevale.. Robaccia..”
“Perché hai detto
che starai via una settimana? Non sarà necessario. Massimo due giorni
e..”
“Voglio essere
certo che tu starai bene quando andrò via, ok?. Una settimana è una prognosi
ragionevole. Dimentichi che qua il medico sono io, e so bene come agisce il
veleno”
Angel poco prima
gli aveva regalato qualcosa di suo. Sapeva che era un dono raro e prezioso.
Aveva dimostrato di fidarsi di lui, affidandogli quelle lettere. Ora voleva
ricambiare il suo dono.
..avevo quattro anni. Per giorni bruciai per la febbre
alta e vidi cose che non erano realmente li.. grazie al veleno, rividi qualcosa
del mio lontano passato ..sentì la voce di uno sconosciuto che mi cantava una
ninnananna mentre mi cullava fra le sue braccia.. sentì chiaramente il suo
odore, era lo stesso odore della piccola coperta che Holtz conservava nello
zaino..
Si fermò un
attimo, incapace di continuare. Ma era il suo regalo per Angel e ogni regalo
aveva un prezzo. Voleva regalargli un pezzo della sua infanzia. Sapeva che lui
voleva sapere tutto e Connor si era sempre rifiutato di parlare di Holtz e di
Quortoth.
“Connor.. eri così
piccolo, hai dovuto sopportare tutto questo.. Non dovevo arrendermi, dovevo
tirati fuori da quell’inferno ad ogni costo.. avrei dovuto.. salvarti..”
Voleva
abbracciarlo, ma non riuscì neppure a sollevare la mano. Forzò ancora ma il
veleno lo inchiodava saldamente a quel maledetto letto. La ferita riprese a
sanguinare, la vista diventava sfocata. Sentì la voce di Connor che mentre si
allontanava diceva “È così. Tu mi hai
salvato”
Rovistò dentro
l’armadio per degli asciugamani puliti. Richiuse le ante, e vi si poggiò con la
fronte. Sentiva bisogno di un sostegno. Non aveva ancora finito, doveva ancora
dirgli qualcosa. Lui doveva sapere. Mentre dava le spalle ad Angel, continuò a
parlare.
Presi una decisione e feci una solenne promessa a me
stesso ..mi ci vollero undici lunghissimi anni per realizzare quanto avevo
deciso in quel momento, ma alla fine vi riuscì ..mi diedi da fare in ogni modo
possibile per tornare ..dovevo cercare quello sconosciuto ..dovevo assolutamente
conoscerlo ..lui mi aveva salvato, indicandomi un motivo per non morire, e
divenne quello lo scopo della mia vita. Tornare a casa. Tornare da lui. Fu
grazie a lui che riuscì a sopravvivere a quell’inferno. Lo sconosciuto eri tu.
Alla fine, tu mi hai salvato, papà.
Quando si voltò,
si rese conto che Angel era tornato nel suo stato d’incoscienza e Connor ne fu
quasi sollevato. L’aveva chiamato papà e per fortuna lui non aveva
sentito. Non aveva sentito nulla di ciò che aveva detto. “Tu mi hai salvato,
Angel” disse sottovoce prima di lasciarlo solo.
Sentiva freddo
adesso, forse un thè l’avrebbe aiutato e poi doveva studiare. Aprì la credenza,
sbirciandovi dentro. Chissà se poteva usare quella strana teiera? Ancora una
volta, l’istinto gli disse di non farlo. Quella teiera aveva tutta l’aria di non
essere utilizzata da tempo. Decise di rinunciare al thè e sedendosi nell’unica
sedia, svuotò il contenuto dello zaino sullo scrittoio.
“Cavolo” Imprecò,
afferrando al volo l’oggetto che rotolava sul tavolo. Se Angel l’avesse visto,
avrebbe certamente disapprovato. Era un paletto e lo usava spessissimo, più di
quanto avesse voluto. Angel aveva un bel dire che doveva stare lontano dai guai,
erano i guai che venivano a cercare lui. Spesso doveva difendersi dagli attacchi
dei vampiri e ultimamente avevano osato entrare anche nel dormitorio del
college. Come faceva a spiegare al suo compagno di stanza, che non doveva
invitare nessuno ad entrare? Specie se lo chiedevano con insistenza. Non poteva
certo dire a Tommy “I vampiri non posso entrare a meno che non siano
invitati”
Ad Angel non aveva
detto nulla di tutto questo. Lui era ossessionato dal pensiero di tenerlo al
sicuro, ma il figlio di Angel non
sarebbe mai stato al sicuro. Se i Soci Anziani avessero voluto fargli del male,
avrebbero trovato il modo e Angel non poteva impedirlo. Non ne parlò mai con
lui, proprio perché sapeva che quella era una nota dolente. Comunque Connor
sapeva come difendersi e in questi ultimi quattro anni, aveva sventato tutti gli
attacchi dei suoi assalitori.
Nascose il paletto
nella cintura e guardò con orrore i fogli sparsi sullo scrittoio. Gli appunti di
Tommy erano sempre super incasinati, ma lui era l’unico che sbobinava le
registrazioni delle lezioni vendendole poi ai compagni di corso per cinque
dollari. Chi studiava su quelle dispense, avrebbe certamente passato l’esame.
“Accidenti Tommy. Per cinque dollari potresti anche rilegare sti fogli e se
smettessi di sottolineare ogni parola con l’evidenziatore, sarebbe ancora
meglio” disse Connor a sé stesso e poi rise leggendo un post-it che gli aveva
scritto l’amico. Hey Reilly, hai visto la
nuova assistente di biologia? è uno schianto. Secondo me gli piaci.
Tamburellò la
matita sui fogli e sbuffò annoiato. Non riusciva a concentrarsi e non era colpa
del disordine degli appunti. Era il disordine che regnava nei suoi pensieri a
disturbarlo. Possibile che poc’anzi avesse visto dei biscotti nella credenza? Si
alzò a controllare. No, niente biscotti, neppure dietro la teiera. E dietro la
scatola di scarpe? Niente neppure lì. La scatola gli sembrò più pesante di
prima, ma era solo una sua impressione e comunque non doveva frugare fra le sue
cose. Non l’aveva mai fatto prima, Angel non amava l’invadenza e lui si era
adeguato rispettando le sue regole. Ad ogni modo, in quella credenza non vi era
traccia di cibo, quindi perché non chiedeva lo sportello e tornava a studiare?
Sollevò il coperchio della scatola invece. Lettere. Sentì i sui stessi pensieri
risuonare nella testa come non fossero suoi. Prese in mano il fascio di lettere
e le soppesò. Saranno almeno una
quarantina. Richiuse la scatola e tornò a sedersi. Che ti importa di quante sono? Non sono
comunque indirizzate a te.
Chi era Buffy?
aveva già sentito il suo nome. Forse era un amica di Fred? o forse di
Cordelia.
Corse da Angel
perché lo sentì urlare nel delirio. No..
No.. Buffy.. ti prego.. Le lenzuola e il cuscino erano completamente intrise
di sudore e lui urlava, spaventato da qualcosa che per lui doveva essere penoso.
“Buffy” disse sottovoce Connor “Deve essere importante, se compare nei tuoi
sogni” Si sentiva impotente, come poteva aiutarlo? Gli bagnò la fronte con un
panno fresco e sembrò funzionare, il viso di Angel si rilassò e lo sentì ancora
mormorare quel nome.
Buffy.. ho bisogno di te.. non sarei dovuto andar
via.. io ho bisogno di te..
Lo lasciò solo e
tornò di là. Connor era disagio e gli pareva di violare qualcosa di sacro, ma
non vi era modo di non sentire, quella stanza era piccola e anche se non lo
fosse stata, lui avrebbe sentito comunque. Il suo udito era identico a quello di
Angel. Accostò comunque il paravento per mettere una certa distanza fra lui e i
deliri di suo padre. Sentì ancora freddo, la stanza era gelida. Decise di
accendere il camino, notando che sotto la cenere covava ancora un po’ di brace
dal giorno prima. Prese gli appunti dallo scrittoio e si sedette per terra
davanti al fuoco, ma di studiare non se parlava proprio. Il suo unico pensiero
era Angel ..e Buffy.
Quel nome
martellava nel suo cervello con insistenza. Chiunque lei fosse, per Angel era
molto importante. Gli tornarono in mente Fred e Wesley, quando suo malgrado
aveva intercettato un loro discorso. “Come possiamo estrarre la sua anima?
sappiamo tutti che l’unico modo è fargli vivere un momento di felicità perfetta.
Buffy è l’unica che possa..” Aveva detto Fred e Wesley aveva parlato di uno
sciamano che creava l’illusione manipolando la realtà “Sono certo che Buffy sarà
la chiave. Dobbiamo farlo, Angelus conosce la Bestia e abbiamo bisogno di
lui”
Ecco chi era
Buffy. Per Angel, lei era la felicità perfetta. Buffy era la chiave per arrivare
alla sua anima. Connor si rese conto di sapere davvero poco della vita di suo
padre. Come poteva sperare di aiutarlo, se non conosceva niente di lui? Senza
indugio aprì ancora la credenza, prese la scatola delle lettere e tornò a
sedersi davanti al camino acceso. Angel doveva tornare fra i vivi, non poteva
vivere così ancora per molto. Voleva liberarlo da tutto quel
dolore.
Perdonami, papà.. ma devo fare di tutto per liberarti
da questa solitudine infinita. Buffy sarà la chiave che aprirà la porta della
prigione in cui hai rinchiuso la tua
anima.