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Autore: Beauty    14/07/2012    6 recensioni
Ciao a tutti! Questa storia è una mia personale rivisitazione de "La Bella e la Bestia", la mia favola preferita...
Catherine, diciottenne figlia di un mercante decaduto, per salvare il padre dalle grinfie di un misterioso essere incappucciato, accetta di prendere il suo posto. Ma quello che la ragazza non sa è che nelle vesti del lugubre e malvagio padrone di casa si cela un mostro, un ibrido mezzo uomo e mezzo animale. Col tempo, Catherine riuscirà a vedere oltre la mostruosità dell'essere che la tiene prigioniera, facendo breccia nel suo cuore...ma cosa succede se a turbare la felicità arrivano una matrigna crudele e un pretendente sadico e perverso?
Riuscirà il vero amore ad andare oltre le apparenze e a sconfiggere una maledizione del passato? E una bella fanciulla potrà davvero accettare l'amore di un mostro?
Genere: Dark, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il mostro e la fanciulla'
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Un vaso di vetro cozzò contro la parete della stanza, fracassandosi rumorosamente. Ernest mosse istintivamente un passo indietro, ma non era spaventato; piuttosto, provava una gran pena e comprensione.

Adrian emise un ruggito, ribaltando in un solo colpo la scrivania; tutti gli oggetti che vi erano sistemati sopra finirono in mille pezzi sul pavimento. Il mostro afferrò le tende del letto a baldacchino, graffiandole, strappandole, lacerandole, lasciandovi sopra i segni degli artigli. Ringhiò nuovamente, colpendo con un calcio i resti di una sedia.

- Padrone, vi prego, calmatevi!- implorò Ernest.

- Zitto!- ululò Adrian, restituendogli un’occhiata di fuoco; scoprì i denti aguzzi, afferrando una sedia di legno e scaraventandola contro la parete opposta, distruggendola.- Come faccio a calmarmi?! Come faccio a calmarmi?!

Ansimò, cercando di riprendere fiato; infine, crollò in ginocchio al centro della stanza, in mezzo a resti di oggetti e pezzi di stoffa.

Ernest fece per avvicinarsi e toccargli una spalla.

- Padrone…

- Vattene!- ruggì Adrian.- Vattene, voglio stare solo!

- Ma…

- Vattene, ho detto!- urlò, fuori di sé. - Va’ via, sparisci dalla mia vista! Via!

Ernest non rispose; indietreggiò lentamente, fino a raggiungere la porta e uscire. Adrian non sollevò lo sguardo dal pavimento finché non sentì il rumore della porta che si chiudeva.

Rimasto solo, affondò le dita artigliate nei capelli castani, per poi picchiare il pugno contro il marmo del pavimento. Non pianse; le lacrime le aveva già consumate molto tempo prima. Ma si sentiva come svuotato, gli sembrava quasi che qualcuno gli avesse strappato il cuore dal petto e lo avesse ridotto in mille pezzi, distruggendolo, dissanguandolo.

Catherine…

Non l’avrebbe rivista mai più, lo sapeva. Se n’era andata per stare vicino a suo padre, ma lui sapeva che non sarebbe mai più tornata. Perché avrebbe dovuto? Ora era certo che lei non l’amava, che molto probabilmente provava ribrezzo nel vederlo…perché continuare a farsi illusioni?

Si era già ingannato abbastanza.

Era stato uno stolto; soltanto uno stolto, nulla di più. Aveva rovinato tutto; prima, almeno, poteva amare Catherine in silenzio, coltivando la speranza che, un giorno, lei avrebbe ricambiato. Ma tutto si era infranto quando aveva deciso di compiere quella follia: aveva compiuto un passo azzardato, e aveva ricevuto in cambio solo un silenzio freddo e attonito. Stupido, idiota! Probabilmente lei aveva riso di lui e della sua stoltezza, aveva provato orrore e disgusto al pensiero che una bestia si fosse innamorata di lei. Come aveva anche solo potuto pensare che un mostro come lui potesse essere riscaldato dall’amore di una fanciulla stupenda com’era Catherine?

E ora, lei se n’era andata. L’aveva persa per sempre.

- Catherine…amore…- mormorò, e le parole uscirono dalla sua bocca senza che lui potesse controllarle.

Sentì che la disperazione lo stava invadendo di nuovo; si alzò in piedi di scatto, pronto a ridurre in mille pezzi quel poco che si era salvato dalla sua furia animalesca.

Quando Catherine se n’era andata, si era detto che ormai era inutile continuare a tenere a bada gli istinti violenti e mostruosi che si erano accumulati in lui nel corso di dieci anni. Aveva permesso alla bestia di tornare, e lei era sopraggiunta in tutta la sua furia.

Si voltò di scatto, incontrando la propria immagine nello specchio. Fu come se il tempo si fosse fermato. Adrian osservò attentamente il proprio corpo né umano né animale, la faccia in cui pelle, squame, pelo convivevano mostruosamente, la bocca socchiusa che lasciava intravedere le zanne, le mani animalesche e artigliate. L’immagine di un mostro.

Era colpa sua. Tutta colpa di quella maledetta mostruosità!

Catherine era come la luce nell’oscurità, una creatura meravigliosa che meritava quanto di meglio il mondo aveva da offrire; lui, invece, era quanto di più cupo e marcio esistesse, l’essere più mostruoso che avesse mai calpestato questa terra. Non era né uomo né animale, ma solo un orrendo ibrido, un essere spregevole che tutti rifuggivano, che nessuno avrebbe mai voluto al proprio fianco.

Era colpa sua, se Catherine non l’amava.

Colpa di quella maledetta faccia!

Adrian ringhiò di rabbia e disperazione, chinandosi di scatto e afferrando un pezzo di legno. Si avventò contro lo specchio; voleva distruggerlo, gli sembrava quasi di distruggere se stesso, ma si bloccò a pochi centimetri da esso.

Ansimò, cercando di riacquistare la calma. Lasciò cadere il pezzo di legno a terra; sfiorò con gli artigli la superficie fredda e liscia dello specchio. No, non poteva distruggerlo. Benché quello specchio fosse stato creato per aumentare il suo dolore, mostrandogli una vita che lui non avrebbe mai potuto vivere, ora era diventato l’unico mezzo per alleviare almeno un poco la sua disperazione. Forse non avrebbe più rivisto Catherine di fronte a lui, entro le mura del suo maniero, ma voleva almeno avere la consolazione di guardarla da lontano, di vederla parlare e ridere senza poter udire il suono delle sue parole e delle sue risate. Non sarebbe bastato per annullare per sempre il dolore che la partenza della ragazza gli aveva procurato, ma voleva godere di quel poco che gli era sempre stato concesso: vederla.

Sospirò, guardando la sua immagine riflessa nello specchio.

- Mostrami Catherine!- ordinò.

Subito, lo specchio ubbidì. Adrian rimase interdetto, incapace di credere a quello che l’immagine gli mostrava. Si sarebbe aspettato di vedere Catherine seduta al capezzale di suo padre, oppure nella sua stanza a leggere; quello che vide lo sconvolse.

La ragazza era in piedi di fronte allo specchio di una toeletta, leggermente china, aggrappata con le mani al mobile di legno. Indossava una sottana bianca e un corsetto, e i capelli corvini le ricadevano in avanti, sul viso.

Adrian ci mise diversi istanti per accorgersi che stava piangendo.

Catherine singhiozzava, sembrava disperata; le lacrime le rigavano le guance, senza fermarsi.

Mio Dio, ma che cos’era successo?

La ragazza gettò improvvisamente il capo all’indietro, emettendo un grido di dolore che il padrone non poté udire. Qualcuno le stava allacciando il corsetto, stringendoglielo intorno alle costole così forte da farle male. Catherine emise un’altra smorfia di dolore.

L’immagine si fece più ampia, mostrando chi le stava procurando tutto quel male. Adrian sgranò i gelidi occhi azzurri, sconvolto. Boccheggiò, incredulo, mentre di fronte a lui, alle spalle di Catherine, una bellissima donna dai capelli biondi tirava i nastri del corsetto, con un ghigno di maligna soddisfazione sulla labbra.

L’immagine riflessa dallo specchio svanì.

No! No, non era possibile, non…

E invece sì. Era proprio lei.

Adrian si riscosse; spalancò la porta della stanza, attraversando di corsa i corridoi bui del maniero, fino a giungere alla cucina.

I domestici erano seduti intorno al tavolo di legno tarlato; nessuno dei tre parlava, ma Ernest esibiva un’aria preoccupata, e Constance e Peter avevano le espressioni più tristi che avesse mai visto. Tuttavia, si riscossero non appena sentirono la porta aprirsi sbattendo rumorosamente. Constance si alzò in piedi.

- Ernest!- chiamò Adrian, ansimando, al che l’anziano domestico si mostrò ancora più preoccupato.- Ernest, Catherine è in pericolo!

- In pericolo?- fece eco Constance.

- Perché? Che le è successo?- incalzò Peter, balzando in piedi.

- L’ho vista nello specchio…lei…Ernest - disse Adrian, guardando negli occhi l’anziano domestico.- Ernest, è lei.

- Cosa?!- l’uomo scattò in piedi, incredulo.- Com’è possibile? Ne siete sicuro, padrone?

- Vi dico che l’ho vista. Dovete aiutarmi…Ernest, vai a sellare il mio cavallo! Devo salvarla…

 

***

 

Catherine emise un grido soffocato, mentre Lady Julia terminava di allacciarle l’ultimo nodo del corsetto. La matrigna digrignò i denti, afferrando una spazzola e cominciando a pettinare i capelli della ragazza così forte da strapparglieli.

- Vedi di fare la brava bambina, oggi!- sibilò, senza smettere di strattonarle i riccioli corvini.- Deve essere tutto perfetto, nulla deve andare storto…

Lady Julia depose la spazzola con un gesto secco, afferrando Catherine per una ciocca di capelli e chinandosi fino a che il suo volto non fu all’altezza di quello della ragazza. Matrigna e figliastra si guardarono negli occhi attraverso lo specchio.

- Quindi, bada bene di rigare dritto e di non fare la furba…- ringhiò Lady Julia, aumentando la stretta.- Perché sappi che se ti azzarderai a farmi qualche scherzo, allora potrai dire addio per sempre a tutti quelli che ami. A cominciare da tuo padre!

Lady Julia la lasciò, rivolgendole un’occhiata rabbiosa prima di uscire dalla stanza sbattendo la porta.

Catherine guardò il proprio volto pallido riflesso nello specchio. Osservò i propri occhi arrossati dal troppo piangere, il suo viso smunto reso ancora più sofferente dal contrasto con il nero dei capelli, guardò il suo corpo avvolto in un abito da sposa pieno di pizzi e fronzoli, e si sentì come una di quelle bambole di porcellana con cui giocava quand’era piccola. Si sentiva come una creatura senza più un’anima, come se tutta la vita le fosse stata succhiata via nel giro di poche ore.

E il pensiero, raggelante, che presto non sarebbe stata più lei, Catherine…ma Lady Catherine Montrose.

Nascose il viso fra le mani, ricominciando a singhiozzare, certa che, ormai, non c’era più alcuna speranza per lei.

 

***

 

Henry percorreva nervosamente avanti e indietro il ristretto perimetro fra gli alberi, affondando gli stivali nel terreno fangoso e ancora parzialmente innevato della foresta. Lord William gli aveva dato appuntamento mezz’ora prima, in quel luogo, ma ancora non accennava a farsi vedere.

Il giovane sospirò, chiedendosi se non stesse per compiere un’altra colossale stupidaggine. Aveva accettato di incontrarsi da solo in un luogo isolato con l’assassino di sei persone! Soltanto un idiota si sarebbe potuto far abbindolare così! Già, solo un idiota…o un uomo che non aveva più nulla da perdere.

Henry aveva trascorso l’intera nottata sveglio, certo ormai di aver perso sua sorella. Catherine lo odiava, e faceva bene, lui stesso non sopportava di veder riflessa la propria faccia nello specchio, non riusciva a perdonarsi di aver dato via la sua sorellina come una merce di scambio solo per salvarsi la pelle. Non era solo Catherine, che aveva perso. Ora, anche Rosalie non avrebbe mai più voluto vederlo, e suo padre giaceva in un letto da mesi, ormai, e chissà se si sarebbe mai più ripreso.

Non aveva più nessuno. Con la sua scempiaggine, aveva perso la sua famiglia.

Era stato anche sul punto di uccidersi: in un attimo di follia, aveva afferrato la pistola e se l’era puntata ad una tempia, ma era stato troppo vigliacco per premere il grilletto.

E poi, ammazzarsi non sarebbe servito a nulla.

Se si fosse fatto saltare le cervella, quello che aveva combinato non sarebbe cambiato: Catherine sarebbe andata in sposa a Lord William comunque, e questo lui non poteva permetterlo.

Sì, certo, era sempre stato uno scavezzacollo, questo lo sapeva. Ma quando, da ragazzo, tornava a casa con gli abiti strappati e sporchi di fango, ricoperto di graffi e lividi, reduce da una lite finita in rissa con dei ragazzacci di strada, e suo padre lo rimproverava con parole aspre, sua madre non smetteva mai di ripetere che un giorno sarebbe cambiato. Lo chiamava sempre il mio monello di strada, ed Henry ricordava benissimo quello che lei diceva a suo padre ogni volta che combinava qualche guaio:

- E’ un ragazzo, è giovane, imparerà. Lo so, a volte è un po’ avventato, ma vedrai che col tempo cambierà. Un giorno, Henry farà qualcosa di giusto, perché in fondo nostro figlio ha un animo buono…

Non era stato così; per anni, Henry aveva creduto di non essere davvero in grado di combinarne una giusta. Aveva continuato a causare un guaio dietro l’altro, a comportarsi da ragazzino viziato ed immaturo, ma sua madre non aveva mai smesso di credere che in lui ci fosse qualcosa di buono. Lady Elizabeth se n’era andata con questa convinzione e, se era vero quello che diceva Lydia e sua madre lo stava guardando dal Paradiso, allora non voleva deluderla. Non più. Non voleva deludere lei, non voleva deludere se stesso e Catherine.

L’avrebbe salvata. Sì, era giunto il momento di cambiare rotta, di dimostrare a tutti e a se stesso che Lady Elizabeth non si era sbagliata, che lui valeva davvero qualcosa. Avrebbe salvato Catherine, non avrebbe permesso che Lord William ne facesse sua moglie. L’avrebbe minacciato, sì, gli avrebbe detto che sapeva tutto, che aveva le prove, gli avrebbe intimato di lasciare in pace sua sorella, altrimenti…

Udì un fruscio alle sue spalle; si voltò di scatto, solo per vedere Lord William farsi strada attraverso il sottobosco fino a lui. A fianco a lui c’era un grosso doberman nero.

Lord William era vestito di tutto punto, con la giacca scura, la camicia bianca e il giustacuore, i pantaloni stirati e gli stivali lucidi, così come lo era la spada che portava legata alla cintola. Quella mattina ci sarebbe stato il suo matrimonio con Catherine, ed Henry aveva tutta l’intenzione di impedirgli di arrivare anche solo fino ai gradini della chiesa.

- Che piacere vedervi, Henry!- salutò Lord William, sfoderando un sorriso amabile.

Henry non rispose, né il suo viso lasciò trasparire alcuna emozione. Toccò istintivamente il manico della spada che teneva intorno alla vita, accanto ad un pugnale con l’impugnatura dorata. Forse era stato un pazzo ad accettare l’invito di Lord William, ma non si poteva dire che fosse uno stupido o uno sprovveduto. Si trattava pur sempre di un assassino.

- Vi chiedo scusa per il mio imperdonabile ritardo - proseguì Lord William come se niente fosse.- Ma, sapete, un uomo deve prepararsi come si deve, il giorno del suo matrimonio…- lo guardò, tornando serio.- C’è qualcosa che non va, Henry?- domandò.- Mi sembrate silenzioso…

- Voi non andrete a nessun matrimonio, Lord William!- ringhiò Henry, sguainando la spada.

Lord William non si scompose.

- Per favore, Henry, dobbiamo proprio litigare? Non è di buon auspicio, il giorno delle nozze, litigare con il proprio futuro cognato…

- Voi non sposerete mai Catherine!- Henry sguainò la spada, puntando la lama alla gola di Lord William; ma questi continuò a rimanere calmo, senza lasciar trasparire alcuna emozione.

- Devo dunque dedurre che non avete intenzione di rispettare i patti?- domandò.

- Al diavolo i patti!- urlò Henry.- So chi siete, Lord William. So cos’avete fatto. Credete che lascerei mai che mia sorella sposi un assassino?

- Assassino…non è una parola un po’ grossa?- fece Lord William, con un sorriso sghembo.- Andiamo, Henry, non credete di stare esagerando? Tecnicamente, io non ho ucciso quelle persone. Sono stati i miei cani, a farlo.

Rolf ringhiò, scoprendo le zanne.

- Non m’incantate, Lord William, non più. Ora le regole le detto io…- Henry spinse ancora di più la punta della lama contro la pelle tesa della gola del giovane.- Lasciate in pace mia sorella. Lasciatela in pace, andatevene per sempre da qui, e io dimenticherò la vostra faccia. In caso contrario…- Henry tracciò il contorno del collo con la punta della spada.- Il boia sarà certamente felice di avere il vostro collo per la forca…

Lord William non rispose, fissando per diversi istanti ora Henry ora la spada puntata alla sua gola. Infine, si aprì in uno dei suoi sorrisi simili ad un ghigno.

- D’accordo, allora…- disse.

Henry abbassò lentamente la spada, muovendo qualche passo indietro. Lord William si spolverò brevemente la giacca.

- E’ un vero peccato, sapete?- disse.- Vostra sorella sarebbe stata una moglie eccellente, per me…

- Per averla, dovrete prima passare sul mio cadavere…- ringhiò Henry.

Lord William sollevò lentamente il capo, guardandolo negli occhi con le labbra incurvate nel suo solito ghigno.

- In tal caso…con piacere!

Lord William sguainò la spada con un gesto talmente fulmineo che Henry per poco non riuscì ad evitare il colpo. Parò la lama della propria spada di fronte a sé, e il metallo emise un suono secco nel momento in cui le due armi s’incontrarono. Henry liberò la presa, scattando all’indietro. Lord William tornò all’attacco, fendendo altri due o tre colpi che il giovane, benché colto di sorpresa, riuscì a parare. Henry scivolò agilmente sul terriccio, arrivando al fianco di Lord William e affondando un colpo di spada dritto al fianco, che l’avversario schivò senza problemi. Il moro tornò all’attacco, colpendo con la propria spada ripetutamente contro quella di Henry. Il giovane Kingston indietreggiò, nel tentativo di parare i colpi. Si difendeva soltanto, non riusciva ad attaccare. Lord William lo spinse fino ad un punto in cui il terreno diveniva un miscuglio di fango e neve. Henry scivolò, ma riuscì a mantenersi in piedi; l’attimo di distrazione, tuttavia, permise a Lord William di affondare un altro colpo, che lo ferì di striscio ad una spalla. Henry gemette di dolore, mentre il sangue cominciava a scorrere.

Lord William fece una breve risata.

- L’avete voluto voi, Henry. Se è sul vostro corpo che devo passare per avere Catherine, allora così sia!

Il moro colpì di nuovo, ma stavolta Henry riuscì a parare il colpo. Il giovane passò al contrattacco, spingendo Lord William indietro, ma il dolore per la ferita lo indeboliva. Incespicò, perdendo l’equilibrio. Lord William si chinò di scatto, raccolse con una mano una manciata di terra e la gettò negli occhi del biondo. Henry emise un urlo soffocato, portandosi un braccio all’altezza degli occhi. Lord William affondò un altro colpo, colpendolo al fianco. Il giovane ansimò, e l’avversario lo ferì ad una spalla.

Henry cadde in ginocchio sulla neve; Lord William lo colpì con un calcio al petto, mandandolo con la schiena a terra. L’avversario s’inginocchiò velocemente su di lui, premendogli un ginocchio sul torace. Con un gesto fulmineo, gli afferrò un orecchio e ne mozzò il lobo.

Henry urlò di dolore, mentre il pezzo di carne finiva sulla neve, spargendo copiosamente.

Rolf annusò l’aria; Lord William gli fece cenno di avvicinarsi. Henry fissò inorridito la scena del doberman che si avventava sul suo lobo mozzato e lo divorava, inghiottendolo in un solo colpo.

Lord William ghignò, sollevandosi da Henry. Il giovane ansimò, portandosi una mano all’orecchio mozzato, imbrattandosi il palmo di sangue.

- Per fortuna…nemmeno una macchia…- fece Lord William, osservando con attenzione la propria camicia. Spostò lo sguardo sul giovane.- Spiacente, Henry, ma temo di essere in ritardo per le mie nozze con vostra sorella. Ma non temete, Rolf si occuperà egregiamente di voi…- ghignò.

Il doberman ora conosceva l’odore di Henry, e perfino il sapore della sua carne. Lord William voltò le spalle ai due, dirigendosi verso il proprio cavallo poco distante. Henry guardò le zanne appuntite del doberman con orrore, strisciando indietro sulla neve.

Lord William montò a cavallo, ghignando nell’udire il ringhio selvaggio di Rolf.

 

***

 

Adrian tirò le briglie del purosangue nero, smontando agilmente dalla sella. Ernest arrestò il proprio ronzino, il quale rischiò di scivolare sul terreno fangoso, fatto che strappò un grido a Constance.

- Basta! Voglio scendere da qui!- disse e, senza aspettare aiuto, scese a terra. Peter la imitò.

- E ora, da dove cominciamo?- fece il ragazzino, guardandosi intorno con aria persa. Non era mai stato in paese, e tutte quelle case e quelle persone insieme lo spaventavano.

- Non lo so…- mormorò Ernest.- Padrone, come facciamo a trovarla?

Adrian non rispose, ringhiando sommessamente. Non lo sapeva; non aveva idea di dove cominciare a cercare Catherine, ma doveva trovarla, al più presto…Il pensiero che potesse trovarsi nelle grinfie di quella…quella donna, quella strega, lo uccideva. E l’incertezza non faceva altro che aumentare il suo nervosismo e la sua paura.

- Noi…chiediamo…chiediamo a qualcuno…- sospirò alla fine.

Aveva indossato il suo solito mantello nero e sollevato il cappuccio in modo che l’intero volto rimanesse celato. Non sarebbe stato difficile ottenere delle informazioni.

Videro un passante in lontananza. Peter fu il più svelto, e gli corse intorno.

- Signore!- chiamò il ragazzino, mentre gli altri lo raggiungevano.- Signore, aspettate!

L’uomo si fermò, scoccandogli un’occhiata perplessa.

- Posso esservi utile, signore?

- Noi…- ansimò Constance, cercando di riprendere fiato.- Noi stiamo cercando una nostra amica…

- Che amica?

- Sapete indicarci dove si trova la casa del mercante Kingston?- domandò Adrian, con impazienza, ricordando improvvisamente la professione del padre di Catherine.

- Sì, è fuori città…ma non credo che ci sia nessuno, a quest’ora…

- Perché?- incalzò Adrian.

- Non lo sapevate? Ne parla tutto il paese. La figlia oggi si sposa.

Adrian si sentì morire; Catherine…si sposava? No, no, non era possibile. C’era qualcosa che non andava, ricordava perfettamente cos’aveva visto nello specchio. Catherine era disperata, piangeva…non era possibile che stesse per sposarsi, che l’avesse abbandonato per correre fra le braccia di un altro uomo…se così fosse stato, allora sarebbe dovuta esserne felice.

Senza contare che c’era di mezzo quella donna…

Sentì montare la rabbia dentro di sé. No, c’era qualcosa che non andava, decisamente.

Afferrò l’uomo per il bavero della giacca.

- Ehi, ma che state facendo?! Come vi permettete?!

- Dove si sposa Catherine Kingston?- ruggì.- Dove?

 

***

 

Henry indietreggiò, scivolando sulla neve ghiacciata. Il doberman si piegò sulle zampe anteriori, mentre dalla bocca aperta in un ringhio colavano grumi di bava. Il giovane si sentiva debole, le ferite bruciavano, l’orecchio mozzato non la smetteva di sanguinare.

Il doberman spiccò un balzo, avventandoglisi contro.

Henry alzò le mani, afferrandolo per il pelo della gola, nel tentativo di fermarlo, ma era ancora troppo debole. Rolf lo azzannò ad una spalla; il giovane urlò di dolore, cercando di liberarsi. Il doberman mollò la presa, tentando di morderlo alla gola.

Henry lo tenne fermo, mentre le zampe artigliate dell’animale lo graffiavano; sentì che non ce l’avrebbe fatta a tenerlo a bada ancora a lungo, e quella bestia sembrava avere una forza sovrumana. Stava per cedere, quando si ricordò all’improvviso di qualcosa.

Il pugnale!

Ce l’aveva ancora legato alla cintura. Mosse a fatica una mano, estraendolo dalla guaina. Con un gesto fulmineo, Henry sollevò l’arma, piantandone la lama nel collo del doberman.

L’animale guaì, cercando di liberarsi; Henry affondò ancora di più il colpo. Dalla bocca del doberman cominciarono ad uscire fiotti di sangue, mentre gli occhi gli divenivano vitrei. Alla fine, Rolf smise di lottare.

Henry si liberò della carcassa del segugio, spingendola sulla neve al suo fianco. Avrebbe voluto alzarsi, correre in chiesa ad avvisare Catherine, ma sentì le forze mancargli.

Chiuse gli occhi e abbandonò il capo sul nevischio macchiato si sangue, privo di sensi.

 

***

 

Ralph accolse Lord William all’entrata della chiesa.

- Siete in ritardo, capo…- sussurrò.

- Lo so, lo so!- ribatté Lord William, innervosito, dirigendosi a passo svelto verso l’altare.- Glouster, dov’è?

- E’ con la signorina, capo…

- Va bene. E Gerald e Michael?

- Eccoli, laggiù.

Lord William scorse gli altri due suoi scagnozzi piazzati ai lati dell’altare.

- E’ tutto pronto?- bisbigliò Lord William, impaziente, rivolto al parroco, il quale annuì vigorosamente.

L’organo iniziò a suonare; le porte della chiesa si spalancarono.

Catherine sentì ancora più forte la sensazione di essere come una marionetta nelle mani dei due burattinai Lord William e Lady Julia. Il corsetto le stringeva le costole così forte da mozzarle il respiro, sentiva l’abito da sposa come un peso enorme che le gravava addosso, il velo bianco circondato da una corona di fiori le incalottava la testa in modo da impedirle di vedere bene cosa le stava intorno. La ragazza continuava a muoversi come un automa, tenendo il braccio di Glouster; ecco l’ultima umiliazione che le era toccata: essere condotta all’altare da uno degli uomini che solo pochi mesi prima avevano tentato di violentarla.

Inutile dire che non era così che avrebbe immaginato il suo matrimonio, a cominciare dallo sposo. Catherine sentiva crescere il ribrezzo e l’odio nei confronti di Lord William a mano a mano che i gradini dell’altare si facevano più vicini; avrebbe voluto ribellarsi, sollevare la gonna e fuggire via, ma sapeva che non avrebbe potuto farlo. Glielo ricordavano Lady Julia, che la guardava minacciosamente seduta nelle panche in prima fila, accanto a sua sorella Rosalie e a Lydia, entrambe con gli occhi rossi dal pianto, e Lord William, che l’attendeva con quel ghigno beffardo e cattivo stampato sulle labbra. E glielo rammentava il pensiero di suo padre, rimasto a casa, ormai vicinissimo alla morte.

Se voleva salvarlo, se voleva salvare la sua famiglia, allora doveva abbassarsi a quel diabolico ricatto, doveva sposare Lord William. Poco importava quali sarebbero state le conseguenze; ormai Catherine era pronta a sopportare tutto. Sapeva quel che l’aspettava: amplessi disgustosi, angherie, violenze di ogni tipo…ma, se anche avesse potuto, non si sarebbe ribellata. Era come se tutte le sue energie e la sua forza vitale le fossero state strappate via, non esisteva più la ragazza forte e vivace di un tempo, ma solo un burattino di legno che ora si trovava faccia a faccia con il suo signore e padrone.

Lord William le sorrise, sollevandole il velo dal viso. Notò che aveva gli occhi cerchiati di chi aveva appena pianto, e le rivolse un’occhiata rabbiosa.

- Stai per diventare mia moglie, Catherine Kingston - le sussurrò in un orecchio.- Dovresti esserne felice…

- Come potrei essere felice di sposare un mostro?- sibilò lei di rimando, con occhi di fuoco, ritrovando un briciolo di energia.

Lord William digrignò i denti; l’avrebbe presa a schiaffi, ma non poteva farlo, non in quel momento. Si impose di mantenere la calma. Ci sarebbe stato tutto il tempo, più tardi, per insegnare a quella ragazzetta presuntuosa chi comandava.

La musica dell’organo cessò. Tutti si sedettero.

- Bene, direi che possiamo cominciare!- esclamò il prete, aprendo il Libro Sacro.- Miei cari amici…siamo qui riuniti oggi per unire quest’uomo e questa donna nel sacro vincolo del matrimonio…

A Catherine parve di udire un rumore di zoccoli proveniente dall’esterno della chiesa, ma non ci badò.

- Dunque, vuoi tu, Lord William Robert Montrose, prendere questa donna come tua legittima sposa, per amarla e onorarla, in salute e in malattia, in ricchezza e in povertà, finché morte non vi separi?

- Lo voglio.

Catherine, stavolta, udì distintamente il rumore di qualcuno che batteva i pugni sul portone della chiesa; non fu l’unica: molti degli invitati, compresi Lady Julia e Lord William, si voltarono nella direzione del portone. Il legno fremeva sotto i colpi sempre più possenti; qualcuno stava cercando di aprire i battenti…o di sfondarli.

- Ma che…?- mormorò Catherine, ma Lord William digrignò i denti, afferrandola per un braccio conficcandole le unghie nella carne.

- Continuate!- intimò, rivolto al prete.

- Io…oh, sì, certo…- balbettò l’uomo. - Dunque, vediamo…vuoi tu, Catherine Elizabeth Kingston…

I colpi si fecero sempre più insistenti; sì, qualcuno stava decisamente tentando di sfondare la porta.

- Continuate!- ruggì Lord William.

- Ma…ma signore, io…- provò ad obiettare il prete.

- Continuate, ho detto!

- Io…d’accordo…ehm…vuoi tu, Catherine Elizabeth Kingston, prendere quest’uomo come tu legittimo sposo…

Ora tutti gli invitati si erano alzati, allarmati. I colpi si fecero sempre più violenti.

- …per amarlo e onorarlo…

Un altro schianto, e un altro ancora.

- …in salute e in malattia…

Sempre più forte, sempre più violento.

- …in ricchezza e in povertà…

Ormai i battenti stavano per cedere.

- …finché morte non vi separi?

Ecco, era arrivato il momento. Doveva rispondere, adesso.

Guardò Lord William, che le rivolse un’occhiata minacciosa.

I colpi non cessavano.

- Io…

I battenti si aprirono con uno schianto.

- Catherine!

La ragazza si voltò di scatto, senza riuscire ad impedire che un sorriso raggiante le illuminasse il viso.

- Adrian!- esclamò.

Il mostro aveva il volto nascosto dal cappuccio, ma Catherine lo riconobbe immediatamente. Alle sue spalle, c’erano Ernest, Constance e Peter.

Rosalie e Lydia si voltarono a guardarli, insieme a tutti gli altri invitati; Lady Julia aprì la bocca per parlare, ma non disse nulla. Sembrava quasi sotto shock.

- Oh, Adrian, sei venuto!- disse Catherine; fece per corrergli incontro, ma Lord William la trattenne saldamente per un braccio.

- Tu non ti muovi da qui, puttana!- ringhiò.

Quello doveva essere il suo amante, ne era sicuro. Avrebbe dovuto mettere in conto che quella troia avesse qualche asso nella manica!

- Lasciala stare!- ululò Adrian, muovendo qualche passo nella loro direzione.

Lord William la strinse ancora di più a sé.

- Spiacente, ma Catherine è mia moglie, ora!

La ragazza si divincolò.

- Non sono affatto tua moglie, bastardo!- strillò.

- Oh, sì che lo sei…- ringhiò Lord William.

- No, invece. Non ho detto lo voglio.

- Ha ragione, signore…- s’intromise timidamente il prete.- Senza che entrambi abbiate detto lo voglio, il matrimonio non può essere valido…

- Tu comunque da qui non te ne vai!

- Lasciala, ho detto!- tuonò Adrian.

Con un gesto fulmineo, calò il cappuccio.

Lord William rimase interdetto, sconvolto. Fra gli invitati, si levarono grida di spavento e orrore. Lydia si portò una mano alla bocca, tirando a sé Rosalie, la quale, però, non pareva più tanto spaventata.

- Tu!- gridò d’un tratto una voce.

Tutti si voltarono nella sua direzione. Lady Julia era fuori di sé, stava guardando Adrian come se volesse ucciderlo.

- Tu!- ripeté, puntandogli contro una mano aperta.

Improvvisamente, dal palmo della mano si sprigionò un fascio di luce verdastro; Adrian si scansò, evitandolo per un pelo, e l’anatema colpì le vetrate colorate della chiesa, mandandole in frantumi. Tutti, a quel punto, cominciarono a gridare, scappando verso l’uscita.

- Non ti è bastata la lezione?!- urlò Lady Julia, scagliando un altro incantesimo.- Lo sapevo che avrei dovuto ammazzarti!

Il mostro evitò anche il secondo anatema, finendo in ginocchio sul pavimento.

Catherine fece per correre in suo aiuto, ma Lord William la teneva ancora saldamente per un braccio. La ragazza gli rivolse un sguardo pieno d’odio, quindi gli assestò un violento pugno su uno zigomo. Lord William finì a terra; Catherine scese in fretta i gradini, liberandosi dal velo nuziale. Fece per avventarsi contro Lady Julia, ma questa se ne accorse e, ridendo, lanciò un incantesimo contro le tende della chiesa. Queste si animarono, staccandosi dal soffitto e avvolgendosi intorno al corpo della ragazza. Catherine si ritrovò inginocchiata sul pavimento freddo della chiesa, con la vita legata e le mani imprigionate dietro la schiena.

- Maledetta, lasciala!- strillò Constance, avventandosi contro Lady Julia.

La strega rise nuovamente, e i suoi occhi divennero dorati. Una panca si sollevò in aria, scagliandosi contro Constance, che dovette gettarsi a terra per evitarla. La panca andò a fracassarsi contro il muro.

- Mamma!- strillò Peter. Il ragazzino raccolse da terra un pezzo di legno, gettandolo contro Lady Julia. Gli occhi della strega s’illuminarono di nuovo, e il pezzo di legno venne rispedito al mittente.

Adrian si alzò a fatica, raggiungendo Catherine e cercando di liberarla. Lord William gli si avvicinò, colpendolo in pieno volto.

- E così, sei diventata la puttana di un mostro!- esclamò, rivolto a Catherine.

- Non la toccare!- ringhiò Adrian.

Lord William gli restituì un’occhiata piena di odio e gelosia.

- Lei è mia, bestia!

Lord William si rivolse verso Gerald, strappandogli la spada dalla cintura. Fece per colpire Adrian, ma questi s’inginocchiò repentinamente. Con un gesto veloce, il mostro colpì con una gamba le ginocchia di Lord William, il quale si accasciò a terra. Adrian gli fu subito addosso e, con un ruggito, gli graffiò il volto con le dita artigliate. I tagli sulla guancia di Lord William iniziarono a sanguinare.

Ernest fece per correre in aiuto del suo padrone, ma Michael e Ralph gli sbarrarono la strada.

- Dove credi di andare, vecchio?- ghignò Ralph.

Ernest indietreggiò di un passo, gettando un’occhiata al pavimento. Scorse la spada sfuggita di mano a Lord William e la raccolse con un gesto fulmineo, brandendola contro i due uomini. Michael gli fu subito addosso, e il vecchio domestico riuscì ad evitarlo per un pelo; fu la volta di Ralph. Ernest venne sbattuto a terra dalla forza dell’energumeno. Alzò un braccio come per difendersi, mentre Ralph stava per affondare un colpo.

Tuttavia, lo scagnozzo venne colpito in testa da un grosso pezzo di legno, finendo riverso a terra.

- Guarda e impara, vecchio mollaccione!- esultò Constance, brandendo la gamba di una seggiola.

Un anatema colpì una panca di legno, incenerendola. Peter evitò le fiamme per un soffio, rotolando sotto un’altra panca. Lady Julia ringhiò, scagliando un altro incantesimo. Anche la seconda panca venne distrutta, e Peter si ritrovò disteso sul pavimento, inerme, sena più alcuna protezione.

Provò ad indietreggiare, strisciando sulle mattonelle, mentre Lady Julia prendeva la mira, pronta a lanciare un altro anatema.

Rosalie afferrò un coccio di vetro, gettandosi accanto a Peter appena prima che l’incantesimo lo colpisse. L’anatema rimbalzò contro il vetro, ritornando nella direzione da cui era venuto; Lady Julia venne colpita e sbalzata indietro di diversi metri.

- Oh…grazie…- mormorò Peter, stralunato.

- Di niente! Così ora siamo pari!- sorrise Rosalie.

Lady Julia si rialzò a fatica dal pavimento, i capelli scompigliati, il volto marcato da rughe di rabbia.

- Dannati mocciosi!- ululò, pronta a lanciare un altro anatema sui due ragazzini.

Catherine riuscì a liberarsi a fatica dal nodo delle tende, gettandole lontano da sé. Non appena vide cosa stava per fare, la ragazza si lanciò contro Lady Julia, la quale cadde riversa a terra con un tonfo.

- Caspita! Bel colpo, signorina!- si complimentò Lydia.

- Cielo, da quanto tempo desideravo farlo…!- ghignò Catherine.

Lady Julia allontanò dagli occhi una ciocca di capelli biondi con un gesto rabbioso.

Adrian, liberatosi di Lord William, le fu subito addosso.

- Maledetto…!- sibilò Lady Julia.- Credevo che ti fossi ammazzato…che cosa diavolo vuoi?!

- Riprendermi ciò che è mio!- disse Adrian; con un gesto rapido, strappò il medaglione con il rubino dal collo di Lady Julia.

- No!- gracchiò la strega, cercando di riprenderselo, ma il mostro aveva già raggiunto Catherine.

- Andiamo!- le disse, prendendola per mano e guidandola fuori dalla chiesa. Lydia, Ernest, Peter, Rosalie e Constance li seguirono.

Lord William, il volto sanguinante, si rialzò a fatica, con gli occhi colmi di odio.

Lady Julia emise un grido molto simile ad un ringhio, balzando in piedi e tentando di inseguirli. Gettò i palmi aperti in avanti, cercando di scagliare un incantesimo che, però, non venne mai. La strega ci riprovò più e più volte, incredula. Infine, volse lo sguardo alle proprie mani.

La pelle, prima liscia e soda, ora era coperta di macchie marroni, raggrinzita, rugosa. Lady Julia, con un gemito di disperazione, si toccò il viso: non c’era più traccia del volto bello e seducente, ma solo una faccia piena di rughe, con le labbra screpolate, gli occhi infossati, i denti storti e marci. I capelli non erano più biondi e fluenti, ma radi e grigi, tanto da lasciar vedere chiaramente il cranio ossuto.

- No…- gemette Lady Julia, incontrando la propria immagine in un vetro rotto.- No!- gridò, finendo in ginocchio, accasciata sul pavimento.

Lanciò un urlo acuto, straziante, che mandò in frantumi i vetri colorati delle finestre.

 

***

 

Adrian, Catherine e gli altri raggiunsero i cavalli con cui il padrone e i domestici erano arrivati.

- Forza, dobbiamo tornare al maniero!- disse il mostro, cercando di aiutare Catherine a salire a cavallo, ma la ragazza si scostò.

- No, Adrian…

- Perché?

- Mio padre…- mormorò la ragazza.- E’ malato…è solo…non posso lasciarlo, Adrian…

Il mostro sospirò, quindi acconsentì.

- Va bene, andiamo da lui. Lo porteremo con noi.

 

***

 

Catherine spalancò la porta di casa, precipitandosi al piano di sopra seguita da Adrian, mentre gli altri li raggiungevano a pochi passi.

- Papà!- chiamò la ragazza, aprendo la porta della stanza del mercante.

L’uomo, pallido e sofferente, giaceva disteso fra le coperte. Catherine lo raggiunse, inginocchiandosi accanto a lui, con Adrian in piedi alle sue spalle e tutti gli altri intorno.

- Papà, svegliati!- disse.- Papà, sono io! Sono Catherine!

Il mercante aprì piano gli occhi; la ragazza gli rivolse un sorriso che lui ricambiò, debolmente.

- Catherine…- sussurrò, con voce flebile.

Il mercante non disse nient’altro; chiuse gli occhi, abbandonando il capo sul cuscino, mentre il petto smetteva di alzarsi e abbassarsi regolarmente.

Era morto.

- No!- urlò Catherine, con disperazione, cominciando a singhiozzare.- Papà, no!

Si accasciò sul petto del mercante, affondandovi il viso. Rosalie iniziò a piangere, stringendosi forte a Lydia, la quale si fece il segno della croce.

Adrian fece per sfiorare una spalla della ragazza, ma si bloccò. Stringeva ancora fra le dita artigliate il medaglione di Lady Julia. Lo guardò, ben sapendo quali sarebbero state le conseguenze di ciò che aveva in mente di fare.

Chiuse gli occhi, stringendo il gioiello nel pugno, ascoltando i singhiozzi di Catherine. Si trattava della donna che amava; avrebbe fatto qualunque cosa per lei, qualunque…Anche se questo voleva dire…

No; no, non sarebbe stato egoista. Significava soffrire per tutta la vita, ma l’avrebbe fatto; avrebbe fatto la cosa giusta.

L’avrebbe fatta per Catherine.

 

Angolo Autrice: Ok, questo capitolo è stata una sofferenza…Dunque, mi rivolgo a tutti coloro che:

a)      stanno pensando che i Kingston hanno una fortuna fuori da ogni logica dato che la scampano sempre;

b)      quando hanno letto le parti del confronto fra Adrian e Lady Julia hanno pensato una cosa del tipo Luke, io sono tuo padre!.

Beh, a tutti e due, posso solo dire che siamo in una favola, in fin dei conti (ancora ‘sta scusa…Nd Voi), e queste cose succedono…Henry mi serve vivo, esigenze di scena (a questo proposito, spero che la scena dell’orecchio mozzato non abbia turbato l’equilibrio interiore di nessuno), e il mercante…si salverà? Che ha in mente di fare Adrian? E cosa c’entra Lady Julia con lui? E la strega e Lord William si arrenderanno o torneranno all’attacco? E cosa succederà, ora, fra Adrian e Catherine (che, a proposito, spero ancora una volta non sia scesa, qui piangeva in continuazione, lo so, ma va capita, in fondo…)?

Spero che la scena del combattimento nella chiesa non sia risultato troppo banale o ridicolo, se sì, mi raccomando, non esitate a farmelo sapere…J.

Ringrazio tutti coloro che leggono, in particolare little_drawing e _XeliX_ per aver aggiunto questa ff alle seguite, e jekikika96 ed Ellyra per aver recensito.

Ciao a tutti, al prossimo capitolo!

Bacio,

Dora93

  
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