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Autore: Claire Coen    15/07/2012    2 recensioni
Claire Coen è una ragazza semplice. Ha quindici anni appena compiuti e vive a Bradford, con il padre. Ma improvvisamente l'equilibrio della sua vita pacata e monotona viene spezzato e il destino decide per lei una vita movimentata e piena di difficoltà. Ma sopratutto decide di renderla diversa da chi si aspettava che fosse, tutto questo quando Zayn Malik, un componente di una boyband appena lanciata nel mondo musicale,entra a far parte della sua vita.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Zayn Malik
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Mi tenne i capelli indietro, raccogliendoli nella mano e con l’altra mi teneva la testa appoggiando la sua calda mano sulla mia fronte pallida. Dopo aver terminato il mio terrificante spettacolino, mi prese i fianchi avvolgendoli con le sue braccia muscolose e protettive. Appoggiai la testa sulla sua spalla, nascondendo il viso e mi misi a piangere. Tirai fuori tutto quanto, piangendo come non avevo mai fatto con nessuno, piangevo come se in quel momento stavo da sola in camera che inzuppavo il cuscino.
Lui non disse niente e non fece niente, rimase immobile ad abbracciarmi e ad ascoltare i miei lamenti e i miei pianti. Guardai dietro di lui una pozzanghera sporca, intravedevo la mia faccia verde e sporca di trucco sciolto dalle lacrime che non smettevano di sgorgare. Ero terrificante. Eppure invece di vedere quella brutta faccia, vidi quella di Zayn sorridermi. Non ebbi la forza di muovermi, non volevo rovinare tutto. Continuai a piangere piu’ di prima. “Ho fatto un casino”- dissi tra le lacrime.
“Ti porto a casa”- mi disse portandomi in braccio. Era la stessa situazione del campo da calcio, sempre dopo aver fatto una cazzata. Solo che in quel caso non era Zayn a chiudermi nel suo abbraccio e portarmi in salvo. Era il ragazzo della fermata. Era quel ragazzo misterioso che aveva qualcosa di familiare. Io potevo anche non conoscerlo, ma sapevo per certo che lui mi conosceva e anche molto bene. Chiusi gli occhi riempiendo i polmoni del suo profumo di pino selvatico. Respiravo a tratti, singhiozzavo ancora. Sembrava di ritornare in terza elementare. Mi addormentai sfinita, avvolta nel suo profumo, nelle sue braccia, avvolta in lui.
Aprii gli occhi pesantemente, la luce mi travolgeva e piu’ della luce il fortissimo mal di testa da post-sbronza. Sembrava che un autobus mi avesse travolto una volta e poi fatto marcia indietro per rifarlo minimo una ventina di volte. Intravidi Ed Sheeran appeso al muro. Ok, sono a casa e questo è già tanto. Ma come ci sono arrivata? Insomma con chi? Ricordo solo di aver incontrato Zayn e i suoi amici, poi siamo entrati e . . . basta. Mi ritrovo qui. Sentii una folata di aria venirmi incontro, poi vidi mio padre sorridente con un vassoio e  un bicchiere di succo di frutta sopra con qualche fetta biscottata qua e la.
“ODDIOMIO!”- urlai fingendomi spaventata. Poi scoppiai a ridere indicandolo tanto per dare un po’ di positività a quella mattina.
“Sono così brutto e mostruoso?”- chiese preoccupato. Poi aggiunse: “E menomale che il buongiorno si vede dal mattino eh!”- disse appoggiando il vassoio lentamente sulla scrivania.
Sorrisi, poi cercai di alzarmi senza crollare. Guardai il pavimento vuoto.
“Hai messo apposto tu?”- chiesi sorpresa.
“Neanche io ero così disordinato alla tua età e sono un maschio. . .”- disse fingendosi severo, non era mai credibile, mai.
“Grazie lo stesso”- dissi sbuffando.
Si avvicino’ allungando la mano in direzione della fronte. Poi appoggiandola disse: “Stai bene?”- preoccupato. “Ehmm… sì?”- dissi sconcertata.
“Ok. No sai, mi hai appena ringraziato”- disse ridendo.
“Ah sì? Allora non durerà per molto. Ti sto per cacciare fuori a male parole”- contraccambiai.
“Sì, sei di nuovo te stessa”- concluse.
“Ora mangia. Piu’ tardi mi ritrovi in riserva. Ti devo parlare”- stavolta era piu’ serio, ma il suo ultimo bellissimo sorrisetto, non mi fece preoccupare piu’ di tanto.
Chiuse la porta dietro di se silenziosamente. Fissai il vassoio per un po’ facendo una breve revisione di quello che era accaduto la scorsa notte: l’ultima cosa che mi ricordo è il suo profumo buonissimo, come scordarlo, tutto il resto me lo ricordavo eccome, solo che non volevo riportarlo alla mente. Ci avrei riflettuto piu’ tardi. Un rumore soffuso proveniente dalla pancia mi fece ritornare alla realtà. Ok, pancia lo so hai fame. Afferrai una fetta biscottata e la divorai voracemente. Sembravo una dispersa su un’isola deserta che non mangiava da settimane. Senza sosta ne presi un’altra finendola anch’essa in un secondo. Poi ingerii tutto con un bel sorso di succo alla pesca. Buonissimo, il mio preferito. Senza pensarci due volte, presi il beauty-case azzurro e mi fiondai in bagno. Volevo levarmi assolutamente il peso di quella famosa “chiacchierata” che dovevo affrontare. Speravo solo che non finisse in una fragorosa litigata. Almeno oggi volevo essere felice. Con l’acqua che scendeva dal mio corpo caldo e vaporoso, pensai a quello che non volevo mi arrivasse alla mente. Pensai al preciso istante in cui le labbra di Zayn sfioravano le mie. Ora non è l’acqua calda che mi fa bruciare le labbra, è quel maledetto pensiero che riporta alla realtà tutto cio’ che era accaduto quella sera con lui. Poi pensai alla comparsa di Chris, non riuscivo a capire se era stata la mia immaginazione a giocare quel brutto scherzo o era proprio lì, dietro di noi. Dovevo assolutamente scoprirlo, altrimenti ne sarei uscita pazza. Non mi fermai molto sotto la doccia a pensare, primo per non deprimermi, il che era molto vicino a me, secondo perché volevo assolutamente sapere cosa voleva mio padre. Uscii veloce dalla doccia, inciampando inevitabilmente come al mio solito e facendomi male al braccio.
“Idiota”- pensai. Poi facendo piu’ attenzione mi misi a correre per il corridoio del piano di sopra mezza nuda, fiondandomi in camera e chiudendomi a chiave. Misi la prima maglietta bianca che mi capito’ e jeans, niente di piu’ semplice, superga blu, un filo di matita, tanto per sentirmi piu’ sicura e uno chignon spettinato. Quasi scesi le scale saltando a due a due gli scalini di legno scuro. Mi spiaccicai sulla porta non riuscendo a fermarmi, poi dopo qualche insulto leggero leggero, aprii la porta e mi diressi alla riserva.
Bussai timidamente, ma con decisione. “Entra”- disse.
Che cosa? Scusa, un’attimo ho capito bene? Entrare nella riserva, io? Dev’essere qualcosa di davvero grave. Aprii la porta timidamente, facendola richiudere con cautela. Non è il caso di creare casini già da subito. Era tutta, ogni piccolo dettaglio, come me lo ricordavo io da bambina. La lampada penzolante al centro che dava una luminosità soffusa, ma giusta, non macabra. Tutti i vari attrezzi sparsi per tutta la stanza, sopra i mobili vecchi e ammuffiti, per terra, appesi sulle pareti, dappertutto. Poi quel maledettissimo martello da carpentiere, è lui che mi è caduto sul piede fratturandomi il dito. Sì, è proprio lui l’artefice di tutto. Lo guardai con sguardo cattivo, poi mio padre uscì su un carrellino da sotto la macchina spogliata da ogni suo pezzo. Si alzo’ e levo’ i guanti. Si fece serio. Ok, devo preoccuparmi seriamente?
“Tesoro…”- ecco già se mi chiama così è successo davvero qualcosa di grave. E’ morto qualcuno?
“Staro’ via per un po’ di giorni, non so di preciso quanto, mi hanno dato un piccolo incarico a Manchester per riparare una vecchia autovettura molto rara e…”- disse tutto d’un fiato.
“E non vuoi perderti quest’occasione.”- finii io, fingendo un sorriso.
Mi guardo’ dispiaciuto, io gli regalai un sorriso. Di quelli che faccio una volta ogni mese, che raramente mi escono, ma glie lo diedi con tutto l’amore che provavo per lui, era davvero sincero.
“So che te la caverai benissimo da sola come hai sempre fatto. Sei in gamba Clè, non ti sottovalutare mai. Mamma non sa niente di tutto questo, ma non penso chiamerà da un momento all’altro”- disse sorridendomi.
“Già, infondo non l’ha mai fatto negli ultimi 10 anni, non penso che in pochi giorni gli viene l’impulso di farlo”- dissi delusa.
Stavo per girarmi e tornare con molta attenzione alla porta della riserva socchiusa, quando mi ricordai di una cosa alquanto importante, anzi importantissima. Mi rigirai vedendolo ancora lì fisso, in piedi con lo sguardo piuttosto felice e le rughe della fronte che rendevano quel viso ancora piu’ bello e vissuto.
Deglutii, non riuscivo a spiccicare parola, insomma devo solo chiedere una piccola informazione, niente di che. Ero bloccata, poi presi forza, riempii i polmoni d’aria pesante e calda e chiesi il piu’ vagamente possibile.
 “Senti pa. . . Maaa . . .”- cercai di allungare per trovare le parole giuste.
“C’è un ragazzo che prende l’autobus con me, qui in fermata. Cos’è un nostro vicino di casa? Non l’ho mai visto da queste parti.”- chiesi fingendomi tranquilla, picchiettando con pause brevi e silenziose sul retro coscia con le dita.
Mi guardo’ fisso negli occhi, privi di espressione. Ok, o stava per svenire o stava pensando a qualcosa di serio. Passo’ un po’ prima che si risveglio’ da quello stato di trans improvviso.
“E’ un ragazzo piu’ scuro e muscoloso?”- chiese inespressivo.
“Bè.. sì. Perché quella faccia? Chi è?”- chiesi preoccupata e quasi innervosita. Volevo sapere al piu’ presto qual’era la situazione.
“Blaze Price. E’ il figlio di un mio vecchio amico. Giocavate insieme da bambini, sai?”- disse facendo un sorriso breve e innocuo, per poi riportarsi a quell’espressione vuota in volto.
Non dissi niente, stavo immobile appoggiata a un mobile ammuffito, lasciandolo finire di parlare e spiegarmi tutto per bene. 
“Jonathan Price è il nostro vicino di casa. Come ti ho già detto è il padre di Blaze. Una volta, quando tu e Blaze eravate piu’ piccoli, andavamo sempre a casa loro, io e Jonathan eravamo molto amici . . .”- disse malinconico.
“E poi cosa è successo? Come mai non vi sentite piu’?”- chiesi stranamente curiosa. Di solito non mi impiccio degli affari che non mi riguardano, semplicemente perché non mi interessano, figuriamoci le storie passate di mio padre. Ma in quel caso dovevo sapere qualunque cosa su quel ragazzo, su Blaze.
Si giro’ verso il suo rottame a testa bassa, sospirando. Non mi piaceva per niente la sua reazione, aspettai l’inizio della sua storia, appoggiando il peso su una gamba sola.
“Vedi, non dovrei dirtelo . . .”- disse affranto.
“Ormai me lo hai accennato, devi dirmelo!”- incalzai spazientita.
“Va bene, ma promettimi che non dirai niente alla mamma”- chiese speranzoso in una mia risposta positiva. Acconsentii con la testa sorridendo forzatamente.
“Un giorno ho beccato Jonathan che ci provava con tua madre e di lì a poco scoprii anche che quella storia durava ormai da tempo, troppo tempo.”- disse velocissimo, perdendosi qualche parola per strada.
Non ci potevo credere. Rimasi con gli occhi fissi su di lui per un po’ sforzandomi di non esplodere.
“E’ per questo che se ne è andata, vero?”- domandai senza voce.
“Mi dispiace”-rispose affranto.
“Di certo non sei te quello che mi deve chiedere scusa. Lo sapevo che era una persona orribile, ma non fino a questo punto. Non diro’ niente, faro’ come se non fosse successo niente, tanto io sono brava a nascondere le cose. Non c’è problema.”-non potei fermarmi, non riuscivo a placare quelle brutte parole dentro di me. Uscirono da sole, come il giorno prima, a pranzo con mia madre. Il problema è sempre lei, sempre.
Sentii gli occhi riempirsi di lacrime, alzai gli occhi cercando di alleviare quella piena d’acqua che cresceva sempre piu’. Non riuscivo a fermarla, così mi voltai e uscii dalla riserva, correndo e inciampando come al mio solito. Uscita dal giardino di casa mia mi misi a correre quel poco che bastava per essere ad una distanza accettabile per non farmi vedere, scoppiai in lacrime. Ripensai a mia madre che usciva da quella porta con borsoni e indumenti appresso e mio padre in lacrime dietro di lei che la supplicava di restare per sua figlia, per me. Lei mi guardo’ a sua volta in lacrime e se ne ando’ senza dire niente. Esattamente dodici anni fa successe e me lo ricordo come fosse ieri. Mi ricordo i pianti di mio padre ogni singola notte, quando dentro al suo letto matrimoniale, troppo ampio e vuoto, sentiva la sua mancanza. Mi ricordo quando io per non farlo sentire solo mi accovacciavo accanto a lui sul letto, addormentandosi sfinito dai pianti. Poi un bel giorno mi porto’ al parco per farmi felice, ci divertimmo tantissimo. Anche se gli vomitai il mio bel gelato alla fragola sui pantaloni. Eravamo una forza insieme. Passai tutta la mia vita con lui, senza mia madre. Crescendo, mio padre mi racconto’ che la mamma se ne era andata perché aveva tanti problemi e non voleva coinvolgerci, così si era presa una pausa per risolvere tutto e che un bel giorno sarebbe tornata in famiglia con noi. Due anni dopo si sposa con Spencer e i sogni di mio padre e miei si frantumarono in mille pezzi. Ogni volta che Spencer e mia madre ci venivano a trovare vedevo mio padre soffrire come un cane. Da quel momento in poi mia madre è stata sempre un problema per me e l’ho incominciata ad odiare, fino ad odiare me stessa. Ma questo è il limite, se ne era andata perché non essendo soddisfatta di mio padre e di me, della sua famiglia, se ne andava da Jonathan a divertirsi e a fare quello che voleva. Cosa dovrei pensare ora di mia madre? Puo’ essere una madre questa? Puo’ essere una donna? Continuai a piangere silenziosamente, soffocando come al mio solito i lamenti dentro di me. Dovevo risolvere e chiarire una volta per tutte questa situazione. Mi alzai di scatto asciugando nel mentre gli occhi, feci un bel respiro e mi girai intorno cercando cio’ che avevo intenzione di trovare. Puntai il mio obiettivo, quella strada. Camminai a passo veloce e deciso verso quella stradina deserta. Entrai nel giardinetto a passo svelto, era bellissimo: il prato curato, le piantine colorate in ordine di colore e altezza. Sarà questo il posto giusto? Sì, ne ero sicura. Con agilità spaventosa, saltai due scalini alla volta zompando sulla veranda di legno che cigolo’ all’impatto dei miei piedi. Esitai per qualche istante consapevole di fare la terza cazzata in due giorni, ma dovevo farla. Poi mi promisi che non avrei fatto nessun’altra stupidaggine. Riempii i polmoni, buttai fuori e con decisione spinsi il bottone d’orato del campanello. Sentii avvicinarsi qualcuno. Speravo solo fosse lui . . .
  
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