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Autore: Tods    15/07/2012    8 recensioni
"A boy like that /Who'd kill your brother/Forget that boy/And find another"
E' un classico. La ragazza sbagliata che si innamora del ragazzo sbagliato.
Credevo che West Side Story fosse l'ultimo remake di Romeo e Giulietta. Ma devo ammettere che la mia vita ci si avvicina parecchio.
"I have a love and it's all that I have/Right or wrong, what else can I do?"
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Primo.

E’ andata malissimo, ne sono certa. E’ stato un completo disastro. E’ pure stupido andare a controllare, no? Ho fatto innervosire l’esaminatore, che c’è di peggio? Ho criticato il suo parrucchino, che idiota! Era davvero fatto male, però. Sembrava avesse in testa un gatto morto. Poco importa, Christa! Poco importa. Non avresti dovuto farglielo notare, visto che da quel esame dipendeva tutto il tuo futuro…
Oh be’, vada come vada, diamo un’occhiata a queste liste…
Mentre con una mano mi coprivo la faccia per evitare che qualcuno potesse riconoscermi, con l’altra cercavo a tastoni il mio telefono nella borsa. Dovevo chiamare mia madre. Dovevo chiamarla e fingermi sconvolta e sbigottita per non aver passato l’esame di ammissione a quella scuola privata tanto prestigiosa per cui avevo, o meglio, aveva, fatto domanda. Preparai anche qualche lacrimuccia finta, giusto per sciogliere il mascara e per farmi sembrare ancora più sconvolta.
“Oh, mamma! Mamma non ce l’ho fatta!” no, no, aspetta, meglio: “Oh, mamma, non ci crederai mai, non mi hanno presa!” no, no…”Oh, oddio…mamma…mamma non mi hanno presa! Mamma non riesco a crederci! Ero sicura di avercela fatta…ci ho messo anima e corpo…” Dio sì, perfetto.
Urtai un paio di ragazze con i capelli biondo barbie e la pelle lattea. Tsè. Brutte oche stupide. Sorridevano. Merda, scema e più scema erano passate ed io no? Mi coprii la faccia anche con la borsa.
Quando fui davanti alla lista, feci scorrere l’indice sui nomi in elenco alfabetico. Niente, come pensavo. Cara mamma, dicevam...ritornai sui miei passi e rilessi con più attenzione.
Quella che avevo stampata sulla faccia era una smorfia di puro terrore. Oh, santissima merda. Il mio nome era lì, nero su bianco, impossibile sbagliarsi. Non avevo omonimi in tutto il paese. Oserei dire in tutto il mondo. 
Rilessi il mio nome più e più volte. No, cazzo. No, merda. Se il mio nome è lì significa che sono passata. E se sono passata significa che tra due settimane partirò per andare in quella schifosa scuola del cavolo. E se vado in quella schifosa scuola del cavolo è sicuro come la morte che troverò mio fratello…
No, dovete capirmi, io detesto mio fratello. Lo detesto sul serio. Nonostante abbia solo due anni più di me gioca a fare il padre (sì, quello che ho non è sufficiente, secondo lui) e mi comanda a bacchetta. O meglio, questo era ciò che faceva due anni fa, prima di partire per andare in quella prestigiosa scuola del cavolo.
Ecco perché lo odiavo. Era troppo intelligente. E per questo, agli occhi dei miei genitori, io ero uno schifo completo. Ma ero passata, giusto? Non dovevo fare così schifo, se ero passata.
Le belle notizie potevano aspettare. Ributtai il cellulare nella borsa. Se non mi davo una mossa avrei fatto tardi all’esame che avrebbe condizionato davvero il mio futuro…
 
Due successi in un giorno.
Oh, Dio. Ci sto prendendo gusto, accidenti. Questa deve proprio essere la mia giornata.
Strinsi la patente tra le mani. Questa sì che era una bella notizia. Patente. Auto, presto. Libertà, finalmente. Tornai a casa felice come una Pasqua, così tanto che per un pelo mi dimenticai che dovevo tener conto alla Squadra-Di-Inquisizione-Familiare-Ovvero-Mia-Madre. Stavo già salendo in camera, pronta a chiamare la mia migliore amica Becky per dirle della patente, quando la mamma mi bloccò sulle scale con un:-Allora?
Feci una smorfia, e prima di voltarmi mi chiesi quale atteggiamento avrei dovuto adottare. Entusiasta? Disperata? Decisi di far finta di ignorare a cosa alludesse. Non una gran bella mossa, Christa, devi ammetterlo.
Mi voltai:-Allora cosa?
Come previsto, s’innervosì. Amavo farla innervosire. Mi piaceva guardarla accigliarsi come se non capissi qualcosa di ovvio. Mi veniva da sorridere ogni volta che, nell’istante prima che si accorgesse che la prendevo in giro, si grattava la testa cercando di capire dove aveva sbagliato. Sì, la mamma ha ragione. Sono uno schifo, e per quanto mio fratello possa essere odioso, messo in confronto con me è un angelo sceso dal cielo.
-L’esame.
-Oh, ho preso la patente.-Dio, le fumava il cervello. Se avessi avuto la vista a raggi-X sono sicura che avrei potuto vederlo prendersi a schiaffi. Le schiumava la bocca dalla rabbia(manco fosse un pitbull inferocito).
-Bene. Ne parleremo dopo. Voglio sapere dell’esame di ammissione.-mi ammonì, severa.-non fingere di averlo dimenticato.
Mi trattenni dal farle la linguaccia (cosa che non mi avrebbe giovato molto, vista la situazione) e mi limitai ad un’alzatina di spalle.
-Mi hanno presa.-prima che potesse elaborare la notizia mi voltai e salii le scale di corsa. Avevo paura, suppongo, che mi abbracciasse in lacrime. No, non fraintendetemi non la odio, e le non mi odia, ne sono consapevole. Così come sono consapevole che per lei, da tutta la vita, sono un’incredibile delusione. A lei non sembrava di chiedermi molto. Essere brava a scuola, fare danza classica tre ore al giorno, esercitarmi con il violino due ore al pomeriggio, e magari imparare una lingua. Cose da niente, insomma. Io, dal canto mio, non sapevo suonare nemmeno il triangolo, detestavo ballare ed a scuola mi sospendevano spesso e volentieri. Ero brava, per carità, almeno quello, ma rispondevo a tono ai professori (senza pentirmene mai, nemmeno dopo ore ed ore passate in Aula-Punizioni) e mi ‘distraevo con facilità disarmante’ (cito testuale la mia professoressa di letteratura).
Immaginai la mamma sola nel salotto sorridere come un’ebete. Per una volta, una, accidenti, avevo fatto ciò che desiderava. L’avevo resa orgogliosa di me.
Considerando che mio fratello non faceva altro da quando era su questo pianeta non era niente male come risultato. Era intelligente, spigliato, sportivo, bellissimo e perfetto. Dannazione…era…adorabile. 
E per questo, lo detestavo con tutta me stessa.
Mi buttai a peso morto sul letto e composi il numero di Becky. Bel lavoro, Christa. Complimenti. Attesi in linea qualche secondo.
-Pronto?
-Becks! Sono io.
-Woho!-sentii la sua voce alzarsi di due toni.-Allooora? Patente sì? Patente no?-Ehm, in realtà non era proprio tutta la vita che ne parlavamo (anche se lo sembrava, a sentirci). In realtà non eravamo amiche da tutta la vita, io e Becky. La conoscevo da un paio di anni, ed era la mia migliore amica perché…be’, in sostanza era l’unica persona che mi conosceva da più di due minuti e non mi detestava. Questo perché è la persona più straordinaria del mondo. Becks è una santa, sul serio. Ma una santa fica, non una di quelle ragazze sciapite tutte Casa-e-Chiesa. Becks si sa divertire alla grande, ma ha quel visino d’angelo, quella pagella innamorata, quella voce così dolce…Becky è perfetta quasi quanto mio fratello. Forse è per questo che le piace così tanto.
-Patente sì!-dissi con orgoglio. Lunga serie di strilli acutissimi che avrebbero messo a dura prova l’udito di mio nonno (che è praticamente sordo, per la cronaca)
-Oddio Christa è un sogno!-strillò ancora.-E la macchina?
Già, la macchina. Aspetta e spera.
-Mmh, in teoria ancora non ce l’ho. Ma credo che arriverà presto, perché, ehm…-breve pausa-..sai…
Me la figurai mentalmente contrarre il volto in un’espressione corrucciata.
-Oddio Christa-ripeté, ma con un tono completamente diverso.-Oddio Christa, no, non dirmi che…
Sospirai:-Sì, mi hanno presa.
Di quello sì, di quello parlavamo spesso, da un po’ di mesi. Dal giorno in cui mia madre mi aveva annunciato che aveva spedito la domanda per la scuola. Dal giorno in cui avevo cercato di scappare di casa in bicicletta e mi ero persa. Becky detestava l’idea di separarsi da me, ed io altrettanto, ma lei aveva scelto un’altra scuola privata, appena fuori città. 
-Oddio Christa, no…-aveva la voce rotta dal pianto. 
-No Becks, non piangere, dai. Ci sentiremo tuuutti i giorni, e ci vedremo tuuuutte le settimane.-Veniva da piangere anche a me. Nooo, Christa, ricaccia tutto dentro, da brava. Se piangi tu, chi le tirerà su il morale? Chi le dirà che è tutto okay?-Passo a casa tua verso le sei.
Chiusi la chiamata e mi girai sulla schiena. Il soffitto della mia stanza era tappezzato di post-it colorati. (Altra cosa che la mamma detestava e che perciò io adoravo)
“Ritirare camicetta dalla tintoria”, “Restituire calzini portafortuna a Becks”, “Scrivere relazione sulle guerre di secessione”, “Chiamare Jad”, “Consegnare ricerca sulla famiglia reale”..
Si accumulavano, giorno per giorno, gli uni sugli altri. Ero una procrastinatrice nata. Ciò che potevo evitare, lo evitavo. Ciò che non potevo evitare, lo rimandavo. E ciò che non potevo rimandare, be’ accidenti, quello ero costretta a farlo, ma lo facevo in maniera così superficiale e squallida che era quasi come se non l’avessi fatto. Ottima filosofia Christa, ottima davvero.
“Chiamare Jad” era su quel muro da settimane, sul serio. Era la cosa che rimandavo con più facilità ed assiduità. Roba che avrei preferito una sessione di shopping-coccole-pettegolezzi con mia madre, piuttosto che fare quella telefonata.
Giacché avevo il telefono in mano, però, tanto valeva che lo chiamassi, no? Così mi sarei tolta il pensiero. Giusto un: “Sono viva, sei vivo?” e poi non l’avrei sentito per almeno due settimane. Un piccoliiissimo sforzo Christa, dai. Credo in te. Ce la puoi fare.
Proprio prima che componessi il numero, sentii suonare il campanello. Papà!
-Allora? Dov’è la meravigliosa ragazza con la patente che tra due settimane va a…
Lanciai il telefono e corsi giù dalle scale urlando:-Papà!!
Sì, sono una cocca di papà, problemi? 
Mio padre era una forza, sul serio. Tutto il contrario della mamma. Papà era felice per la scuola, ma non come lei. A lui importava, ma non quanto a lei. E , cosa più importante, a lui interessava anche della patente. 
-Oh, bambina mia, sono così fiero di te...-mi scompigliò i capelli con una mano.
Sorrisi come una stupida. Quand’ero con mio padre ero così diversa…Christa la ribelle, Christa la pecora nera, Christa che non-vale-un-fico-spiaccicato, era Jamila.
Era bella. Bellissima. Jamila.
-Oh, Jamila…-sussurrò papà. Credo che sarei rimasta a farmi coccolare ancora un bel po’se, per purissimo caso, mentre papà mi faceva volteggiare tra le sue braccia, non avessi visto di sfuggita l’orologio. Le sei e cinque. 
Dannazione, ero in ritardo.
Come sempre.
E Becky si sarebbe infuriata.
Come sempre.
-Papà!! Mettimi giù, dai! Devo andare.
Lui non sembrò molto contento di lasciarmi andare, ma sapeva bene che Becky era l’unica amica che avessi, perciò in un certo senso doveva lasciarmi andare. 
-Ceno da Becky!-strillai, afferrando il cappotto, ed uscendo dalla porta d’ingresso che sbatté con un tonfo. 
*
Spazio autrice(lalala)
Et voilà! Eccomi qui, tornata con questa nuova FanFiction
appena cominciata (non preoccupatevi, intendo finire quella che già
scrivevo) 
Spero che questa storia non vi abbia delusi, perchè è completamente
diversa dalla precedente!! (inoltre questa è completamente
inedita a chiunque) 
Bene, è ancora all'inizio, e quindi non ho molto da dirvi, 
tranne che aggiornerò solo dopo aver ricevuto
almeno 4 recensioni (dato che l'altra FF la recensiscono
sempre le solite u.u) 
Credo molto in questa storia e voglio sapere cosa ne 
pensate.
:)
Els
p.s. il meraviglioso banner è stato gentilmente offerto da @ehitommo lalala
  
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