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Autore: avalon9    30/01/2007    1 recensioni
Gli youkai sono essere terribili: affascinano e uccidono. Sono esseri diversi. I ningen sono insignificanti, per uno youkai; creature semplici, irrazionali, che trascinano la vita senza comprenderla. Dei ningen gli youkai non si curano; li ignorano con superiore indifferenza.
Sesshomaru è youkai ed è orgoglioso della sua essenza. Ma un inverno, incontrerà una ningen e, da quel momento, la linea netta che separa uomini e demoni inizierà ad assotigliarsi.
Genere: Romantico, Malinconico, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Sesshoumaru
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 32

CAPITOLO 32

AIUTAMI

 

 

Il cucciolo ruzzolò nella neve. Si alzò, riprese la sua corsa e finì nuovamente in un mucchietto freddo e bianco. Rin gli si gettò sorridendo accanto, lo liberò dalla neve e lo prese in braccio. Le piaceva quel cucciolo, era un compagno di giochi infaticabile. Si divertiva a rincorrerlo, a gattonare con lui per il giardino innevato o nella sua stanza. Soprattutto, le piaceva quando giocavano a nascondino.

 

Era una presenza che le metteva allegria, che le faceva dimenticare la solitudine di certe giornate. Non sapeva il perchè, ma Sesshomaru era sempre impegnato e anche Alessandra non riusciva a trascorrere molto tempo con lei. Aveva già visto il suo signore preso da affari di palazzo, ma mai come in quelle settimane. E poi, c’era molta più gente al castello. Persone che non aveva mai visto. Inoltre, i giardini esterni erano stati chiusi. Al loro posto, adesso, c’era una distesa immensa di tende.

 

Prese in braccio il cucciolo e si avvicinò ad Ayame, inginocchiata nella neve. Le stava simpatica quella ragazza. E poi, le insegnava a parlare con il suo piccolo amico. Adesso, non le facevano più paura i lupi. Anche la ragazza era un lupo, ma non era cattiva. Era buona. E molto simpatica.

 

“Penso che domani potrai alzarti. Ma niente sforzi eccessivi”

 

Koga si voltò verso il medico. Alessandra si era presa cura personalmente di lui, durante quei tre giorni, e adesso lui stava molto meglio. Si richiuse il kimono e tornò a fissare lo sguardo sulla bimba e su Ayame. La yasha aveva creato un’intesa perfetta con Rin; erano complici in tutto, particolarmente si divertivano a esasperarlo. Non lo lasciavano riposare, lo volevano accudire fino quasi a farlo soffocare con le loro premure, lo costringevano a mangiare minestre e decotti che gli lasciavano sempre lo stomaco vuoto. Ma guai a obiettare: quelli erano gli ordini del medico e andavano eseguiti.

 

Alessandra, intanto, si era seduta sulla veranda e indugiava sulla neve cosparsa di mille impronte. Sarebbe dovuta tornare a studiare, perché era cosciente che solo preparandosi continuamente avrebbe potuto far fronte alle sue responsabilità. Per non deludere la fiducia che Sesshomaru aveva riposto in lei. Ma non subito. Non ce la faceva.

 

Il suo Principe…Era preoccupata per lui. Non ne avevano più parlato, anche perché il demone rientrava sempre tardissimo nei suoi appartamenti e lei non voleva disturbarlo. Questo però non evitava che lei si sentisse in agitazione. Era stato costretto a interrompere gli allenamenti. Un rischio. Perché l’ookami era stato chiaro: Sesshomaru non era in grado di combattere in campo aperto. L’allenamento non avrebbe potuto che giovargli, ma le condizioni di Koga non avrebbero permesso una ripresa almeno per una settima ancora.

 

“Andrai a cercarlo?”

 

La domanda la strappò ai suoi pensieri. Koga continuava ad accarezzare con gli occhi la figura di Ayame, che adesso stava insegnando a Rin cosa dire per richiamare il cucciolo. Gli occhi del demone erano di solito sfacciati, ma quando si posavano sulla ragazza mutavano profondamente. Erano dolci, languidi. Alessandra ripensò alle iridi vuote di Sesshomaru. Al suo viso altero e freddo, alla dolcezza di un sorriso che di rado gli increspava le labbra. Anche nei suoi sentimenti era sempre controllato. Eppure, lei era cosciente del fatto che in lui qualcosa era cambiato. Lentamente, si stava trasformando.

 

Sospirò. In quei tre giorni vederlo anche solo di sfuggita era stato quasi impossibile. Lo incrociava per i corridoi, lo intravedeva nella piazza d’armi o nell’accampamento. Ma sempre da lontano o quando era in compagnia di altri ufficiali. Avrebbe potuto andare da lui con una scusa, ma preferiva evitare le stanze pubbliche della corte. Il disprezzo e l’invidia nei suoi confronti si facevano sempre più palpabili. Le ignorava, ma non poteva non vedere le occhiate ambigue che le demoni del palazzo le rivolgevano.

 

Le voci circolavano ancora, e Alessandra si sentiva anche un po’ colpevole perché aveva ceduto al demone, e dormiva con lui ogni volta che potevano. Era ridicolo, eppure non poteva evitare di sentirsi in imbarazzo. Non facevano nulla di male o di compromettente. Semplicemente, parlavano avvolti dalla notte o si saziavano dei rispettivi silenzi. Nulla di più.

 

Era stanca di quella situazione. La sopportava e l’avrebbe sopportata ancora, ma non poteva evitare quel senso di fastidio che le cresceva dentro. Lì, lei era meno di niente. Un oggetto agli occhi dei più. Quello che provava, quel sentimento dolce e intenso che le faceva battere il cuore…quello era un qualcosa di proibito fra quelle mura. Aveva colto frammenti di dialoghi fra cortigiani, e quello che aveva capito non le era piaciuto molto. Anche se era l’archiatra, la sua presenza era tollerata appena. E quel disprezzo era dovuto solo al fatto che era umana. Solo per quel motivo.

 

Poi, aveva sentito di un errore. Commesso dal padre di Sesshomaru. Un errore che adesso si temeva che il figlio ripetesse. Si passò una mano fra i capelli. Troppe domande. Mal di testa. Cosa doveva fare? Ignorare tutto e vivere concentrata solo su di lui o cercare quelle risposte? Anche a costo di sentire cose di cui poi si sarebbe pentita?

 

L’esclamazione di Koga la svegliò dalle sue riflessioni. Non gli aveva neanche risposto. E lui non aveva insistito. Lo osservò mentre cercava di liberarsi del cucciolo e di Rin, che gli era saltata addosso e cercava di convincerlo a uscire in giardino.

 

Era strano vedere la bimba abbracciare e scherzare con l’ookami. Ma era anche un segno positivo: voleva dire che non lo temeva più. Che aveva vinto la sua paura. Alessandra ricordava bene come, tre sere prima, Sesshomaru si fosse infilato nel suo letto a notte inoltrata. L’aveva spaventata, perché non lo aveva sentito entrare, avvolta dal sonno. Il demone si era limitato a stendersi accanto a lei e per svariato tempo non aveva parlato. Sembrava intento a costruire parole nella sua mente, per riuscire a esprimersi. Quando Alessandra gli vedeva quell’espressione seria e immutabile sul viso, poteva significare solo due cose: rimproveri in vista o si stava preparando a parlare.

 

Alla fine, il demone le aveva raccontato la storia di Rin, di come l’avesse salvata dalla morte e della paura della bimba per i lupi. E le aveva spiegato anche il ruolo di Koga in tutta quella vicenda. Alessandra lo aveva ascoltato, con interesse sempre maggiore. Solo in quel momento aveva capito perché Sesshomaru gli aveva precluso i giardini interni. Lo aveva fatto per Rin, per proteggerla. Ma adesso, le stava chiedendo di aiutare la bimba a vincere quella paura.

 

Quello era stato l’ultimo momento intimo che avevano avuto. Un momento in cui il bel demone le si era mostrato sotto una luce nuova, quella del ragazzo preoccupato per la bimba che proteggeva, del ragazzo maturo, cresciuto troppo in fretta, e forse per questo incerto delle sue decisioni, delle sue azioni. Le si era mostrato fragile. Come era stato fragile il primo bacio che le aveva dato.

 

La mattina dopo, Alessandra aveva preso per mano Rin e l’aveva portata nella stanza di Koga. Nel vederlo, la bambina aveva spalancato gli occhi, impaurita, e si era nascosta dietro alla ragazza. Il suo signore l’aveva svegliata con dolcezza, dicendole che quel girono avrebbe dovuto sostenere una prova difficile, ma che lui era sicuro che l’avrebbe superata. Rin si era spaventata, e prima di seguire la ragazza si era voltata a guardarlo, morsicchiandosi un dito per cercare di calmare la paura. Sembrava ancora più piccola e fragile del solito. Stupendosi di se stesso, Sesshomaru le si era inginocchiato davanti. Aveva percepito la sua paura, e aveva immaginato i suoi occhi dilatati. Avrebbe voluto essere presente, ma non poteva. Riunioni e impegni glielo impedivano, e Jacken era lì apposta per ricordarglielo.

 

Lo tranquillizzava solo il pensiero che con la bimba ci fosse Alessandra. Le aveva accarezzato la testolina, spostandole un po’ la frangia, e le aveva dato un bacio in fronte. Un contatto quasi impercettibile, di cui lo stesso demone si era sorpreso. Lui non ricordava di aver mai ricevuto un bacio simile. O forse, glielo avevano dato che era ancora molto piccolo. Però, quel gesto gli era venuto spontaneo. Anche se non lo voleva ammettere, quella bimba era come una figlia per lui. Qualcuno su cui aveva riversato tutto l’affetto e l’amore che la morte di suo padre avevano congelato. In un modo freddo e distaccato, certo, come solo lui sapeva amare, nascondendo i sentimenti anche a se stesso. Ma non importava. Le voleva bene.

 

Koga aveva alzato gli occhi quando aveva sentito Alessandra entrare e poi aveva riconosciuto la bambina seminascosta dietro di lei. L’aveva già vista, in un villaggio, e poi in compagnia del demone. Ginta e Hakkaku gli avevano raccontato che alcuni suoi lupi l’avevano attaccata e uccisa e quelle parole gli avevano anche chiarito il motivo dello sguardo ostile che Sesshomaru gli aveva rivolto la prima volta che si erano visti. In quel momento gli fu chiaro anche il perchè del divieto di accedere ai giardini, anche se faticava a credere che una persona fredda e insensibile come si presentava il Principe avesse dato quell’ordine solo per evitare che la bimba potesse spaventarsi.

 

Alessandra aveva sussurrato qualcosa all’orecchio di Rin, che gli si era avvicinata. Lui aveva cercato di sorridere rassicurate, ma involontariamente aveva mostrato i canini appuntiti e Rin si era ritratta. Per istinto. E Koga aveva abbassato confuso lo sguardo. In fondo, era il responsabile del male che i suoi lupi le avevano fatto. Anche se a quel tempo non gli importava nulla dei ningen, dopo l’incontro con Kagome era cambiato. E il sapere che quella bambina, che stava accanto a Sesshomaru senza alcun timore, avesse paura di lui non lo riempiva per nulla di orgoglio.

 

“Che cos’è?”

 

Rin era stata attirata dall’involto che il demone aveva fra le braccia. Si muoveva in modo strano, di tanto in tanto. Glielo aveva appena portato Ayame, ma lui si era dimenticato anche di averlo.

 

“Un povero orfanello. Sua madre è stata uccisa nello scontro dell’altro giorno”

 

Aveva aperto il fagotto e mostrato alla bambina un cucciolo morbidissimo di un bel colore bianco, con due occhi gialli piccoli. Guaiva piano, agitando nell’aria le zampe ancora morbide. Rin lo fissava seria. Era un cucciolo di lupo. Bello come non ne aveva mai visti, sembrava un pupazzo con tutto quel pelo arruffato. Aveva allungato la mano fino a sfiorargli il musetto e poi l’aveva ritratta con un sorriso, quando gli aveva sentito il nasino umido.

 

La mente di Koga era stata attraversata da un pensiero strano, ma che gli aveva messo addosso un’eccitazione incredibile.

 

“Lo vuoi?” le aveva domandato con un sorriso invitante. “Se gli vorrai bene ti si affezionerà come un essere umano e sarà il tuo compagno di giochi”

 

Rin aveva guardato prima Alessandra, poi il ragazzo e infine si era concentrata di nuovo sul cucciolo. Un sorriso le aveva attraversato le labbra. Se quel demone stringeva così piano quel lupacchiotto, non poteva essere davvero cattivo. Forse, non era vero che tutti i lupi sono cattivi, forse lui aveva fatto quello che aveva fatto perché costretto. Non ci credeva davvero, perché aveva visto tante volte il suo signore uccidere, ma non per questo aveva avuto paura di Sesshomaru. In fondo, se ora lei era con il demone in parte lo doveva al ragazzo seduto davanti a lei.

 

Koga le aveva passato una mano attorno alla vita e l’aveva fatta sedere contro il suo petto. Rin non si era opposta, incantata a osservare i movimenti giocosi del cucciolo. Glielo aveva messo sulle ginocchia e la bimba aveva iniziato ad accarezzarlo timidamente. Il lupacchiotto si era mosso un po’, ma Koga gli aveva detto qualcosa e lui si era rilassato sotto la mano leggera che gli grattava le orecchie.

 

“Davvero posso tenerlo?”

 

“È tuo” le aveva risposto il ragazzo. “Ma dovrai accudirlo. Prendeva ancora il latte da sua madre. E poi, Sesshomaru deve essere d’accordo”. Aveva scambiato un’occhiata con Alessandra, ancora ferma vicino alla porta, a cercare il suo permesso. Come se un cenno della ragazza equivalesse alla volontà dell’inuyoukai. Lei aveva sorriso e assentito col capo.

 

Koga aveva liberato un sospiro e aveva inclinato un po’ la testa di lato. Poteva vedere il profilo dolce di Rin, con le labbra piegate in un sorriso contento.

 

“Ti piace?”

 

In risposta, si era sentito abbracciare stretto e ringraziare, con una voce che era quasi una cantilena. Una bambina…quella bambina…lo stava abbracciando. Aveva dimenticato tutto il dolore che gli aveva fatto. E lo abbracciava. Forse era riuscito a capire perché il Principe se la fosse portata dietro così a lungo.

 

“Stai male? Alessandra?”

 

La mano sulla spalla la costrinse a trasalire. Koga si era seduto accanto a lei, sulla veranda, mentre Rin era tornata in giardino. Non si era nemmeno accorta che fosse uscita. Si passò una mano sugli occhi e sospirò. Sì. Stava male. Le faceva male il pensiero del Principe in pericolo costante, la faceva preoccupare il fatto che non conoscesse le armi da fuoco e che non fosse in grado di difendersi in uno scontro. Le faceva male che lui non si confidasse con lei, che la mettesse al corrente di quanto avveniva solo quando ormai era troppo tardi per cambiare le cose. Le faceva male non averlo vicino.

 

Ma mentì. Perché comunque non era abituata a lasciarsi andare davanti ad altri. Anche lei, in fondo, si teneva dentro tutto, senza mai mostrare apertamente le sue emozioni. Forse era per questo che loro due si capivano così bene. Avevano un atteggiamento molto simile. Freddo e determinato, ma dentro potevano essere fragili come il cristallo.

 

Sesshomaru fragile…Sto delirando…

 

“No. Va tutto bene”.

 

Prese un respiro profondo e lo fissò nelle iridi azzurre. A Koga non piacque quello sguardo. Perché sapeva cosa gli stesse chiedendo. E proprio non gli piaceva. Ma sapeva anche che ormai la ragazza era risoluta.

 

Abbassò la testa e un sorriso ironico gli piegò le labbra.

 

“Spero solo che Sesshomaru non mi ammazzi, quando lo scopre”

 

*****

 

“Accidenti a quel vecchiaccio!”

 

Inuyasha saltò l’ultimo tratto scosceso e atterrò nella neve, facendo scendere Kagome dalle sue spalle. Si era rimesso completamente, ma ormai era da più di un mese che la spada continuava a pulsare. E se prima riusciva a percepirlo solo lui, adesso il suo movimento era visibile anche ai suoi amici.

 

Aveva sperato che Totosai conoscesse le risposte a quello strano comportamento. In definitiva, quella katana l’aveva costruita lui. Voleva chiedergli spiegazioni, anche riguardo al fatto che aveva rischiato di trasformarsi senza un vero motivo. Tanto più che Tessaiga l’aveva al fianco. Per fortuna che era stato solo un episodio isolato. Non gli era più successo. Anche se un residuo di preoccupazione si era depositato nel suo animo. Avrebbe voluto delle risposte dal fabbro, ma non lo aveva trovato. Sparito chissà dove.

 

Il suono di uno schiaffo lo vece voltare verso Kagome. La sua Kagome. L’amava. Glielo aveva detto e non passava giorno che se lo ripetesse. L’amava. Era la prima cosa bella che la sua vita gli avesse donato. Era stato felice con Kikyo, ma la miko tendeva a soffocarlo, a fargli reprimere il suo lato demoniaco. Sapeva essere dolce, ma anche molto fredda. Kagome invece era sempre allegra, lo riscaldava con i suoi sorrisi e anche quando litigavano sapevano entrambi che poi comunque avrebbero fatto pace.

 

L’amava. E lei era sua. Ricordava perfettamente la faccia allibita dei suoi amici quando, di ritorno dall’epoca della ragazza, lei aveva dichiarato che era la sua donna. Aveva detto proprio così. Non che l’amava o che era la sua ragazza. Aveva detto che era la sua donna. Sua, e di nessun altro. L’aveva solo baciata, eppure sentiva di appartenerle del tutto. Stregato dalla sua dolcezza.

 

C’era voluta una buona dose di pazienza per mettere a tacere le allusioni e le domande indiscrete di Miroku. Quando voleva, quel bonzo era più seccante di Shippo. Però, l’ultima osservazione gli aveva messo tristezza. Il monaco aveva pronunciato il nome di Sesshomaru, con leggerezza, sottolineando una vittoria di razza: il demone puro battuto di nuovo! Suo fratello si era innamorato! Qualcosa che lui non sapeva neanche cosa fosse!

 

Ad Inuyasha non era piaciuto il riferimento. Anche perchè da qualche tempo sentiva la mancanza di qualcosa. Una mancanza che neanche Kagome riusciva a riempire. Perché lei era il futuro, mentre lui avrebbe voluto conoscere il passato. E l’unico che gliene avrebbe potuto parlare, era più propenso a ucciderlo che a conversare con lui.

 

“Inuyasha! Forse lui ti può dare qualche risposta”

 

L’hanyou fissò la mano della ragazza. Myoga scuoteva la testa calva, riprendendosi dalla sberla. Già…lui era stato al servizio di suo padre. Se il pulsare di Tessaiga aveva una motivazione lui la doveva conoscere. A quella domanda il demone-pulce cercò di sottrarsi, ma il ragazzo non apprezzò i suoi giri di parole. Alla fine Myoga fu costretto a rivelare quello che sapeva. Poco in verità, e quasi di nessuna utilità

 

Da qualche tempo aveva sentito un’aura maligna nuova, che si diffondeva su tutti i territori e che aveva il suo fulcro verso Ovest. Non avrebbe potuto giurarlo, ma quello youki assomigliava a quello di un grande demone che Inutaisho aveva sconfitto molti secoli addietro, prima ancora che Sesshomaru nascesse. Un demone potentissimo, relegato sul Continente e impossibilitato a tornare. Quella era l’unica cosa anormale che si era verificata, e forse Tessaiga aveva reagito a quel potere, come aveva reagito anche al risveglio di Sounga. Però, non riusciva a spiegarsi il morivo della trasformazione. Il padrone non gli aveva mai detto nulla al riguardo: Tessaiga era il freno del sangue demoniaco, con lei accanto il ragazzo non doveva temere di trasformarsi in un youkai completo.

 

Quanto al pulsare della spada e al fatto che sembrasse reagire a un richiamo come quando era ricomparsa Sounga, ci sarebbe stata conferma del fatto che tutto fosse da collegarsi a quell’youki solo se anche Tenseiga si stesse comportando così. Cosa impossibile da verificare. Inuyasha non incrociava il fratello da più di sei mesi. Non sapeva nulla di lui.

 

Rientrarono a Musashi che il tramonto incendiava il cielo. Prima di arrivare al villaggio, però, Inuyasha si allontanò verso il Goshinboku. Aveva bisogno di riflettere, da solo. Ma Kagome lo seguì ugualmente, di nascosto. Non le piaceva che si tenesse tutto dentro. Che c’era a fare lei, allora, se non lo poteva aiutare?

 

Lo raggiunse che era seduto ai piedi dell’albero. Accarezzava la spada, come se fosse il viso di una persona cara. In fondo, quello era tutto ciò che gli restava del padre. Non sapeva come fosse, se mai fosse stato orgoglioso di lui. Di avere un figlio mezzo-demone. Non sapeva se somigliava di più a lui o al fratello. Lo aveva visto solo una volta, in spirito. Avvolto da una luce azzurra che confondeva i suoi lineamenti. Ma per quello che aveva potuto distinguere, da lui aveva preso poco: i capelli e gli occhi probabilmente. Sesshomaru invece era il suo ritratto, solo più giovane. Con i tratti che ancora indulgevano all’adolescenza.

 

Gli sarebbe piaciuto sapere qualcosa in più di lui. Sapere come fosse veramente, sapere quanto aveva amato sua madre e se davvero per lui non c’erano mai state differenze fra youkai e hanyou. In definitiva, Sesshomaru era il figlio che ogni padre avrebbe voluto avere. Forte, determinato, sicuro di sé…Capace di ricoprire in modo perfetto il compito che la nascita gli imponeva. Una persona affidabile, insomma. Non come lui. Debole. In balia di sentimenti umani.

 

“Com’era mio padre?”

 

Kagome gli sedette accanto, e appoggiò la testa alla sua spalla. Era difficile rispondere alla sua domanda. Però, la capiva bene. Anche suo fratello le faceva spesso domande riguardo al loro papà. Era morto che Sota era ancora piccolo, troppo perché potesse ricordarlo. E allora Kagome gli raccontava quello che ricordava lei: sensazioni, più che immagini definite, ma che rapivano il fratellino, trasportandolo in un universo fantastico in cui lui poteva ritrovarlo, immaginarselo, renderlo concreto. E ogni volta, bisognava aggiungere particolari, perché il bambino non ne era mai sazio.

 

Inuyasha invece non aveva nulla di tutto quello. Sua madre era morta che lui era ancora piccolo, prima che la sua testolina iniziasse a elaborare domande e dubbi che andavano oltre la realtà che lo circondava. Aveva solo un ricordo confuso delle parole con cui Izayoi gli aveva descritto il padre. E quando le domande si erano presentate, non c’era stato nessuno a dargli risposte. Aveva ragione suo fratello, dannazione. Lui era cresciuto nell’ignoranza. Non sapeva nulla. Non aveva radici. Non aveva passato.

 

“Io penso che tuo padre fosse una persona gentile. E che ti volesse bene”

 

Inuyasha appoggiò la sua testa a quella della ragazza, e Kagome gli abbracciò un braccio. Aveva freddo, seduta ai piedi dell’albero secolare, ma non voleva andarsene. Stava bene con lui, vicino a lui. Non riusciva a pensare a una vita senza l’hanyou, alla quotidianità amorfa e normale.

 

“Tu dici?”

 

Lo sbirciò, alzando appena la testa. L’ambra del ragazzo era attraversata da sfumature tristi, malinconiche e anche dal volto emanava una solitudine e una rassegnazione esasperata. Avrebbe voluto sapere, e non poteva chiedere. Non gli interessava conoscere il grande demone, il signore vittorioso e capace di assoggettare territori immensi. Myoga gliene aveva parlato fino alla nausea. No. Non voleva conoscere il condottiero, voleva conoscere il demone. Lui solo. Nella sua natura. Nel suo essere padre.

 

“Sì. E credo anche che fosse molto orgoglioso e testardo.

 

L’hanyou la guardò un po’ sorpreso. Da dove le veniva quella sicurezza? Perché c’era questo nella voce della ragazza: la certezza di aver detto una cosa giusta. Quasi elementare. Ma che lui proprio non riusciva a capire. Doveva avere un’espressione davvero buffa, con una mano nei capelli, a massaggiarsi la testa e lo sguardo perso di chi rincorre un concetto che continua a fuggire, tanto che Kagome non potè evitare una risata leggera, che prima lo mise in imbarazzo e poi lo fece arrabbiare. Cosa aveva da ridere, poi? Anche a lui sarebbe piaciuto essere altrettanto sicuro. Visto che lei lo era, gli spiegasse le motivazioni della sua certezza.

 

Dopo che la ragazza gliele ebbe dette, avrebbe preferito non saperle: sosteneva infatti che doveva averle presi per forza dal padre l’orgoglio e la testardaggine che lo caratterizzavano. Non le sembravano proprio caratteristiche di una donna come le era sempre stata descritta la madre di Inuyasha. E poi, a conferma delle sue teorie, c’era il fatto che anche Sesshomaru aveva le stesse “qualità”. Magari le nascondeva sotto uno strato di ghiaccio, ma c’erano.

 

Il ragionamento filava. Inuyasha dovette ammetterlo: lui e suo fratello possedevano una cocciutaggine incredibile, e un orgoglio indomabile. Uguale. Come i loro occhi. Quelli di loro padre. Aveva ragione Kagome, accidenti a lei. Ma non gli andava. Le diede le spalle, fingendosi arrabbiato e quando la sentì sporgersi maggiormente verso di lui, si girò all’improvviso e la baciò, rovesciandola nella neve. La ragazza si era lasciata travolgere dal ragazzo, dalla passione di quel contatto e dal calore del suo corpo.

 

Ma quando si staccò, invece del viso della ragazza, l’hanyou vide solo del bianco. Freddo. Neve. Gli aveva tirato una manciata di neve negli occhi ed era scivolata via, da sotto di lui, rintandosi dietro all’albero. Faceva capolino ogni tanto, per cercare di colpirlo con una nuova palla. Alla fine Inuyasha fu costretto a decretare la resa, lasciandosi cadere a terra, fradicio e sudato. E allora Kagome uscì dal suo riparo, bagnata anche lei: aveva lanciato molte palle di neve, ma ne aveva ricevute altrettante. Il suo respiro si condensava in novelle bianche che dileguavano in pochi istanti.

 

Cominciava a fare più freddo, e la sera portava con sé un vento bagnato che penetrava nelle ossa facendo rabbrividire. La vide tremare e strofinarsi le mani rosse per il freddo. Non voleva che si ammalasse, così l’avvolse nella veste del suo kimono. Lui non correva certo il rischio di beccarsi una polmonite. Ma lei sì. L’abbracciò stretta. Un ultima volta, prima di tornare dagli scalmanati, al villaggio.

 

Il vento gli portò un odore strano, conosciuto. Un odore che non si sarebbe mai aspettato di sentire lì. Sciolse Kagome dal suo abbraccio e si voltò in direzione del villaggio. Possibile che si fosse sbagliato? Che il naso gli avesse giocato un brutto scherzo? Stava per convincersene, quando avvertì l’eco di un colpo. Un rumore familiare: il frastuono dell’Hiraikotsu di Sango.

 

*****

 

“Aiutami”

 

L’aveva di fronte. Una ragazza. Una ragazza umana. Lo capiva dall’odore. Si era precipitato al villaggio con Kagome, temendo un attacco e invece aveva trovato qualcuno di sconosciuto. Quella ningen, che lo aveva fissato negli occhi appena era arrivato. Per alcuni istanti lo aveva osservato. Sembrava sorpresa. Quasi incredula. Poi, gli occhi blu erano stati attraversati da un bagliore. Ora erano tristi, imploranti. L’aveva vista prendere un respiro profondo e fissarlo di nuovo.

 

Una sola parola. Solo quella era uscita dalle sue labbra. L’aveva solo ascoltata. Non l’aveva capita. Troppo sorpreso di trovarsela davanti. Aveva percepito l’odore di suo fratello, mescolato al vento della sera. L’odore di Sesshomaru. E si era precipitato al villaggio. Il demone non aveva mai attaccato Musashi, ma nulla glielo avrebbe mai impedito in realtà. Se poi voleva un confronto diretto con lui, lì era il primo posto dove cercarlo.

 

Tuttavia, adesso la sua spada era puntata non contro un’youkai, ma contro una ragazza. Una semplice ragazza da cui non emanava nessuna forza. Una normalissima ningen. Anzi, forse proprio non del tutto normale, visto che aveva addosso l’odore di Sesshomaru e accanto a lei Ah-Un muoveva le teste con fare minaccioso, soffiando aria dalle froghe.

 

Alessandra accarezzò il collo del drago bicefalo, che si rilassò al suo tocco. Era abituato alla sua presenza. Le obbediva come aveva sempre obbedito al suo signore. Forse, lui solo dei demoni al castello aveva percepito il filo che legava la ningen e l’youkai. Solo lui, affidandosi all’istinto. All’odore della ragazza, cui si mescolava quello di Sesshomaru. Alessandra lo aveva scelto come cavalcatura perché con lui aveva più confidenza ed era molto resistente. Prendere il suo cavallo sarebbe stato un rischio. Anche perchè non sapeva esattamente la distanza fra il palazzo e il villaggio e non era sicura che sarebbe riuscita a ritrovare la strada. Ah-Un, invece, sarebbe stato sempre in grado di riportarla a palazzo. Da lui.

 

Era arrivata nel villaggio scatenando il panico: l’avevano scambiata per un demone, per i suoi capelli e il suo compagno di viaggio. E l’avevano attaccata. Due ragazzi. Era sfuggita loro solo grazie alla prontezza di riflessi del drago. Poi, tutto si era congelato. E lei era ancora immobile, e fissava con trepidazione il ragazzo che aveva davanti.

 

Si era materializzato all’improvviso, fendendo la folla. Aveva letto sul suo volto stupore, sorpresa. E adesso sospetto. Non sapeva neanche come si chiamasse, ma non aveva dubbi. Era lui. Lunghi capelli color della luna, due piccole orecchie canine e occhi dal taglio dolce, espressivi. Occhi d’ambra.

 

Era partita senza neanche farsi dire il suo nome o una descrizione. Non ci aveva pensato. Aveva concentrato tutta se stessa nell’elaborare un piano che le permettesse di allontanarsi senza che il demone lo scoprisse. Aveva coinvolto Koga e Ayame, ed era certa che per almeno due giorni le scuse avrebbero retto. D’altro canto, il suo odore residuo sarebbe stato sufficiente a confondere Sesshomaru. Almeno per un po’.

 

Adesso, però, sapeva di essere arrivata. Lo aveva trovato. Non aveva dubbi. Lo aveva capito dagli occhi. Lo stesso colore. La stessa ombra triste intrappolata nelle loro sfumature d’oro. Ma anche un atteggiamento più estroverso. Più aggressivo, forse. Tuttavia, se lo avesse visto da lontano, avrebbe potuto davvero scambiarlo per Sesshomaru; la somiglianza era incredibile.

 

Continuava a fissarla. A scrutarla con i suoi occhi. Interrogativo. Sospettoso. Forse la credeva un demone. Forse temeva un inganno. Altrimenti, non capiva il motivo di tanta ostilità. Sentiva gli occhi e i mormorii delle persone che li circondavano. Viveva in un villaggio. In questo, differiva dal Principe. Lui non si sarebbe mai abbassato a condividere la sua presenza con dei ningen, con degli essere inferiori. Sospirò. Non era il momento di pensare al suo rapporto ambiguo con lui. Era il momento di aiutarlo invece. Per quello era lì.

 

Stava aspettando una reazione. Una reazione qualsiasi da parte di quel ragazzo. Qualsiasi cosa. Per capire cosa dovesse aspettarsi. Una voce attirò la sua attenzione. Incredulità. Impossibilità a capacitarsi. C’era sorpresa e sconcerto in quella voce. Ma anche lei si sentiva uguale. Perché aveva distinto una parola inaspettata. Inattesa. Aveva sentito il suo nome.

 

“Alessandra?...”

 

*****

 

Freddo.

Fuori dalla piccola casa, un vento gelido piegava i rami degli alberi, trascinava foglie secche e frammenti di ghiaccio. Mulinelli leggeri e luccicanti. Nessun suono. Nessun odore. Solo quello bagnato dell’aria. Mentre dense nubi scure cancellavano le stelle e la sottile falce di luna. Ombre. Ombre. Riverberi. Chiazze chiare e scure. Altalena. Dondolio. Tremito lieve.

 

Inuyasha chiuse gli occhi. Sentiva sotto di sé il tepore del fuoco. Ma nessuna voce. Dovevano essersi addormentati. Erano tutti stanchi. Per le emozioni e le sorprese di quella giornata. Lui però non era voluto restare. Aveva molto cui pensare.

 

Nella casa, c’era anche lei. Quella ragazza. Kagome la conosceva. Veniva dal suo tempo, aveva detto, dal mondo oltre il pozzo. Anche se non era riuscita a spiegare come avesse fatto a raggiungere l’epoca Sengoku. Semplicemente, si era svegliata lì. Da sola.

 

Era stata fortunata. Era ancora viva, benché quel tempo non fosse privo di pericoli, nuovi e inaspettati per una ragazza di un altro mondo. Guerre, briganti, ningen ostili e arroganti e…demoni. Soprattutto demoni. Come suo fratello.

 

Non riusciva ancora a crederlo possibile. Alessandra aveva incontrato Sesshomaru; anzi, viveva con lui da più di quattro mesi. Ed era ancora viva. Viva! Non riusciva a capacitarsene. Suo fratello…suo fratello che si abbassa a convivere con un ningen, che viaggia con lei, che sopporta la sua determinazione. Perché quella ragazza determinata lo era: lo aveva capito alla prima occhiata. Quando gli aveva piantato in faccia i suoi occhi. Strani, che mutavano a seconda dalla luce: azzurri, blu, neri. Uno sguardo di supplica, ma privo di paura.

 

L’avevano invitata nella casa di Kaede. Perché raccontasse loro di che aiuto necessitava. In un primo momento, l’hanyou aveva pensato che volesse esser nascosta da Sesshomaru. Che suo fratello le avesse fatto del male, la tenesse prigioniera e lei fosse riuscita a scappare solo per pura fortuna. E che si fosse trovata lì per caso. A quella richiesta avrebbe acconsentito. Anche se significava venir nuovamente alle mani con il demone. Anche se avrebbe potuto voler dire mettere in pericolo Kagome e i suoi amici. Ma non se la sarebbe sentita di lasciare la ragazza in balia dell’youkai.

 

Invece…invece, la realtà era ben diversa. E lui non riusciva ad accettarla. O più probabilmente, non riusciva a crederla possibile. Alessandra era venuto a cercarlo di sua spontanea volontà. Era vero che aveva bisogno di aiuto, ma non per se stessa: gli aveva chiesto di aiutare Sesshomaru. Era stata un po’ parca di spiegazioni, in verità, limitandosi a rivelare che l’youkai era stato coinvolto in una guerra che al momento si concretizzava solo in scontri brevi e che necessitava di un adeguato avversario negli allenamenti. Inuyasha aveva pensato ad una trappola. Da quando suo fratello aveva bisogno di un compagno di allenamento? E poi, chi lo riteneva all’altezza di quel ruolo? L’inuyoukai no di certo. Lo aveva sempre disprezzato.

 

Alessandra si era morsa le labbra. Non voleva esser costretta a rivelare troppo. Almeno, finchè non avesse conosciuto la risposta dell’hanyou. Solo allora gli avrebbe detto della cecità di Sesshomaru. Perché aveva paura che il ragazzo ne avrebbe potuto altrimenti approfittare a svantaggio del Principe.

 

All’inizio, quando aveva saputo da Koga che Sesshomaru aveva un fratello, le era sembrato strano che il bel demone non lo avesse convocato a palazzo perché lo aiutasse. Va bene che era lui l’erede, ma davvero poteva essere così orgoglioso da rifiutare anche l’aiuto di un consanguineo? Poi, quando lo aveva incontrato, aveva capito tutto. Era un hanyou, un mezzo-demone. E Sesshomaru li disprezzava. Come disprezzava i ningen. Ecco perchè non gliene aveva mai parlato. Ecco perché non lo aveva fatto cercare.

 

Nuovo scoglio da affrontare. Se anche Inuyasha avesse acconsentito, poi ci sarebbe stato Sesshomaru da convincere. E conoscendolo, Alessandra sapeva che non sarebbe stata un’impresa semplice. Tuttavia, aveva deciso di affrontare un problema alla volta. Prima di tutto: convincere il ragazzo a seguirla a palazzo. Nella tana del lupo.

 

Le aveva risposto di no. Subito. Senza ripensamenti o tentennamenti. Ma anche con un po’ di malinconia nella voce. Come se rifiutare gli costasse tanto. Fosse una violenza contro se stesso. Le era sembrato un po’ strano il suo comportamento. Va bene che era un hanyou, ma erano pur sempre fratelli. Possibile che la razza li dividesse tanto? Lo aveva fermato prima che uscisse dalla stanza. Gli si era parata davanti, fissandolo dura negli occhi. Voleva sapere il perché. Non le bastava un semplice rifiuto. Lo aveva scrutato per un po’, ma poi era stata costretta a fargli la domanda. Era diverso da Sesshomaru, lui non le riusciva a leggere gli occhi. Non riuscivano a parlare col silenzio.

 

Inuyasha le aveva detto di no e si era alzato per andarsene. Ma se l’era trovata davanti. Gli impediva di uscire. E lo guardava. Fisso. Dritto negli occhi. Con quegli occhi cangianti che adesso assomigliavano tanto a quelli del fratello. Possibile che quella fosse una ragazza umana? Neanche Kagome o Kikyo gli avevano mai rivolto un simile sguardo. Sembrava volergli bucare l’anima. Prenderla e leggerla fin ne profondo. Era una sguardo freddo, quasi rabbioso. Lo sguardo si suo fratello quando si trovavano a parlare di loro padre. Quando l’youkai gli esprimeva tutto il suo disappunto e il suo disprezzo.

 

Aveva sostenuto lo sguardo con fierezza. Cosa voleva sapere ancora? Le aveva già risposto. E aveva detto no. Chiaro. Conciso. Secco. Perché…perché…Non lo sapeva neanche lui il motivo. In realtà, avrebbe voluto urlare di sì. Che era pronto a farlo, ad aiutarlo. Che sarebbe stato il suo compagno di allenamenti. Ma aveva detto no. E adesso si sentiva chiedere ragione del suo rifiuto.

 

“Perché non mi accetterebbe mai”

 

Quella risposta…Gli rimbombava ancora nella testa. E gli faceva male. Dannatamente male. Perché era la verità. Sesshomaru non lo aveva cercato. Era minacciato da una guerra, ma non aveva chiesto il suo aiuto. Quello di suo fratello. Aveva preferito affidarsi ai suoi alleati. Era quasi propenso a credere che piuttosto che rivolgersi a lui, avrebbe contattato Naraku. Andava bene anche un subdolo hanyou come lui. Andavano bene tutti. Purchè non si trattasse di lui. Del suo fratellastro.

 

Si stava illudendo. Fra di loro, non ci sarebbe mai stato nessun tipo di rapporto. Solo odio e metallo. Solo quello. Né abbracci né aiuto reciproco. E neanche semplici parole, se non quelle di scherno. Nulla. Nulla. Il vuoto totale. Si poggiò stancamente la fronte alla mano. Non ce la faceva più. Quella situazione lo distruggeva psicologicamente. Se almeno non avesse saputo nulla…Invece, Alessandra era venuta a infrangere la sua ignoranza. La sua protezione. Se non avesse saputo, non si sarebbe preoccupato. Mai.

 

Preoccupato…Possibile che lui fosse preoccupato? Per Sesshomaru? No. Solo stizzito. Arrabbiato. Solo…Solo…agitato. Sì. Era agitato. Perché l’istinto gli diceva che doveva esserci qualcos’altro. Che non era possibile che il demone avesse bisogno di aiuto. Anche se Alessandra aveva detto di essere venuta di sua iniziativa, dal momento che aveva vissuto con l’youkai per un po’ doveva conoscerne la forza. Forse, l’aveva anche sperimentata sulla sua pelle…Ma allora perché quella supplica? Perché?!

 

“…Inuyasha…”

 

Alzò la testa appena in tempo per afferrarla. Era scivolata e rischiava di cadere dal tetto. Era tutto ghiacciato, nonostante il calore che proveniva dal fuoco acceso nella stanza sottostante. Kagome si era aggrappata a lui, lasciandosi trascinare sulla neve. Stava bene lì. Fra le sue braccia. Anche se ogni respiro era una nuvoletta bianca che disperdeva in un attimo.

 

“Stupida! Perché sei salita? Rischiavi di farti male…”

 

C’era una punta di preoccupazione isterica nella sua voce. E alla ragazza piaceva. Piaceva che lui si preoccupasse anche per una sciocchezza. Perché significava che a lei teneva. Che le voleva bene. Si accoccolò fra le sue braccia, affondando nel suo petto. Lo aveva spettato alzata, ma lui non tornava. E allora aveva deciso di andare lei a cercarlo. Quando era uscito, aveva un’espressione talmente abbattuta…ma non aveva voluto disturbarlo subito. Sapeva che doveva riflettere. Perché Alessandra gli aveva detto che avrebbe aspettato fino all’alba. Solo allora avrebbe voluto la risposta definitiva.

 

“Di cosa avete parlato?”

 

Aveva bisogno di distrarsi. Di cancellare dalla testa tutte quelle preoccupazioni e quei pensieri. Aveva bisogno di fermarsi un attimo. Sperò che Kagome non gli facesse nessuna domanda. Che lo lasciasse tranquillo per alcuni minuti. Solo per un po’. E la ragazza capì. Non gli avrebbe chiesto niente per un po’.

 

Iniziò invece a raccontagli di Alessandra. Si era stupita non poco di trovarsela di fronte nel passato. Nel suo mondo la stavano ancora cercando. Ma ormai le possibilità di trovarla viva si erano ridotte al minimo. C’era anche chi diceva che si fosse deliberatamente allontanata per suicidarsi. In fondo, visto il suo passato e lo strascico doloroso e depressivo che doveva averle lasciato, l’ipotesi non era da scartare a priori. Gli investigatori, anzi, la tenevano ben presente. Era stato da loro che Kagome aveva saputo  il nome della ragazza e qualcosa sul suo passato: era l’unica sopravvissuta della sua famiglia. Morta in un incidente automobilistico. Tre anni prima.

 

Ma non lo aveva detto a nessuno. Né ai suoi compagni né aveva fatto intendere ad Alessandra di saperne. Non era il caso di far emergere ricordi dolorosi. Inoltre, era rimasta sorpresa della ragazza che le si era presentata. Completamente diversa da quella della fotografia in bianco e nero. E non certo per i vestiti che indossava. Non aveva nulla della persona emaciata che si era immaginata, costretta a prendere i tranquillanti, i sonniferi e gli antidepressivi che aveva trovato fra i suoi effetti personali. Aveva una luce diversa negli occhi. Viva. Palpabile. Determinata. La tristezza era solo una sfumatura più scura in uno sguardo limpido. Sereno.

 

Mentre l’aveva ascoltata quello che le era successo in cui mesi, Kagome non aveva potuto impedirsi di chiedersi cosa avesse cancellato la sua tristezza, la sua depressione. Era rinata. E le sembrava davvero incredibile, soprattutto visto il fatto che aveva incontrato Sesshomaru ed era sempre rimasta con lui. E non si poteva certo dire che il carattere freddo, controllato e insensibile del demone fosse l’ideale per una persona così provata psicologicamente.

 

Le stava simpatica. Anche se non riusciva a capire se il sentimento era reciproco. Alessandra era stata sempre sulla difensiva e in fondo non la biasimava: visto i compagni di classe che si era ritrovata, era il minimo. Però almeno non si era chiusa in un ostinato mutismo. Aveva parlato con lei, e con anche gli altri. Aveva anche sorriso, vedendo la faccia terrorizzata di Miroku davanti allo spauracchio di dover affrontare Sesshomaru se solo l’avesse sfiorata con un dito. Il monaco era caduto nel suo solito comportamento libertino, ma prima che potesse dire o fare qualcosa, Alessandra aveva rivelato il nome della persona con cui era stata fino a quel momento. E ogni tentativo di approccio di Miroku si era dissipato.

 

Non era prigioniera. Sesshomaru non l’aveva costretta con la forza a stare con lui. La scelta di restare era stata sua. Lei non lo aveva detto, ma doveva essere così, altrimenti non avrebbe avuto senso il suo rifiuto di tornare a casa, lasciando quel mondo e il demone.

 

Inuyahsa…Sai, ho avuto l’impressione che Alessandra vada d’accordo con Sesshomaru…”

 

“Impossibile. Andare d’accordo con mio fratello non riesce a nessuno. Lo sai: per lui siamo tutti inferiori. Probabilmente ne parla bene perché ne ha paura, tanto a cercare di andarsene che a contraddirlo”

 

Kagome annuì, anche se non era molto convinta. Una volta oltrepassato il pozzo, sarebbe stata al sicuro. Se davvero Sesshomaru la teneva prigioniera, perché non approfittarne? Ma forse aveva ragione Inuyasha. Aveva paura di una vendetta.

 

“Davvero non andrai con lei?”

 

Ci fu un lungo silenzio. Solo il respiro che si condensava e spariva lento. Solo il battito di un cuore agitato.

 

“…Non lo so…”. Un respiro, e un abbraccio disperato. Si sentiva troppo insicuro. E non si vergognava a mostrarlo a lei. “…Non so cosa fare…”

 

Kagome ricambiò la stretta. Era confusa anche lei. Molto. Però, sapeva anche che quella era forse la sola occasione che si presentava all’hanyou per riallacciare i contatti con il fratello. Forse era destinata a fallire, forse sarebbe stato cacciato e deriso, ma perché non provare comunque?

Alzò il viso e incontrò un’ambra malinconica e triste. Già…anche lui avrebbe voluto andare, ma aveva pura di essere rifiutato. Di nuovo. Gli sorrise per incoraggiarlo e gli regalò un bacio. Intenso. Appassionato. Tanto da lasciare il ragazzo sorpreso e confuso.

 

La guardò scendere dal tetto, e le augurò la buona notte con un sorriso. In fondo, aveva ragione lei. Doveva andare. E non sarebbe stato solo neanche a quel punto. Kagome glielo aveva detto. Sospirato sulla bocca prima di baciarlo.

 

“La scelta è tua, ma io andrei…Ci proverei…Comunque, ricorda che non sarai mai solo…Io ci sarò sempre…”

 

Sorrise. Sembrava un’idea suicida, ma non importava. Ormai, aveva deciso. Ci avrebbe provato. Provato a recuperare qualcosa che non era mai esistito.

 

Ti aiuterò, se me lo permetterai…Perché … per me…sei… mio…fratello…

 

  
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