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Autore: Klavdiya Erzsebet    16/07/2012    1 recensioni
Parte della serie Until Death Do Us Part
(Tornano Greg e Sophia Lestrade protagonisti. È dichiaratamente romantico, anche se l’amore non è il genere principale. E pensare che non credevo di essere capace di trattarlo anche solo minimamente.)
Una strana malattia colpisce Sophia Lestrade, e un caso particolarmente inspiegabile approda nell’ufficio di Greg. Due misteri, collegamenti inaspettati, una corsa contro il tempo e una modesta ipotesi di come l’amore per la vita abbia potuto portare alla morte: tutto è contorto. Talvolta è difficile determinare l’impossibile.
{Attenzione: fanfiction Greg–centrica a livelli vergognosi}
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lestrade , Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Until Death Do Us Part'
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Cap.II

Basta Illusione


La madre lo guardò; chiuse gli occhi, si morse le labbra e sobriamente con un singhiozzo lasciò cadere una lacrima sulla guancia arrossata. L’attentatore del British Museum si chiamava Chris Lawrence e aveva diciannove anni, qualcuno in meno nel fisico minuto e nel viso glabro, qualcuno in più nello sguardo profondo e ora innaturalmente fisso. La signora Lawrence lo studiò in ogni centimetro, sfiorò le numerose ustioni su una pelle che Greg, ricordando il cadavere ancora sulla scena, non avrebbe più definito tale.

 Ma in ogni caso Greg non la guardò. Non ne ebbe il coraggio; e fu ben attento a evitare gli occhi della madre di Chris, troppo colpito e intimorito da quel suo impressionante contegno, dalle sue mani che si stringevano e si facevano male da sole come doveva stare facendo lei stessa tenendosi dentro il dolore in una maniera impossibile. Pensò allo sgomento di un figlio morto, un figlio assassino, e fu tentato di guardare la madre in volto – ma gli sembrò troppo. Gli parve un’altra violenza.

L’ispettore fissò solo il pavimento sporco dell’obitorio, e si trattenne dal cercare gli occhi chiusi del morto, una volta spalancati e verdi. Davanti al museo erano stata l’unica cosa ancora definita e ancora umana di quel corpo martoriato. Per Lestrade erano diventati un’ossessione, ogni volta che guardava il cadavere: si erano rivelati l’unica cosa che riuscisse a vedere davvero in tutto quell’orribile scempio. Erano così belli e familiari. Un verde scuro e denso.

La signora Lawrence quindi uscì, in lacrime, accompagnata dal marito che era rimasto in disparte incapace di dire o fare alcunché, mentre l’anatomopatologo di turno chiudeva il cassetto in cui c’erano i resti del loro unico figlio con solo ustioni e un lenzuolo addosso e una targhetta appesa all’alluce. Greg salutò il dottor Harvey e tornò nel suo ufficio.

Lesse e rilesse i dossier sull’attentato. Bevve una mezza dozzina di caffè scadenti della macchinetta nuova. Fece addirittura due partite a solitario al pc per evitare l’irreversibile esplodere del suo cervello, o in alternativa l’implodere delle sue coronarie. Ripercorse con la mente quelle poche cose che si sapevano.

Il puro e semplice svolgimento dell’attentato era chiaro: Chris Lawrence, diciannove anni. Si era fatto esplodere davanti al British Museum al passaggio di una scolaresca di tredicenni alla prima gita dell’anno scolastico con un ordigno fatto in casa probabilmente da lui stesso. Tante domande, troppe, si affacciavano quando cercava di andare più a fondo; ma la più grande e la più urgente (al punto che tutte le altre risposte alla fine non erano che indizi per riuscire a risolverla) era una sola, enorme, lampeggiante: perché.

Perché un diciannovenne avesse dovuto farsi esplodere uccidendo dei ragazzini non molto diversi da quello che era stato lui stesso, e non molti anni prima. Perché. A forza di lavorare lì aveva visto tanti omicidi e tanti moventi e di questi veramente pochi erano comprensibili a lui. Poi, alla sera, qualche anno prima, li raccontava a sua moglie che lo stava ad ascoltare e annuiva come se capisse davvero. Aveva smesso di metterla al corrente dei casi anche per quello: era una reazione che gli faceva paura.

Anderson stava controllando il computer della vittima, un portatile regalatogli dai genitori per la promozione, di buona marca e di un modello ancora all’avanguardia. Con i guanti l’agente stava picchiettando sui tasti e scorrendo col mouse la cronologia, per scoprire le ultime ricerche di Chris.

Greg gli lanciò un’occhiata annoiata, non visto; l’attenzione di Anderson era tutta per lo schermo e qualunque cosa ci fosse sopra al momento. In realtà Lestrade sapeva cosa ci avrebbe trovato: istruzioni per costruire ordigni esplosivi con ingredienti rintracciabili e poco costosi, film, fumetti. E tanta chimica: da quel poco che aveva detto la madre, la adorava, e voleva studiarla. Una materia bizzarra che a lui non era mai riuscita. A scuola Sophia nonostante fosse più piccola gli dava costantemente ripetizioni. Era una cosa contorta, complicata, che non aveva mai capito. E non dubitò nemmeno per un secondo che Sherlock la amasse.

Greg non comprese tutto quell’interesse di Anderson dietro al computer perché in una buona quasi totalità dei casi avrebbe trovato solo una caterva di posti in cui per un diciannovenne era normale stare: blog, siti di fumetti–barra–film–barra–chimica, Youtube...
Lestrade smise di elencare. Troppi anni trascorsi da quando aveva avuto l’età di Chris Lawrence, in un tempo molto lontano in cui Internet era ancora semifantascienza.

Anderson era ancora concentratissimo sul computer e Sally stava consultando qualche documento di cui Greg, anche mettendoci tutta la sua buona volontà, non riuscì a indovinare natura e provenienza. Il detective ispettore vedeva una sola strada davanti a sé e non era affatto buona.

Caso dichiaratamente astruso. Prese il cellulare dalla tasca e premette il tre, a lungo. Sherlock Holmes, consulente investigativo: ormai tra le chiamate rapide del capo della squadra Omicidi di Scotland Yard. Si portò il telefono all’orecchio e Sally Donovan sollevò lo sguardo dal documento, contrariata. Alzò gli occhi al cielo e successivamente gli lanciò uno sguardo truce. Greg non ci fece caso. Rimase ad ascoltare il tuu–tuu del cellulare finché la voce di Sherlock Holmes non gli rispose.

“Lestrade?”
“Siamo a Scotland Yard, abbiamo un piccolo problema con l’attentato del British Museum”.
“Saremo lì tra poco”.
“Okay”.

Sherlock Holmes mise giù e Greg sospirò; “Sta arrivando” annunciò a Sally. Anderson alzò per la prima volta la testa dal pc e lo guardò male; il sergente Donovan si limitò a un’altra occhiata impassibile, fredda, rassegnata. Lestrade rimase solo buono e tranquillo facendo attenzione a non irritare troppo nessuna divinità, cercando di distendere i nervi ripetendo all’infinito il tragitto tra l’ufficio e la macchinetta del caffè nel corridoio, qualche volta prendendo davvero un ennesimo bicchierino di plastica pieno.

Sherlock Holmes arrivò quasi subito, stretto nel suo Belstaff da un migliaio di sterline, insieme a John Watson ancora spettinato e con gli occhi cerchiati di una notte insonne. Il consulente entrò baldanzoso nell’ufficio di Greg e si sedette sull’unica sedia, guardandolo fisso.

“Semplicemente non capiamo...” esordì l’ispettore.
“L’attentatore: giovane, esperto di chimica”.
“Ha già otto ipotesi” lo interruppe John.
“Facciamo cinque”. Sherlock prese un foglio da sotto la pila che Greg aveva sulla scrivania. “Due” dichiarò alla fine. “Innanzitutto cercate chi potrebbe avergli venduto il materiale per la bomba. Qualcuno con scarse conoscenze di chimica ma molti contatti”.

Anderson si affacciò nell’ufficio. “Pensi che gli abbia offerto qualcosa in cambio di farsi esplodere davanti al British Museum?” chiese. Sembrava divertito.
Sherlock alzò gli occhi al cielo. “No. Certo che no. Se è così è stata una minaccia”
“Controlleremo tutte le persone che Chris Lawrence ha contattato” tagliò corto Greg. “C’è altro?”
“Sì” rispose Anderson prontamente. “Potrebbe esserci una componente satanica. Sul suo pc ci sono delle ricerche a proposito di…”

“Sì, Anderson, molto interessante. Consegnami il pc quando hai rimesso tutto a posto”.
L’agente non disse nulla. Tornò solamente al computer lanciando maledizioni contro Sherlock Holmes.
John intanto aveva cominciato a studiare i referti dell’autopsia. “Ho sentito che sono morti tre ragazzi” disse.

Greg annuì. “Tre morti più l’attentatore e quattro feriti. Tra cui il figlio di un qualche riccone di una grossa industria o qualcosa del genere, qui c’è scritto tutto”.
Il dottore prese un foglio dalla pila. “Mark Shaw, quattordici anni” lesse a voce alta. Scorse le sue condizioni e ripassò il foglio a Lestrade.

“Il padre è arrabbiato” spiegò il detective ispettore. “Molto. Sta finanziando le indagini, non possiamo permetterci di andare nella direzione sbagliata”.
“Capisco” si intromise Sherlock. Sguardo fisso e rilassato di chi ha il mondo in pugno. “Quindi avete deciso di affidarvi al vostro salvatore”
“Esatto” confermò Greg a denti stretti. “Ma perché Chris Lawrence l’ha fatto?”

Sherlock posò i fogli che aveva ancora in mano sulla scrivania sovraffollata di Lestrade, poi allungò le chilometriche dita mentre poggiava i palmi sulla pila di documenti relativi all’attentato. “Sicuramente non un semplice suicidio – a questo ci siete arrivati anche da soli, se il caso è della Omicidi. La pista satanica è insensata per una dozzina di ragioni che gridano di essere comprese, come per esempio la totale assenza di simbologie. Dite la parola ‘satanismo’ ai giornalisti se volete divertirvi, al massimo. Io ho un’altra teoria”.

 


***


Greg mise le chiavi nella toppa sapendo che quello era il saluto che veniva ancora prima del ‘buongiorno’ che si scambiavano ogni volta, il chiaro ed eloquente annuncio che era tornato. Abbassò la maniglia e aprì la porta di uno spiraglio, aspettandosi Sophia all’ingresso, pronta ad accoglierlo – nel bene o nel male.

Invece non c’era. Il salotto era completamente buio e dalla cucina non proveniva nessun rumore. Come se la casa fosse disabitata, eccezion fatta per la luce di una candela che proveniva dalla camera da letto.

Sentì una risata acuta, femminile, inconfondibile e poi una frase sputata volgarmente, chiaramente da un uomo. Parole masticate a fatica e pensate per essere sensuali, una voce che Greg necessitò di qualche attimo per riconoscere: ed ecco la persona che aveva sempre evitato – non Alec Martin, l’avvocato, suo amico da due anni, bensì la Sophia lasciva e priva di personalità che incontrava i suoi amanti nello stesso letto in cui posava le mani sul petto di Gregory e solo per ascoltarne il cuore in ogni suo battito.

Per lui era una persona diversa, Greg non ne dubitò mai; diversa sia dai periodi migliori che da quelli peggiori che sua moglie passava. Una persona che chiaramente non era la stessa che aveva sposato: un’estranea, un’inquietante sconosciuta, un’ombra riflessa allo specchio della fragilità della Sophia di sempre di cui negava le debolezze. Greg ogni tanto aveva avuto qualche ragionevole dubbio – da che parte dello specchio era, lui? Non sapeva, non riusciva a capire se sua moglie fosse innamorata di lui, o solo delle sue mani che la accarezzavano. Alla fine con i suoi amanti le era apparsa come una creatura che fingeva di essere forte usando il distacco: un essere insensibile, quindi. Deliberatamente e per motivi che Greg alla fine comprendeva. Una creatura sconosciuta che sfuggiva alla sua comprensione, alle sue braccia che non potevano stringerla quando rivelava se stessa tra le gambe di qualcun altro. Come se alla fine lui per lei fosse speciale – lo era?

D’improvviso ebbe il terrore di venire visto, di ritrovarsi costretto a vedere le scuse e le lacrime di sua moglie che improvvisamente sarebbe ritornata quella che era nei weekend e nelle rare cene che consumavano insieme. Chiuse la porta, girò la chiave in fretta e col cuore in gola per il terrore di venire sentito. Infilò le mani in tasca e ritornò silenziosamente a scendere le scale; si sentiva morire, e dolorosamente, solo pensando al penoso arrampicarsi sugli specchi che Sophia avrebbe tirato fuori se al posto di aspettare il suo benvenuto sulla soglia Greg fosse entrato, deciso, senza accorgersi di lei e Alec.

Spense il cervello, salì in auto e si mise alla guida. Londra era illuminata e piena di macchine che andavano chissà dove; e Greg pensò che se solo avesse avuto l’opportunità di fermarle, avrebbe chiesto solo una cosa ai conducenti: ‘dove vai, a quest’ora? Cosa ci fai in giro a mezzanotte in auto? Non credo che stiate tutti tornando da una meravigliosa festa’.

Lui non stava tornando da una meravigliosa festa, almeno. Lui era solo l’ennesimo povero automobilista che per un disastroso motivo o per l’altro stava sfidando il traffico londinese in piena notte, e solo per sfuggire a una moglie fedifraga e andare a dormire a un motel. Si chiese cosa avrebbe pensato Sophia non vedendolo arrivare, non vedendolo raggiungere il suo letto e baciarle le labbra e addormentarsi al suo fianco. Come se il mondo girasse per farla sentire meno sola.

La solitudine era il motivo principale, che riassumeva tutti gli altri che nella sua testa si erano affollati per giustificare Alec Martin nel suo, nel loro letto: insoddisfazione, bisogno di attenzione, frustrazione a forza di vederlo sempre al lavoro – uguale solitudine, appunto. La sua moglie bambina trascurata, abbandonata da un padre occupato. La sua moglie adolescente ormai non più sua ma di altri uomini nel letto di casa ad accarezzarla. L’abbraccio di Greg che a lei rimaneva; Greg a cui non rimaneva più niente.

Frenò bruscamente e accostò accanto a un marciapiede, armeggiando furiosamente finché non fu fermo e potè staccare le mani dal volante, cercando di smettere di tremare. Fu la lenta realizzazione dell’evento appena accaduto; fu l’improvviso rendersi conto di quanto quel pensiero fosse malato, contorto, incestuoso: paragonare Sophia a una figlia.

Fece inversione e tornò indietro; si sistemò in sosta vietata davanti al palazzo e si rese conto che non gli importava in quanti l’avrebbero guardato strano, né quante ore sarebbe dovuto restare lì: "Faccio il turno di notte" scrisse a sua moglie, e si mise comodo sul sedile di guida, appoggiando la testa allo schienale. Non accese la luce dell’auto, cercò di mettersi il più possibile in ombra. Era impossibilmente tardi e aveva paura dello stato in cui sarebbe andato in ufficio il giorno dopo; ne concluse che, attentato o non attentato, Scotland Yard avrebbe fatto a meno di lui: un giusto riposo dopo una nottata di lavoro, da recuperare al più presto e con una scusa qualsiasi. Come se a Sophia ancora importasse il motivo per cui certe volte lavorava, e altre no.

Greg sospirò. Aspettava di vedere con che faccia sarebbe uscito da quella casa l’amante di sua moglie – con che passo, con che sorriso.

 

 


A/N: un grazie enorme al mio beta OceanOfDarkness, a cui presto costruirò una statua in giardino xD Sta facendo un lavoro meraviglioso per questa fic e gli sono immensamente grata <3

E poi un bacio anche a Thiliol e Airaly, che hanno inserito la storia tra le seguite!

  
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