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Autore: Klavdiya Erzsebet    08/07/2012    1 recensioni
Parte della serie Until Death Do Us Part
(Tornano Greg e Sophia Lestrade protagonisti. È dichiaratamente romantico, anche se l’amore non è il genere principale. E pensare che non credevo di essere capace di trattarlo anche solo minimamente.)
Una strana malattia colpisce Sophia Lestrade, e un caso particolarmente inspiegabile approda nell’ufficio di Greg. Due misteri, collegamenti inaspettati, una corsa contro il tempo e una modesta ipotesi di come l’amore per la vita abbia potuto portare alla morte: tutto è contorto. Talvolta è difficile determinare l’impossibile.
{Attenzione: fanfiction Greg–centrica a livelli vergognosi}
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lestrade , Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Until Death Do Us Part'
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In Sickness and in Health

 

Genere: mistero, romantico, sovrannaturale

Disclaimer: non mi appartengono, purtroppo

Avvertimenti: het

Sommario: Prequel di Demons

(Tornano Greg e Sophia Lestrade protagonisti. È dichiaratamente romantico, anche se l’amore non è il genere principale. E pensare che non credevo di essere capace di trattarlo anche solo minimamente.)

Una strana malattia colpisce Sophia Lestrade, e un caso particolarmente inspiegabile approda nell’ufficio di Greg. Due misteri, collegamenti inaspettati, una corsa contro il tempo e una modesta ipotesi di come l’amore per la vita abbia potuto portare alla morte: è tutto contorto. Talvolta è difficile determinare l’impossibile.

{Attenzione: fanfiction Greg–centrica a livelli vergognosi}

 

 

Cap.I

Buon Anniversario

 

Diciotto novembre. Gregory Lestrade, quarant’anni, sposato da dodici. Detective ispettore di Scotland Yard, a capo della Omicidi. Uno stipendio sufficiente per consentire alla moglie di non lavorare: ‘è il mio giorno libero’ rispondeva sempre Sophia, quando le si chiedeva della sua occupazione. In realtà, solo giornate e giornate di misteri tra le mura di casa, in cui Greg non c’entrava più niente.

Una coppia senza figli sulla cui presenza fare affidamento per venire dispensati dal turno di notte: Gregory Lestrade era ormai fisso nel suo ufficio e per i corridoi a bere sfilze di caffè a ore improbabili da quando con Sophia le cose non andavano bene, e da quando Sally Donovan era la madre single di una bambina di tre anni e mezzo[1] e si ritrovava impegnata in una probabile relazione con quell’idiota di Anderson – il quale aveva, ovviamente, una moglie e due figli.

Il diciotto novembre Greg lavorava sempre poco, distrattamente, senza troppa voglia. Lanciava sguardi fugaci alla foto della moglie sulla scrivania, di solito dimenticata, abbandonata a se stessa e sommersa da penne e post–it con le scritte più varie. Sophia Lestrade era una bella donna con gli occhi verdi e la pelle chiara, piccola e dall’aria malaticcia. Non era solita frequentare le feste della polizia o cose del genere. A chi non la conosceva dava un’impressione di essere incredibilmente snob.

Era una buona amica di Sally e le teneva la bambina spesso, tanto che la piccola Amy l’aveva ribattezzata ‘zia’; cosa che aveva convinto il sergente Donovan che un figlio per casa potesse rivelarsi in grado di salvarli e implicitamente anche di salvare Sophia da se stessa. Greg non era del medesimo avviso. Greg aveva ben poche idee su come evitare il divorzio.

Quell’ennesimo diciotto novembre vantava un cielo denso e scuro, azzurro tinto di grigio e gonfio di pioggia, lo stesso di dodici anni prima. Vento che scompigliava il bianco di un vestito foderato di pelliccia esaltato dalla luce delle candele; Greg aveva preso quella che era finalmente sua moglie in braccio, le aveva abbassato il cappuccio di pelo candido e l’aveva baciata, sulle labbra rosso ciliegia, posando la propria fronte sulla sua e guardandola negli occhi ornati da ciglia scure – iridi verdi, indiscutibilmente verdi ora che le lacrime le avevano bagnate. Il freddo e l’inverno avevano reso i suoi capelli più scuri e le sue guance rosee. Aveva ventisei anni ed era bellissima, come un fiore di cristallo tra le sue braccia, perché aveva avuto l’improvvisa e devastante impressione che quella cosa meravigliosa fosse altrettanto fragile e pronta a distruggersi. E non doveva distruggersi; era troppo bella e preziosa.

Quel giorno era stato pieno di nuvole scure e gonfie come quelle che Sophia adorava. Ma non aveva piovuto finché quella notte un acquazzone violento e distruttivo non li aveva accompagnati fino alle tre del mattino, quando lei si era addormentata, cullata dal rumore della pioggia e dalle braccia di Greg.

Finendo di sistemare le pratiche il detective ispettore Lestrade si rese conto di avere poca voglia di andare avanti. Avrebbe solo voluto perdersi nei suoi pensieri, in tutte quelle belle parole sulla moglie.

Il rumore dei tacchi alti di Sally in corridoio lo risvegliò dal suo torpore e lo fece scattare in piedi, rovesciando il portamatite vicino alla foto di Sophia. “C’è stato un attentato” gli disse il sergente affacciandosi nel suo ufficio. Greg afferrò la giacca, le corse dietro e la raggiunse ansimante, cercando di infilarsi il cappotto che la moglie gli aveva regalato per il suo compleanno. Completa ossessione nei suoi confronti.

“Tutto bene?” gli chiese Sally, fermandosi un attimo. Lui avrebbe voluto solo concentrarsi sul caso.

“Sì. Dove è successo?”

“Davanti al British Museum. Pare che un ragazzo si sia fatto esplodere

Imprecazione. “...altre vittime?”

“Stava passando una scolaresca, intanto”

“Cazzo”

“Pare che ci siano stati un paio di morti”

Greg vide l’uscita e cercò di accelerare, ottenendo solo i polmoni in fiamme e le gambe doloranti; si chinò appoggiando le mani alle ginocchia. “No che non va tutto bene” gli disse Sally minacciosa, avvicinandosi a lui. Immaginò che stesse pensando a un infarto – attualmente in cima alla top ten delle speranze di ogni suo sottoposto nella Omicidi. Anderson in primis.

Greg si rimise dritto con nonchalanche e col passo tranquillo di chi ha tutto il tempo del mondo uscì insieme a Sally che adeguò l’andatura alla sua e tirò fuori le chiavi di un’auto della polizia parcheggiata appena fuori. “Guido io” le disse e la donna gliele passò. Avevano attaccate un vecchio portachiavi di cuoio, sporco fino all’inverosimile.

Quel mercoledì c’era poco traffico, l’ora di punta era passata. Si aspettò l’agitazione intorno al British Museum e la notizia che sarebbe corsa a breve da una bocca all’altra, come una freccia scoccata dai passanti che avevano avuto la sventura di passare di lì; accese la radio e sentì presto l’ansia nelle voci di chi annunciava quella notizia.

“Quando è successo?”

“Verso le otto. I ragazzi erano appena arrivati al museo, stavano facendo la coda per entrare quando questo si è fatto esplodere

“Giovane? Lo hai chiamato ragazzo”

“Vent’anni al massimo, secondo i primi testimoni”

“Aveva qualche rapporto con la scolaresca coinvolta?”

“All’inizio è parso di no, i ragazzi erano tutti tra i tredici e i quattordici anni. Non lo abbiamo ancora identificato, ma potrebbe essere collegato”

Sally tacque e lui potè sentire la sua preoccupazione, l’orrore al solo pensiero che anche sua figlia Amy si trovava all’asilo e che lì la credeva al sicuro. In un posto dove i bambini giocavano e attorno a cui sembrava esserci una bolla a schermarli dal mondo reale; anche lei che aveva a che fare ogni giorno con quelle cose ci era cascata. Greg dubitò che lo avrebbe più fatto in futuro.

Parcheggiò con poche manovre a una decina di metri dalla scena – passanti agitati arginati dalla polizia, ambulanze che portavano via i ragazzi, tre lenzuoli bianchi a terra e circondati da sangue scuro. Sotto i teli macchiati altrettante sagome: due più piccole, una abbastanza alta da poter essere un uomo adulto. “È l’attentatore” gli disse Sally avvicinandosi a quest’ultima. Greg vide tantissimo sangue.

A forza di lavorare lì non gli faceva più impressione vedere quel colore scuro, quelle macchie dense e quelle ferite da cui era fuoriuscito. Anni di esperienza per riuscire a scomporlo ai minimi termini di acqua e globuli rossi e qualcos’altro. Greg si inginocchiò, sollevò un lembo del lenzuolo e vide centimetri di pelle scura e ustionata, quando non coperta da una camicia che doveva ormai avere fatto un tutt’uno con la carne. Gli occhi verdi erano spalancati e l’effetto era quello di una mummia perfettamente conservata, di un qualcosa di vivo in un corpo che non lo era inequivocabilmente più.

Greg sentì un brivido risalirgli la schiena e non riuscì a capire se fosse per quegli occhi, per quelle altre vittime che assomigliavano sempre di meno a danni collaterali o per il triste presentimento che quella sera a Sophia gli auguri li avrebbe fatti via sms.

C’è stato un caso orribile, le scrisse, e premette invio. Si rimise in piedi e rimise il cellulare in tasca, avvicinandosi a Sally. “No che non arriva ai vent’anni!”

Il sergente Donovan si pie e sbirciò sotto il telo; ma subito lo lasciò andare, storcendo la bocca. D’improvviso si sentì un beep provenire dalla tasca di Greg. “È Sophia” spiegò in fretta. “È il nostro...”

Lasciò la frase in sospeso e vista la rapidità della moglie nel rispondere sospettò che avesse tenuto il cellulare a portata di mano dopo aver visto la notizia in televisione. Molto probabilmente era già stata fatta un’edizione speciale dei telegiornali.

Sei al British Museum? gli aveva scritto infatti Sophia. , valutò di risponderle lui. Secco e informale. Aveva paura a scrivere solo quello. Mi dispiace.

Aveva già inviato quando pensò all’ambiguità di quell’ultima frase; si fermò un istante col telefono in mano ma pensò che lei avrebbe capito. Sophia quando era in vena capiva sempre. L’ansiosa rapidità del suo primo messaggio gli suggeriva che fosse in vena.

“Vorrei dirti di tornare a casa, ma temo che ci sarà bisogno di te” gli disse Sally, andando a interrogare qualche testimone. Anderson stava scattando delle foto alla scena. Greg si chiese dove fossero gli altri ragazzi, gli altri tredicenni incappati per caso in qualcun altro che con loro probabilmente non c’entrava niente. “Quante vittime?” chiese a un ragazzo giovane, probabilmente appena assunto, stretto nella tuta.

“Due, per ora” gli rispose con tono grave. “Altri due sono messi male. Ah, stanno arrivando i giornalisti”

Il detective ispettore alzò gli occhi al cielo e si avvicinò alle transenne messe lì dalla polizia, dove reporter e fotografi si stavano già accalcando, schiacciando i pochi testimoni che erano rimasti a guardare. “Chi è l’attentatore?” gridò uno di loro. “Quali sono le sue motivazioni?”

Greg alzò gli occhi al cielo, sospirò e cercò di formulare una risposta che non li scatenasse; “Potrebbe essere un suicidio ma la pista dell’attentato non è del tutto esclusa” esclamò con la voce più alta che gli riuscì e che dopo aver parlato gli sembrò debole, in confronto al fracasso che facevano i giornalisti con in mano le loro grosse macchine fotografiche.

 

***

 

Greg finì di mandare al diavolo anche l’ultimo giornalista – potrebbe essere un avvertimento per qualcosa di più grosso? Questo attentato cambierà la storia europea? e notò che Sally e Anderson se n’erano già andati, a bordo dell’auto di lui. Prese dalla tasca le chiavi di quella con cui era arrivato e lanciò un’occhiata al cielo delle nove di sera, scuro e minaccioso, pronto a riversare tutta la pioggia che nelle ore precedenti aveva minacciato di scatenare proprio sulla sua testa.

Mentre si avvicinava all’auto e sentiva le prima gocce di pioggia, ebbe voglia di dare di nuovo un’occhiata ai messaggi che lui e Sophia si erano mandati; per non sentirsi in colpa per avere lavorato dalle otto alle ventuno il giorno del loro anniversario, per convincersi che non si sarebbe arrabbiata.

Buon pranzo, amore

Grazie! Tu mangi oggi?

Dipende dai giornalisti

Se stasera arrivi in tempo ti faccio l’arrosto, promesso

Ti amo

Anch’io

Buon anniversario, signora detective ispettore

Buon anniversario anche a te, Gil Grissom

Rise dei nomignoli assurdi mentre tremava per una felicità difficile da raccontare – quella di avere Sophia sua e soltanto sua per un giorno, prima di abbandonarla di nuovo alla sua vita che non gli apparteneva più, ai suoi amanti, a tutte le cose di lei che per il lavoro aveva dovuto rinunciare a condividere. Non pensò a tutto questo, però. Pensò solo che Sophia era sua e non si pose il problema di un ipotetico domani.

Arrivo le scrisse. Inviò, mise il cellulare in tasca e aprì la portiera dalla parte del guidatore. Salì, infilò le chiavi e mise in moto, partendo lentamente. Anche durante il viaggio non accelerò ma guidò lentamente, sotto le stelle, sotto i lampioni e sotto la pioggia. Si fermò un attimo davanti a Scotland Yard, scese e corse nel suo ufficio. Prese dalla tasca interna della giacca una piccola chiave attaccata a un fiocchetto di nastro rosso e aprì il secondo cassetto della sua scrivania.

Dentro, sopra ai fogli della fotocopiatrice e una scatola piena di matite dalla punta estremamente affilata, c’era un piccolo pacchetto incartato d’argento, con un nastrino dorato. Greg lo prese in mano, accarezzandone la carta e sentendo sotto il velluto della scatoletta in cui era stata infilata la collana: grossi anelli d’oro bianco intrecciati, brillanti incastonati. Un gioiello da ostentare, costato una piccola fortuna nella migliore oreficeria di Londra.

Chiuse il cassetto a chiave lasciandoci dentro le chiavi dell’auto della polizia. Prese quelle della Volvo dalla scrivania, uscì, aprì la portiera e si sedette, posando il pacchetto sul sedile del passeggero. Guidò fino a casa e questa volta ebbe voglia di accelerare.

Parcheggiò davanti alla porta della loro palazzina e salì in ascensore fino al secondo piano. Aprì la porta con le proprie chiavi ed entrò in quel santuario dove già sapeva che erano successe molte cose che lui non avrebbe mai scoperto.

Trovò la casa buia, il salotto illuminato solo dalla poca luce che filtrava dalle persiane. Dalla camera da letto arrivava il flebile giallore attribuibile solo a una candela – con le sue oscillazioni, il suo tremolio. Greg tirò rapidamente già la tapparella e quando ebbe finito sentì uno strusciare di coperte. Sophia era sopra il lenzuolo, appoggiata al gomito e con le ginocchia al petto, con solo una vestaglia sopra l’intimo, come se lo stesse aspettando. Se la sfilò quando lo vide arrivare, sorridendogli. Lui prese il regalo con entrambe le mani, reggendolo all’altezza del petto, lasciandolo bene in vista agli occhi di lei.

Le iridi che guardavano quella carta argentata su cui si rifletteva la fiamma della candela sul comodino erano verdi, stanche, arrossate, le pupille dilatate e le palpebre che si chiudevano. Greg diede alla moglie il regalo, posandoglielo tra le mani, e si sedette sul letto; si chinò e la baciò sulle labbra rosse.

Lei lo lasciò fare e gli mise le mani aperte sul petto, mentre lui con il palmo le prendeva la nuca stringendola ancora più vicina a sè. Quando il bacio finì Sophia si districò da quell’abbraccio e prese un pacchetto che era sul comodino, incartato di un celeste pallido. Lo diede a Greg che lo tenne in mano ma non lo toccò, come a invitare lei ad aprire il proprio.

E lei sciolse il fiocco e aprì la carta senza romperla, come impaurita. Quando ebbe il cofanetto di velluto blu scuro tra le dita lo aprì tremante rivelando la collana, i brillanti, il loro colore reso dorato dalla candela. Una fiamma che danzava sulla superficie liscia e rilucente degli anelli d’oro bianco.

“È bellissima” gli sussurrò Sophia, avvicinando la bocca al suo orecchio.

“Provala” la invitò lui prendendola dalla scatola e allacciandogliela dietro la testa. Le stava meravigliosamente con il sottofondo della pioggia, dell’acquazzone che ricalcava quella notte di otto anni prima.

Greg aprì il proprio pacchetto e vide una camicia bianca di alta sartoria. La posò di fianco a sè, abbracciò la moglie e le posò una mano sulla gamba sentendo che aveva la pelle d’oca. “Vieni sotto le coperte” le disse armeggiando col lenzuolo. Lei tossì un paio di volte ed ebbe un brivido al tocco della mano del marito sulla schiena nuda. “Ti stai ammalando” osservò lui con disappunto, accarezzandole una guancia.

Le baciò la bocca e realizzò che non gli importava ai fini di quell’abbraccio, di quella tenerezza; per quella notte Sophia era sua. Passò le dita lungo il contorno della collana, accarezzandole il collo, le spalle, strofinando leggermente coi polpastrelli il tatuaggio fatto appena due mesi prima e disegnandone i contorni. Lei posò di nuovo le mani aperte sul suo petto e mosse la sinistra un paio di volte, come alla ricerca di qualcosa. Quando si fermò Greg realizzò che stava semplicemente cercando il suo cuore, che lo stava ascoltando battere.

 

 

A/N: spero che vi sia piaciuto! Farò del mio meglio per ridurre al minimo gli errori di battitura, ma tra Word che non corregge e la beta inesistente… ç__ç in questo capitolo ho cercato di metterci del romantico, ma alla fine Greg mi esce sempre profondamente innamorato. Ah, è lui il protagonista!

Temo di non poter dare garanzie sugli aggiornamenti, con le vacanze che stanno arrivando. Il rating potrebbe passare a rosso per le tematiche trattate, ma anche no xD

Klavdiya

  
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