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Autore: Federico    16/07/2012    1 recensioni
Salve, dopo quasi un anno Federico è tornato per voi! Stavolta vi propongo il seguito della mia vecchia storia Strade d'Oriente, con protagonisti i membri dell'Akatsuki, ambientato molto tempo dopo la prima fic.
1924, Svizzera: Per festeggiare il proprio compleanno, Kakuzu decide di riunire i propri ex compagni di avventure e li invita a casa sua. Tutti accorrono, ma è chiaro che nulla sarà più come prima: la spensieratezza dei vecchi tempi ha lasciato spazio al pessimismo e alla disillusione, che ormai regnano sovrani in Europa squassata dal primo conflitto mondiale e minacciata da povertà, rivoluzioni e dittature. In un modo o nell'altro, tutti e sei i nostri eroi hanno sofferto a causa della guerra, ma finalmente troveranno il coraggio di confidarsi fra loro e dare sfogo ai propri turbamenti, rievocando con nostalgia tempi felici che non torneranno più... Questa fic, a differenza di Strade d'Oriente, non si incentrerà sull'avventura e sull'azione, bensì avrà un taglio introspettivo, dialogico e decisamente malinconico. Leggete e recensite numerosi, spero che vi piaccia!
P.S Quella fic su One Piece che vi avevo annunciato circa un anno fa prima di “sparire” è al momento sospesa a tempo indeterminato.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Akatsuki
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Travellers'
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Spazio autore

LizWingates: Grazie, grazie mille, mi fai molto contento con questi complimenti e mi auguro che continuerai a seguire (la storia è gia stata scritta per intero, quindi gli aggiornamenti potranno essere quotidiani). Il riferimento a Friedrich è dovuto principalmente al fatto che l'ho studiato quest'anno a scuola, e l'ho grandemente apprezzato, per cui ho voluto proiettare questo mio sentimento su Deidara (che già nella scorsa storia avevo descritto come pittore dilettante, senza approfondire troppo la questione per via delle mie insufficienti conoscenze). Le nazionalità sono le medesime di Strade d'Oriente, e all'epoca le scelsi piuttosto casualmente (col senno di poi, avrei voluto metterci almeno un italiano): Sasori mi pareva inglese per via del colore dei capelli, mentre direi che su Kakuzu svizzero non possono esserci dubbi. Grazie di tutto, alla prossima!

 

Colgo l'occasione per ringraziare LizWingates e Falsa dea molto adorata per aver inserito questa storia fra le fic seguite. Stasera, Kakuzu ci guiderà in casa sua, e per sapere cosa escogiteranno i nostri perpassare il tempo e quali pensieri inizeranno a formarsi nelle loro menti, l'unico modo è leggere il capitolo. Ciao a tutti!

 

I pianisti

 

Varcando la soglia, gli ospiti riuscirono finalmente a soddisfare la loro curiosità per quel luogo tanto favoleggiato e che ora dischiudeva i propri segreti ai loro occhi; e non si può dire che rimasero del tutto delusi.

La casa infatti, pur mostrando nel complesso anche là una sobrietà squisitamente elvetica, all'interno ospitava raffinate decorazione e preziose rarità che avrebbero fatto rodere il fegato a qualsiasi collezionista: così anche se magari mancavano rubinetti d'oro con incastonati diamanti e simili amenità facevano invece capolino in un angolo vasi antichi e pregiati, sculture cariche del fascino dei secoli o figlie di concezioni moderne, forse originali o forse no, quadri classicisti, impressionisti o dai soggetti astratti, dalle sfumature confusi e brillanti o dai dettagli nitidamente tracciati e illuminati, fotografie di solenni e anziani individui impettiti in tuba e doppiopetto che facevano proprio una bella figura dietro la grigiastra patina del bianco e nero, più scatti di intimi momenti familiari di vita quotidiana, oltre a varie chinchaglierie assortite dai quattri angoli della Terra e una moltitudine di souvenir di viaggio.

Lasciatelo dire amico, hai proprio un bel gusto come arredatore” commentò estasiato Sasori osservandosi riflesso in un grosso specchio lucido come cristallo, quasi si stupisse di trovare là la propria immagine.

Modestamente devo ammettere che è una dote di famiglia” rispose lo svizzero infilandosi i pollci nella cintura con aria orgogliosa e compiaciuta. “Ora, però, vogliate perdonare la mia terribile scortesia: non vi ho ancora fatti mettere a vostro agio! Che disastro di anfitrione che sono!”.

Così dicendo schioccò le dita e dall'altra estremità del vestibolo sbucò un maggiordomo in frac; costui, un uomo anziano e asciutto dall'aria indecifrabile, si avvicinò ai quattro e formulò gentilmente in un francese eccelllente: “I signori vogliano favorire le loro giacche, prego”.

Gli ospiti si sbottonarono gli abiti e gliele passarono assieme ai cappelli, rimanendo così in maniche di camicia, panciotto e cravatta come Kakuzu quando li aveva accolti; altri camerieri e cameriere frattanto si incaricavno di trasportare i loro bagagli nelle rispettive camere.

Mentre il domestico si avviava umile e indefesso, curvo sotto il peso di tanti indumenti, verso il più vicino attaccapanni, Itachi si rivolse curioso al padrone di casa: “Hai detto che Hidan è già qui. Dove si è cacciato quello scapestrato?”.

Lo svizzero esplose in una risata: “Quel francese! E' sbucato ieri sera nel cuore della notte: quasi quasi si meritava una notte all'addiaccio, dallo spavento che mi ha fatto prendere...Non vi dico in che condizioni era: probabilmente aveva già visitato tutti i bordelli di Zurigo nel giro di un'ora! Adesso venite, che ve lo mostro: meglio non farlo aspettare...”.

Con una certa dose di diplomazia Kakuzu aprì una porticina che si affacciava, anonima fra le tante, sul corridoio che si dipanava dall'ingresso e che stavano percorrendo a passo lento, quindi si affacciò all'interno della stanza e annunciò in tono cordiale: “Ehilà! Guarda chi ti ho portato!”.

Non appena l'elvetico ebbe liberato dalla propria mole la porta, tutti poterono entrarsi, e la prima cosa che videro in quella stanzetta, probabilmente un delizioso salotto per intrattenere gli ospiti, fu lui.

Hidan, stravaccato su un maestoso sofà verde che contrastava nettamente con lo stucco rosso dei muri, rilassava le gambe tenendole su un poggiapiedi, anche se le scarpe finivano comunque per scivolare sul bellissimo tappeto turco sottostante; meno male che sembravano pulite.

Probabilmente con quella mollezza inferiore aveva bisogno di compensare la rigida tensione dei muscoli con cui sorreggeva il volume che stava leggendo, il viso teso e concentrato allo spasimo:

A me pare notevolmente più sobrio di come lo abbia descritto Kakuzu” considerò fra sé e sé Sasori.

La voce dell'anfitrione scosse il francese dalla trance letteraria, e subito si drizzò in piedi in tutta la sua altezza, quindi cominciò a vociare festoso e a distribuire pacche e strette di mano: “Amici miei, che gioia! Ah, mounsiers les Anglais, carissimi ex-compagni d'armi, come butta? Itachi! Vecchio mio, quanto tempo, non sai quanto ho pregato per rivederti! Ah, ci sei anche tu, Deidara! Sempre dietro ai pennelli? Bravo, continua così, non farti ingabbiare dalle loro stupide regole borghesi!”.

Sembrava un vulcano in eruzione da tante erano le parole che pronunciava e l'ardore con cui lo faceva, ma i suoi amici sapevano bene che non agiva in base a sentimenti simulati od eccessivi, perchè dietro la scorza dura del dandy vizioso e spensierato Hidan nascondeva un cuore d'oro e un carattere generoso e risoluto, alle volte quasi eroico e sprezzante.

Mentre il francese continuava a gesticolare animatamente e fare le più vivide comunicazioni a questo e a quello per i motivi più disparati, Itachi si avvicinò di soppiatto al divano e raccolse il volume che era stato abbandonato sui cuscini.

Les fleurs du Mal?” domandò stupefatto. “Hidan, mi meraviglio di te: non sapevo che tu sapessi anche leggere, e soprattutto non mi sarei mai aspettato che leggessi Baudelaire!”.

La combriccola scoppiò in un'unica risata assordante, come ormai da troppo tempo non capitava, e ci vollero parecchi minuti perchè smettessero di contorcersi con la pancia fra le mani, stanchi, paonazzi e sudati.

Molto spiritoso!” ribattè piccato Hidan, con una smorfia che celava un compiacimento da matti.

Non avesse fatto la vita che ha fatto, sarebbe anche il mio modello! Voi lo sapete, non ho mai ecceduto nei piaceri, anche se indubbiamente me li sono goduti: e invecchiando purtroppo uno deve moderarsi... E in più scriveva in modo dannatamente sublime, e a me piacciono le belle poesie, quelle che ti incantano le orecchie, ti rapiscono il pensiero e ti entrano fino nel cuore, facendoti sentire un brivido sotto la pelle”.

I presenti non poterono che apprezzare quell'intenso lirismo poetico, che tutti loro in qualche misura e con qualche variazione avevano sperimentato.

D'improvviso Kakuzu battè con uno schiocco secco le mani per imporre il silenzio e parlò: “Come ben sapete signori, gli orologi svizzeri sono i più impeccabili del mondo, e se non erro quello segna già le dieci e mezzo!” e così dicendo indicò un grosso orologio a pendolo che ticchettava in un angolo seminascosto della stanza.

Non per passare per il ghiottone della situazione, ma a che ore è il pranzo? Non ho ancora ben avuto modo di conoscere la cucina elvetica....” domandò accortamente Deidara.

Ecco, avrei un'idea ma vorrei conoscere il vostro parere...Che ne dite più tardi di una belle merenda all'aperto? Oggi c'è un sole così bello, in casa possiamo mangiarci anche stasera, no?”.

Approvato all'unanimità compare” annuì raggiante Pain dopo un veloce consulto a base di occhiate fugaci e movimenti della testa con gli altri.

Benissimo, sapevo che avreste accettato! D'altronde, quando il buon Dio ci manda delle giornate così è un regalo che non possiamo rifiutare...Ora però si pone il problema di come passare il tempo fino a mezzogiorno. Idee?”.

Deidara e Sasori si guardarono negli occhi come se cercassero l'uno la risposta nelle pupille dell'altro, Pain si scompigliò con la mano i capelli rossi e Hidan si strinse convulsamente il mento accuratamente sbarbato fra le dita, canticchiando una canzonetta a bassa voce; ma chi rimuginò più di tutti fu Itachi, che a un certo punto, col suo tipico stile timido e discreto, quello di chi busserebbe anche ad una porta aperta prima di entrare, proruppe in tono vago: “Vedo che hai buon gusto anche in fatto di pianoforti. Se potessi...”.

Farò di più” rispose l'anfitrione con un sorriso accondiscendente e accattivante a un tempo. “Che ne dici di un duetto? Nessuna gara di bravura, solo per ammazzare il tempo”.

Nel salotto c'erano in effetti un paio di pianoforti, uno completamente in legno di ebano e l'altro verniciato di bianco; ambedue erano dotati anche di appositi sgabelli per il suonatore e si trovavano ai lati opposti del grosso camino, che ovviamente era spento e completamente vuoto, e soprattutto senza la minima traccia di fuliggine.

I due pianisti si accomodarono ciascuno alla propria postazione, Itachi al pianoforte nero e Kakuzu a quello candido, e di scrocchiarono eloquentemente le dita: i loro visi erano seri e concentrati e, pur non essendo una competizione, c'era da scommettere che entrambi avrebbero dato il meglio.

Tutti sedevano chi in poltrona, chi sul divano e chi su una sedia, in preda alla trepidazione.

Itachi si voltò con un'espressione pura e priva di malizia: “Decida pure il padrone di casa”.

Dopo una breve riflessione Kakuzu sentenziò: “Cominciamo con Per Elisa” e mise mano agli spartiti, cercando quello giusto.

Non appena lo ebbe trovato, sistemò con delicatezza il foglio sull'apposito leggìo e senza, guardare quelle note che ormai conosceva a memoria, sollevò in alto le mani, contraendo le braccia, e prese un respiro profondo: sembrava un antico stregone che si apprestasse a lanciare con un semplice gesto il più poderoso degli incantesimi, ma che esitava a proseguire forse perchè temeva di soccombere allo sforzo o di non poter più dominare le forze che avrebbe scatenato.

E la magia sgorgò davvero.

Placida, modulata, romantica, la melodia sublime di Beethoven inondò l'aria come una vampa non improvvisa, ma che iniziava come una piccola e tenue scintilla che cresceva lentamente finchè non trovava abbastanza combustibile spirituale per ardere come un immenso incendio dei sensi e della mente; sgorgava ininterrotta ogni volta che le dita gentili e raffinate di entrambi toccavano con gesti rapidi e delicati i denti d'avorio del pianoforte, spostandosi ora da un lato ora dall'altro veloci come il lampo e con apparente facilità, e non accennava a finire.

Il pubblico li osservava meravigliato come un gruppo di bambini avrebbe ammirato col fiato sospeso un teatro di burattini a una fiera popolare, senza il minimo accenno di noia: ammirare l'arte pura è quasi un'utopia, ma i nostri potevano ben dire davanti a quella perfetta esecuzione di averne appena trovato un esempio.

In realtà non era del tutto ignota loro la grande passione di Itachi e Kakuzu per la musica classica, piacere che anche loro in buona parte condividevano, ma non avendoli mai sentiti suonare prima di allora non si aspettavano una tale bravura esibita senza sforzo e senza ostentazione, come quella di cui dava sfoggio Mozart bambino nelle corti e nei salotti di mezza Europa.

Pain ascoltava felicissimo e quasi rideva, poiché trovava che la musica fosse il degno coronamento della loro ritrovata felicità, che durasse almeno per quel giorno (non osava sperare di tornare interamente ai vecchi tempi); Sasori osserva le loro movenze con viso indecifrabile e occhi sgranati e canticchiava fra sé e sé la melodia come una specie di mantra; Deidara si sentiva trasportare ad altezza sublimi da quell'armonia che conosceva così poco ma a ben vedere rispondeva agli stessi bisogni e stimoli della sua arte; Hidan ogni tanto gettava occhiate in apparenza distratte al soffito o all'intonaco dei muri o agli orologi e ai quadri, ma in realtà si sentiva emotivamente più coinvolto che mai, senza però l'impulso di esternare tale partecipazione più del necessario.

Frattanto, terminata Per Elisa, i due proseguirono con altre composizioni di Beethoven, e ancora con melodie vecchie e nuove, Vivaldi, Bach, Wagner, Strauss, Chopin, lo stesso Wunderkind di Salisburgo; bastava un attimo, uno scatto felino del braccio, e voltavano pagina dello spartito, per poi tornare subito all'opera, senza che si avvertisse una pausa troppo lunga fra un pezzo e l'altro.

Non avrebbe dovuto essere una competizione feroce e serrata, e probabilmente non lo divenne mai; solo che a un certo punto, quando ormai i minuti erano volati via fugaci uno dopo l'altro, i pianisti erano ridotti a due stracci, esausti e con i capelli e la pelle impregnati di sudore.

Si concessero qualche minuto di tempo per boccheggiare avidamente in cerca d'aria e rilassare mani e dita tesi e intorpiditi, quindi il tedesco si voltò verso l'altro e bisbigliò nella propria lingua madre, calcando l'accento berlinese: “Non sei mica male, sai?”.

Grazie mille figliolo” rispose laconico Kakuzu, accentuando anch'egli la cadenza svizzera in una sorta di piccolo gioco campanilistico. “Vediamo se sei bravo abbastanza da improvvisare...”.

La sfida fu accettata, e con vero virtuosismo si cimentarono nel difficile campo dell'invenzione originale e momentanea, su cui però si muovevano egregiamente: sembrava tanto facile per loro combinare le singole note in nuove, inimitabili sinfonie, non prive però di effetto e fantasia, tanto facile che gli altri quattro, sopraffatti dall'ammirazione, si misero ad applaudire come un sol uomo e

battendo ritmicamente le mani.

Felice per quell'inattesa ovazione dopo anni di patimenti e offese (finalmente poteva rientrare, almeno agli occhi degli amici, nel consesso delle nazioni civili, cessando di essere un tedesco e basta) e distratto dal ritmo degli appalusi, d'improvviso Itachi schiacciò un tasto sbagliato, facendo emettere al piano un aspro ululato nasale che si prolungò per qualche secondo.

Immediatamente anche il padrone di casa cessò di suonare, triste per la delusione che avrebbe provato l'altro: sapeva bene che più uno è bravo più rimane scornato quando sbaglia.

Invece con grande stupore di tutti Itachi si concesse un largo sorriso e scoppiò a ridere.

  
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