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Autore: JulietAndRomeo    16/07/2012    1 recensioni
Io rimasi un attimo interdetta: Nick? Quel Nick? Il figlio di Jeremy? Il tipo che avevo odiato a prescindere?
Come se ci fossimo letti nel pensieroci girammo l'uno verso l'altra: «Cosa?»
«Sta zitto!», «Sta zitta!» urlammo all'unisono e continuammo: «Io?»
«Tu!»
«No!»
«No?»
«Si!»
«Smettila!» concludemmo.
questa è la prima storia che scrivo e l'ho fatto per un concorso letterario a scuola quindi non so neanche come è venuta: la pubblico perché mi piacerebbe avere un vostro parere, non so ancora quanto sarà lunga perché il concorso sarà a settembre quindi devo ancora finirla. E' un giallo/commedia perché non piacciono neanche a me le cose troppo pesanti da leggere quindi l'ho 'alleggerita'. Non vi chiederò un commento, quello deve essere a vostro buon cuore. Adesso vi lascio, buona lettura
Genere: Commedia, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 10: Stiamo scherzando, vero?!

«Lo sai, vero, che se mi beccano posso perdere il posto di lavoro?» sussurrò Mark.
«Si, lo so, non c'è bisogno che me lo ricordi, non mi farò beccare» risposi: «Mi infilerò nella stanza di soppiatto e in massimo dieci minuti sarò fuori, rilassati».
«Spero sia come dici tu» disse scettico.
«Non ti fidi di me?» dissi con aria da cucciolo bastonato.
«No, assolutamente no».
«Bravo ragazzo» dissi sfottendolo.
Fece una smorfia e si allontanò, non prima di avermi raccomandato altre 100 volte di stare attenta.
Arrivata davanti alla stanza di Nick, la aprii e scivolai dentro silenziosamente.
Appena richiusi la porta, qualcosa mi colpì in testa e tutto divenne più buio di quanto non fosse prima.

«Macy, Macy stai bene?» disse una voce, non bene identificata: «Babù mi senti?».
Aprii gli occhi e misi a fuoco l'immagine di Nick inginocchiato sopra di me.
«Che diavolo è successo?» dissi mettendomi a sedere, ancora stordita.
«Io, beh... ti ho, ecco si... colpita» disse balbettando incerto.
«Colpita? E con cosa? E, di grazia, perché lo avresti fatto?» continuai confusa, ma leggermente più lucida.
«Ti ho colpita con la lampada» ammise titubante: «Oggi, poco dopo che sei andata via, qualcuno è entrato nella mia stanza, per fortuna io ero nel parco dell'ospedale a prendere una boccata d'aria. Ecco, ho creduto fossi un'intrusa» si affrettò a spiegare.
«Io un'intrusa? Sono poco più alta di un puffo, come avrei potuto aggedirti, me lo spieghi?» cominciai; poi mi bloccai: «Woah, aspetta: qualcuno si è introdotto nella tua stanza? Perché? Come hai fatto a capirlo?» dissi tutto d'un fiato.
«Una domanda alla volta, per favore: alla domanda di come avresti potuto aggredirmi, dato che sei un puffo, ti rispondo che ci sono nanerottoli che riescono a mettere al tappeto dei giganti (prendi Davide e Golia); poi, si, qualcuno è entrato nella mia stanza; il perché non lo so; e l'ho capito perché ha lasciato questo» disse indicandomi un cartoncino di carta attaccato al muro.
«Potrebbe essere che qualcuno abbia voluto lasciarti un biglietto, magari un'ammiratrice segreta che ti sei fatto qui in ospedale» lo liquidai.
«Oh, ma certo! Come ho fatto a non pensarci prima?» disse sarcastico: «Perché è ovvio che tutte le pazienti qui, per quanto pazze, vanno nelle camere degli altri pazienti ad attaccare biglietti, in codice tra l'altro, ai muri con dei coltellini svizzeri! È ovvio!» concluse.
«Stiamo scherzando, vero?! Coltellini?».
«Si, guarda qua» disse tirando fuori un coltellino svizzero dal cassetto del comodino accanto al letto: «Ho chiesto a tutti gli infermieri di non toccare niente e gli ho convinti a non chiamare la polizia convincendoli che probabilmente era solo uno scherzo. Per te significa qualcosa?».
Io non risposi, ero troppo persa nei meandri contorti del mio cervello: perché qualcuno doveva avercela con Nick? Non ero neanche sicura che ce l'avessero con lui: l'aggressione in casa era opera di Anderson e dell'agenzia, Nick non era il bersaglio diretto, quindi questo avrebbe potuto essere anche un caso, o forse...
«Hai detto che è successo poco dopo che io sono uscita?».
«Beh, si all'incirca, perché?».
«Potrebbe essere un avvertimento per me. Vedendomi uscire da questa stanza, avranno pensato che sarei tornata e quindi hanno fatto tutto questo casino».
«Ne sei davvero convinta?».
«No, fammi vedere il biglietto».
Lui accese la luce e chiuse le persiane. Io mi avvicinai al muro e considerai l'altezza a cui era attaccato il biglietto, adesso sostenuto con una puntina.
«Hey Nick, vieni qui» dissi senza guardarlo: «Mettiti qui davanti al biglietto».
«Ok».
«Lo hai spostato?».
«Cosa?».
«Quando hai rimosso il coltello e lo hai sostituito con la puntina, hai abbassato il biglietto? Lo hai spostato?».
«No, perché».
«Ammesso che tu non abbia spostato il foglietto, il tipo che è entrato qui dentro deve essere alto più o meno un metro e novanta e deve essere entrato con una scusa» dissi pensierosa.
«Come fai a dirlo?»
«Considerando che tu sei alto un metro e ottanta e il cartoncino è appeso circa 10 centimetri più in alto di te e considerando anche che di solito appendiamo le cose allo stesso livello degli occhi, il nostro uomo è alto un metro e novanta, forse qualche centimetro in più; sarebbe quindi stato difficile non notarlo se si fosse intrufolato, quindi aveva una scusa per entrare qui dentro; inoltre io sono andata via poco prima della fine dell'orario di visita e tu probabilmente sei uscito poco dopo che io avevo alzato i tacchi, giusto?».
«Si, circa due minuti dopo».
«Quindi il tizio sapeva che la stanza era vuota e che tu non eri qui dentro».
«Giusto».
«Quindi non era un'aggressione, perché se lo fosse stata non avrebbe aspettato che tu uscissi: probabilmente ha detto agli infermieri che era un tuo parente o un tuo amico».
«Vuoi vedere il biglietto?».
«Si prendilo».
Prese il biglietto e me lo porse: sulla carta bianca spiccava una sequenza di numeri scritti con inchiostro rosso e firmati con la sigla 'M.R.'
«M.R. Significa qualcosa per te?» chiese Nick sedendosi sul letto.
«Si» risposi asciutta.
Mi rivolse uno sguardo stupito e interrogativo e mi ricordai di non avergli riferito le novità.
Parlai per circa cinque minuti buoni e spiegai tutto a grandi linee, prima di andare via, con la promessa di portare notizie più precise.
Quando uscii dalla camera, con addosso il coltellino e il biglietto, Mark era già dietro l'angolo ad attendermi per scortarmi fuori dall'ospedale.
«Hai saputo?» mi chiese.
«Si e, se la prossima volta che succede una cosa del genere non vengo informata, considerati carne morta» mormorai prima di andarmene.
Attraversai velocemente il parcheggio dell'ospedale ormai deserto e raggiunsi l'auto. Mi lasciai cadere sul sedile e dopo aver acceso la luce, posizionata sopra lo specchietto retrovisore, esaminai il biglietto: alcune sequenze di numeri erano separate tra loro da uno slash, formando un totale di 86 numeri.

65666665/78687978658469/7376/67658379/79/7669/6779788369718569789069/83658265787879/7182658673.
M.R.

Avevo già visto codici del genere: si chiamavano ASCII ed erano relativamente semplici, infatti ad ogni coppia di numeri, da 65 a 90, corrispondeva una lettera dell'alfabeto e gli slash erano probabilmente gli spazi tra le parole.
La firma invece era inconfondibile: Mano Rossa.
Al di fuori del distretto, nessuno sapeva di me e Nick e quindi la domanda sorgeva spontanea: come avevano fatta a sapere che stavamo seguendo le indagini?
Per quanto riguarda il perché del codice, era ovvio che volessero assicurarsi che nessuno oltre me capisse il messaggio.
Misi da parte il biglietto per prendere il coltellino: era leggermente più piccolo di quelli normali, circa 74 mm, quando quelli standard erano di circa 91 mm.
Cercai la marca e la trovai sulla lama più grande: Victorinox.
I coltellini avevano prezzi variabili, a seconda di quante funzioni possedevano, ma Victorinox, insieme a Wenger, era una marca costosa: il coltello in questione, aveva il manico in madreperla e 33 funzioni. Non proprio economico: considerando la preziosità dell'impugnatura e le spese di spedizione dalla Svizzera, avrei detto che quel coso, poco più grande del mio palmo, costasse circa 500 dollari.
Mi domandai il perché avessero lasciato un gioiello simile (perché era inutile negarlo, avevo un gioiello tra le mani) conficcato in un muro a reggere uno squallido biglietto, e naturalmente non trovai risposta.
Decisi che per il momento sarebbe stato meglio tornare a casa, decodificare le stringhe di numeri e tranquillizzare la signora Smith e Charles sulle condizioni di Nick.
E così tornai a casa: ormai era quasi l'una e all'interno tutte le luci erano spente. Sorrisi tra me e me pensando che nonostante la signora Smith fosse testarda, anche lei aveva ceduto al sonno.
Richiusi piano la porta alle mie spalle e salii silenziosa in camera mia: finalmente un po' di pace.
Mi buttai a letto a peso morto e, poco dopo aver appoggiato la testa sui cuscini, caddi in un sonno profondo.
La mattina dopo, quando aprii gli occhi, la prima cosa che vidi, furono i piedi del letto e quelli del comodino, e la prima cosa che percepii fu la morbidezza del tappeto.
«Come cavolo faccio a cadere sempre dal letto, anche quando non ho la forza per muovere un dito?» borbottai infastidita.
Mi rialzai piano e mi trascinai fino in bagno. Dopo essere uscita dalla doccia, alzai gli occhi sullo specchio: dire che la ragazza che mi stava guardando era un mostro, equivaleva ad offendere tutta la categoria dei mostri. Ero semplicemente orribile, terrificante, assolutamente inguardabile.
Se qualcuno, nel cuore della notte, avesse scorto il mio viso nell'ombra, dopo essersi appena ripreso da un incubo avrebbe potuto solamente credere che stesse facendo un incubo peggiore di quello precedente oppure sarebbe uscito di testa e si sarebbe sparato ad una tempia, convinto che la morte fosse venuta a prenderlo.
Avevo due occhiaie che facevano a gara a chi arrivava più lontano, i capelli scompigliati (si, anche dopo la doccia, incredibile vero?) e le guance senza colore.
Non mangiavo da due giorni e continuavo a non avere fame, ma sapevo che appena avessi messo piede di sotto, la signora Smith mi avrebbe costretta a mangiare per sei persone.
Sospirando mi asciugai e mi pettinai, almeno per darmi una parvenza di ordine. Tornata in camera, mi vestii con calma, scegliendo una canottiera bianca, morbida, lunga fin sotto i fianchi e dei jeans stretti neri. Misi i miei immancabili trampoli (chiamati dalla gente comune tacchi) che mi aiutavano a sentirmi meno gnomo e più persona normale. Misi delle lunghe collane nere e qualche anello dello stesso colore.
Ammettiamolo: adesso vedendomi allo specchio sembravo un po' meno spaventosa. Presi la borsa e scivolai fuori dalla stanza.
Arrivata in salotto lanciai la borsa sul divano, decisa a riprenderla solo quando fossi uscita, e mi avviai in cucina.
Ad attendermi al varco, indovinate chi c'era? Si, sempre lei. Lei che con tutto il cibo che preparava, popolava i miei incubi peggiori, lei che era sempre troppo apprensiva nei miei confronti: la signora Smith.
«Oh, cara, che ti è successo?» disse appena mi vide.
«Finora niente e spero che anche in futuro sia lo stesso, perché?».
«Sei così magra! Non mangi da molto! Vieni, siediti, ti ho preparato una bellissima colazione» disse entusiasta.
«Veramente io vorrei soltanto...» cominciai.
«Sciocchezze! Mangerai tutto e mi assicurerò che tu lo faccia» disse sedendosi davanti al posto destinato a me.
Sospirando, consapevole che non avevo via d'uscita, mi sedetti: sulla tavola mancavano soltanto i piedi del tavolo (che non potevano essere cotti perché dovevano reggere il tavolo) e quelli della sedia, che non potevano esserci perché dovevano assicurarmi un posto dove sedermi.
'Cristo, come farò a mangiare tutto?!' pensai disperata: 'Mi porteranno all'ospedale per farmi una lavanda gastrica se manderò giù solo la metà di tutta questa roba! Andrò a fare compagnia al piccolo mangiatore di fango!'.
Deglutii tentando di pensare ad un qualunque modo per uscire da quella situazione, peccato però che il mio cervello avesse fatto quello che IO avrei voluto fare: era andato in vacanza alle Hawaii pur di evitare la tortura.
Con un sospiro di rassegnazione, mi misi a mangiare: uova, bacon, pane, marmellata, burro, toast e chi più ne ha più ne metta.
Alla fine mi fermai solo per bere un pò sotto lo sguardo assassino della signora Smith, secondo la quale evidentemente, dovevo ingozzarmi senza neanche bere.
Distolsi gli occhi dai suoi, che mandavano lampi, e li rivolsi alla TV senza guardarla veramente. A salvarmi dallo strazio, intervenne il mio cellulare che cominciò a squillare: «Non muoverti, lo prendo io» disse la signora Smith.
Tornò poco dopo con il mio telefono e mi trovò proprio per come mi aveva lasciata, con il bicchiere alle labbra.
«Cullen» risposi per poi riprendere a bere lentamente.
«Il suo amico è scomparso, Cullen» disse la voce dell'agente Miller al telefono.
Sputai tutto quello che avevo in bocca addosso alla signora Smith che si alzò fulminea dalla sedia lasciandola cadere per terra: «Cosa?!» dissi urlando al telefono: «Glielo lavo io» dissi poi alla signora Smith a mo' di scuse.
Lei mi guardò impassibile e andò a cambiarsi il grembiule.
«Che cosa significa che non...» pensai alla donna presente nella mia stessa stanza e abbassai il tono di voce per non farle venire un infarto con la notizia: «Che cazzo significa che non trovate il mio amico, Miller?!» sibillai.
«Siamo andati stamattina da lui, perché hanno avvertito l'ispettore Lewis che potevamo riportarlo a casa, ma non lo abbiamo trovato. Tutta la sua roba era li, ma lui non c'era».
«Beh, non me ne frega un accidente se non c'era, trovatelo!» urlai isterica.
«Non è così facile, potrebbe essere ovunque».
«Nick!» sentii dire da Charles in salotto.
«Potrebbe essere a casa» dissi dura: «La prossima volta che ve lo perdete, vi farò spedire a dirigere il traffico nei sobborghi più infami di L.A.» conclusi chiudendo la telefonata.
Mi alzai in fretta e quasi correndo arrivai in salotto: Nick era lì, stravolto e.. scalzo?
«Charles, puoi lasciarci da soli per favore?».
«Ma si, certo» disse lui tornando di sopra, dopo averci rivolto un'occhiata indefinibile.
«Che cosa è successo? L'agente Miller, quello dell'F.B.I., mi ha chiamata meno di un secondo fa, dicendomi che eri scomparso» dissi aiutandolo a sedersi.
«Si, sono dovuto andare via stamattina» disse.
«Senza scarpe? Lasciando tutte le tue cose in ospedale? Non dicendomi niente? Ti sembro cretina? Che diavolo è successo? E non provare a minimizzare!».
Mi guardò e poi mi chiese di non urlare a causa del mal di testa che gli martellava il cranio.
«Ok, io non urlo, ma voglio spiegato cosa è successo».
«Stamattina, quando mi sono svegliato, mi sono lavato e vestito. Ero in bagno quando ho sentito un rumore venire dalla mia stanza. Ho sbirciato attraverso il buco della serratura della porta e ho visto un tizio, simile a quello che avevi descritto tu ieri sera, solo che questa volta non era entrato con una scusa, ma dalla finestra e quindi mi sono fatto prendere dal panico: ho staccato due chiodi, che non erano fissati bene, dal muro del bagno e ho forzato la serratura della porta che Katia (l'infermiera che hai visto ieri) mi ha detto comunicava con un'altra stanza. Sono entrato nella suddetta stanza e la vecchietta che c'era nel letto ha cominciato ad urlare. Senza preoccuparmi di lei, sono uscito e mi sono messo a correre, nonostante la testa mi girasse, verso l'uscita. Alcuni infermieri hanno provato a fermarmi, ma ho scansato alcuni e travolto altri finché non sono arrivato in strada; ho chiamato un taxi appena mi sono accorto che il tipo di prima mi stava inseguendo, per colpa delle urla della vecchia probabilmente, ho dato la destinazione al tassista e mi sono precipitato qui. Il resto lo sai» disse ad occhi chiusi.
«Stiamo scherzando, vero?!».
«Assolutamente no» disse stanco.
«Fatti accompagnare di sopra da Charles e vai a riposarti, io chiamo Lewis e gli racconto tutto. Gli dico anche di far venire Derek per un identikit».
«Chi diavolo è Derek?».
«La mia nuova conquista» dissi noncurante.
Cominciai a comporre il numero di cellulare di Lewis.
«Chi?» sibillò Nick.
«Ispettore, sono io» dissi al telefono.
«Macy, che significa 'la tua nuova conquista'?» disse il ragazzo alle mie spalle.
«Si, è qui con me, deve venire subito e porti Miller, Anderson e l'agente McGowell».
«Rispondimi, accidenti» continuava a dire il mio amico.
«Bene, l'aspetto» dissi all'ispettore chiudendo la chiamata.
«Allora?!» disse Nick, visibilmente alterato.
«Lewis sta arrivando con tutti gli altri al seguito» dissi riassumendo la breve conversazione avuta con l'ispettore.
«Non mi riferivo a quello».
«Peccato, perché non risponderò più a nessuna domanda. Aspetta, chiamo Charles e ti faccio portare di sopra» dissi andando alla ricerca di Charles.
Ebbi appena il tempo di sentire un suo 'Ma...' di protesta che salii le scale allontandandomi.
Dopo averlo torvato, chiesi a Charles di aiutare Nick e gli dissi che se avesse protestato per essere portato da me, anziché nella sua stanza, avrebbe dovuto ignorarlo. Lui annuii e andò a prendere Nick.
Io tornai in camera mia e presi la copia del biglietto che avevo trascritto in macchina la sera prima, prima di lasciare il parcheggio dell'ospedale.
«Devo decifrare il maledetto codice» mormorai.
Dopo circa cinque minuti, avevo il codice decriptato tra le mani e una gran confusione in testa.
'ABBANDONATE IL CASO O LE CONSEGUENZE SARANNO GRAVI. MR'
Molto schietti gli amici criminali. Era scritto tutto maiuscolo, evidentemente non conoscevano abbastanza bene il codice da sapere che le lettere minuscole erano contrassegnate con i numeri da 97 a 122, quindi o non erano molto informati, cosa che mi sembrava improbabile, visto che avevano scoperto che collaboravamo al caso, o usavano il codice da così poco da non conoscere questo dettaglio. La confusione era dovuta invece alla domanda che mi assillava dalla sera precedente: come facevano a sapere tutto?
Sentii le voci degli agenti nel salotto e mi affrettai a scendere.
«Buongiorno, se volete seguirmi vi porto da lui, non credo sia in grado di fare più di due metri senza barcollare» dissi.
«Certo» rispose Lewis.
Arrivammo in camera di Nick e mi feci da parte per fare passare il drappello di persone che erano al mio seguito.
«Nick, lui è l'agente Miller dell'F.B.I.» dissi indicando il tizio alla mia destra: «Lui l'agente Anderson della C.I.A.» dissi indicando il tipo alla mia sinistra: «E lui l'agente Derek McGowell, che farà l'identikit del tipo che ti ha inseguito stamattina».
Alla mia ultima frase, tre teste si voltarono verso di me e tutte e tre all'unisono dissero: «Cosa?!».
«Ne parliamo fuori. Buon lavoro Derek; se ti serve qualcosa, Nick, chiamami».
«Cos'è questa storia, Cullen?» disse Anderson appena chiusi la porta della stanza.
«Scendiamo di sotto e vi spiegherò tutto».
Li feci accomodare in salotto e, ricordando la 'colazione' della signora Smith, chiesi loro se avessero fame. Alla loro risposta negativa, mi sedetti anch'io e sospirando, cominciai a raccontare tutto.
   
 
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