GO AHEAD
Yamamoto
si sentiva ancora confuso. Non riusciva a ricordarsi com'era successo tutto
quello, era stato tutto troppo veloce. O forse la verità era che non voleva
riuscire a ricordare. Troppo dolore che né lui, né i suoi amici, né Kaoru si
meritavano.
In
fondo, gli avevano spiegato cos'era successo in realtà alla famiglia Shimon, e
lui era stato felice di sapere che Kaoru lo considerasse ancora un amico. E
poco importava se poi era lui quello che avrebbe dovuto perdonare Kaoru e
decidere se valeva la pena considerarlo o meno un prezioso amico. Lui non aveva
mai avuto dubbi in proposito, e non ne avrebbe avuti adesso.
In
fin dei conti, per quanto forse la sua vita adesso sarebbe cambiata, non
sarebbe stato un problema. Avrebbe dovuto dire addio al baseball, probabilmente
anche alla spada e a quel divertente gioco sulla mafia con Tsuna e tutti gli
altri ma...beh, era stato un incidente, quindi non poteva prendersela con
nessuno.
Suo
padre era, probabilmente, quello che l'aveva presa peggio. Quando i medici gli
avevano parlato, schietti e spietati, Yamamoto l'aveva visto sbiancare così
tanto che aveva avuto paura svenisse. Lui l'aveva capito non appena aveva
aperto gli occhi che c'era qualcosa che non andava, e capire cosa fosse l'aveva
inizialmente sconvolto.
Era
difficile accettare una realtà del genere, doveva essere sincero.
Non
poter più giocare a baseball, dover cambiare tutta la sua vita.
Era
difficile perché non aveva mai nemmeno lontanamente preso in considerazione
qualcosa di simile.
Lui
voleva diventare un campione di Baseball, voleva allenarsi con la spada con
Squalo, voleva combattere al fianco dei suoi amici, per loro e per la sua
famiglia.
Invece...invece
niente. Niente di tutto quello sarebbe più potuto accadere. O almeno ne
dubitava fortemente.
Anche
se al pianto del padre aveva represso il suo e aveva sorriso, dicendo che non
si doveva preoccupare, in realtà era spaventato. E preoccupato e amareggiato. E
aveva voglia di piangere e urlare e rompere qualsiasi cosa si trovasse a
portata di mano, compresa quella stupida sedia a rotelle.
La
verità era che anche se il medico gli proponeva operazioni che gli avrebbero
potuto dare una piccola percentuale di ripresa, anche se diceva che forse la
riabilitazione poteva aiutarlo, lui non ci credeva.
Potevano
dirgli quello che volevano, potevano dargli tutte le speranze -fasulle- di quel
mondo, ma lui le gambe non le sentiva più. Non le muoveva più. E non sarebbe
più riuscito a muoverle, lo sapeva. E lo leggeva negli occhi del padre e del
medico che l'aveva ora in cura.
Non
era da lui arrendersi, non era da lui scoraggiarsi. E non lo stava facendo.
Semplicemente, vedeva la realtà un po' più per com'era veramente, stavolta.
"Takeshi?"
si riscosse, alla voce del genitore. Stava tornando a casa, perché non ne
poteva più di rimanere in ospedale, perché era inutile continuare a stare lì.
Afferrò
il borsone e se lo poggiò sulle ginocchia "Sì, papà?" gli sorrise, di un sorriso uguale ai soliti e
al contempo più spento.
Tsuyoshi
scosse la testa "Abbiamo preso tutto?" domandò, cominciando già a
spingere la sedia a rotelle su cui era costretto il figlio.
Takeshi
sospirò, rilassandosi sullo schienale "Sì" mormorò, come se fosse
esausto, stravolto. E lo era, davvero.
Iniziava
ora una battaglia che non avrebbe mai voluto affrontare, da cui sarebbe
volentieri scappato, quella volta.
Il
sospiro che uscì dalle sue labbra spinse Tsuna a voltarsi dalla sua parte.
Yamamoto gli sorrise, come se niente fosse, scrollando le spalle e facendogli
cenno di tornare a guardare il professore, prima che li beccasse di nuovo
entrambi a non far nulla.
Era
tornato a scuola già da qualche mese ormai, eppure ancora i ragazzi e i
professori si voltavano al suo passaggio, i ragazzi del club piangevano la sua
ritirata, le ragazze maledivano la sua sfortuna. Tutto abbastanza nella norma,
come c'era da aspettarsi.
Yamamoto
sorrideva solare a tutti, scrollava le spalle, diceva di non preoccuparsi.
Nessuno l'aveva mai visto amareggiato, i suoi occhi ridevano ancora come un
tempo, non si faceva problemi a chiedere aiuto e tutti erano sempre pronti a
dargli una mano.
Takeshi
Yamamoto era esattamente come lo ricordava, eppure a volte Tsuna, guardandolo,
si chiedeva se era davvero quel sorriso il vero volto del suo amico. Se magari
il Guardiano della Pioggia non lo facesse solo per lui o per gli altri.
Sorrideva
a Tsuna perché sapeva che Tsuna si sentiva in colpa.
Sorrideva
a Kaoru perché sapeva che Kaoru si sentiva in colpa.
Sorrideva
al padre perché sapeva che Tsuyoshi era preoccupato e spaventato.
Sorrideva
a Gokudera , perché sperava di ricevere un qualsiasi segno da parte dell'altro.
Cenno
che non gli veniva mai rivolto.
Non
sapeva che meccanismo contorto avesse attivato la mente di Gokudera, sapeva
solo che da quando erano tornati vincitori dallo scontro contro gli Shimon, lui
Tsuna, Ryohei e Lambo, il Guardiano della Tempesta non era più stato lo stesso.
Più precisamente, Yamamoto aveva la sensazione che il suo modo di fare fosse
cambiato essenzialmente nei suoi confronti.
Perché
con il suo adorato Decimo era sempre lo stesso sorridente, servizievole
Gokudera. Lo andavano a prendere insieme, pranzavano insieme, spesso facevano
ancora i compiti a casa tutti e tre insieme. Solo che Yamamoto aveva notato
che, in tutte queste attività e in molte altre, Gokudera in un modo o
nell'altro evitava sempre il suo sguardo. E Yamamoto non riusciva a capire
perché.
Non
sapeva se doveva effettivamente preoccuparsi di aver fatto qualche torto
all'amico, o pensare che quella situazione fosse colpa della sua attuale
condizione. E se così fosse stato, continuava a non capire l'altro.
Al
suono della campanella, Yamamoto lasciò cadere la penna -che non aveva usato-
sul quaderno, allungando per bene la schiena. Gli occhi andarono inconsciamente
a cercare il Guardiano della Tempesta, ma quel giorno l'amico aveva lasciato
l'aula a lezioni appena iniziate e non l'aveva più visto.
Spinse
la sedia all'indietro con la forza delle braccia e si avvicinò al castano
"Tsuna, andiamo a pranzo?" chiese sorridendogli. Il futuro Decimo
Boss dei Vongola si girò verso di lui e abbozzò un sorriso tirato. Un sorriso
che non si estese agli occhi, e Yamamoto sapeva che era colpa sua. Ignorò
quella luce colpevole nello sguardo dell'amico tutte le volte che lo guardava e
si voltò invece verso Enma Kozato, che non era da
meno di Tsuna, in quanto a sensi di colpa.
Yamamoto
spesso aveva la tentazione di urlargli contro di smetterla, come in quel
momento, che così facendo lo facevano solo stare peggio e che non era colpa
loro, che gli facevano solo pesare quella situazione ancora di più. Ma
dopotutto lo sapeva, che i due erano solo preoccupati per lui, ne era
consapevole e se ne dispiaceva. Così rassicurava e sorrideva.
"Ti
unisci a noi, Enma?" esclamò, sapendo che così nessuno dei due avrebbe
rifiutato l'invito. Enma e Tsuna erano molto uniti, nonostante tutto.
I
due annuirono un po' titubanti, prima che Tsuna prendesse a spingere la sua
sedia a rotelle fino al giardino interno della scuola media Namimori.
Arrivare
al tetto era troppo complicato, ormai.
Si
stavano dirigendo verso un praticello dove sapevano
poter stare tranquilli, sul retro della scuola, quando una piccola, chiassosa
folla attirò la loro attenzione.
"Che
succede lì?" chiese Tsuna, quasi intimorito.
"Una...rissa?"
Yamamoto
rise allegro "Magari stanno giocando" esclamò, con il suo solito modo
di fare "Andiamo ad unirci anche noi?"
Tsuna
avrebbe voluto fargli notare che, a seconda dei giochi, lui forse non avrebbe
potuto partecipare, ma non ebbe cuore di esternarlo. Yamamoto era entusiasta,
come tutte le volte.
Spinse
la carrozzina e si fece spazio fra la folla.
"G-Gokudera-kun!"
"Kaoru!"
Yamamoto
si morse il labbro, lontano dagli sguardi degli altri, in silenzio.
Nessuno
stava giocando con nessuno.
C'era
solo Gokudera, livido di rabbia, che picchiava Kaoru, che si lasciava colpire
senza alzare un dito in sua difesa.
Tsuna
era corso per tentare di fermare il suo autoproclamato braccio destro, mentre
Enma si apprestava a soccorrere goffamente Kaoru. Yamamoto spinse la sedia a
rotelle e si avvicinò all'argenteo.
"Gokudera"
lo chiamò, con voce ilare, ma l'altro non gli rivolse attenzioni "Perché
stavate litigando?"
Kaoru
si alzò subito a sedere "E' colpa mia, Yamamoto"
Takeshi
sorrise "Davvero? Immagino che Gokudera si sia scaldato subito come al
solito, vero?" rise, e forse fu proprio questo a far perdere quel poco di
autocontrollo che era rimasto al Guardiano della Tempesta.
Infatti
l'italiano era scattato, afferrandolo per il bavero della maglia "Perché
diamine gli dai ragione e gli credi ancora, invasato del baseball?" ululò,
ignaro che quel soprannome, al momento, era come una coltellata al petto per
Yamamoto.
"Beh,
è mio amico, giusto? E poi sarebbe da te!" esclamò, sorridendogli, quasi
felice che l'altro gli avesse rivolto parola.
"Non
dire cazzate, sei stupido o che cosa? Ce l'hai un cervello sotto quella massa
di capelli?"
Yamamoto
inclinò il capo, perplesso "Che vuoi dire?"
"Gokudera-kun, ti prego, calmati"
Poi
fu questione di un attimo solamente.
Gokudera
aveva ringhiato, esasperato, spingendo con rabbia e forza Yamamoto
all'indietro, senza accorgersi che nell'impeto di andargli contro, prima, gli
aveva fatto perdere contatto con la sedia. La carrozzella fu spinta
all'indietro e Takeshi si ritrovò steso a terra, sotto gli sguardi stupiti e
allarmati di tutti.
"Yamamoto!"
"Yamamoto,
stai bene?" gli chiese Kaoru, preoccupato.
Takeshi
sorrise ad entrambi "Sto bene, sto bene" rise, quasi fosse inciampato
sui suoi stessi piedi e dovesse sdrammatizzare una sua pessima figura "Mi
date una mano?"
"Certo!"
I
tre riuscirono a rimetterlo sulla sedia a rotelle, mentre Yamamoto continuava a
ridere e a scusarsi di essere un sacco di patate bello e buono.
Quando
aveva rialzato gli occhi, Gokudera era sparito.
Smise
di correre solo quando si ritrovò fuori dalla scuola. Si ritrovò vicino al
parco poco lontano da casa Sawada e allora, solo allora, si fermò, lasciandosi
cadere sull'altalena. Mosse piano i piedi, dondolandosi appena. Gli occhi verdi
erano puntati fissi sul pavimento sdrucciolato del parco-giochi, senza in
realtà vederlo.
Non
voleva fare quello che aveva fatto.
O
meglio, se l'era presa con Kaoru perché ormai non sopportava più la sua vista. Non
sopportava più nessun membro della famiglia Shimon.
Loro
avevano rovinato tutto, tutto quanto.
Non
riusciva a capire perché il Decimo fosse così legato a Enma, ma lo accettava,
perché naturalmente se il suo Boss prendeva delle decisioni lui doveva seguirle
nel bene o nel male.
E
allora poteva anche accettare la vista giornaliera di quel Kozato
se questa rendeva più serene le giornate del Decimo.
Ma
gli altri...gli altri non poteva sopportarli. Soprattutto, non poteva accettare
la presenza di Kaoru, così maledettamente costante nella vita di Yamamoto.
Sempre disponibile, sempre pronto ad aiutarlo. E Yamamoto accettava sempre col
sorriso sulle labbra.
Possibile
che quello stupido invasato non si rendesse conto che tutto quello che gli
stava succedendo era colpa proprio di quello che considerava un suo amico?
Possibile che non si rendesse nemmeno conto che quel tipo gli aveva anche
rubato il posto in squadra e lui, invece, non avrebbe mai più giocato? Era
davvero stupido fino a questo punto?
Calciò
un sasso e ringhiò verso nessuno in particolare, si accese una sigaretta e
aspirò con tutta la forza che aveva nei polmoni.
Quella
situazione gli stava facendo perdere la testa, neanche fosse lui quello che
doveva arrabbiarsi col mondo per essersi visto rovinare la vita. Invece
Yamamoto passava le giornate a sorridere e ringraziare e scusarsi e
tranquillizzare. Come un perfetto idiota.
Aveva
sempre pensato che fosse un coglione, ma credeva ci fosse un limite al peggio.
Invece a quanto pareva non era affatto così.
Yamamoto
era idiota proprio fino al midollo. Non sapeva nemmeno che significava provare
rancore per gli altri.
Mizuno
gli aveva appena rovinato la vita, ma in fondo che importanza aveva? Era sempre
suo amico.
Appena
si accorse che la sigaretta era ormai consumata fino al filtro, la gettò a
terra e se ne riaccese un'altra.
Il
problema più grande al momento era che non riusciva a stare nella stessa stanza
con Yamamoto senza aggredirlo a parole o a gesti. Era più forte di lui. Così si
sforzava di ignorarlo il più possibile.
Visto
che Yamamoto sembrava incurante del suo problema, visto che sembrava non gli
importasse niente, che avesse già superato il trauma, lui non aveva intenzione
di cambiare modo di fare. Lui non era come Takeshi, lui non riusciva a
comportarsi come se niente fosse. Per questo lo ignorava, proprio come Yamamoto
faceva con il suo problema.
Lui
la vedeva, quella maledetta sedia. le vedeva, le gambe di Yamamoto. E tutte le
volte gli montava una rabbia che non sapeva descrivere.
Si
alzò dall'altalena, infilandosi le mani in tasca e dirigendosi verso il suo
appartamento. Se doveva essere sincero, non sapeva nemmeno perché era
praticamente scappato via in quel modo, quando aveva visto Yamamoto a terra.
Lui...in
verità non avrebbe voluto farlo cadere. Solo che era stato preso dalla rabbia a
quelle maledette parole.
Quando
finalmente riuscì a trovare le chiavi di casa, la prima cosa che fece fu
buttarsi sul suo letto, accendersi un'altra sigaretta e fissare il soffitto.
Kaoru,
che aveva riaccompagnato a casa Yamamoto, lo lasciò sulla soglia del
ristorante, voltandosi e andandosene, senza ascoltare la voce di Takeshi che lo
invitava a restare. Il padre di Yamamoto non conosceva la verità di quanto era
successo. Di comune accordo gli avevano detto che era stato un tragico incidente
avvenuto durante gli allenamenti serali.
Ma
per Kaoru accettare le gentilezze del signor Yamamoto risultava come una
mancanza di rispetto, per questo tutte le volte che accompagnava Yamamoto fino
a casa, declinava l'offerta. A volte non oltrepassava nemmeno la porta del
ristorante.
Yamamoto
sospirò vedendo l'amico allontanarsi e spinse la porta del Take Sushi, entrando
-con un po' di difficoltà a causa del piccolo gradino, ma ormai ci aveva fatto
la mano-.
"Yo, papà!"
L'uomo
alzò gli occhi sul figlio e gli sorrise appena "Oh, Takeshi,
bentornato" mormorò. Non si mosse per dargli una mano, perché sapeva in
cuor suo che nonostante tutto Takeshi voleva essere il più autonomo possibile.
Per questo aveva fatto istallare un montascale che aiutasse il figlio a salire fino
al piano di sopra -non avevano trovato altro modo per arrivare all'appartamento
sovrastante il ristorante, e prendere di peso Takeshi e portarlo di sopra tutti
i giorni non sarebbe stato d'aiuto a nessuno-, aveva anche fatto in modo che
tutto in casa adesso fosse a portata di mano del ragazzo.
Almeno
in questo modo pensava -sperava- di aiutare il figlio il più possibile,
cercando di non fargli pesare niente.
"Il
tuo amico dall'Italia di sta aspettando nella tua stanza"
"Un
amico dall'Italia?" Takeshi sbatté le palpebre. Non poteva essere
Gokudera, perché dubitava sarebbe mai venuto a trovarlo, specie dopo quello che
era successo quella mattina stessa. E poi suo padre lo conosceva.
"Ma
sì, certo. Mi ha persino sfidato, quando gli ho detto che tu non eri ancora
tornato. Sbraitava tanto e allora ho accettato. Devo dire che ci sa davvero
fare, con la spada. Mi ha detto che ti stava allenando lui già da un po' di
tempo. Mi dispiace di non essermi mai interessato dei tuoi miglioramenti"
mormorò il padre, abbozzando un sorriso che risultò tirato e finto. Saltò su
quando, distratto, si tagliò con i coltello con cui stava preparando il sushi,
affrettandosi a mettere la mano sotto l'acqua fredda.
Sapeva
che il figlio ci sapeva fare, con la spada, sapeva in cuor suo che continuava
ad allenarsi, ma da quando aveva smesso di chiedergli aiuto, lui non aveva più
pensato di farsi di mostrargli a che punto era arrivato, per poter essere fiero
di lui anche per quel motivo. Perché stava mandando avanti una tradizione
importante per la famiglia.
Voleva
aspettare che fosse Yamamoto a correre da lui, entusiasta, e a sfidarlo per fargli
vedere che adesso avrebbe sicuramente potuto batterlo, che era forte, più forte
di lui. Pensava ci fosse tempo e si fidava davvero del figlio.
Invece
il tempo non c'era più ormai, Yamamoto non avrebbe più potuto fargli vedere i
suoi tanti miglioramenti con la spada.
Quando
si accorse dell'espressione del padre, Takeshi scurì la sua. Durò solo un
attimo, però, contento all'idea che Squalo fosse venuto a trovarlo.
"Papà..."
lo richiamò. Ma non sapeva davvero che cosa dirgli. Un semplice 'non ti
preoccupare, ci saranno altre occasioni' ormai era completamente fuori luogo
anche per lui. Non si sarebbero state altre occasioni, però non voleva vedere
suo padre così giù di tono.
C'era
sempre stato un buon rapporto tra padre e figlio nella famiglia Yamamoto, ma
per la prima volta Takeshi non aveva idea di come parlare al genitore.
Quando
però Tsuyoshi alzò il capo in sua direzione, lo accolse con un sorriso solare e
sbarazzino degno di lui.
Tsuyoshi
ricambiò "Sono certo che mi avresti reso orgoglioso. Anche il tuo amico
pensa che non sei male, se solo fossi meno...buono, qualsiasi cosa
intendesse"
Yamamoto
rise "Squalo parla sempre in modo strano. Io mi sono sempre impegnato. La
spada mi piace quanto il baseball"
Stupido
dirlo adesso che non poteva più giocare a nessuno dei due.
Yamamoto
senior sorrise amaramente, annuendo "Non ne dubito, ce l'hai nel
sangue" sussurrò. Per un attimo ci fu silenzio fra i due e una tensione
che le uniche due persone presenti in quel momento nel ristorante colsero
tagliente.
"Beh,
il tuo amico è di sopra. Che aspetti ad andare?"
"Sì,
vado pà!"
Quando
salì al piano di sopra, si fermò un attimo alla fine delle scale, bloccando la
sedia per non andare all'indietro e accasciandosi su di essa.
Era
contento di rivedere Squalo, s'intenda, ma non era certo di poter affrontare
quello che l'altro gli avrebbe sicuramente urlato contro, sbraitando su quanto
fosse una feccia inutile e roba simile. Non che Squalo potesse incolparlo di
quello che era successo o qualcosa del genere, ne era certo, solo che
sicuramente si sarebbe arrabbiato con il mondo e se la sarebbe presa con lui,
perché aveva sprecato il suo tempo cercando di insegnargli l'arte della spada e
lui era stato battuto come un novellino.
Sospirò
e cercò di prendere il coraggio di entrare nella sua stanza.
Era
anche strano che Squalo venisse a casa sua e lo aspettasse fino al suo ritorno.
Di solito, le poche, rare volte che passava, chiedeva sgarbatamente di lui e se
non lo trovava se ne andava via. Non gli piaceva aspettare e quelle volte
tornava sempre di sera, quando era certo di poterlo trovare, entrava dalla
finestra per ricordargli che dovevano allenarsi, oppure se lo trascinata
appresso con la forza, o ancora lo picchiava per convincerlo a mollare quello
stupido sport e a dedicare anima e corpo alla spada come aveva fatto lui.
Non
si era mai fermato a casa sua, e questo dal suo punto di vista non presagiva
niente di buono, con Superbi Squalo.
"VOOOOI
che diamine stai facendo qui fermo?" alla voce dello spadaccino dei Varia
alzò il capo di scatto, trovandoselo davanti, poggiato allo stipite della porta
della sua stanza.
"S-Squalo!"
esclamò, non riuscendo a mostrare del tutto il suo solito entusiasmo alla sua
comparsa.
Squalo
lo osservò a lungo, con un'espressione stranamente calma ed indecifrabile sul
volto. Yamamoto si ritrovò a deglutire, quasi timoroso avrebbe potuto
tagliargli la testa con un colpo secco. Staccò i freni della sedia a rotelle
pronto a salvarsi la vita in un modo o nell'altro, abbozzando un sorriso alla
volta di Squalo che sicuramente l'avrebbe irritato ancora di più.
Lo
spadaccino invece si limitò ad avvicinarsi, afferrare la sedia a rotelle e
spingerlo fino alla stanza, prima di chiudersi la porta alle spalle.
Prese
ad osservarlo ancora, e Yamamoto si sentì questa volta stranito e disorientato.
"S-Squalo,
mio padre mi ha detto che mi hai aspettato. Di solito non resti mai, mi fa
piacere vedere che oggi hai fatto un'eccezione" rise, cercando di smorzare
quell'aria stranamente tesa.
"Tuo
padre mi ha intrattenuto, è un ottimo spadaccino" ammise, sedendosi sulla
sedia con i piedi sulla scrivania.
Yamamoto
rise divertito "Mio padre è il migliore. E' stato lui ad insegnarmi a
combattere quando ti ho conosciuto!"
"VOOOOI,
non dire cazzate, quando ti ho conosciuto sapevi a malapena tenere in mano una
spada!"
"Ma
ti ho battuto! Se non fosse stato per lui non ci sarei mai riuscito"
Squalo
grugnì "Il culo del principiante"
Yamamoto
rise. Era sicuro che Squalo non avrebbe mai ammesso di aver perso per propria
mancanza, e dopotutto Takeshi sapeva che se aveva vinto era stato solo per
fortuna personale.
Comunque,
aveva capito il motivo per il quale lo spadaccino era venuto, nonostante stesse
stranamente in silenzio. Cercò di distrarsi dallo sguardo che Squalo sembrava
aver deciso di tener fisso su di lui, facendo forza sulle braccia per spostarsi
dalla sedia al letto. Quando ci riuscì, spostò di lato la carrozzella e si mise
più comodo.
Squalo
aveva osservato tutta la procedura con attenzione, lo sguardo affilato e iroso.
"Ushishishi, non dirmi che non sai le ultime novità sul tuo
adorato allievo, Squ-chan"
"Di che
cazzo stai parlando, stupido principe mancato?"
"Allora non
lo sai. Pensa che Luss l'ha saputo dal Sole dei
Vongola, chissà poi che ci facevano quei due cretini insieme. Strano, no?"
"VOOOOI, di
che cazzo stai parlando, principe del cazzo?"
"Ushishishi"
Squalo
non sembrava intenzionato a parlare, e Yamamoto stava seriamente pensando che
forse avrebbe dovuto trovare lui una scusa con cui sciogliere il silenzio,
anche con il rischio e l'altro lo ammazzasse di botte.
Squalo
però lo anticipò e forse Yamamoto avrebbe preferito tornare al silenzio
precedente.
"Com'è
successo?" gli chiese laconico. Quell'idiota di Bel gliel'aveva detto solo
qualche settimana, e lui dopo averlo picchiato e minacciato ed essere andato a
chiedere conferma a Lussuria, che a quanto pareva l'era venuto a sapere da
Sasagawa -come si erano incontrati e perché non lo voleva sapere- era corso ad
accertarsi che fosse la verità.
Yamamoto
si grattò la nuca, ridacchiando, indeciso su cosa rispondere. Fosse stato
ferito in battaglia, sarebbe stato un conto, ma essere colpito alle spalle per
aver abbassato la guardia di fronte ad un amico...beh, dubitava che Squalo
avrebbe semplicemente accettato la situazione con un 'che peccato'.
"Ehm...beh,
diciamo che è stato un incidente" rispose sorridendo bonariamente,
scrollando le spalle.
Squalo
lo fulminò con lo sguardo, alzandosi di botto "VOOOI, e ti sembra una cosa
su cui ridere, razza di cretino? Ti sei fatto battere come un coglione da uno
qualunque!"
Yamamoto
lo guardò perplesso, continuando a grattarsi la nuca e ridacchiando "Beh non
è proprio corretto dire che mi sono fatto battere"
"Vuoi
dire che ti sei fatto prendere di sorpresa come la feccia che sei? Che cosa
cazzo ti ho insegnato in tutto questo tempo?"
"Beh
ma te l'ho detto, è stato un incidente!"
"VOOOOI,
questa non è una giustificazione! Tu avresti dovuto batterlo ad occhi chiusi
cazzo! Invece ti sei fatto ridurre in questo modo ridicolo!" urlò,
afferrandolo per la calotta. Yamamoto si lasciò andare ad un sospiro,
constatando che quel giorno sembrava proprio che tutti ce l'avessero con la sua
povera maglia.
Takeshi
ridacchiò "Dai Squalo, non prendertela"
Lo
spadaccino gli ringhiò praticamente in faccia "Io non me la devo prendere?
Hai reso vani tutti i miei allenamenti, hai completamente disonorato la spada, ragazzino!
Ridi di nuovo in quel modo e ti stacco la testa!"
Per
tutta risposta invece Yamamoto scoppiò in una delle sue cristalline risate
"Io non la vedrei proprio da questo punto di vista. Non volevo disonorare
nessuno e mi piacerebbe continuare ad allenarmi insieme a te, Squalo"
"VOOOI,
stai dicendo che hai intenzione di non allenarti più, moccioso?"
Yamamoto
sorrise di nuovo, mesto. Un sorriso spento, stavolta.
"Beh..."
mormorò, e la pausa durò più di quanto si sarebbe aspettato. Non continuò la
frase. Non ce n'era bisogno dal suo punto di vista. Era evidente, come avrebbe
dovuto abbandonare il baseball, avrebbe dovuto abbandonare purtroppo anche la
spada.
Squalo
lo guardò dritto negli occhi, seriamente. Con una serietà che Yamamoto, doveva
ammetterlo, aveva visto raramente nello spadaccino dei Varia.
Quando
lo lasciò, e tornò a sedersi sulla sedia della scrivania -continuando comunque
a fissarlo-, Yamamoto sospirò.
Non
sapeva decifrare il comportamento di Squalo.
Non
sembrava solo arrabbiato.
Si
ricordò solo in quel momento che anche Squalo, come lui adesso, aveva un
piccolo handicap che non gli aveva mai impedito di diventare l'imperatore della
spada.
Forse
però la cosa era leggermente diversa. A Squalo mancava una mano, Yamamoto non
avrebbe più potuto usare le gambe.
Eppure,
per uno spadaccino era un handicap enorme.
Squalo
però era riuscito ad arrivare in alto senza darsi per vinto, mai.
"Squalo"
lo chiamò, alzando appena gli occhi su di lui. Lo spadaccino non aveva mai
smesso di fissarlo e al suo richiamo si limitò ad un cenno del capo per fargli
capire che aveva la sua attenzione.
Si
morse appena il labbro, poi sorrise come se stesse chiedendo al padre una
stupida curiosità di bambino.
"Quando
hai perso la mano come ti sei comportato?"
Squalo
a quella domanda, aspettata, chiuse gli occhi e si avvicinò al letto su cui
sedeva Yamamoto quasi con minaccia.
"Come
ho fatto? Come non stai facendo tu, Yamamoto Takeshi. Hai già deciso che non
potrai più giocare a quello stupido sport né utilizzare la spada. Questo è
arrendersi, Yamamoto. E io credevo di averti insegnato che anche davanti un
avversario all'apparenza difficile, tu devi vincere. Vincere e basta!"
Takeshi
abbozzò un sorriso, non molto convinto. Non lo aveva scelto lui ed era un po'
difficile affrontare un avversario come quello, intangibile e irreparabile.
Come
poteva fare a vincere?
"Credo
di non aver capito" ridacchiò, e Squalo gli tirò un pugno tale da fargli
sbattere la testa contro il muro.
"Tu
non capisci mai un cazzo! Mi sono tagliato la mano perché volevo essere lo
spadaccino migliore. Ho combattuto, ho vinto e ce l'ho fatta, che cazzo c'è di
difficile?"
"E...io?"
Squalo
sembrò calmarsi a quella domanda e, dopo aver ripreso la sedia, si sedette
davanti al ragazzo.
"Tu
devi fare la stessa cosa, moccioso. In fondo questa non dovrebbe essere un
problema, no?" fece, indicando la carrozzella "Se lo si vuole si può
fare tutto. Tu almeno con un po' di impegno potresti farcela, se mettessi da
parte un po' di quel cazzo di buon sentimento che ti porti sempre appresso"
"Ma
non c'entra questo, Squalo!"
"C'entra
eccome, cretino!" ringhiò "E adesso stammi bene a sentire: non
accetterò l'abbandono definitivo della spada dopo tutta la fatica che ho fatto
con te, ragazzino. Quindi tira fuori le palle"
"Squalo..."
"VOOOI
stai zitto! Che hai ancora da lamentarti?"
Non
riusciva a capire se lo spadaccino lo stesse prendendo in giro o meno, sapeva
che quello che diceva non aveva il minimo senso. Però gli faceva piacere
sentirsi dire quelle cose.
Rise,
divertito davvero. Lui non voleva arrendersi, anche se la situazione sembrava
difficile.
Solo
che gli serviva un piccolo aiuto.
Aiuto
che forse Squalo avrebbe potuto dargli.
Angolino Autrice:
Ehm...buonasera *si guarda intorno circospetta*
Questa cosa ce l'ho in testa da un po', da quando precisamente
quel maledetto medico ha detto che Yamamoto a causa della ferita di Kaoru aveva
poche possibilità di riuscire a riprendersi. E io mi sono chiesta: e se fosse
successo davvero? Che casino sarebbe successo?
E' stato un parto scrivere questa storia, che doveva essere una shot ma alla fine mi sa che dovrò dividerla in tre o
quattro parti a causa della lunghezza.
In teoria, è un 8059. In pratica a ben poco di yaoi o shonen, ma Yamamoto e
Gokudera sono i due protagonisti, poco ma sicuro.
Vorrei tanto dedicarla a Nena e Rolly che mi hanno aiutato nella stesura e mi hanno spinta
ad andare avanti.
Grazie ragazze, senza di voi questa storia sarebbe rimasta nella
mia testa malata <3
Detto questo, vi lascio, sperando che vi possa piacere almeno un
poco.
Un bacione,
Vostra Asu