Anime & Manga > Katekyo Hitman Reborn
Ricorda la storia  |       
Autore: Saruwatari_Asuka    16/07/2012    3 recensioni
Era difficile accettare una realtà del genere, doveva essere sincero.
Non poter più giocare a baseball, dover cambiare tutta la sua vita.
Era difficile perché non aveva mai nemmeno lontanamente preso in considerazione qualcosa di simile.
Lui voleva diventare un campione di Baseball, voleva allenarsi con la spada con Squalo, voleva combattere al fianco dei suoi amici, per loro e per la sua famiglia.
Invece...invece niente. Niente di tutto quello sarebbe più potuto accadere.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hayato Gokudera, Takeshi Yamamoto, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

GO AHEAD

 

 

 

 

Yamamoto si sentiva ancora confuso. Non riusciva a ricordarsi com'era successo tutto quello, era stato tutto troppo veloce. O forse la verità era che non voleva riuscire a ricordare. Troppo dolore che né lui, né i suoi amici, né Kaoru si meritavano.

In fondo, gli avevano spiegato cos'era successo in realtà alla famiglia Shimon, e lui era stato felice di sapere che Kaoru lo considerasse ancora un amico. E poco importava se poi era lui quello che avrebbe dovuto perdonare Kaoru e decidere se valeva la pena considerarlo o meno un prezioso amico. Lui non aveva mai avuto dubbi in proposito, e non ne avrebbe avuti adesso.

In fin dei conti, per quanto forse la sua vita adesso sarebbe cambiata, non sarebbe stato un problema. Avrebbe dovuto dire addio al baseball, probabilmente anche alla spada e a quel divertente gioco sulla mafia con Tsuna e tutti gli altri ma...beh, era stato un incidente, quindi non poteva prendersela con nessuno.

Suo padre era, probabilmente, quello che l'aveva presa peggio. Quando i medici gli avevano parlato, schietti e spietati, Yamamoto l'aveva visto sbiancare così tanto che aveva avuto paura svenisse. Lui l'aveva capito non appena aveva aperto gli occhi che c'era qualcosa che non andava, e capire cosa fosse l'aveva inizialmente sconvolto.

Era difficile accettare una realtà del genere, doveva essere sincero.

Non poter più giocare a baseball, dover cambiare tutta la sua vita.

Era difficile perché non aveva mai nemmeno lontanamente preso in considerazione qualcosa di simile.

Lui voleva diventare un campione di Baseball, voleva allenarsi con la spada con Squalo, voleva combattere al fianco dei suoi amici, per loro e per la sua famiglia.

Invece...invece niente. Niente di tutto quello sarebbe più potuto accadere. O almeno ne dubitava fortemente.

Anche se al pianto del padre aveva represso il suo e aveva sorriso, dicendo che non si doveva preoccupare, in realtà era spaventato. E preoccupato e amareggiato. E aveva voglia di piangere e urlare e rompere qualsiasi cosa si trovasse a portata di mano, compresa quella stupida sedia a rotelle.

La verità era che anche se il medico gli proponeva operazioni che gli avrebbero potuto dare una piccola percentuale di ripresa, anche se diceva che forse la riabilitazione poteva aiutarlo, lui non ci credeva.

Potevano dirgli quello che volevano, potevano dargli tutte le speranze -fasulle- di quel mondo, ma lui le gambe non le sentiva più. Non le muoveva più. E non sarebbe più riuscito a muoverle, lo sapeva. E lo leggeva negli occhi del padre e del medico che l'aveva ora in cura.

Non era da lui arrendersi, non era da lui scoraggiarsi. E non lo stava facendo. Semplicemente, vedeva la realtà un po' più per com'era veramente, stavolta.

"Takeshi?" si riscosse, alla voce del genitore. Stava tornando a casa, perché non ne poteva più di rimanere in ospedale, perché era inutile continuare a stare lì.

Afferrò il borsone e se lo poggiò sulle ginocchia "Sì, papà?"  gli sorrise, di un sorriso uguale ai soliti e al contempo più spento.

Tsuyoshi scosse la testa "Abbiamo preso tutto?" domandò, cominciando già a spingere la sedia a rotelle su cui era costretto il figlio.

Takeshi sospirò, rilassandosi sullo schienale "Sì" mormorò, come se fosse esausto, stravolto. E lo era, davvero.

Iniziava ora una battaglia che non avrebbe mai voluto affrontare, da cui sarebbe volentieri scappato, quella volta.

 

Il sospiro che uscì dalle sue labbra spinse Tsuna a voltarsi dalla sua parte. Yamamoto gli sorrise, come se niente fosse, scrollando le spalle e facendogli cenno di tornare a guardare il professore, prima che li beccasse di nuovo entrambi a non far nulla.

Era tornato a scuola già da qualche mese ormai, eppure ancora i ragazzi e i professori si voltavano al suo passaggio, i ragazzi del club piangevano la sua ritirata, le ragazze maledivano la sua sfortuna. Tutto abbastanza nella norma, come c'era da aspettarsi.

Yamamoto sorrideva solare a tutti, scrollava le spalle, diceva di non preoccuparsi. Nessuno l'aveva mai visto amareggiato, i suoi occhi ridevano ancora come un tempo, non si faceva problemi a chiedere aiuto e tutti erano sempre pronti a dargli una mano.

Takeshi Yamamoto era esattamente come lo ricordava, eppure a volte Tsuna, guardandolo, si chiedeva se era davvero quel sorriso il vero volto del suo amico. Se magari il Guardiano della Pioggia non lo facesse solo per lui o per gli altri.

Sorrideva a Tsuna perché sapeva che Tsuna si sentiva in colpa.

Sorrideva a Kaoru perché sapeva che Kaoru si sentiva in colpa.

Sorrideva al padre perché sapeva che Tsuyoshi era preoccupato e spaventato.

Sorrideva a Gokudera , perché sperava di ricevere un qualsiasi segno da parte dell'altro.

Cenno che non gli veniva mai rivolto.

Non sapeva che meccanismo contorto avesse attivato la mente di Gokudera, sapeva solo che da quando erano tornati vincitori dallo scontro contro gli Shimon, lui Tsuna, Ryohei e Lambo, il Guardiano della Tempesta non era più stato lo stesso. Più precisamente, Yamamoto aveva la sensazione che il suo modo di fare fosse cambiato essenzialmente nei suoi confronti.

Perché con il suo adorato Decimo era sempre lo stesso sorridente, servizievole Gokudera. Lo andavano a prendere insieme, pranzavano insieme, spesso facevano ancora i compiti a casa tutti e tre insieme. Solo che Yamamoto aveva notato che, in tutte queste attività e in molte altre, Gokudera in un modo o nell'altro evitava sempre il suo sguardo. E Yamamoto non riusciva a capire perché.

Non sapeva se doveva effettivamente preoccuparsi di aver fatto qualche torto all'amico, o pensare che quella situazione fosse colpa della sua attuale condizione. E se così fosse stato, continuava a non capire l'altro.

Al suono della campanella, Yamamoto lasciò cadere la penna -che non aveva usato- sul quaderno, allungando per bene la schiena. Gli occhi andarono inconsciamente a cercare il Guardiano della Tempesta, ma quel giorno l'amico aveva lasciato l'aula a lezioni appena iniziate e non l'aveva più visto.

Spinse la sedia all'indietro con la forza delle braccia e si avvicinò al castano "Tsuna, andiamo a pranzo?" chiese sorridendogli. Il futuro Decimo Boss dei Vongola si girò verso di lui e abbozzò un sorriso tirato. Un sorriso che non si estese agli occhi, e Yamamoto sapeva che era colpa sua. Ignorò quella luce colpevole nello sguardo dell'amico tutte le volte che lo guardava e si voltò invece verso Enma Kozato, che non era da meno di Tsuna, in quanto a sensi di colpa.

Yamamoto spesso aveva la tentazione di urlargli contro di smetterla, come in quel momento, che così facendo lo facevano solo stare peggio e che non era colpa loro, che gli facevano solo pesare quella situazione ancora di più. Ma dopotutto lo sapeva, che i due erano solo preoccupati per lui, ne era consapevole e se ne dispiaceva. Così rassicurava e sorrideva.

"Ti unisci a noi, Enma?" esclamò, sapendo che così nessuno dei due avrebbe rifiutato l'invito. Enma e Tsuna erano molto uniti, nonostante tutto.

I due annuirono un po' titubanti, prima che Tsuna prendesse a spingere la sua sedia a rotelle fino al giardino interno della scuola media Namimori.

Arrivare al tetto era troppo complicato, ormai.

Si stavano dirigendo verso un praticello dove sapevano poter stare tranquilli, sul retro della scuola, quando una piccola, chiassosa folla attirò la loro attenzione.

"Che succede lì?" chiese Tsuna, quasi intimorito.

"Una...rissa?"

Yamamoto rise allegro "Magari stanno giocando" esclamò, con il suo solito modo di fare "Andiamo ad unirci anche noi?"

Tsuna avrebbe voluto fargli notare che, a seconda dei giochi, lui forse non avrebbe potuto partecipare, ma non ebbe cuore di esternarlo. Yamamoto era entusiasta, come tutte le volte.

Spinse la carrozzina e si fece spazio fra la folla.

"G-Gokudera-kun!"

"Kaoru!"

Yamamoto si morse il labbro, lontano dagli sguardi degli altri, in silenzio.

Nessuno stava giocando con nessuno.

C'era solo Gokudera, livido di rabbia, che picchiava Kaoru, che si lasciava colpire senza alzare un dito in sua difesa.

Tsuna era corso per tentare di fermare il suo autoproclamato braccio destro, mentre Enma si apprestava a soccorrere goffamente Kaoru. Yamamoto spinse la sedia a rotelle e si avvicinò all'argenteo.

"Gokudera" lo chiamò, con voce ilare, ma l'altro non gli rivolse attenzioni "Perché stavate litigando?"

Kaoru si alzò subito a sedere "E' colpa mia, Yamamoto"

Takeshi sorrise "Davvero? Immagino che Gokudera si sia scaldato subito come al solito, vero?" rise, e forse fu proprio questo a far perdere quel poco di autocontrollo che era rimasto al Guardiano della Tempesta.

Infatti l'italiano era scattato, afferrandolo per il bavero della maglia "Perché diamine gli dai ragione e gli credi ancora, invasato del baseball?" ululò, ignaro che quel soprannome, al momento, era come una coltellata al petto per Yamamoto.

"Beh, è mio amico, giusto? E poi sarebbe da te!" esclamò, sorridendogli, quasi felice che l'altro gli avesse rivolto parola.

"Non dire cazzate, sei stupido o che cosa? Ce l'hai un cervello sotto quella massa di capelli?"

Yamamoto inclinò il capo, perplesso "Che vuoi dire?"

"Gokudera-kun, ti prego, calmati"

Poi fu questione di un attimo solamente.

Gokudera aveva ringhiato, esasperato, spingendo con rabbia e forza Yamamoto all'indietro, senza accorgersi che nell'impeto di andargli contro, prima, gli aveva fatto perdere contatto con la sedia. La carrozzella fu spinta all'indietro e Takeshi si ritrovò steso a terra, sotto gli sguardi stupiti e allarmati di tutti.

"Yamamoto!"

"Yamamoto, stai bene?" gli chiese Kaoru, preoccupato.

Takeshi sorrise ad entrambi "Sto bene, sto bene" rise, quasi fosse inciampato sui suoi stessi piedi e dovesse sdrammatizzare una sua pessima figura "Mi date una mano?"

"Certo!"

I tre riuscirono a rimetterlo sulla sedia a rotelle, mentre Yamamoto continuava a ridere e a scusarsi di essere un sacco di patate bello e buono.

Quando aveva rialzato gli occhi, Gokudera era sparito.

 

Smise di correre solo quando si ritrovò fuori dalla scuola. Si ritrovò vicino al parco poco lontano da casa Sawada e allora, solo allora, si fermò, lasciandosi cadere sull'altalena. Mosse piano i piedi, dondolandosi appena. Gli occhi verdi erano puntati fissi sul pavimento sdrucciolato del parco-giochi, senza in realtà vederlo.

Non voleva fare quello che aveva fatto.

O meglio, se l'era presa con Kaoru perché ormai non sopportava più la sua vista. Non sopportava più nessun membro della famiglia Shimon.

Loro avevano rovinato tutto, tutto quanto.

Non riusciva a capire perché il Decimo fosse così legato a Enma, ma lo accettava, perché naturalmente se il suo Boss prendeva delle decisioni lui doveva seguirle nel bene o nel male.

E allora poteva anche accettare la vista giornaliera di quel Kozato se questa rendeva più serene le giornate del Decimo.

Ma gli altri...gli altri non poteva sopportarli. Soprattutto, non poteva accettare la presenza di Kaoru, così maledettamente costante nella vita di Yamamoto. Sempre disponibile, sempre pronto ad aiutarlo. E Yamamoto accettava sempre col sorriso sulle labbra.

Possibile che quello stupido invasato non si rendesse conto che tutto quello che gli stava succedendo era colpa proprio di quello che considerava un suo amico? Possibile che non si rendesse nemmeno conto che quel tipo gli aveva anche rubato il posto in squadra e lui, invece, non avrebbe mai più giocato? Era davvero stupido fino a questo punto?

Calciò un sasso e ringhiò verso nessuno in particolare, si accese una sigaretta e aspirò con tutta la forza che aveva nei polmoni.

Quella situazione gli stava facendo perdere la testa, neanche fosse lui quello che doveva arrabbiarsi col mondo per essersi visto rovinare la vita. Invece Yamamoto passava le giornate a sorridere e ringraziare e scusarsi e tranquillizzare. Come un perfetto idiota.

Aveva sempre pensato che fosse un coglione, ma credeva ci fosse un limite al peggio. Invece a quanto pareva non era affatto così.

Yamamoto era idiota proprio fino al midollo. Non sapeva nemmeno che significava provare rancore per gli altri.

Mizuno gli aveva appena rovinato la vita, ma in fondo che importanza aveva? Era sempre suo amico.

Appena si accorse che la sigaretta era ormai consumata fino al filtro, la gettò a terra e se ne riaccese un'altra.

Il problema più grande al momento era che non riusciva a stare nella stessa stanza con Yamamoto senza aggredirlo a parole o a gesti. Era più forte di lui. Così si sforzava di ignorarlo il più possibile.

Visto che Yamamoto sembrava incurante del suo problema, visto che sembrava non gli importasse niente, che avesse già superato il trauma, lui non aveva intenzione di cambiare modo di fare. Lui non era come Takeshi, lui non riusciva a comportarsi come se niente fosse. Per questo lo ignorava, proprio come Yamamoto faceva con il suo problema.

Lui la vedeva, quella maledetta sedia. le vedeva, le gambe di Yamamoto. E tutte le volte gli montava una rabbia che non sapeva descrivere.

Si alzò dall'altalena, infilandosi le mani in tasca e dirigendosi verso il suo appartamento. Se doveva essere sincero, non sapeva nemmeno perché era praticamente scappato via in quel modo, quando aveva visto Yamamoto a terra.

Lui...in verità non avrebbe voluto farlo cadere. Solo che era stato preso dalla rabbia a quelle maledette parole.

Quando finalmente riuscì a trovare le chiavi di casa, la prima cosa che fece fu buttarsi sul suo letto, accendersi un'altra sigaretta e fissare il soffitto.

 

Kaoru, che aveva riaccompagnato a casa Yamamoto, lo lasciò sulla soglia del ristorante, voltandosi e andandosene, senza ascoltare la voce di Takeshi che lo invitava a restare. Il padre di Yamamoto non conosceva la verità di quanto era successo. Di comune accordo gli avevano detto che era stato un tragico incidente avvenuto durante gli allenamenti serali.

Ma per Kaoru accettare le gentilezze del signor Yamamoto risultava come una mancanza di rispetto, per questo tutte le volte che accompagnava Yamamoto fino a casa, declinava l'offerta. A volte non oltrepassava nemmeno la porta del ristorante.

Yamamoto sospirò vedendo l'amico allontanarsi e spinse la porta del Take Sushi, entrando -con un po' di difficoltà a causa del piccolo gradino, ma ormai ci aveva fatto la mano-.

"Yo, papà!"

L'uomo alzò gli occhi sul figlio e gli sorrise appena "Oh, Takeshi, bentornato" mormorò. Non si mosse per dargli una mano, perché sapeva in cuor suo che nonostante tutto Takeshi voleva essere il più autonomo possibile. Per questo aveva fatto istallare un montascale che aiutasse il figlio a salire fino al piano di sopra -non avevano trovato altro modo per arrivare all'appartamento sovrastante il ristorante, e prendere di peso Takeshi e portarlo di sopra tutti i giorni non sarebbe stato d'aiuto a nessuno-, aveva anche fatto in modo che tutto in casa adesso fosse a portata di mano del ragazzo.

Almeno in questo modo pensava -sperava- di aiutare il figlio il più possibile, cercando di non fargli pesare niente.

"Il tuo amico dall'Italia di sta aspettando nella tua stanza"

"Un amico dall'Italia?" Takeshi sbatté le palpebre. Non poteva essere Gokudera, perché dubitava sarebbe mai venuto a trovarlo, specie dopo quello che era successo quella mattina stessa. E poi suo padre lo conosceva.

"Ma sì, certo. Mi ha persino sfidato, quando gli ho detto che tu non eri ancora tornato. Sbraitava tanto e allora ho accettato. Devo dire che ci sa davvero fare, con la spada. Mi ha detto che ti stava allenando lui già da un po' di tempo. Mi dispiace di non essermi mai interessato dei tuoi miglioramenti" mormorò il padre, abbozzando un sorriso che risultò tirato e finto. Saltò su quando, distratto, si tagliò con i coltello con cui stava preparando il sushi, affrettandosi a mettere la mano sotto l'acqua fredda.

Sapeva che il figlio ci sapeva fare, con la spada, sapeva in cuor suo che continuava ad allenarsi, ma da quando aveva smesso di chiedergli aiuto, lui non aveva più pensato di farsi di mostrargli a che punto era arrivato, per poter essere fiero di lui anche per quel motivo. Perché stava mandando avanti una tradizione importante per la famiglia.

Voleva aspettare che fosse Yamamoto a correre da lui, entusiasta, e a sfidarlo per fargli vedere che adesso avrebbe sicuramente potuto batterlo, che era forte, più forte di lui. Pensava ci fosse tempo e si fidava davvero del figlio.

Invece il tempo non c'era più ormai, Yamamoto non avrebbe più potuto fargli vedere i suoi tanti miglioramenti con la spada.

Quando si accorse dell'espressione del padre, Takeshi scurì la sua. Durò solo un attimo, però, contento all'idea che Squalo fosse venuto a trovarlo.

"Papà..." lo richiamò. Ma non sapeva davvero che cosa dirgli. Un semplice 'non ti preoccupare, ci saranno altre occasioni' ormai era completamente fuori luogo anche per lui. Non si sarebbero state altre occasioni, però non voleva vedere suo padre così giù di tono.

C'era sempre stato un buon rapporto tra padre e figlio nella famiglia Yamamoto, ma per la prima volta Takeshi non aveva idea di come parlare al genitore.

Quando però Tsuyoshi alzò il capo in sua direzione, lo accolse con un sorriso solare e sbarazzino degno di lui.

Tsuyoshi ricambiò "Sono certo che mi avresti reso orgoglioso. Anche il tuo amico pensa che non sei male, se solo fossi meno...buono, qualsiasi cosa intendesse"

Yamamoto rise "Squalo parla sempre in modo strano. Io mi sono sempre impegnato. La spada mi piace quanto il baseball"

Stupido dirlo adesso che non poteva più giocare a nessuno dei due.

Yamamoto senior sorrise amaramente, annuendo "Non ne dubito, ce l'hai nel sangue" sussurrò. Per un attimo ci fu silenzio fra i due e una tensione che le uniche due persone presenti in quel momento nel ristorante colsero tagliente.

"Beh, il tuo amico è di sopra. Che aspetti ad andare?"

"Sì, vado !"

Quando salì al piano di sopra, si fermò un attimo alla fine delle scale, bloccando la sedia per non andare all'indietro e accasciandosi su di essa.

Era contento di rivedere Squalo, s'intenda, ma non era certo di poter affrontare quello che l'altro gli avrebbe sicuramente urlato contro, sbraitando su quanto fosse una feccia inutile e roba simile. Non che Squalo potesse incolparlo di quello che era successo o qualcosa del genere, ne era certo, solo che sicuramente si sarebbe arrabbiato con il mondo e se la sarebbe presa con lui, perché aveva sprecato il suo tempo cercando di insegnargli l'arte della spada e lui era stato battuto come un novellino.

Sospirò e cercò di prendere il coraggio di entrare nella sua stanza.

Era anche strano che Squalo venisse a casa sua e lo aspettasse fino al suo ritorno. Di solito, le poche, rare volte che passava, chiedeva sgarbatamente di lui e se non lo trovava se ne andava via. Non gli piaceva aspettare e quelle volte tornava sempre di sera, quando era certo di poterlo trovare, entrava dalla finestra per ricordargli che dovevano allenarsi, oppure se lo trascinata appresso con la forza, o ancora lo picchiava per convincerlo a mollare quello stupido sport e a dedicare anima e corpo alla spada come aveva fatto lui.

Non si era mai fermato a casa sua, e questo dal suo punto di vista non presagiva niente di buono, con Superbi Squalo.

"VOOOOI che diamine stai facendo qui fermo?" alla voce dello spadaccino dei Varia alzò il capo di scatto, trovandoselo davanti, poggiato allo stipite della porta della sua stanza.

"S-Squalo!" esclamò, non riuscendo a mostrare del tutto il suo solito entusiasmo alla sua comparsa.

Squalo lo osservò a lungo, con un'espressione stranamente calma ed indecifrabile sul volto. Yamamoto si ritrovò a deglutire, quasi timoroso avrebbe potuto tagliargli la testa con un colpo secco. Staccò i freni della sedia a rotelle pronto a salvarsi la vita in un modo o nell'altro, abbozzando un sorriso alla volta di Squalo che sicuramente l'avrebbe irritato ancora di più.

Lo spadaccino invece si limitò ad avvicinarsi, afferrare la sedia a rotelle e spingerlo fino alla stanza, prima di chiudersi la porta alle spalle.

Prese ad osservarlo ancora, e Yamamoto si sentì questa volta stranito e disorientato.

"S-Squalo, mio padre mi ha detto che mi hai aspettato. Di solito non resti mai, mi fa piacere vedere che oggi hai fatto un'eccezione" rise, cercando di smorzare quell'aria stranamente tesa.

"Tuo padre mi ha intrattenuto, è un ottimo spadaccino" ammise, sedendosi sulla sedia con i piedi sulla scrivania.

Yamamoto rise divertito "Mio padre è il migliore. E' stato lui ad insegnarmi a combattere quando ti ho conosciuto!"

"VOOOOI, non dire cazzate, quando ti ho conosciuto sapevi a malapena tenere in mano una spada!"

"Ma ti ho battuto! Se non fosse stato per lui non ci sarei mai riuscito"

Squalo grugnì "Il culo del principiante"

Yamamoto rise. Era sicuro che Squalo non avrebbe mai ammesso di aver perso per propria mancanza, e dopotutto Takeshi sapeva che se aveva vinto era stato solo per fortuna personale.

Comunque, aveva capito il motivo per il quale lo spadaccino era venuto, nonostante stesse stranamente in silenzio. Cercò di distrarsi dallo sguardo che Squalo sembrava aver deciso di tener fisso su di lui, facendo forza sulle braccia per spostarsi dalla sedia al letto. Quando ci riuscì, spostò di lato la carrozzella e si mise più comodo.

Squalo aveva osservato tutta la procedura con attenzione, lo sguardo affilato e iroso.

"Ushishishi, non dirmi che non sai le ultime novità sul tuo adorato allievo, Squ-chan"

"Di che cazzo stai parlando, stupido principe mancato?"

"Allora non lo sai. Pensa che Luss l'ha saputo dal Sole dei Vongola, chissà poi che ci facevano quei due cretini insieme. Strano, no?"

"VOOOOI, di che cazzo stai parlando, principe del cazzo?"

"Ushishishi"

Squalo non sembrava intenzionato a parlare, e Yamamoto stava seriamente pensando che forse avrebbe dovuto trovare lui una scusa con cui sciogliere il silenzio, anche con il rischio e l'altro lo ammazzasse di botte.

Squalo però lo anticipò e forse Yamamoto avrebbe preferito tornare al silenzio precedente.

"Com'è successo?" gli chiese laconico. Quell'idiota di Bel gliel'aveva detto solo qualche settimana, e lui dopo averlo picchiato e minacciato ed essere andato a chiedere conferma a Lussuria, che a quanto pareva l'era venuto a sapere da Sasagawa -come si erano incontrati e perché non lo voleva sapere- era corso ad accertarsi che fosse la verità.

Yamamoto si grattò la nuca, ridacchiando, indeciso su cosa rispondere. Fosse stato ferito in battaglia, sarebbe stato un conto, ma essere colpito alle spalle per aver abbassato la guardia di fronte ad un amico...beh, dubitava che Squalo avrebbe semplicemente accettato la situazione con un 'che peccato'.

"Ehm...beh, diciamo che è stato un incidente" rispose sorridendo bonariamente, scrollando le spalle.

Squalo lo fulminò con lo sguardo, alzandosi di botto "VOOOI, e ti sembra una cosa su cui ridere, razza di cretino? Ti sei fatto battere come un coglione da uno qualunque!"

Yamamoto lo guardò perplesso, continuando a grattarsi la nuca e ridacchiando "Beh non è proprio corretto dire che mi sono fatto battere"

"Vuoi dire che ti sei fatto prendere di sorpresa come la feccia che sei? Che cosa cazzo ti ho insegnato in tutto questo tempo?"

"Beh ma te l'ho detto, è stato un incidente!"

"VOOOOI, questa non è una giustificazione! Tu avresti dovuto batterlo ad occhi chiusi cazzo! Invece ti sei fatto ridurre in questo modo ridicolo!" urlò, afferrandolo per la calotta. Yamamoto si lasciò andare ad un sospiro, constatando che quel giorno sembrava proprio che tutti ce l'avessero con la sua povera maglia.

Takeshi ridacchiò "Dai Squalo, non prendertela"

Lo spadaccino gli ringhiò praticamente in faccia "Io non me la devo prendere? Hai reso vani tutti i miei allenamenti, hai completamente disonorato la spada, ragazzino! Ridi di nuovo in quel modo e ti stacco la testa!"

Per tutta risposta invece Yamamoto scoppiò in una delle sue cristalline risate "Io non la vedrei proprio da questo punto di vista. Non volevo disonorare nessuno e mi piacerebbe continuare ad allenarmi insieme a te,  Squalo"

"VOOOI, stai dicendo che hai intenzione di non allenarti più, moccioso?"

Yamamoto sorrise di nuovo, mesto. Un sorriso spento, stavolta.

"Beh..." mormorò, e la pausa durò più di quanto si sarebbe aspettato. Non continuò la frase. Non ce n'era bisogno dal suo punto di vista. Era evidente, come avrebbe dovuto abbandonare il baseball, avrebbe dovuto abbandonare purtroppo anche la spada.

Squalo lo guardò dritto negli occhi, seriamente. Con una serietà che Yamamoto, doveva ammetterlo, aveva visto raramente nello spadaccino dei Varia.

Quando lo lasciò, e tornò a sedersi sulla sedia della scrivania -continuando comunque a fissarlo-, Yamamoto sospirò.

Non sapeva decifrare il comportamento di Squalo.

Non sembrava solo arrabbiato.

Si ricordò solo in quel momento che anche Squalo, come lui adesso, aveva un piccolo handicap che non gli aveva mai impedito di diventare l'imperatore della spada.

Forse però la cosa era leggermente diversa. A Squalo mancava una mano, Yamamoto non avrebbe più potuto usare le gambe.

Eppure, per uno spadaccino era un handicap enorme.

Squalo però era riuscito ad arrivare in alto senza darsi per vinto, mai.

"Squalo" lo chiamò, alzando appena gli occhi su di lui. Lo spadaccino non aveva mai smesso di fissarlo e al suo richiamo si limitò ad un cenno del capo per fargli capire che aveva la sua attenzione.

Si morse appena il labbro, poi sorrise come se stesse chiedendo al padre una stupida curiosità di bambino.

"Quando hai perso la mano come ti sei comportato?"

Squalo a quella domanda, aspettata, chiuse gli occhi e si avvicinò al letto su cui sedeva Yamamoto quasi con minaccia.

"Come ho fatto? Come non stai facendo tu, Yamamoto Takeshi. Hai già deciso che non potrai più giocare a quello stupido sport né utilizzare la spada. Questo è arrendersi, Yamamoto. E io credevo di averti insegnato che anche davanti un avversario all'apparenza difficile, tu devi vincere. Vincere e basta!"

Takeshi abbozzò un sorriso, non molto convinto. Non lo aveva scelto lui ed era un po' difficile affrontare un avversario come quello, intangibile e irreparabile.

Come poteva fare a vincere?

"Credo di non aver capito" ridacchiò, e Squalo gli tirò un pugno tale da fargli sbattere la testa contro il muro.

"Tu non capisci mai un cazzo! Mi sono tagliato la mano perché volevo essere lo spadaccino migliore. Ho combattuto, ho vinto e ce l'ho fatta, che cazzo c'è di difficile?"

"E...io?"

Squalo sembrò calmarsi a quella domanda e, dopo aver ripreso la sedia, si sedette davanti al ragazzo.

"Tu devi fare la stessa cosa, moccioso. In fondo questa non dovrebbe essere un problema, no?" fece, indicando la carrozzella "Se lo si vuole si può fare tutto. Tu almeno con un po' di impegno potresti farcela, se mettessi da parte un po' di quel cazzo di buon sentimento che ti porti sempre appresso"

"Ma non c'entra questo, Squalo!"

"C'entra eccome, cretino!" ringhiò "E adesso stammi bene a sentire: non accetterò l'abbandono definitivo della spada dopo tutta la fatica che ho fatto con te, ragazzino. Quindi tira fuori le palle"

"Squalo..."

"VOOOI stai zitto! Che hai ancora da lamentarti?"

Non riusciva a capire se lo spadaccino lo stesse prendendo in giro o meno, sapeva che quello che diceva non aveva il minimo senso. Però gli faceva piacere sentirsi dire quelle cose.

Rise, divertito davvero. Lui non voleva arrendersi, anche se la situazione sembrava difficile.

Solo che gli serviva un piccolo aiuto.

Aiuto che forse Squalo avrebbe potuto dargli.

 

 

Angolino Autrice:

Ehm...buonasera *si guarda intorno circospetta*

Questa cosa ce l'ho in testa da un po', da quando precisamente quel maledetto medico ha detto che Yamamoto a causa della ferita di Kaoru aveva poche possibilità di riuscire a riprendersi. E io mi sono chiesta: e se fosse successo davvero? Che casino sarebbe successo?

E' stato un parto scrivere questa storia, che doveva essere una shot ma alla fine mi sa che dovrò dividerla in tre o quattro parti a causa della lunghezza.

In teoria, è un 8059. In pratica a ben poco di yaoi o shonen, ma Yamamoto e Gokudera sono i due protagonisti, poco ma sicuro.

Vorrei tanto dedicarla a Nena e Rolly che mi hanno aiutato nella stesura e mi hanno spinta ad andare avanti.

Grazie ragazze, senza di voi questa storia sarebbe rimasta nella mia testa malata <3

Detto questo, vi lascio, sperando che vi possa piacere almeno un poco.

Un bacione,

Vostra Asu

 

 

   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Katekyo Hitman Reborn / Vai alla pagina dell'autore: Saruwatari_Asuka