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Autore: Misery8Cloudy    17/07/2012    4 recensioni
Ed eccomi di nuovo qui...*balla di fieno*.
La qui presente storia è solo l'inizio di una fanfiction che spero vi soddisfi... Per questa fanfiction ho deciso di utilizzare me stessa come personaggio principale cosa che mi auguro non vi dispiaccia... beh, allora vi lascio... e mi raccomando *punta un fucile* COMMENTATEEEEEEEEEE!!!!!!!!!
alla prossima.....
Genere: Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: America/Alfred F. Jones
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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  CAPITOLO 1: L'inizio di tutto.  
 
Il giorno del meeting non tardò ad arrivare, quella mattina Alfred era particolrmente euforico,e l'aggettivo "particolarmente euforico", adattato su Alfred, può solo significare "paricolarmente fastidioso"... Era già più di un'ora che lo osservavo percorrere nervosamente la stanza, dove a breve si sarebbero dovute incontrare le varie nazioni che presenziavano al meeting, con un' hamburger in una mano e, ovviamente, un bicchiere di coca cola nell'altra...
-"Ehi vuoi smetterla!?Mi metti ansia,sai?"-lo apostrofai irritata.
-"Scusami è che...questa attesa mi sta uccidendo...-"si giustificò e, prima che potessi esporgli il mio ampio repertorio di insulti e offese, un ragazzo dall'aria dolce e timida aprì lentamente la porta.
-"R..R..R..Russia?Che ci...ci...fai...qui?"-mormorò tremante Alfred. Il ragazzo esplorò con la massima discrezione l'americano che gli giaceva dinnanzi e, dopo una breve esitazione rispose:
-"Dobroe utro*, America"- la sua voce era un tocco vellutato, l'equivalente del canto di un'angelo. I suoi occhi erano un misto tra un viola brillante e un grigio tetro ed accattivante, percorse cautamente l'ambiente fino a posare lo sguardo sulla mia figura, rivolgendomi un'occhiata triste e cupa. Tutto di quel ragazzo lasciava intuire la tristezza che predominava nel suo cuore, a partire dall'abbigliamento funereo e pesante sino ad arrivare a quello sguardo che esprimeva il tormento alla quale la sua anima era sottoposta.
-"Prostite**, lei chi è?, non l'ho mai vista..."- mi domandò educato.
-"Lei è con me...è la mia ragazza!"-precisò Alfred avvicinandosi a me e stringendomi la mano.
-"RAGAZZA?! E da quando scusa? Emh... non sono la sua ragazza, solo un'amica, mi chiamo Dalia"- mi presentai.
-"Ya vizhu***..."- detto ciò si voltò dirigendosi verso l'uscio che conduceva alla stanza successiva, non appena la porta si chiuse alle sue spalle afferrai Alfred per il colletto della camicia e lo scaraventai contro il muro.       
-"Tu prova a presentarmi un' altra volta come la tua ragazza e giuro che ti uccido!"- inveii contro l'americano, il quale osservava la posizione che avevamo assunto con aria alquanto maliziosa. Era incredibile la capacità che aveva quel dannato statunitense di farmi perdere la pazienza, tutto di lui mi irritava, il suo comportamento egocentrico, la sua particolare abilità nell'essere sempre e comunque "inopportuno", il suo perenne sorriso da ebede stampato sulle labbra,  ma nonostante tutto sapevo che una parte di me, probabilmente la più futile, era irrimediabilmente legata a quell'americano e forse sotto sotto gli volevo addirittura bene...
 
 
                                                     ***
-"Ci siamo tutti?"- tuonò Alfred e un coro di si pronunciati in svariate lingue si sollevò dalle Forze Alleate.
-"Bene, allora aprirò io il meeting con l'esporvi le mie idee..."-cominciò.
-"No, s'il vous plaît ****"-supplicò Francia.
-"No, pozhaluĭsta*****"- fece altrettanto Russia.
-"Well, considerando che, come tutti i meeting, siamo costantemente in disaccordo propongo a te, America, di iniziare dicendoci anzittutto chi è lei."- concluse Inghilterra puntandomi contro un dito. Alfred si schiarì la voce e iniziò:
-"Tanto tempo fa, in un regno lontano lontano oltre i mari e i monti, viveva una principessa che si chiamava Dalia, la sua vita era felice e spensierata e i suoi genitori, il re e la regina di quel regno le avevano sempre dato tutto ciò che desiderava, purtroppo però era ormai tempo che lei si sposasse perché il padre era vecchio e stanco e, a breve sarebbe morto e quel regno non aveva ancora un degno erede. La notizia della ricerca di un marito per la principessa si diffuse in tutta quella contea e oltre, sino ad arrivare alle orecchie di uno stregone che aveva la fama di essere cattivo e spietato. Lo stregone non perse tempo e, impugnato il suo scettro, partì per quel regno con il vile intento di rapire la principessa. Il viaggio fù lungo e faticoso ma alla fine lo stregone riuscì ad arrivare nel regno della principessa, la sue abilità con le arti oscure gli permisero di infiltrarsi piuttosto facilmente nel castello dove lei risiedeva e di rapirla.
Il giorno seguente quando i sovrani videro che la loro figlia era scomparsa diedero subito l'allarme dicendo che cercavano uno forte cavaliere che sarebbe andato a cercare la principessa perduta. La voce della sua scomparsa si diffuse rapidamente suscitando scalpore negli abitanti del regno. Un bel giorno, mentre ero intento ad allenarmi con la spada, un mio servo arrivò agitato e mi comunicò quello che era successo aggiungendo inoltre che il re e la regina mi avevano scelto per questo importante compito, dato che ero il più bello e il più forte di tutti gli eroi. Mi misi subito in viaggio, il quale fù lungo, faticoso e irto di ostacoli che, ovviamente, affrontai senza alcuna difficoltà. Dopo innumerevoli giorni di cammino arrivai finalmente alla residenza dello stregone, era una possente torre che metteva i brividi solo a guardarla con un' enorme giardino di rovi spinosi attorno. 
Le urla della principessa risuonarono nelle mie orecchie, afferrai la mia bellissima spada argentata e con pochi colpi i rovi stramazzarono a terra ed ebbi campo libero, mi avvicinai lentamente alla prigione nella quale lei era rinchiusa ed osservai lo stregone con l'intento di individuargli un punto debole. La visione di lui che frustava la principessa mi accecò d'odio, sbattei violentemente a terra la porta d'ingresso e attaccai lo stregone incalzando un combattimento con la spada. Lo stregone era forte ma superbo e poco furbo cosi giocai d'astuzia, non appena lo ebbi distratto bastarono pochi colpi precisi ed eleganti per sconfiggerlo del tutto.
La principessa era salva, la liberai e la presi dolcemente tra le braccia..."- Si interruppe per prendermi tra le braccia.  -"...e la misi sul mio stupendo scudiero, bianco come la neve e resistente come il ferro, quando la appoggiai sul dorso del cavallo lei mi ringraziò ed io, per farle capire che era stato un'onore salvarla, le presi il volto tra le mani e la baciai..."- si fermò nuovamente, mi prese il viso tra le mani e tentò di baciarmi quando io lo bloccai con uno schiaffo in pieno viso, talmente forte da lasciargli la guancia arrossata. -"Che cazzo fai, IDIOTA!?"- protestai.
 -"Ehi calma mi sto solo attenendo al racconto..."- mi spiegò 
-"Stai zitto stupido divoratore di hamburger! Quando sarà finito questo stramaledetto meeting, ti posso assicurare che l'America dovrà cercarsi un nuovo rappresentante..."- lo minacciai fremente di rabbia.
-"Ma dai avanti, non fare la difficile... tanto lo so che ti piaccio, e allora che senso ha continuare a fingere che questa non sia la realtà?"-
-"Sai una una cosa Alfred... VAFFANCULO!"- conclusi uscendo dalla stanza e sbattendo la porta.
                                                                                                         ***
 Alfred amava raccontare la nostra storia come se fosse una bellissima fiaba,  purtroppo però la storia vera avevo ben poco di bellissimo e fiabesco solamente su una cosa non aveva errato, lui era stato davvero il mio eroe...
Tutto ebbe inizio una lontana mattina di Aprile del 1944, a quell'epoca avevo solo quattro anni, un sorriso perennemente stampato sulle labbra e un'immensa voglia di vivere. Era appena arrivata la primavera, e la mia felicità non poteva essere più grande dopo lunghi mesi di reclusione dovuti al pungente gelo invernale che ogni anno colpiva duramente la città di Strasburgo. Durante la primavera passavo le mie giornate sdraiata su un'enorme campo fiorito costruendo ghirlande, raccogliendo fiori o semplicemente ammirando la creatività della natura. La giornata percorreva nel migliore dei modi e non potevo sapere che da li a breve la mia vita sarebbe cambiata per sempre. 
Ad un tratto notai in lontananza due uomini che si avvicinavano alla mia abitazione, indossavano degli strani vestiti uguali per entrambi e sulla parte destra della giacca era affissa una strana croce con i bracci piegati ad angoli retti******, percorrevano il tragitto che li separava dalla mia residenza  con aria disinvolta. Si fermarono davanti l'uscio di casa e, invece di bussare, abbatterono la porta con un calcio, la quale si apri cadendo inesorabilmente a terra e producendo un rumore sordo.
Poi tutto accadde molto velocemente, i due uomini si piombarono su mia madre tenendola con il viso schiacciato sul pavimento e immobilizzandole le braccia, uno di loro si voltò e mi vide, osservavo la scena immobile, non piangevo non urlavo, mi limitavo a guardare la crudeltà umana, non avevo paura, probabilmente se avessi saputo la verità ne avrei avuta, probabilmante sarei fuggita a gambe lavate il più lontano possibile eppure non lo feci, mi sentivo solamente confusa e, nonostante quella verità era terribile, ne ero profondamente attratta.
L'uomo che mi aveva vista si avvicinò lentamente sorridendomi e, quando fu abbastanza vicino, mi afferrò per le braccia appoggiandomi a fianco di mia madre e chiudendomi con una mano la bocca per impedirmi di urlare, mio padre apparve poco dopo attirato dal rumore prodotto dalla porta al suo schianto con il pavimento e, non appena vide la croce con i bracci piegati ad angoli retti, aggredì i due uomini, i quali facilitati probabilmente dalla condizione fisica assai più forte lo atterrarono e uno di essi afferrò uno strano attrezzo nero lucente con una forma ad elle ******* e lo puntò sulla testa di mio padre, l'ultima cosa che vidi di lui fù il suo sguardo, non chiedeva pietà esprimeva solo disperazione, poi un colpo forte e dirompente e mio padre si accasciò a terra mentre una pozza di sangue si faceva strada sotto e attorno a lui.
Gli uomini non si preoccuparono di seppellirlo, si avvicinarono a mia madre che piangeva disperata e le diedero un violento calcio su un fianco facendola svenire, poi mi presero in braccio e ci portarono verso l'inferno.
L'inferno è quello che oggi abbiamo il coraggio di chiamare semplicemente "campo di concentramento", ma dopo averlo vissuto in prima persona, l'unica parola che forse può richiudere quello che davvero è, può essere semplicemente "inferno".
L'arrivo ad Auschwitz fù tremendo, milioni di uomini lavoravano ininterrottamente trasportando pesanti travi di legno o di ferro, no,non erano uomini,erano scheletri, erano le vittime della follia e dell'ideologia di un'uomo.
Ero impressionata e per la prima volta avevo paura, paura derivata dalla mia ignoranza, paura dell'ignoto, paura del non sapere a cosa stavo andando incontro, ma nel mio cuore vi era anche dello stupore,ero stupita dai livelli che la crudeltà umana era capace di raggiungere,io che per idea di crudeltà avevo solamente i rari schiaffi che mi dava mio padre,non erano niente in confronto a ciò che avevo davanti, avrei preferito milioni di quegli schiaffi dati da una mano che aveva il mio stesso sangue, piuttosto che uno schiaffo dato da quelle mani assasine.
I mesi passavano, le mie condizioni fisiche e mentali peggioravano, avevo solo quattro anni eppure avevo già conosciuto il peggiore degli inferni, il trattamento che riservarono a me e a mia madre non fu certo migliore di quello che avevano subito gli altri,in breve anche noi ci ritovammo a trasportare travi, incudini e mattoni, ma non era faticoso trasportare quelle incudini,la fatica derivava dal dover trasporare via dal cuore l'incudine della paura.
Un giorno, la porta del dormitorio nella quale allogiavo si aprì e una ragazzo alto, biondo e con dei stupendi occhi azzurri entrò e osservò il mio corpo stramazzato ed esanime sul terreno mentre esalava i suoi ultimi respiri, non indugiò, si avvicinò deciso e mi prese in braccio, l'ultima cosa che sentii fu la voce di un'uomo che gridava:-"Gli americani sono arrivati!"-
Erano passati sedici anni da allora, e in tutto quel tempo Alfred mi accolse nella sua vita, tentando in tutti i modi di farmi dimenticare ciò che avevo vissuto con i suoi sorrisi e la sua infinita allegria, e ci riuscì, ma ciò che il cuore dimentica il corpo ricorda,e quel numero stampato sul mio braccio è un ricordo incancellabile.
 
 
                                                                                                        ***
 
   
 
-"Dalia....Dalia svegliati!"- Gridava Alfred schiaffeggiandomi.
-"Si..cosa..."-risposi assonnata.
-"Svegliatiiiiiiiiiii!"-Urlò nuovamente.
-"Dannazione!Sono sveglia, smettila...credo di essermi addormentata.."-
-"Meno male...stai bene, non preoccuparti,ci sono io ora con te,andiamo a casa.."-sospirò di sollievo Alfred prendendomi in braccio.
-"Alfred..grazie di tutto.....ti voglio....bene"-dichiarai imbarazzata.
-"Lo so..anche io te ne voglio"-
 
 
 
 
 
 
NOTE:
*= Buongiorno.
**=Scusi.
***=Capisco
****=Per favore.(in francese)
*****=Per favore.(in russo)
******=svastica.
*******=pistola.
 
Ed ecco finalmente il seguito di questa fanfiction, chiedo scusa per l'attesa ma ultimamente sono stata parecchio impegnata, spero davvero che attendere ne sia valsa la pena. Ho ricevuto parecchi commenti negativi in quanto nel prologo non avevo fornito spiegazioni logiche su come facevo a conoscere Alfred o sull'epoca nella quale mi trovo,questo primo capitolo è in particolare per voi,spero che la storia di come ci siamo conosciuti vi soddisfi.Concludo dicendo che tutto il contenuto di questo testo non l'ho scritto basandomi su esperienze che ho davvero vissuto (per fortuna) è tutto completamente inventato perciò chiedo in anticipo scusa se non sono riuscita a rendere bene l'idea dei setimenti che si provano in questa determinata circostanza. Aspetto aspetto con ansia un vostro giudizio...
Misery8Cloudy.
 
 
  
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