1.
Epilogue.
Alla
fine Mary non mi aveva lasciato; ero stato io a chiederle di concedermi
il
divorzio e lei lo firmò senza fiatare. Ovviamente
affrontammo numerosi e
violenti litigi in seguito a quello che aveva scoperto sui miei
sentimenti per
Holmes durante la nostra ultima visita a Mycroft; non le rispondevo a
tono
perché credevo di aver ragione, sapevo perfettamente di
essere nel torto per
averla ingannata in una maniera così subdola, ma reagii
perché in un primo
momento aveva insultato sia me sia Holmes per le nostre preferenze
sessuali. In
seguito mi chiese scusa e divenne, fuori da ogni aspettativa, una
nostra buona
amica e una delle pochissime persone con cui potevamo parlare
liberamente, fino
al giorno della sua prematura morte dovuta a una polmonite che io
stesso le
avevo curato come potevo in un’epoca in cui la medicina non
era ancora in
grande sviluppo per quello specifico settore.
Per
quanto riguarda Holmes, la mattina seguente alla sua madornale sbronza
non andò
affatto come mi ero immaginato; non c’era stato stupore per
avermi trovato nel
suo letto, non c’era stata rabbia perché ero
ancora lì, non mi aveva accusato
di essermi approfittato di quella momentanea debolezza per
riavvicinarmi a lui.
Quando
aprii gli occhi, infastidito dalla luce che entrava dalle tende ancora
aperte
della finestra, lo trovai già sveglio. Aveva le braccia
incrociate sul mio
petto e la testa appoggiata sopra; mi stava fissando con quel suo
tipico
sguardo illeggibile, mi sentivo leggermente in soggezione. Non aveva
gli occhi
appannati dal sonno o dal mal di testa, quindi con grande
probabilità mi stava
fissando da almeno un’ora. Ricambiai il suo sguardo senza
dire nulla,
intimorito da quella che avrebbe potuto essere la sua prossima mossa.
Aspettavo
soltanto. E
sicuramente mi aspettavo
qualunque cosa, tranne che si sporgesse verso di me per baciarmi.
Tutto
iniziò in quel momento. Dopo quel gesto mi chiese solo di
portargli un
bicchiere d’acqua e un forte antidolorifico per la testa. Il
resto della
giornata, lo trascorremmo sdraiati a letto a parlare, parlare,
parlare… di
tutto. Di quello che avevamo fatto in tutti quei mesi, gli spiegai per
bene
tutta la questione riguardante il mio matrimonio con Mary e il
perché del
nostro molto prossimo divorzio ma, soprattutto, gli chiesi se mi
avrebbe
rivoluto a Baker Street con lui.
Mrs.
Hudson si preoccupò perché non ci vide scendere
neanche per i pasti e venne a
controllare; non sembrava poi così stupita di trovarmi nello
stesso letto di
Holmes mentre lo stringevo a me. Non riesco a non pensare che fingesse
soltanto
di non sapere cosa ci fosse tra me e Holmes da quel giorno.
Le
mie cose vennero riportate a Baker Street entro la fine della settimana
e tutto
sembrò tornare alla normalità, come doveva essere.
Con
il passare del tempo, anche Holmes tornò a essere quello che
era sempre stato,
con le sue battutine ciniche e spesso malefiche su Scotland Yard e
velate (ma
non troppo) prese in giro verso il sottoscritto. Era di nuovo lui,
finalmente.
Ciò
che mi piaceva e che tutt'ora mi piace di più della nostra
relazione, è che non
è cambiato niente. Siamo ancora gli stessi che eravamo, con
i nostri stupidi battibecchi
che potrebbero andare avanti all’infinito, con il suo rubarmi
i vestiti, il suo
suonare il violino alle tre di notte. Quando ce ne rendemmo conto,
capimmo che
in realtà eravamo sempre stati in una relazione. Almeno,
adesso, avevamo anche
i baci, qualche carezza e delle notti di passione. Eravamo sempre noi,
ma con
alcune non indifferenti migliorie.
Erano
già passati due anni da quando era iniziata la nostra
relazione ormai. Due anni
esatti.
Mi svegliai nel cuore della notte con la sensazione che ci fosse
qualcosa di
diverso. Infatti, quando mi girai, ero da solo, Holmes non era accanto
a me
come il solito.
Per
un attimo, ancora stordito dal sonno, mi guardai
intorno, immaginandomi di
vederlo in giro per la stanza, magari chino sulla sua scrivania a
lavorare a un
esperimento che necessitava di meno luce possibile, ma non lo trovai.
“Holmes?” chiamai, dopo essermi sgranchito la voce.
Mi
alzai dal letto stirandomi e, per avere un minimo di decenza, mi
infilai almeno
i pantaloni per cercarlo. Controllai il salotto, la mia camera, il
bagno, ma
lui non c’era, così decisi di scendere in cucina
per controllare che non fosse
sceso per cercare del cibo; da quando lo avevo convinto a smettere con
la
cocaina, aveva iniziato a mangiare per quattro e, per qualche strana
ragione,
non ingrassava per questo.
Fatto
sta che non era neanche lì, così iniziai a
preoccuparmi. Mi affacciai fuori, ma
non sembrava essere in giro per Baker Street. Era scomparso nel nulla.
Tornai di corsa nelle nostre stanze per
completare il mio vestiario, con tanto
di cappello e bastone, e uscii a cercarlo.
Passai
per tutti i luoghi che frequentavamo spesso, il Punch Bowl, alcuni
locali, ma
nessuno sembrava averlo visto, fino a che un cameriere mi disse:
“Sì,
è passato una decina di minuti fa. Ha preso solo una
bottiglia di brandy e se
n’è andato. Aveva una rosa, l’ha presa
da uno dei nostri vasi. Gli ho chiesto
se per caso stesse andando dalla sua donna, ma ha detto che andava dal
fratello. Mi è sembrato un po’ strano che portasse
un fiore al fratello.”
Sul momento, fui confuso anche io. In due anni, non era mai andato al
cimitero
a trovare Mycroft, forse perché temeva di crollare di nuovo.
Perché andarci in
piena notte, senza neanche svegliarmi, e con una bottiglia di brandy?
Tuttavia, mi decisi a raggiungerlo. Sapendo che avrebbe preferito
andare a
piedi, ma avendo dieci minuti di vantaggio su di me, decisi di prendere
una
carrozza per recarmi al cimitero.
Durante
il tragitto, improvvisamente capii; se erano due anni esatti che la
nostra
relazione era iniziata, significava anche che erano passati due anni
dal giorno
del funerale di Mycroft.
Il viaggio in carrozza non durò molto; pagai il cocchiere,
scesi e mi diressi
al cancello. Holmes era più avanti di me, ma riuscivo a
vederlo camminare tra le
file di lapidi.
Non volevo disturbarlo, ma non riuscii a tornare a casa comunque. Da un
momento
all’altro, sarebbe potuto crollare e volevo potergli essere
vicino. Forse si
sarebbe arrabbiato perché l’avevo seguito, ma
d’altra parte io ero preoccupato.
Quindi lo seguii silenziosamente e mi nascosi dietro ad una tomba
familiare, la
cui enorme lapide poteva coprirmi dalla sua vista. Sbirciai oltre e lo
vidi
posare la rosa di cui mi aveva detto il cameriere sulla tomba, aprire
la
bottiglia e sedersi lì davanti.
“Lo so, sarei dovuto venire prima.” Disse. Stava
parlando con lui. Lui, così
razionale e calcolatore, stava parlando alla tomba del defunto
fratello. Solo
questo pensiero mi fece stringere il cuore in una morsa tra dolore ed
emozione.
“Non prendertela con me, non ce la
facevo…” continuò, per poi prendere un
sorso
di brandy. “Comunque, sono cambiate un po’ di cose
dall’ultima volta che ci
siamo visti. Tu eri rimasto che io odiavo Mary e non parlavo con
Watson, che
bevevo e mi drogavo fino a perdere i sensi. Beh, tutte queste cose sono
cambiate. Pensa che ero addirittura dispiaciuto quando Mary
è morta.
Probabilmente adesso siete lì,
insieme, a ridere di me perché sto parlando con
un pezzo di marmo. Sappiate che me la pagherete quando vi
raggiungerò. Comunque,
non la odiavo più così tanto. Una volta perso il
legame coniugale con Watson,
devo ammettere che era diventata una buona amica. E per quanto riguarda
il
resto… Watson mi sta costringendo a un’astinenza
forzata. Con questo puoi
dedurre come le cose stiano andando tra di noi. È successo
esattamente quello
che tu ti aspettavi e a cui io non credevo… ti sei
dimostrato di nuovo il più
intelligente dei due.” Disse con un piccolo sorriso, bevendo
un altro sorso
dalla bottiglia. “Questa è la mia prima bottiglia
d’alcool da… sette, otto
mesi. Ho perso il conto. E comunque l’ho presa solo
perché altrimenti non sarei
riuscito a venire. Probabilmente Watson domani si accorgerà
che ho bevuto e
dovrò sorbirmi una partaccia per la mia poca
affidabilità, ma gli passerà
presto e non intendo bere altro, comunque. Gliel’ho
promesso.” Fissò la lapide
qualche istante prima di ricominciare a parlare, ma la voce gli
uscì in un
sussurro spezzato dai singhiozzi. “Quando vi raggiungeremo,
dovresti
ringraziarlo, sai? Non ce l’avrei fatta senza di
lui… tu eri tutto ciò che
avevo e ti ho perso quasi senza preavviso… ero sicuro che
non sarei riuscito ad
andare avanti senza di te… lo so, non ci vedevamo spesso, ma
almeno sapevo che
c’eri, e adesso non è più
così… a volte mi illudo ancora di poter andare al
Diogenes Club e trovarti lì. È per questo che non
sono venuto prima, non volevo
perdere quell’illusione. Ma tu non lo meriti, ti dovevo
almeno questa visita,
anche se non so se riuscirò più a
tornare.” Prese un profondo respiro e si
asciugò gli occhi. “Se tu fossi qui, adesso, mi
prenderesti in giro.” Gli uscì
una risatina nervosa. Mi sentivo morire a guardarlo così.
“Mi manchi, Mickey…”
Dopo queste ultime parole, scoppiò in un pianto
irrefrenabile, tirandosi le
ginocchia al petto e nascondendo il viso nelle braccia incrociatesi
sopra.
Non riuscii più a stargli lontano. Uscii dal mio
nascondiglio e mi avvicinai,
incurante adesso di coprire il suono dei miei passi, ma lui
sembrò non notarmi
comunque.
Mi sedetti a terra accanto a lui e gli passai un braccio intorno alle
spalle
per stringerlo a me. Mi lanciò solo uno sguardo veloce prima
di nascondere di
nuovo il viso e lasciarsi abbracciare.