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Autore: ladymisteria    19/07/2012    2 recensioni
"Sherlock Holmes se ne stava in piedi in quella stanza della sede governativa dei servizi segreti britannici.
Sembrava perfettamente a suo agio, nonostante fosse scalzo, bagnato come un pulcino e avesse sulla testa una spada di Damocle con impressa a caratteri cubitali un'accusa per alto tradimento."

Seguito di "Rain and Confidences"
Versione riveduta e corretta
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Irene Adler, John Watson, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'After Sherlock's Fall'
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John vide quasi per caso l'amico scendere le scale.

«Ehi, Sherlock!».

Il detective lo ignorò, abbandonando frettolosamente Baker Street e i suoi occupanti.

John si chiese cosa fosse successo tra l'amico e La Donna.

Lui e la loro padrona di casa, la Signora Hudson, avevano invano tentato di ascoltare la discussione avvenuta sopra le loro teste, ma le uniche cose che erano riusciti a sentire erano voci concitate e quelle che inequivocabilmente erano parole di rimprovero.

Ma da qui a capire l’andamento della discussione...

Salì le scale, convinto di trovare l'appartamento deserto.

Con suo sommo stupore, invece, Irene Adler era ancora lì.

Sembrava incapace di muovere anche solo un muscolo.

Per un brevissimo istante John provò un sentimento simile alla pietà, per lei.

Ma fu solo un attimo.

«Le consiglierei di prepararsi. Tra qualche minuto arriveranno sicuramente degli agenti dei servizi segreti per prelevarla» disse.

Irene Adler si riscosse, e guardandolo con il consueto sguardo canzonatorio.

«Le spiace se li attendo qui?»

«Deve».

La Donna annuì, sedendosi nuovamente nella poltrona.

John rimase qualche secondo a guardarla.

Aveva sempre visto, in Irene Adler, la perfetta metà di Sherlock.

Era una doppiogiochista, certo.

Ma non aveva mai negato veramente i sentimenti che la legavano al detective.

E poi le parole di Sherlock l'avevano convinto.

Il detective e La Donna erano simili, a modo loro.

Sopirò.

Nella vita reale non esisteva il lieto fine.

 

*

 

«Vorresti dirmi che Sherlock è sparito?»

«E' scappato, sì».

Mycroft Holmes imprecò.

«Ti pregherei di non utilizzare un simile linguaggio in mia presenza, Mycroft»

«Scusa».

Celine Holmes si mise comoda.

«Allora. Chi è questa Irene? E perché Sherlock sembra tanto turbato quando viene nominata?».

Mycroft si sistemò il nodo della cravatta.

«Nessuno di importante. Nessuno di cui tu debba preoccuparti, almeno. Si tratta di questioni strettamente...»

«Mycroft Holmes, non sono uno dei tuoi sottoposti; né tanto meno uno dei soliti giornalisti che vogliono sapere ogni istante della vita di tuo fratello. Sono tua madre, e non accetterò un'altra risposta vaga da parte tua. Sono stata chiara?».

Straordinario come una donna tanto elegante e delicata fosse in grado di diventare minacciosa a tal punto, constatò Mycroft.

«Quindi? Chi è?».

Il maggiore dei fratelli Holmes si schiarì la voce.

«Chi credi che sia?».

La donna fissò il figlio maggiore.

«Hai detto che non è importante. Mai io invece penso sia esattamente il contrario. O per lo meno, lo è per Sherlock. Tuo fratello non è tipo da comporre una melodia tanto elaborata per una persona qualunque. Da quello che so, l'unico amico di Sherlock è quel medico militare, John Watson»

«E' il suo migliore amico, sì».

«Questo mi fa supporre che tuo fratello abbia posto questa Irene su un piano differente. Un piano di certo non meno importante»

«Purtroppo è così».

Celine Holmes guardò il figlio, confusa.

«Perché dici così?».

Mycroft Holmes guardò brevemente la stanza, prima di rispondere.

«Credo faresti meglio a chiedere a Sanderson di portare del thè. Ne avrai bisogno»

«Sono la madre di Sherlock Holmes. Non è facile scioccarmi».

Mycroft sorrise vago.

«Già, lo pensavo anche io, mamma. Ma fidati di me. Dopo sarai pentita di non averne bevuta una bella tazza».

 

*

 

Irene Adler studiò il suo riflesso nello specchio sopra il camino.

Anche se lei riusciva a dimostrare il contrario, il suo stato d'animo era buio, triste.

Sapeva che qualcosa si era spezzato, tra lei e Sherlock.

Le parole dell'uomo non avevano lasciato molti dubbi al riguardo.

Ricordava solo un'altra occasione in cui si era sentita così male; in cui si era sentita davvero sola, senza più alcun alleato.

 

***

 

Quasi quattro anni prima, Londra. 

«Che cosa vuol dire che hanno scoperto il codice per sbloccare il cellulare?!» 

«Esattamente quello che ho detto». 

James "Jim" Moriarty la fissò furioso. 

«Come è potuto accadere?» 

«Ho sottovalutato Sherlock Holmes. Ho commesso uno sbaglio». 

L'uomo le si avvicinò con un sorriso inquietante stampato sul volto. 

«Uno sbaglio che ti costerà molto, Irene». 

Cominciò a girarle intorno, come fa uno squalo con la preda prima di attaccarla. 

«Sai cosa credo, invece? Che tu non abbia commesso alcuno sbaglio. Che tu abbia voluto... impressionare, Sherlock. Dimostrargli quanto più furba di lui tu in realtà sia. Quindi, perché non fare in modo che scoprisse la geniale password?». 

«Cosa? No!» 

«E' quello che credo...» cantilenò lui. 

Irene deglutì. 

«Jim, ti giuro che...» 

«NON GIURARE!». 

La Donna si zittì all'istante, terrorizzata. 

«Solo chi ha qualcosa da nascondere sente il bisogno di giurare. E se hai qualcosa da nascondermi, significa che mi stai mentendo... Tu sai cosa faccio alle persone che mi mentono e che pensano di prendersi gioco di me? Le scuoio lentamente e personalmente. Vuoi questo? Vuoi che ti usi per fare delle scarpe, Irene Adler?». 

La minaccia era resa ancora più terrificante dal tono suadente con cui le si rivolgeva. 

«Non ti sto mentendo, Jim. Non ho idea di come Sherlock Holmes abbia fatto a scoprire il codice. Io non ho detto o fatto nulla che potesse anche solo aiutarlo minimamente nel farlo». 

Moriarty le afferrò il volto con mano. 

«E come mai non ti hanno arrestata, allora?» domandò. 

Irene si sforzò di mantenere gli occhi fissi in quelli dell'uomo. 

«Mycroft Holmes ha preferito tenere il cellulare e lasciarmi al mio destino. E' convinto che senza il telefono non avrò molte possibilità di cavarmela, da sola». 

Jim finse di impensierirsi. 

«"L'uomo di ghiaccio" non ha tutti i torti...». 

Le lasciò il viso, e Irene si massaggiò là dove la mano dell'uomo l'aveva stretta. 

«Non mi servi più...» disse Moriarty. 

Poi sgranò gli occhi, quasi fosse stato colpito da un'idea fulminante, e batté le mani come un bambino che ha finalmente ricevuto il regalo che desiderava tanto. 

Rise folle. 

«Anzi. A qualcosa puoi ancora servirmi...». 

Irene lo fissò. 

Non le piaceva il tono che stava usando. 

«Che vuoi dire?»  

«Ho promesso a Sherlock che gli avrei bruciato il cuore... Lui è convinto di non averne uno...» disse, gli occhi che brillavano di pura malvagità. 

«E tu... Tu sarai la miccia perfetta. Dimostriamogli
che si sbaglia».
 

La Donna arretrò di qualche passo, sconvolta. 

«Vuoi... Vuoi uccidermi?» 

«Chi, io? Oh, no. No, no, no. Sai che non mi piace sporcarmi le mani. No, seguirò il consiglio di Mycroft Holmes». 

Si sistemò il prezioso Westwood. 

«Peccato. Eri una buona alleata, Irene» disse in tono tutt'altro che dispiaciuto. 

Fece spallucce. 

«Oh, beh. Ne troverò di migliori. Ciao...». 

A nulla servirono i richiami della donna. 

Moriarty se n'era andato, lasciandola sola e senza protezione alcuna. 

***

 

«Sta pensando alla sua prossima, spettacolare fuga?».

La voce di John Watson la riscosse da quel tremendo ricordo.

«Perché dovrei? Non ho più alcun alleato ad aiutarmi»

«Se è così, la colpa non è che sua».

Irene si lasciò sfuggire un sorriso triste.

«Aveva ragione»

«A che proposito?».

«L'ira di Sherlock Holmes è davvero la cosa peggiore che possa esistere» mormorò Irene, gli occhi bassi.

John non se la sentì di replicare.

 

 

 

 

Ed ecco qui un nuovo capitolo. Spero di non aver deluso Simple_ con il cammeo su Jim Moriarty, e di avervi invogliato a lasciare almeno una recensione =)

   
 
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