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Autore: valina_babi    19/07/2012    0 recensioni
Ho sempre amato New Moon, credo che dell'intera saga sia il mio libro preferito, e come personaggio amo in modo incondizionato Edward, anche se in certi momenti lo prenderei a noci; di lui mi affascina la mente, il modo di ragionare, pensare, vivere la vita e i sentimenti.
Per questo motivo quando zia Steph decise di scrivere Midnight Sun ho gongolato come non mai saltellando come una pazza per giorni... per poi avere istinti omicidi sia verso di lei, sia verso chi non ha retto e ha pubblicato tutto sul web, con conseguente decisione della Steph di non continuare (sgrunt).
Come era prevedibile non ho saputo resitere e ho divorato i 12 capitoli di Midnight Sun, e secondo il mio modesto parere la saga vista da Edward sarebbe molto pià bella, per questo ho deciso di scrivere la mia personalissima versione di New Moon, vista da Edward ovviamete, mostrando i luoghi e le fasi più buie della sua lontananza da Bella.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: New Moon
Capitoli:
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Ciao a tutti!
Eccoci al capitolo due, ve lo lascio senza troppe anticipazioni.
Soltanto grazie a tutti e tutte quelle che hanno deciso di dedicare cinque minuti della loro vita a leggere la mia storia, e a chi lìha inserita tra le ricordate, grazie grazie grazie
Vale

 
2. Punti

  La voce mentale di Carlisle interruppe il flusso dei miei pensieri “Edward…” annuii in maniera impercettibile “bisogna fare uscire gli altri, poi la cureremo, non ti preoccupare, non succederà nulla, e non arrabbiarti con lui, non è colpa sua..” mi stupii, come poteva essere così calmo? Come potevo fare finta di nulla? Mio fratello aveva tentato di uccidere la mia ragazza e io non dovevo preoccuparmi?


«Emmett, Rose, tenete Jasper e portatelo fuori» disse poi rivolgendosi agli altri. Emmett annuì serio.

«Andiamo» sentii il guizzo dei pensieri di Jasper, si dimenava, si opponeva con tutte le sue forse a Emmett, ma non ce l’avrebbe mai fatta a liberarsi, Emmett era molto più forte di noi, mi rannicchiai lo stesso al fianco di Bella, mostrando i denti, ero lo stesso pronto a difenderla, non si sa mai diceva una vocina nella mia testa. La stessa vocina mi aveva detto di non respirare, essere assuefatto al suo odore era una cosa, ma la tentazione del sangue, lì vicino a me era tutt’altra cosa. La mia gola ardeva di fuoco. “Te l’avevo detto che portava solo guai” mi disse maligna Rose, un ringhio uscì dal mio petto. Perché non poteva accettare Bella ed essere semplicemente felice per me come gli altri? Perché doveva essere gelosa? Non sopportavo che si comportasse in quel modo… “Forse quello che sbaglia sei tu…forse quello egoista sei tu…dopotutto perché un mostro dovrebbe essere felice?” Chiese un vocina malvagia della mia testa, scossi violentemente la testa, volevo che uscisse, o perlomeno tacesse, non volevo ascoltarla, ma forse aveva ragione…
Anche Esme dovette seguire gli altri fuori, guardò me e Bella sfiorata dall’imbarazzo «Perdonami, Bella» "Mi dispiace infinitamente, Edward…"
Non mi ero accorto di mio padre, Carlisle era rimasto tranquillo, impassibile, mi si avvicinò calmo e mi disse

«Lascia fare, Edward è tutto a posto, nessuno si è fatto troppo male, ora sistemiamo tutto. Aiutami devo guardarle la ferita..»
Ci misi un momento a recuperare la lucidità necessaria,  annuii e rilassai i muscoli tesi. Lasciai che Carlisle esaminasse il taglio di Bella, era pietrificata, non si muoveva sconvolta anche lei da ciò che aveva visto. Alice portò un asciugamano,ma la ferita era troppo piena di vetri, Carlisle strappò un lembo dalla tovaglia bianca, chissà se Esme se ne sarebbe risentita era una delle sue preferite, ma alla fine era solo un oggetto di scena inutile..potevamo fingere, ma eravamo comunque mostri, fermò il sangue e l’emorragia legandolo come un laccio emostaticoimprovisato.

«Bella, decidi, vuoi andare all’ospedale, o ci penso io qui?»

«Qui per favore» era pallida, spaventata, ferita e nonostante questo si preoccupava che Charlie non sapesse nulla, che noi non venissimo coinvolti in incidenti strani, perché non aveva quel minimo di senso di conservazione che ogni umano normale ha? Perché metteva sempre e solo gli altri al primo posto? Se avesse avuto un minimo di amor proprio non si sarebbe mai messa con me, con un mostro che poteva ucciderla…
Mille pensieri mi affollavano la testa, mille piccole osservazioni che mi portavano a una unica conclusione, quella che mi avrebbe ferito di più…
Dovetti sforzarmi per restare concentrato su quello che succedeva. Portai Bella in cucina, poco dopo apparve Alice che portava la borsa di Carlisle e una lampada da lettura. Continuavo a non respirare, ma la gola mi bruciava, non perché sentissi il profumo, ma per le sei menti affamate che pensavano a quello appena successo. "No, - mi dissi -  non la metterò mai più in pericolo"

«Edward, non devi restare per forza, se vuoi vai anche tu.» mi sussurrò dolcemente, negli occhi uno sguardo compassionevole, proprio l’ultima cosa che avrei voluto vedervi.

«Posso farcela» dissi e rimasi li rigido nella mia immobilità.

«Non fare l’ eroe. Carlisle può farcela anche senza di te. Non stare qui a soffrire, esci a prendere un po’ di aria». La vidi sussultare all’ennesima  puntura d’ago. Perché si ostinava a fare la forte quando l’unica cosa che io desideravo era poter stare li con lei,  tenerle la mano, come qualsiasi fidanzato alla fidanzata maldestra, senza desiderare il suo sangue… senza avere sete di lei.

«No, resto»

«Perché devi essere un tale masochista?» non capiva che mi tratteneva li solo l’amore sconfinato che provavo per lei?

«Edward, per favore. Vai a cercare Jasper prima che si disperi, ne starà facendo una tragedia, ce l’avrà con se stesso. L’unico che potrebbe calmarlo sei tu»

«Hanno ragione, vai a parlare con Jasper, cerca di calmarlo» aggiunse Bella

«Magari saresti anche renderti utile» chiosò Alice, “La faccia da funerale qui non serve…e nemmeno con Jasper, torna tra  poco, quando avremo risistemato Bella, è inutile che soffri così…” chiuse mentalmente.
Perché si mettevano tutti contro di me? Non capivano che cosa mi girava per la testa? Quante cose contemporaneamente stavo pensando? Erano tre contro uno, decisi di ascoltarli, seppur dopo averli fulminati mi voltai e uscii dalla porta sul retro.
 
Cercai la scia di Jasper, era fin troppo facile da seguire. Lo trovai seduto su un masso al di là del fiume, la testa tra le mani, l’espressione funebre e folle al contempo, guardato a vista da Rose ed Emmett che però si tenevano a distanza di sicurezza, sentivano la furia che emanava da lui e assieme la frustrazione. Mi avvicinai e mi sedetti davanti a lui sul prato, tentavo di mantenere la calma, feci un respiro profondo

«Vattene» mi intimò.

«No. Non sei tu che devi torturarti. Non sei tu ad averla messa in pericolo»

«Non sono io? Sono stato io ad attaccarla o te ne sei dimenticato? Potevo farle del male,ferirla, ucciderla e fare del male a te, credimi, mi dispiace.»

«No, è la nostra natura, tu hai solo difficoltà a controllare la sete. Il mostro sono io…non dovevo portarla qui. Non dovevo esporla al pericolo. Anzi non dovevo espormi e basta. Avrei dovuto ignorarla, resisterle…»

«Smettila di accusarti» sibilò freddo.

«Avevate ragione tu e Rosalie. È troppo pericoloso, non posso restare con lei se è umana, ma non voglio trasformarla, non è un mio diritto…»

«Ma sarebbe la soluzione più semplice..»

«Ma la obbligherei a lasciare tutti i suoi affetti, suo padre, sua madre, i suoi amici per un’esistenza di eterno dolore. Non accetterebbe mai, e non è giusto che io glielo chieda…»

«Agire da egoisti ogni tanto fa bene alla salute…»

«Sì, ma io non porrò fine alla vita di Bella, non sarò io a trasformarla in un mostro».

«Va bene, ma trova una soluzione, hai visto anche tu quanto può essere pericoloso. Ha già rischiato di morire una volta, deciditi, trasformala o…»

«Non dirlo… rifletterò» ma avevo la morte nel cuore, sapevo cosa mi stava per dire Jasper, ma non volevo sentirlo, non volevo pensarlo…ma ormai il tarlo del dubbio si era insinuato in me e teneva occupata la mia mente.

«Vado a vedere se è tutto a posto» conclusi e mi avviai verso la grande casa bianca. Non ascoltai i pensieri di Jasper mentre me ne andavo, percepivo solo un vago sentore di amarezza, continuava a sentirsi in colpa per quello che aveva fatto.
Giunsi alla casa di corsa, già da fuori sentivo le voci di Bella e Carlisle, parlavano di me, del perché Carlisle mi aveva trasformato, di mia madre, donna dolce e perspicace che aveva intuito la vera natura del mio padre adottivo, un fitta mi prese il cuore come tutte le volte che ripensavo a mia madre. Aveva sacrificato la sua guarigione per starmi accanto e se ne era andata, lasciandomi a Carlisle, alla mia nuova esistenza… in un attimo capii, io non sarei dovuto esistere. La verità mi colpì come uno sparo, ma fece molto più male, scalfì la scorza dura della mia pelle di pietra e mi spezzò il cuore. Più io le stavo vicina più la mettevo in pericolo.
"Edward…prendi la decisione giusta…trasformala”  il pensiero mi colpì d’improvviso strappandomi ai miei ragionamenti, tanto che ci misi un momento a capire da chi arrivava, era stata Esme, la mia nuova, dolce, mamma… si preoccupava sempre per me, voleva il mio bene... ignorai quel pensiero, non intendevo farlo…
Mi appoggiai allo stipite della porta tentando di riprendere il controllo delle mie emozioni, non volevo che Bella me le leggesse in volto, aspettai un momento poi mi decisi ed entrai, serio, rigido, non respiravo, non volevo metterla in pericolo..

«Non mi sono mai pentito di aver salvato la vita a Edward, di averlo trasformato». La voce di Carlisle, i suoi pensieri erano colmi di sincerità e apprensione, capiva che quello più turbato in quella situazione ero io… «Forse è meglio riaccompagnarti a casa»
Decisi di entrare. Non respiravo, non volevo che il sangue sulla sua camicetta risvegliasse il mostro che ero, non volevo metterla di nuovo in pericolo.

«Ci penso io» le dissi attraversando la stanza.

«Se vuoi mi può portare Carlisle» si guardò la camicetta, aveva intuito quale era il problema, era sempre così premurosa e sciocca, si preoccupava per me e non per la sua incolumità, tipico di lei, ma in fondo la amavo per questo.

«Posso farcela». Risposi secco, nulla di ciò che riempiva i miei pensieri avrebbe dovuto turbarla, almeno finchè io non avessi deciso. «Ma devi toglierti quella camicetta. Se la vede Charlie gli prende un colpo. Chiedo ad Alice di prenderti qualcosa di pulito». Sfrecciai fuori della cucina senza aggiungere altro.
Li sentii che continuavano a parlare, nel salone Esme stava pulendo il macello che avevo fatto gettando Bella per terra. Mi sentii tremendamente in colpa, ancora una volta li avrei costretti a soffrire tutti per colpa mia ed era la cosa che meno desideravo…
Alice mi raggiunse in cima alle scale, aveva in mano un fagotto azzurro in mano, una camicia, aveva visto di cosa avevo bisogno ed era venuta in mio aiuto. Chissà se aveva visto qualcos’altro.. evidentemente si, mi giunsero immagini sfocate, verde, tutto verde, forse una foresta e due sagome nella notte…

«Cos’era?» le chiesi.

«Non so, quello che ho visto poco fa. Ma mi è apparso sfocato, una decisione non ancora chiara»

«Oh, vedremo, quando sarà certa ti apparirà più chiara».

«Lo sai che a Jasper spiace infinitamente?»

«Lo so». Tagliai corto e scesi facendole cenno di seguirmi. Non volevo che anche Alice mi guardasse con compassione, o sguardo implorante perché non me la prendessi con Jasper, non era quello che volevo, sarei solo stato peggio. Sentii i suoi  passi felpati dietro di me. Raggiungemmo il salone ed Alice corse svelta da Bella, io rimasi in disparte.

«Su», disse Alice. «Cerchiamo qualcosa che sia meno in stile Jack lo Squartatore». E si diressero verso il bagno. Mi giunse l’eco delle loro voci, Bella chiedeva ad Alice di me e Jasper, temeva una mia reazione esagerata, in fondo mi conosceva meglio di quanto mi aspettassi, capiva a fondo la mia natura. Forse molto di più di quanto mi capissi io in quel momento.
Alice uscì dal bagno, «Guai a te se le fai del male, le voglio troppo bene» mi sussurrò passandomi accanto. Poco dopo uscì anche Bella, appena la vidi aprii la porta, volevo solo allontanarmi da casa, volevo riportarla al sicuro, lontano dai vampiri, lontano dai mostri.

«Bella! I tuoi regali», gridò Alice mentre mi raggiungeva. Recuperò da sotto il pianoforte i due pacchetti e la macchina fotografica e glieli ficcò sotto il braccio.

«Mi ringrazierai la prossima volta».
Esme e Carlisle le augurarono una buona notte, “Edward, non colpevolizzarti, non è colpa tua, né di Jasper, non succederà più una cosa del genere, nessuno di noi la metterà più in pericolo” aggiunsero rivolti a me.
Certo che non succederà mai più mi dissi, e capii quello che avrei dovuto fare. Alice mi lanciò un’occhiata torva, anche lei aveva capito, la visione di prima ora era chiara, io e Bella nel bosco da soli, e io me ne sarei andato, per sempre. “Non ti farò mai più del male, anche a costo di soffrire per l’eternità” questo diceva l'Edward della visione.
Giungemmo al pick-up e le aprii la portiera del passeggero poi feci il giro della macchina e salii, la vidi scalciare sotto il sedile qualcosa, ma guardavo fisso davanti a me non pensai troppo a cosa poteva essere. Misi in moto, non riuscivo a parlarle, sopraffatto dal dolore, era troppo grande, troppo dura da sopportare, ma ce l’avrei fatta, mi sarei allontanato da lei per il suo bene. Le avrei ridato la sua vita da umana.

«Ti prego, parla.», implorò mentre imboccavo l’autostrada, potevo sentire la sua frustrazione nella voce.

«Cosa devo dire?»

La vidi rabbrividire, si era accorta del mio umore «Perdonami, per favore».

Una scintilla di rabbia mi si accese negli occhi. «E che cosa dovrei perdonarti?».

«Se fossi io non fossi così sbadata questo non sarebbe successo».

«Bella, non è un crimine. Ti sei tagliata un dito con la carta di un regalo…nessuno ti condanna a morte per questo! ».

«Ma è colpa mia lo stesso.».

Perché anche lei si doveva colpevolizzare?
Non faceva altro che rendere le cose più difficili..non capiva che il problema ero io?
Non era lei il mostro, ero Io.
Io la mettevo in pericolo solo standole vicino.
Io che rischiavo di ucciderla solo con una carezza.
Io che ero mostro e predatore.
Scoppiai e le dissi quello che mi pungolava la mente da troppo tempo.

«Colpa tua? Se fossi stata con Newton, Jessica, Angela gli altri tuoi amici umani non sarebbe successo niente di questo! Quale sarebbe stato il maggior pericolo, non trovare i cerotti? Se fossi davvero inciampata e ti fossi tirata addosso dei piatti, senza che nessuno ti ci scaraventasse contro, cosa avresti rischiato? Di sporcare i sedili della macchina mentre ti portavano al pronto soccorso? Magari uno dei tuoi amichetti, Mike Newton, per esempio, ti avrebbe tenuta per mano mentre ti davano i punti, senza dover combattere la sete che ho di te. Bella, smettila di dire che è colpa tua. Mi faccio ancora più ribrezzo».

«Che diavolo c'entra Mike, adesso?».

«Mike Newton c'entra, perché sarebbe molto più sicuro per la tua incolumità stare con un umano come lui, piuttosto che con un mostro come me», ruggii, infuriato con lei perché non capiva perché si ostinava ad amarmi contro ogni logica, con me per la mia natura di mostro.

«Piuttosto che stare con lui preferirei morire.», protestò. «Preferirei morire se l’alternativa è non stare con te».

«Smettila di fare il melodramma, per favore».

«E tu non essere ridicolo». Non risposi. Continuai a guardare fuori dal vetro, gli occhi fissi sulla strada. Mi sforzavo, lottavo contro me stesso cercando un motivo valido per stare con lei. Stretto nella mia lotta interiore tra ciò che era giusto e ciò che era sbagliato.
Arrivati nel vialetto spensi il motore, fermo al volante, non mi muovevo.

«Resti con me stanotte?», chiese, implorante.

«Sarebbe meglio che io tornassi a casa.» Sì, sarebbe stato meglio, dovevo avvisare gli altri della mia decisione sempre che Alice non l’avesse già fatto.

«È o non è il mio compleanno».

«Smettila di fare i capricci... vuoi o no che tutti fingano che non lo sia? Scegli!». Parlai deciso, ma ormai era riuscita a smuovermi, e probabilmente capì di avere vinto.

«Okay. Ho deciso. Voglio che sia il mio compleanno, che non lo ignori. Ti aspetto di sopra».
Saltai giù e prese i regali. La guardai torvo.

«Non devi prenderli per forza».

«E invece li voglio», risposi automaticamente.

«Invece no. Carlisle ed Esme hanno speso dei soldi per comprarli e tu sono settimane che dici che non vuoi che spendiamo soldi per i tuoi regali».

«Sopravviverò». Strinse goffa i pacchetti con il braccio buono e si chiuse la portiera alle spalle. La mia piccola dolce, fragile Bella. In meno di un secondo ero sceso e l’avevo già raggiunta

«Lascia almeno che te li porti», e glieli tolsi di mano. «Ti aspetto in camera tua».

Sorrise. «Grazie».

«Buon compleanno», sussurrai, chinandomi e le sfiorai dolcemente le labbra. La sentii allungarsi per prolungare il bacio, ma mi allontanai lo stesso, regalandole il sorriso che sapevo l’aveva fatta innamorare di me e mi allontanai nell’oscurità, salendo veloce fino alla sua finestra.
Mi sedetti sul letto, giocherellando con i suoi regali, la sentii raccontare a Charlie della festa, dell’eccesso di Alice e mi scappò un sorriso tirato, e poi dare la buona notte. Neanche aveva fatto tre gradini che sentii Charlie chiedere

«Cos'hai fatto al braccio?».

La sentii imprecare in modo sommesso «Solito sono inciampata. Ma non è nulla».

«Non ti smentisci mai vero?», sospirò, immaginai la sua espressione rassegnata ormai alla goffaggine della figlia.

«Notte, papà».

Nonostante quello che Bella credeva, suo padre era molto perspicace, la capiva al volo, vedeva molte cose che la figlia non gli diceva.
Entrò in camera interrompendo il filo dei miei pensieri. Era per me la visione più sexy che potessi avere, anche se nei suoi semplici pantaloncini e canottiera. Profumava di buono. Ora finalmente potevo respirare, e bruciare di sete e passione.
"Dovrai abituarti a fare a  meno di lei
" mi dissi, e una stilettata di dolore ferì il mio cuore morto.
Alzai gli occhi, volevo imprimermi ogni particolare di lei prima di abbandonarla.

«Ciao», dissi. La mia voce risuonò bassa, come proveniente da un abisso.. quello del mio dolore.
Si avvicinò al letto mi tolse i regali di mano e mi si sedette in braccio, audace come sempre, senza alcun timore, preda perfetta.

«Ciao». Si raggomitolò contro di me, modellandosi perfettamente alla pietra del mio corpo. «Posso aprire i regali, ora?».

«Da dove viene tutto questo ritrovato entusiasmo?», domandai.

«Nulla sono solo curiosa».
Afferrò il lungo rettangolo piatto, il regalo di Carlisle ed Esme.

«Posso?», suggerii, volevo evitare qualunque pericolo. Strappai la carta argentata con un solo movimento fluido. Le restituii la scatola bianca.

«Secondo te riesco ad aprire il coperchio senza fare danni?», mormorò, non risposi continuavo a guardarla, amavo ogni centimetro della sua pelle e l’avrei amata per sempre, se solo avessi potuto. Era intenta a studiare il regalo, un biglietto aereo per noi due, che probabilmente non avremmo mai usato,non dopo quello che stavo per decidere.

«Wow! Andiamo a Jacksonville?».

«Quella era l’idea».

«Non ci credo. Renée impazzirà! Ma tu come farai? Non potrai uscire per il sole, non sarà un problema?».

«Direi che ce la posso fare.. potrei sempre accampare la scusa di qualche tesina..», risposi. «Se avessi saputo che avresti reagito così, te lo avrei fatto aprire davanti ai miei, avevano un po’ paura che ti arrabbiassi».

«Si, cioè, no. È vero è troppo, ma andremo insieme!».

Sorrisi. «Sai sto cominciando a pentirmi di non avere speso nulla per il tuo regalo. Non credevo che alla fine saresti rinsavita».
Ripose i biglietti e prese l’ultimo pacchetto, il mio regalo, lo scartai come avevo fatto con l’altro, le diedi il compact disc argentato, la mia musica, il mio cuore.

«Cos'è?», chiese perplessa.
Non risposi; presi il CD e lo misi direttamente nel lettore, avrebbe sentito direttamente cosa era il mio regalo, non le avrei rovinato la sorpresa. Aspettammo in silenzio. Poi iniziò la musica. La mia musica, la sua ninna nanna. La vidi restare in silenzio, le lacrime agli occhi, aspettavo una risposta che non arrivava.

«Che hai? Il braccio…?», chiesi, ansioso.

«No, non è quello. È il regalo più prezioso che potessi farmi». Continuò ad ascoltare rapita..

«Pensavo che portare un piano fin qui non sarebbe stato così semplice..», spiegai e sorrisi al pensiero.

«Già».

«Come va il braccio, ti fa male?».

«Benino». "Piccola sciocca umana masochista è inutile che finga.. perché non accetta le attenzioni altrui?" pensai.

«Aspetta ti porto un’aspirina».

«Non devi, non serve», protestò, ma non la ascoltai e andai in bagno tornando poco dopo, non feci quasi caso all’avvertimento che mi aveva lanciato, probabilmente voleva ricordarmi che Charlie non sapeva che io passavo quasi tutte le notti da lei, ma non serviva ricordarmelo, lo sapevo da solo e poi ero sempre più convinto non era un bene per lei, avrei dovuto smettere…
Tornai prima che la porta si richiudesse, e le diedi l’aspirina, stranamente la prese senza opporsi, che stesse guadagnando un poco di buon senso? Probabilmente, mi dissi, era solo perchè il braccio cominciava a farle male, l’effetto dell’anestetico doveva ormai essere svanito.
  
«È tardi, non è ora che gli umani vadano a dormire?», glielo feci notare, e dolcemente la misi a letto, avvolgendola nella coperta, non volevo gelarla col mio corpo. Mi sdraiai accanto a lei e la abbracciai. Si accoccolò ancora più vicino a me e la sentii sussurrare.

«Grazie ancora».

«Prego».
Restammo in silenzio entrambi sul finire della sua ninna nanna. Ma la mia mente galoppava, era giusto privarla delle sue esperienze umane? Metterla in pericolo? O era solo puro egoismo da parte mia? Cercai di convincermi che accanto a me era più sicura che lontano, che siccome era una calamita per disgrazie non le avrebbe evitate comunque. ‘certo, se poi tu la metti davanti a un vampiro affamato..’ mi disse la voce nella mia testa..

«Che stai pensando?», chiesi in un sussurro.
Attesi un secondo, dovevo dirle la verità, ma in un certo modo non volevo. «Ecco, pensavo a cosa è giusto e cosa sbagliato».

«Ricordi che ho deciso di non volere che ignorassi il mio compleanno?» voleva cambiare discorso, la spaventava vedermi pensieroso.

«Sì», risposi, cosa voleva, cosa cercava? Qualcosa che avrei potuto darle senza farle del male?

«Be', pensavo siccome è ancora il mio compleanno, vorrei ricevere un altro bacio».

«Sei avida, stasera». Era umana, tanto umana, e per questo la amavo, ma per questo era altrettanto fragile

«Lo sono - ma per favore, fallo solo se lo vuoi anche tu», aggiunse, doveva essersi accorta che ero molto turbato.
Risi e sospirai.

«Non sia mai detto che io faccia qualcosa controvoglia», ero disperato, la volevo, più di ogni altra cosa, la desideravo, desideravo il suo corpo. Le presi il mento tra le mani, trattandola come una bambola di porcellana e appoggiai le mie labbra sulle sue.
All’inizio fui prudente come solito, sapevo quale limite non dovevo oltrepassare, ma poi decisi di spingermi un po’più avanti…
se davvero volevo lasciarla, se davvero dovevo cominciare a fare a meno di lei avrei dovuto sciogliere le sue mani da dietro i miei capelli, ma non ci riuscii; anzi, giocai con la mia mano libera, carezzandole i capelli, tenendola più stretta a me.
La mia mente mi diceva di staccarmi, il mio corpo di rimanere immobile.
A malincuore sciolsi il bacio, staccandomi bruscamente, allontanandola dalle mie zanne, per un momento avevo quasi rischiato di perdere il controllo, di metterla in pericolo, di nuovo…
Crollò sul cuscino, ansimava, non aveva più fiato, avevo esagerato.

«Scusa», dissi, il fiato mancava anche a me. «Ho esagerato».

«Non m'importa».

Mi rabbuiai. «Prova a  dormire, Bella».

«No, voglio un altro bacio».

«Sopravvaluti il mio autocontrollo».

«Cosa ti tenta di più: il mio sangue o il mio corpo?».

«L'uno e l'altro». Sorrisi un momento, non sapeva quanto quell’affermazione fosse vera, la mia parte umana e la mia parte di mostro in eterna lotta tra loro. «Ora, perché non smetti di sfidare la sorte e ti metti a dormire?».

«Va bene», rispose e si rannicchiò contro di me. Avvicinò il suo braccio al mio corpo, sciocca, pensava non me ne sarei accorto… ma era dolce anche nel suo essere sciocca. In un baleno cadde nel mondo dei sogni.
Era bella anche mentre dormiva, anzi, molto più che bella, era il sole della mia esistenza altrimenti vuota.
La amavo e la desideravo sopra ogni cosa, ma sapevo che ero il primo a metterla in pericolo.
Persino in quell’istante la gola mi bruciava, il suo sangue mi chiamava, il suo corpo mi chiamava.
Natura umana e natura di mostro unite in me stesso.
Le mie labbra bruciavano ancora del contatto con le sue, di quel bacio più profondo.
Ne avrei voluti altri cento, altri mille, non mi sarei mai staccato da lei.
“Finirai per farle del male” maledetta vocina nella mia testa, perché non voleva tacere?
Perché mi doveva fare del male? Ma in fondo aveva ragione.
Che fosse la mia coscienza che si risvegliava?
Io volevo stare con Bella, sempre a tutti i costi, la amavo più della mia stessa vita, avrei preferito morire che vivere un solo istante della mia eterna esistenza senza di lei. Nondimeno la mia presenza la esponeva a un continuo pericolo.
Per colpa mia la primavera precedente era quasi morta, una fitta di dolore e rabbia mi percorse al pensiero di lei, pallida e ferita da quel sadico di James nella scuola di ballo.
Per colpa mia aveva rischiato di morire questa sera, durante una innocua festa di compleanno. Era bastato un nonnulla, la sua goffaggine a scatenare cinque vampiri famelici e a mandarmi nel panico.
Meritavo io nonostante tutto di starle accanto? 
Potevo continuare a metterla in pericolo costante per colpa del mio amore?
No, non lo meritava.
Bella meritava una vita serena, una vita umana quello era quello che meritava, quello che avrebbe avuto…me ne sarei andato. L’avrei lasciata. L’avrei liberata dalla mia presenza, lasciandola libera di trovare la felicità senza di me. Lasciandola vivere una vita lunga e felice, togliendo finalmente il pericolo dalla sua strada.
Avevo riflettuto tutta la notte e ora avevo deciso. Attesi l’alba, poi le diedi un bacio sulla fronte sussurrandole all’orecchio un “Ti amo” e uscii dalla finestra.

 

   
 
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