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Autore: Haruakira    19/07/2012    4 recensioni
AU, What if..., mondi alternativi? Non so. Storia breve, introspettiva, pensierosa in maniera caotica per descrivere semplicemente un incontro secondo me inevitabile.
N.B. La storia è una one-shot ma al momento non trovo l' avviso, saranno i mie occhi che fanno cilecca già a quest' ora?
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hayato Gokudera, Takeshi Yamamoto
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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8059
Revolution


Gokudera strisciava i piedi a terra con indolenza e si rigirava un pezzo di sigaretta quasi finita tra le mani. Si sentiva tutti i muscoli stanchi e indolenziti. Alle due del pomeriggio, sotto il sole cocente di Namimori, del resto era abbastanza normale. Buttò la cicca della sigaretta sul ciglio della strada. Qualche automobile passava ogni tanto per la città deserta. Bella storia, la gente era in vacanza.
Beati loro, beati loro.
 Forse era rimasto l' unico cretino a non essersi mosso da quel dannato paese. Forse, semplicemente, doveva rimanere in Italia a non far niente, godersi sole, mare e spiaggia e cazzeggiare tutto il giorno con i quattro amici che aveva.
Aveva giudicato, quella di andare a studiare in Giappone, una bella idea. Di sicuro non avrebbe mai pensato di ritrovarsi in un buco come quello.
Passò davanti a un ristorante di sushi e iniziò a sentire lo stomaco brontolare. In quei mesi era dimagrito. Colpa della cucina giapponese. Era di gran lunga meglio quella di casa sua. Era un tradizionalista in fondo.
Aprì la porta venendo investito in pieno da una ventata di aria fredda. Sia benedetta l' aria condizionata.
Il coro degli angeli nel cielo aveva iniziato a cantare Alleluia, Alleluia.
Il proprietario gli rivolse un sorriso generoso:- Cosa desideri, ragazzo?
-Faccia lei- grugnì in risposta lui.
Si guardò intorno con aria di sufficienza. I tavoli, considerando la stagione e l' orario -non se ne era accorto che già si erano fatte le due e mezza- tutto sommato non erano poi così vuoti.
Gokudera aveva ventiquattro anni e studiava matematica, fisica, astrofisica e altre materie scientifiche per cui ci voleva un gran cervello se volevi ottenere qualcosa. Aveva pensato a un viaggio di studio in Giappone, magari studiare in qualche grossa università di Tokyo e invece 'sti cazzi, suo padre, un imprenditore impegnato in chili e tonnellate di scartoffie, aveva combinato un casino e ora si trovava in una piccola città di provincia, in una fottuta università di provincia. C' era un tizio, all' università, che gli stava particolarmente sul cazzo. Camminava con un uccello sulla spalla e un paio di tonfa. Doveva essere uno psicopatico, sicuro. E poi c' era un ragazzino smidollato che aveva paura persino della sua ombra, non avrebbe concluso niente nella vita. Gokudera gorgogliò una risata a mezza voce. La gente così gli faceva saltare i nervi.
A un certo punto dalla cucina uscì un ragazzo alto, moro, carnagione abbronzata, sorriso cordiale. Gokudera socchiuse gli occhi osservandolo attentamente per qualche minuto mentre serviva un paio di tavoli. Dove diamine lo aveva già visto?
-E' un giocatore di baseball- gli venne in soccorso il proprietario del locale sorridendo orgoglioso.
-Non mi piace lo sport- aveva affermato incolore.
Il ragazzo aggirò il bancone e disse sorridedo:- In effetti sei un po' flaccido
-Che cosa?! Ripetilo se hai il coraggio!- Gokudera si era alzato dalla sedia facendola stridere contro il pavimento, aveva serrato le mani pronto a spaccare la faccia di quello scimmione.
-Su, calmatevi ragazzi- sospirò l' uomo
L' italiano si risiedette. Solo perchè aveva fame ma soprattutto perchè quel ristorante di serie Z aveva l' aria condizionata, altrimenti col cazzo che sarebbe rimasto.
Il moro faceva la spola tra i tavoli e la cucina, Gokuder dal bancone lo guardava. Ora si ricordava chi era, la sua memoria era eccellente, non poteva far cilecca in quel modo. Quell' idiota era uno dei migliori giocatori di baseball in circolazione, una promettente stella dello sport. L' italiano notò che aveva una cicatrice sul mento e si chiese come se la fosse procurata.
Gokudera non si accorse dalla presenza improvvisa del moro alle sue spalle, ebbe solo il tempo di rendersi conto del suo alito contro l' orecchio e della voce bassa che gli accarezzava il lobo: -Devo piacerti davvero tanto.
L' italiano arrossì, girandosi verso di lui. Faccia contro faccia. E che diavolo!
Il giocatore si allontanò ridendo. Il proprietario del locale ritornava al bancone e gli chiedeva se fosse nuovo da quelle parti, per poi aggiugere:- Ehi Takeshi, perchè non uscite insieme? Gli fai vedere la città!
Ma cos'era? Un' agenzia di appuntamenti?

Come si era ritrovato a passeggiare lungo il fiume con quell' idiota, Gokudera non lo sapeva nemmeno
-Qui a Namimori non c' è granchè da vedere- aveva detto Yamamoto
-Lo avevo notato. Non c' è un cazzo di niente- berciò l' altro.
Yamamoto lo guardò in tralice leggermente contrariato. Non era proprio piacevole sentire offesa la propria città. Lui per primo ammetteva che non era certo un luogo attira turisti, però era comoda, a misura d' uomo, i bambini potevano giocare abbastanza tranquillamente e non ultlimo, lui ci aveva passato un' infanzia niente male.
-Come ti chiami?- domandò a un certo punto
-Gokudera- fu l' ovvia risposta seguita dall' accendersi di una sigaretta.
Yamamoto gliela tolse dalle mani buttandola via:- Fa male- spiegò
-Ma che cazzo fai?!- Gokudera guardò in girò per vedere se ritrovava la sigaretta. Sbuffò e fece per accendersene un' altra. Vide la mano dell' altro in pericoloso avvicinamento ma la scostò malamente colpendola con la propria:- Non ci provare. Ho tutto il diritto di avvelenarmi se voglio.
-Così uccidi anche me. Sai che il fumo passivo è più pericoloso..-
-Me ne sbatto- lo aveva interrotto- e non farmi la predica. Anzi, se ti da così fastidio smamma. Sciò.
Takeshi alzò le sopracciglia e infilò le mani nelle tasche dei pantaloni scuri dondolandosi sui piedi:- Come ti chiami?- domandò di nuovo.
-Hayato- sbuffò tra una nuvola di fumo e l' altra- mia madre era giapponese.
Era. Un verbo al passato, notò l' altro.
Anche sua madre "era".
Annuì.
-E che ci fa uno come te a Namimori... Hayato?- Yamamoto era curioso.
Gokudera lo guardò torvo:- Ma cos' è un interrogatorio? E non chiamarmi Hayato. Ma chi ti conosce!
-Piacere allora, mi chiamo Yamamoto Takeshi- allungò il braccio sorridendo. Gokudera tirò dritto.
Sentì la voce di Takeshi alle spalle e per poco non si soffocò col fumo della sigaretta:- Ehi Hayato, ti piacciono i ragazzi?

Gokudera abitava in un piccolo appartamento, adatto ad una persona sola. C' era la cucina con un divanetto e la televisione, la camera da letto con la libreria e la scrivania, infine il bagno. Il condizionatore non ce lo aveva perchè il proprietario era stato schifosamente tirchio e non lo aveva fatto mettere e quindi o crepava dal caldo o si sparava il ventilatore in faccia sperando che non gli venisse una bronchite. Non che si preoccupasse per questo, per carità, i suoi polmoni avevano resistito ad un' infinità varietà di sigarette.
Aveva premuto il tasto del ventilatore mentre in un groviglio di mani e di gambe si spalmava sul divano con Takeshi.
-Spogliami che mi sto sciogliendo- aveva detto cercando di togliergli la maglietta.
Sentì una risata premere contro il collo e poi si ritrovò nudo e un tantino in imbarazzo sotto gli occhi scuri dell' idiota sopra di lui.
-Non sei poi così flaccido- e rise.
Yamamoto si trovò con un cuscino sulla faccia, poi sorrise sornione. Era pronto a combattere.
Hayato sollevò le gambe annodandole intorno alla vita di Takeshi. Non lo avrebbe lasciato andare.
Una piacevole intrusione di dita contro l' apertura del sedere -mica tanto piacevole all' inizio a dire il vero- e poi i baci sul collo, Dio, i baci sul collo erano una goduria! E poi Takeshi che gli stava consumando le labbra. Il suo membro contro la pancia e Gokudera che gli si strusciava contro, lo sentì gemere e sorrise. Ti ho fregato, pensò. Si sentiva soddisfatto. Lo stava facendo impazzire. E poi l' italiano non ne potè più all' improvviso. Mugugnò, sbuffò, gli conficcò le unghie nelle spalle, o lo penetrava o venivano entrambi sul divano senza aver concluso niente. Per Takeshi fu facile scivolare dentro di lui, incredibilmente facile, non se lo aspettava, era come se l' altro ragazzo gli avesse aperto tutte le porte.

Gemiti, sussurri e sì, anche parolacce, diventarono una piacevole routine in quella casa.
Takeshi l' aveva riempita all' improvviso, forse erano entrambi che con le loro presenze la riempivano. Non si erano giurati amore eterno, non si erano mai detti ti amo ma Hayato aveva notato che si capivano vicendevolmente a un livello che sfiorava una perfezione estremamente imperfetta e caotica, a un livello che era perennemente elettrico. Erano come due auto in corsa che gareggiavano alla medesima potenza, un cortocircuito esplosivo, un circolo vizioso come il serpente che si morde in eterno la coda. Non sapevano come uscirne, non volevano.
E al tempo stesso sapevano essere dolci, a tratti quieti e pacifici come il sereno dopo una lunga tempesta, come i paesaggi assolati dell' Italia del ragazzo, apparentemente immobili e sereni ma con un' esplosione di vita che brulicava al loro interno, tra le fronde degli alberi scossi dal vento, tra l' erba alta e le spighe di grano, sul terriccio bruciato dal sole.
Gokudera non poteva fare più a meno dei sorrisi del moro, non poteva fare a meno della sua pelle contro la propria, dell' odore, della sua presenza che invadeva le stanze del piccolo appartamento.
Una volta, malamente distesi sul letto disfatto, senza le lenzuola perchè faceva troppo caldo, abbracciati nonostante l' afa e la calura e con il ronzio del ventilatore nelle orecchie, quella volta aveva saputo che Takeshi era incredibilmente fragile, delle volte. Quando era un adolescente aveva tentato il suicidio.
-Pensavo di non potere più giocare. Mi volevo buttare dal tetto della scuola, per il baseball. E' un motivo incredbilimente stupido per morire, vero?- aveva ridacchiato guardando il soffitto.
Hayato gli aveva soffiato il fumo sulla faccia, non lo faceva mai di solito:- Sì, è un motivo veramente stupido.- in quel momento aveva realizzato che erano uomini, fragili formichine con fragili debolezze che si muovevano sulla terra. Anche Takeshi era una formica. Anche lui poteva essere fragile, poteva spaccarsi. Hayato pensò che era suo compito tenerlo sano, non precariamente assemblato per tenere insieme i pezzi, Hayato doveva proprio restituirgli la forza e la durezza ogni volta che l' altro fosse stato in procinto di rompersi.
Non che lui fosse più forte o meno fragile o che altro, anzi, lui stesso fino a quel momento era stato un cumulo di pezzi rotti attaccati con la colla. Ma quell' idiota aveva cambiato tutto, stava cercando di guarirlo dal suo male di vivere col suo sorriso ingenuo e saggio insieme. Gli sussurrava pacatamente che il mondo non era freddo e cattivo come credeva, che non bisogna essere per forza cinici, diffidenti, sospettosi, che non c' è nulla di male a lasciarsi andare e godersi la vita, accoglierla a braccia aperte.
Gokudera aveva anche imparato, per la prima volta, a prendersi cura di un' altra persona.
Ma ora, se Takeshi fosse sparito per qualche motivo?
Se lo avesse mollato su due piedi, se non avesse varcato la soglia di casa portando il pranzo dal Take-sushi, se fosse partito imbracciando la mazza da baseball senza tornare più?
Ecco, questa era indubbiamente la parte peggiore.
Si ricordava perchè aveva sempre fuggito i legami come la peste.
La paura.
La paura che ti coglie e ti stritola lo stomaco, sale al cuore e te lo fa scoppiare serrando un grumo di sangue e angoscia nella gola.
E se...
E se...
E se...
Se andasse male io soffrirei.
Ecco.
Ho paura che vada male.
Ho paura della sofferenza.
Aveva già sperimentato la sofferenza così tante volte da averne perso il conto. La morte di sua madre quando era solo un bambino, scoprire che la ragazza che ogni tanto veniva a trovarlo alla villa era lei -la sua mamma- quando era ormai troppo tardi, i litigi col padre, la fuga da casa per le strade marce dell' Italia, il ritorno alla villa con la coda tra le gambe, l' orgoglio in frantumi e le ossa rotte -i pessimi, pessimi incontri- e poi quel suo continuo lambiccarsi il cervello su infinite questioni che gli avvelenavano la giornata due volte su tre.
E Dio, per esempio, esiste? Sono cattolico, incominciava, solo perchè i miei lo sono. Sì, ok. Ma se fossi nato a Gerusalemme, tipo, non sarei ebreo? E poi gli antichi non erano politeisti? Era giunto alla conclusione che gli uomini hanno bisogno di credere in qualcosa, non possono accettare di essere formiche in terra, che la vita finisca punto e stop.
E allora c' è una credenza giusta? O magari non esiste alcun dio.
Ancora non aveva trovato una risposta, ogni tanto ci pensava ma bho, finiva così. Anche lui in fondo aveva bisogno di credere, se non altro perchè sperava che sua madre si trovasse in un posto migliore.
Yamamoto era più semplice, tutte queste paranoie mentali non se le creava, a quanto aveva capito. Aveva capito però che aveva anche delle convinzioni solide, rigide, incrollabili e che tanto gli bastava. Uno più uno fa due, no? Che c' è da dire ancora?
Forse per lui era una semplice questione di fede in ciò che credeva, vedeva, faceva.
E fedeltà.
 Padre, famiglia, amici. Aggiungi lealtà e ovviamente lo sport alla lista. Fine. Queste sono le cose a cui non venir mai meno.
Quando Gokudera gli aveva parlato dei suoi dubbi sulla religione, Yamamoto aveva aggrottato le sopracciglia.
-Io sto bene- aveva detto- non trovo nulla di sbagliato nella cultura o nella religione a cui sono stato educato. Le condivido, mi sento in sintonia.
Forse era proprio una questione di sintonia. Gokudera fondamentalmente era un anticlericale convinto. E non stava bene con la sua famiglia, nel suo paese, nella realtà che aveva vissuto fino a quel momento. Yamamoto invece sì. Se non c' è sintonia sorge il dubbio. Bella scoperta.
Cervellotico come sempre, Gokudera. La cosa assurda è che per arrivarci aveva dovuto parlare con un patito del baseball.
Il patito un giorno si era presentato a casa col solito sushi preparato dal padre. Quel giorno Takeshi era strano. Non aveva riso limitandosi a sorrisi più saggi e quasi rassegnati, la sera avevano fatto l' amore con un' insolita dolcezza. Poteva essere quasi romantico se la stanza non fosse stata immersa nel disordine, se non ci fosse stato il fastidioso ronzio del ventilatore e lo sgradevole odore proveniente dalle scatole di cibo messicano che avevano mangiato per cena.
Fu nel momento in cui i muscoli si rilassano dopo l' appagamento dei sensi, quando le palpebre faticano a restare aperte per il troppo sonno, quando Gokudera si era accovacciato sul letto per fumarsi una sigaretta che Yamamoto si era seduto alle sue spalle intrecciando le gambe intorno al suo corpo. Aveva appoggiato la fronte contro la sua schiena assaporando il respiro dell' altro, poi gli aveva baciato il collo, le spalle, aveva tracciato segni immaginari con le dita alla luce dei lampioni che filtrava dalle  serrande semiabbassate.
-Che diavolo hai? Sei strano- aveva domandato Hayato con tono insolitamente calmo
-Ci credi ai matrimoni?- una domanda con un' altra domanda.
-No- secco. Passarono i secondi, poi.- perchè?
- Tra un po' inizia la stagione sportiva... e dovrò partire.
-Che diavolo c' entrano i matrimoni?!- iniziava a perdere la pazienza
-Così- lo sentì alzare le spalle.
Gokudera si girò verso di lui, viso a viso:- Parla idiota.
-Tra un paio di settimane dovrei andar via, sai allenamenti...
Gokudera annuì:- Parti- ripetè assorto
-Uhm. Secondo te finisce... finisce così?
Cosa vuoi che ne sappia?, avrebbe voluto rispondere. Hayato girò il viso di lato aspirando l' ultima boccata di fumo prima di spiaccicare il mozzicone finito sul posacenere. Fino a due mesi prima avrebbe detto di no alle relazioni a distanza, avrebbe detto di no a un sacco di cose. E no, non lo sapeva se finiva così. Però non voleva, di questo ne era certo.
-La mia famiglia non sa che mi piacciono i ragazzi- buttò fuori. Sentì una carezza sulla guancia, poi un bacio.
Fronte contro fronte, respiri profondi, pensieri che si rincorrono e il mondo sbattuto fuori da quattro finestre.
Takeshi pensò di rompersi certamente l' osso del collo. Zero possibilità, splash contro il muro e il cuore che ti esce fuori. Era pronto per farselo strappare e parlò:- Mi sposi?
Pazzo Takeshi.
Gokudera si morse le labbra, il cuore si fermò un attimo solo, spaesato prima di rendersi conto di quello che stava accadendo, raccolse le energie prima di correre, correre forte.  Gli occhi. Occhi che pizzicavano. Piangere no, non ora, non come una femminuccia del cazzo.
Annuì.
-Voglio essere sicuro di non aver capito male- e la voce di Takeshi tremava.
Le mani di Gokudera si posano su quelle del moro che a loro volta soon sul suo viso accaldato, rosso, su quella faccia sempre pallida e incazzata, a coprire quelle guance ogni tanto scavate per l' alimentazione sbagliata, perchè cucinare era una scocciature e allora era meglio andare avanti a bevande energetiche e intergratori per essere sempre il migliore.
-Sì- lo dice a voce alta. Forse è la follia più grande e più assurda delle loro vite perchè si conoscono da soli due mesi, perchè Gokudera probabilmente verrà sbattuto fuori di casa a calci nel culo non appena suo padre scoprirà che gli piacciono i maschi, che il culo di Takeshi, secondo suo figlio, è il più bello del mondo, che il suo corpo lo fa eccitare ogni volta che lo incrocia.
E chi lo sa se vissero felici e contenti o se si erano presi a calci nel culo dopo nemmeno due giorni di matrimonio.
Era stato un salto nel vuoto, un uragano, una rivoluzione, un casino più totale giusto per riportare un po' di pace nelle loro fragili vite.
Era stato inevitabile.



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HARU DICE:
Avevo deciso di non frequentare più il fandom per vari motivi e onestamente non pensavo di poter mai postare un' altra 8059, per lo meno non dopo così poco tempo, ammesso che di poco in effetti si possa parlare perchè credevo davvero di aver finito le idee e il legame con manga e personaggi. Invece eccola, uscita dalle mani questa mattina e terminata poco fa. Storia strana, stile forse un po' diverso. Ci tengo a precisare che ogni tanto ho violato un filo la santa grammatica -ma neanche tanto a dire il vero-, specie la consecutio temporum  per ottenere uno stile colloquiale e vicino al parlato, non allo scritto.
Che sia AU, che sia un what if... del tipo "hanno tutti perso la memoria e che succede?" questo non lo so e non l' ho nemmeno voluto chiarire nella fic, mi piaceva lasciare questa cosa in sospeso, non dare troppe coordinate e lasciare il lettore libero di pensare cosa volesse in merito a certe questioni. Proprio per questo sarebbe stato facile inserire, ad esempio, il perchè della ferita di Yamamoto. Avrei dovuto mettere una spiegazione e non mi andava altrimenti la mia idea di lasciare libera la mente si andava a fare benedire. Certe cose non vengono spiegate, altre sì. Lo ripeto non è una dimenticanza, diciamo che sperimento e che spero vi piaccia. Ho messo ugualmente l' avviso AU, e anche quello OOC, non si sa mai, perchè in effetti il contesto in cui vivono i pg, indipendentemente dal motivo che lo ha determinato, è diverso.
Un saluto,
Haru.

DISCLAIMER: Katekyo Hitman Reborn e i suoi personaggi non mi appartengono, la storia non è scritto a scopo di lucro.
   
 
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