Sono le strisce di
luce che cominciano a disegnarsi sul pavimento a riscuotermi.
Mi trovo in una cella
dalle pareti in legno, con il pavimento ricoperto di
stuoie. C’è un’unica finestrella a gettare luce – ora – sull’ambiente, ed è
formata da un reticolo di liane robustissime. Non appena mi hanno gettato qui dentro ho provato a spezzarle, o almeno ad allentarle –
mica scema – ma probabilmente avrei più fortuna se tentassi di spostare
telepaticamente l’intera maledetta quercia. E nessuno che si degni di darmi la
più misera spiegazione del perché mi stiano trattando
in questo modo, nonostante mi sia venuta la voce roca a forza di strillare. Non
ho diritto almeno a un avvocato d’ufficio?
Neanche fossero sordi,
tutti gli sbirri fatati mi hanno ignorato bellamente mentre passavano davanti
alla mia porta; e alla fine mi sono arresa e mi sono accucciata sul pavimento
della cella, carica di furia omicida.
Adesso, osservando la
luce farsi sempre più intensa, comincio a preoccuparmi. Saranno ormai le cinque
del mattino e io, in questo momento, ho tante speranze
di vedere la regina Titania quante sono le possibilità di farmi crescere un
paio d’ali con la forza del pensiero.
Mi riattacco alle
liane che formano la porta della prigione, nella vana speranza che qualcuno
abbia cambiato idea. «Ehilà» chiamo, ma nessuno mi calcola. «Non
so se avete notato, ma è mattina. Oltre a liberarmi, potreste farmi la cortesia
di portarmi un caffè?» Ovviamente i pochi secondini presenti m’ignorano,
perfino quando mi metto a scuotere le sbarre come una scimmia ululando: «Voglio
un avvocato!»
Improvvisamente, però,
mi zittisco. C’è del trambusto fuori dal mio campo visivo che mi sembra
provenire dal corridoio che porta al carcere.
«…non è sicuro…»
rimbomba una voce, che a fatica riconosco come quella del tizio che mi ha arrestato.
Un’altra voce più
bassa risponde qualcosa che non riesco a distinguere, ma il solo pensiero che
qualcuno stia venendo qui mi riempie di speranza.
Magari qualche fatina buona si è commossa e mi vuole aiutare!
«Aiuto!» comincio infatti a gridare. «Sono
innocente! Salvatemi da questi psicopatici!»
Stavolta uno dei
carcerieri m’intima di chiudere il becco, sotto la minaccia di conciarmi per le
feste. Poiché non fatico a crederci, obbedisco.
Finalmente i due
entrano nella prigione, e non riesco a evitare un’esclamazione di sorpresa che
presto diventa indignazione.
«Tu!» sbotto, avventandomi sulle sbarre. «Se non fosse stato per te
e i tuoi compari, adesso non sarei qui!»
Liam mi fissa,
sembrando altrettanto stupito di vedermi. Perché è proprio uno di quegli
stupidi truzzi sul coleottero che ho incontrato all’inizio di questa allucinante nottata, per la precisione il ricciolino
dietro tra le due escort – che,
stranamente, non sono presenti: avrei giurato fossero creature simbiotiche,
tipo cozze.
Le guardie mi
richiamano all’ordine, ma questa volta sono io a ignorarli. «Se invece di andare
a quel dannato rave vi foste degnati di darmi un passaggio, non starei qui a
marcire…» continuo a inveire, finché il capo non m’interrompe.
«Conoscete questa
terrorista?» chiede sbigottito al ragazzo.
Lui pare restio ad
ammetterlo – devo sembrare una pazza furiosa – ma alla fine dice: «Sì, l’ho già vista. Perché è in prigione?»
«L’abbiamo scoperta
mentre cercava di attentare alla vita di Sua Maestà la regina.»
«Ma siete fuori di testa?» esclamo. «Non è
vero! Sono umana e cercavo la regina per tornare normale!»
«È la verità» conferma
Liam. «Ha mangiato il frutto Waka-Waka. Voleva vedere
la regina per un rimedio.»
«Visto?» esplodo,
trionfante.
Il capo sembra scettico,
ma per qualche motivo non mette in dubbio le parole del ragazzo. «D’accordo, è sufficiente. Liberatela.»
«Alla
buon’ora» brontolo, mentre un secondino apre la porta. «Avete un sacco
di problemi in materia di giustizia, lo sapete?»
«Ci dispiace per il
fraintendimento» dice lo sbirro per tutta risposta, imperturbabile, e poi si
allontana. Mi sa che di scuse decenti non ne sentirò.
«Vieni, usciamo da
qui» esorta Liam, dirigendosi fuori.
«Alt» lo blocco,
seccata. «Non so nemmeno chi diavolo sei. Mi pare di
avere avuto abbastanza avventure stanotte. Dimmi solo dov’è questa fantomatica
regina.»
Lui apre la bocca per
rispondere, ma in quel momento si riavvicina il tizio autoritario, che non ha
smesso di guardarmi male. «Principe Liam, c’è qualche problema?»
Adesso sono io ad
aprire la bocca. Principe Liam?
«No, capitano, va
tutto bene» risponde lui. «Adesso ce ne andiamo. La
porterò io stesso da mia madre.»
L’altro fa un profondo
inchino. «Arrivederci, Vostra Altezza.»
Vostra Altezza? Sento gli occhi che mi stanno per cadere dalle
orbite.
Liam mi fa un cenno e io, imbambolata per la sorpresa, non posso fare altro che
seguirlo.