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Autore: tomlinsoulmate    20/07/2012    3 recensioni
"Osservavo il risveglio dei passanti dalla finestra della mia stanza beandomi del caldo terpore del piuomone delicatamente posato sulle mie spalle; anche quella notte non avevo chiuso occhio, l'insonnia non accennava segni di cedimento e, le occhiaie violacee che, da qualche mese a quella parte, attorniavano i miei occhi, ne erano la prova inconfutabile. Preferivo occupare il tempo in altro modo, io; un po' come se, chiudendo gli occhi, avessi avuto paura di perdermi qualcosa, qualcosa di importante ed irripetibile. Passavo quelle infinite ore notturne a spulciare foto, video o qualsiasi cosa che riuscisse a riportarmi, in un modo o nell'altro, a pochi mesi prima, quando ancora potevo dire di sentirmi completa, quando ancora sentivo che andavo avanti per qualcosa - o meglio, per qualcuno - quando, semplicemente, tutto era più facile."
Un'esperienza che migliora la vita e cinque ragazzi pronti a sconvolgertela.
Genere: Comico, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Dieci - E poi così, 
tutt'un tratto il resto è in equilibrio.








Sam.
Concentrai il mio sguardo sulla forma del suo naso, sul movimento ritmico del suo torace, sul piccolo neo posto nell'angolo sinistro delle sue labbra, sulle ciglia lunghe, perfette, appositamente disegnate per contornare quei pozzi d'acqua chiara; e, nonostante avessi la certezza d'averlo finalmente accanto nel modo in cui, da sempre, avrebbe dovuto essere, abituarcisi davvero, per il momento, era ancora puramente impossibile. Poterlo stringere, accoccolarmi al suo petto, intrecciare le mie mani con le sue, e ancora scherzare, ridere fino allo sfinimento senza la paura di fraintendimenti, di sofferenza, di nuove lacrime: e, senza più riserva, sotto quelle lenzuola, con gli occhi pieni dei suoi sorrisi, con le labbra altrettanto piene dei suoi baci, sentivo d'essere me stessa, quella che, solo fino a qualche ora prima, se ne stava rinchiusa in una parte di vita che non le apparteneva più da tempo. 
Si mosse delicatamente, liberando una gamba dalle lenzuola ed intrecciando istintivamente l'altra fino a rinchiudere le mie; sorrisi inspirando a pieni polmoni l'aroma di gelsomino che i suoi capelli, sparsi disordinatamente sul cuscino, emanavano e sorrisi ancora quando, stringendo più saldamente i miei fianchi, accoccolò il suo viso proprio accanto al mio. 
"Potresti smettere di fissarmi? Non riesco a dormire", biascicò ridacchiando, aprendo prima un occhio e successivamente anche l'altro. "Da quanto sei sveglio?", chiesi io, sfiorandogli la fronte per poi posarvici un leggero bacio; mi misi a sedere aspettando la sua risposta. "Da quanto basta per capire che, se non avessi aperto finalmente gli occhi, m'avresti fatto la radiografia completa", disse lui, a sua volta, afferrando il mio polso e portandomi nuovamente accanto a sè; adoravo quel suo cipiglio serio che, nonostante ce la mettesse tutta, non riusciva a mantenere, adoravo il modo con cui, lentamente e matematicamente, era in grado di attrarre le mie labbra fino ad arrivare alle sue e adoravo il fatto che fosse lì con me, a stringermi, a farmi sua senza il bisogno di muovere un solo dito; mi rendeva sua solo esistendo. Prese, ancora una volta, le mie mani tra le sue, sfiorando con particolare minuziosità ogni più piccola vena, visibile o non, fino a quando, spostandosi ad osservare il mio polso destro, sorrise. "Non ci credo", disse guardando me e poi nuovamente il braccio, ricoperto di bracciali. "Non credi a cosa?", chiesi, alzando momentaneamente il viso verso il suo, ancora completamente incredulo. "E' il ciondolo che ti ho preso a..", sussurrò, facendo muovere leggermente i due cuoricini appesi alla catenina in argento. "..a Londra, me l'hai preso a Londra poco prima che partissimo per l'America. Lo ricordo come se fosse ieri", conclusi io per lui, togliendo il braccialetto dal polso. "Già, eri così contenta quando te l'ho portato a casa", sorrise, allungando le gambe e facendomici sedere sopra. "E pensare che, quello stesso pomeriggio, avevi fatto così tanto il sostenuto dicendomi che non me l'avresti mai comprato..", berciai, incrociando le braccia al petto. "Era una sorpresa, sciocchina", sussurrò al mio orecchio per poi mordicchiarne leggermente il lobo. "Ma io non potevo saperlo! C'ero rimasta talmente male, tanto da tenere il broncio per più di metà giornata, ed era il mio compleanno e ricordo che Louis non sapeva più cosa inventare per farmi fare almeno una risata. S'era messo a minacciarmi con la pistola ad acqua, addirittura", ridacchiai io, nascondendo il viso nel lenzuolo. "E comunque, perchè sei così tanto stupito dal fatto che porti ancora questo braccialetto?", chiesi poi, puntandolo negli occhi. "Non credevo fosse tanto importante", minimizzò lui, come sempre. "Me l'hai regalato tu, come fa a non essere importante?", domandai ancora, non riuscivo a seguire il suo ragionamento. "Stavi con Liam da due mesi e mezzo ed io mi ero appena accorto che qualcosa stava cambiando anche dentro di me. Avevo cominciato a guardarti in modo diverso", disse serio. "Io non ho mai smesso di guardarti come ti guardo adesso, invece", dissi io, di getto. Rimase in silenzio per un attimo, prima di storcere leggermente il naso ed aprirsi in un sorriso. "E perchè non me l'hai mai detto?", chiese, sfiorando la punta del mio naso con il suo. "Perchè tu stavi con Caroline e andava bene così", dissi facendo spallucce. "E dopo? Cos'è cambiato dopo?", domandò ancora, curioso. "Che credevo di essere felice ed invece non lo ero per niente", dissi abbassando lo sguardo. "E tu pensavi davvero che con Caroline fossi felice?", chiese; ed io non lo guardai, nè gli risposi, trovavo molto più interessanti le cuciture bianche delle lenzuola, in quel momento, o meglio non volevo apparire fragile ai suoi occhi, per l'ennesima volta. "Sam guardami. Pensavi davvero che con lei fossi felice?", ripetè, afferrando il mio viso con entrambe le mani. "Io..io..sì, credevo che lo fossi, o almeno lo sembravi", sputai fuori, per poi distogliere lo sguardo, ancora una volta. "Sto per dirti una cosa sconcertante, allora. Non lo ero, proprio per niente. Ora sono felice, adesso che ho te", disse carezzandomi una guancia. "Amo quando ti dichiari così apertamente, lo sai?", dissi aggrappandomi saldamente al suo collo, mentre, molto lentamente, faceva alzare entrambi dal materasso. "Beh, allora per completare l'opera manca solo una cosa", disse facendomi appoggiare i piedi sul marmo della camera da letto. "Bacio del buongiorno?", chiesi dolcemente, abbracciandolo da dietro. "No. Cornetto alla nutella!", esclamò lui prima di cominciare a correre verso la cucina. "Styles non t'azzardare! Quello mi spetta di diritto!", pigolai io rincorrendolo, dopo aver constatato che quell'impiastro stava complottando per rubarmi la colazione.
Perchè ridere con lui aveva tutto un altro sapore.

...


Debora.
Trovare un posto per stare in santa pace, in quella casa, stava diventando veramente un'impresa. "Ehi? Tutto okay?", due occhi azzurri mi scrutavano dallo stipite della porta lasciata leggermente socchiusa; e non mi ci volle molto per capire a chi appartenevano. "Ho solo un po' di mal di testa, niente di preoccupante", sussurrai voltandomi e sorridendogli tranquillamente. "Mi stendo un po' qui con te, allora", disse raggiungendomi e facendomi appoggiare il capo sul suo petto; prese ad accarezzarmi i capelli, arrotolandosi, di tanto in tanto, una ciocca attorno alle dita. "Non ce n'era bisogno, sto bene, davvero", sussurrai nuovamente cercando il suo sguardo. "Chiamalo pretesto, chiamala scusa, insomma un po' come preferisci. Ho voglia di stare qui con te, posso? Giuro che non urlo, che non parlo, che non fiato, che non..", lo guardai sorridendo prima di bloccare le sue parole con un bacio. "Se ad ogni parola che dico mi zittisci in questo modo, potrei pensare di parlare fino a domani mattina", disse sogghignando, passandosi la lingua sulle labbra. "Taci, Tomlinson. Stai rovinando il momento", dissi mordicchiandogli il mento; e qualche secondo dopo fu lui a prendere l'iniziativa. "Sei sempre così dolce, Debby", biascicò tra un morso ed un bacio. "Il mio mal di testa non preclude il fatto che potrei anche ucciderti se quel soprannome insulso esce ancora una volta dalla tua boccuccia di rose, sia chiaro", ringhiai, afferrando un lembo della sua maglietta a righe e stringendolo, con foga, tra le mani. "Smettila di fare la dura, tanto non ti riesce bene", soffiò sulle mie labbra, avvicinandosi pericolosamente; ed io deglutii: averlo così vicino mi faceva sempre uno strano effetto, non perchè non lo volessi, ma proprio per la ragione contraria; lo desideravo in maniera così totalizzante che, anche un semplice contatto di quel tipo, sapeva mandarmi in cortocircuito ogni singola parte d'organismo. "Non sto facendo la dura, infatti. Voglio solo farti capire che quel nomignolo mi urta le coronarie", pigolai fingendo sicurezza, quella che, in quel momento e sotto a quegli occhi chiari, sicuramente non avevo. "Sei bellissima anche quando t'arrampichi sugli specchi, te l'ho mai detto?", sussurrò ancora; e quel suo continuo sussurrare cominciava a mandarmi seriamente in crisi. "Non mi sto affatto arrampicando sugli specchi, hai capito proprio male", berciai allontanandomi da lui e fingendomi offesa. "Sì, invece!", disse mettendosi a carponi e cominciando a fare il cretino, cosa che, d'altronde, sapeva fare benissimo. "Tomlinson piantala, ho mal di testa e tu avevi promesso che saresti stato buono e non avresti fatto casino!", esclamai coprendomi gli occhi con una mano, sforzandomi di non sorridere per non dargli la soddisfazione che, evidentemente, cercava. "La smetterò solo quando tu ammetterai che io ho ragione", disse tentando di diminuire ulteriormente la distanza che separava me, rannicchiata nell'estermo lato sinistro del letto, da lui, inginocchiato nel lato destro e pronto a spostarsi. "No, mai!", esclamai io, incrociando il suo sguardo e cercando di mantenerlo. "Lo farai, invece!", ribattè lui, compiendo un altro movimento. "Ti dico di no, sono testarda, lo sai!", dissi, sorridendo lievemente quando vidi che, ormai, mi aveva raggiunta. "Dammi un bacio..", sussurrò bloccandomi le braccia lungo il corpo; persi un battito, o forse due. "Perchè dovrei?", chiesi, facendo la sostenuta quando invece ero ben consapevole che, se m'avesse guardata così ancora per qualche secondo, sarei morta e poi risorta, persa in quegli occhi. "Perchè te lo sto chiedendo e poi, lo so, muori dalla voglia di farlo", sussurrò osservandomi per poi concentrarsi maggiormente sulle labbra. "Smettila di provocarmi..", dissi nascondendo il viso che, piano piano, si colorava d'imbarazzo; stavo per perdere definitivamente il controllo di me stessa e, soprattutto, delle mie azioni. "..so kiss me", canticchiò al mio orecchio, sorridendo per il contatto. "E' la mia canzone preferita, quella", dissi stringendo istintivamente la sua mano, spostando la frangetta di lato. "Lo so, faccio sempre attenzione a tutto quello che ti riguarda, l'ho fatto sin dal primo momento", disse sfiorandomi una guancia; ed io lo abbracciai d'impeto, mi strinsi a lui come, probabilmente, non avevo mai fatto prima. "Sei mio..", sussurrai appoggiando la mia fronte alla sua e fissandolo dritto negli occhi; e lui, di tutta risposta, poggiò, ancora una volta, le sue labbra sulle mie. Non avevo bisogno di sentirmelo dire, sapevo già di essere sua ed io sentivo di avere tutto il mondo tra le braccia con lui al mio fianco.


...


Ashley.
Alzai lo sguardo e i miei occhi incontrarono i suoi, riflessi nello specchio. "Non guardarmi così, lo so che sono in ritardo!", pigolai colta dal panico e nel bel mezzo dell'intero guardaroba, ribaltato in ogni dove per l'occasione. "Guarda che io non ho aperto bocca, stai facendo tutto tu", rispose lui, facendo spallucce. Ci stavamo preparando per passare un pomeriggio in centro, complice la bella giornata stranamente mite, soprattutto per quel periodo, ed io, con i miei tempi di preparazione estremamente lunghi, stavo rallentando anche il resto della combricola. "Cocco, studio psicologia, te lo ricordo. E la mimica facciale è alla base dell'intero ciclo di studi. Tu non parli, ma il tuo corpo sì e quello non mente", dissi lanciando l'ennesimo paio di jeans nella montagna di abiti ammucchiati sul letto. "Ley, ma ti vuoi calmare? Quando ti prendono questi attacchi ho l'impressione di essere fidanzato con una trottola e non con una ragazza tanto fine ed aggraziata come sei di solito", disse tentando di fermarmi, con scarsi risultati, tra l'altro. "Sì, Malik se mi fermo usciamo tra due giorni, non oggi! - esclamai camminando freneticamente da una parte all'altra del letto, finendo poi nuovamente davanti allo specchio. - uh sì, adesso che ci penso, da qualche parte lì accanto al mobile dovrebbe esserci la mia piastra, me la lanceresti, per favore? Almeno me li sistemo adesso questi capelli e non ci penso più fino a domani!", conclusi poi, osservando la mia figura riflessa con occhio particolarmente critico. Nel frattempo continuai con la ricerca della maglia perfetta da abbinare ai jeans che, alla fine, avevo scelto di indossare e fu in quell'esatto momento che lo vidi. "Zayn Jawaad Malik, cosa cazzo stai facendo con quella piastra?", chiesi voltandomi di scatto; era lì, in piedi, con quell'aggeggio tra le mani e, soprattutto, in una posizione che non presagiva nulla di buono. "Me l'hai chiesta tu, eh. Io te la stavo per lanciare, ma a quanto pare vuoi mangiare sia me che lei, cos'ho fatto di male, ora?", disse ridestandosi ed abbassando il braccio verso il corpo. "Sì, a quanto pare la partitina alla playstation che hai fatto con Louis prima di pranzo t'ha rimbecillito del tutto. Lascia che ti spieghi una cosa: hai presente che se quella cosa mi fosse arrivata in testa, me l'avrebbe fracassata, mh?", chiesi cercando di rimanere tranquilla e non sbraitargli dietro, anche perchè sarebbe servito a poco. "Sei una polla, me l'hai chiesta tu, ti dico!", esclamò lui poggiando la piastra sul bordo del letto ed incrociando le braccia al petto, da perfetto bambinone. "Ma io non intendevo 'lanciare' nel senso letterale del termine, tesoro. Ti pare che posso mai desiderare di farmi ammaccare il cranio da ciò che in teoria dovrebbe sistemarmelo? cioè, non ha senso", dissi scoppiando a ridere; e l'espressione che, da qualche minuto, s'era dipinta sul suo viso era talmente buffa che rimanere seri sarebbe stato impossibile per chiunque. "Come sei criptica, Ley", disse venendomi accanto. "E tu sei un coglione, Malik", ribattei io sorridendo, per poi stampargli un bacio a fior di labbra; il primo di una lunga serie.


...


Sam.
"Sia chiaro, io questo scempio non lo pulisco!", pigolò lui per la cinquantesima volta nel giro di dieci minuti. "Stai mettendo a dura prova il mio sistema nervoso, ti sto avvisando", berciai io, voltandomi e guardandolo dall'alto al basso con discreta sufficienza; stavamo osservando il caos dilagante per l'intera cucina e, dopo essermi trovata di fronte all'amara e palese realtà, l'unica conclusione che ottenni fu l'indubbia consapevolezza di aver combinato l'ennesima cazzata e che, soprattutto, lui non aveva neanche lontanamente tentato di fermarmi in alcun modo, appoggiando - seppur costretto - in tutto e per tutto la mia idea di colazione fai da te; difatti, solo qualche ora prima, dopo aver poco saggiamente deciso di sfidarmi rubando l'unico cornetto alla nutella nel raggio di due chilometri,  avevo puntato i piedi da perfetta testarda quale ero e lui, esasperato dai miei continui piagnistei, aveva ceduto alle mie richieste. "Ti ricordo che questo - disse indicando il lavandino stracolmo di tazze, pentolini e quant'altro - non sarebbe successo se solo tu non fossi così..così..", tentò di continuare, gesticolando come un forsennato. "..così, come?", lo interruppi io, incrociando le braccia al petto; ormai il danno era fatto e la situazione stava degenerando, in tutti i sensi possibili. "..così cocciuta, suscettibile ed intrattabile", sentenziò lui, dopo qualche attimo di silenzio. "Qualcos'altro d'aggiungere, per caso? No, perchè mi staresti insultando, se ancora non te ne fossi accorto!", esclamai, colpita nel profondo. "Aspetta un attimo, stiamo davvero litigando per..per..questo?", domandò, tornando ad indicare il ripiano della cucina. "Non lo so, in ogni caso io vado a farmi una doccia perchè ho della farina in parti in cui la farina non dovrebbe essere, tu schiarisciti le idee e fammi un fischio quando avrai qualcosa di più importante da dirmi!", esclamai lasciando la stanza e spostandomi al piano superiore. Probabilmente me n'ero già pentita e, sì, avevo sicuramente esagerato, ma quelle parole m'avevano ferita sul serio e non ero proprio riuscita ad evitare di ergere quel muro di difesa che, da sempre, costruivo quando, in un certo senso, sentivo di essere troppo fragile per superare un momento di difficoltà, peccato che, in quel caso, avevo sbagliato, sbagliato di grosso.


...


Harry.
La osservai mentre, con passo deciso, quasi correva fuori dalla cucina - lontano da me - e, quell'enorme masso che gravava sul mio stomaco dal momento stesso in cui avevo capito che la situazione stava prendendo una piega diversa da quella che m'aspettavo, cadde inesorabilmente, lasciando solo vuoto, dietro di sè. Maledissi me e, soprattutto, il mio poco tatto; m'ero fatto prendere dal panico e, quei tre aggettivi, erano fuoriusciti dalle mie labbra senza che io avessi il tempo effettivo per fermarli e ricacciarli giù, in gola; e l'avevo ferita, i suoi occhi sapevo leggerli e, prima che se ne andasse definitivamente, trasudavano tristezza, rammarico, delusione. E la immaginavo, in quel bagno, seduta sul bordo della vasca, o addirittura rannicchiata sul pavimento, a torturarsi le mani, a trattenere le lacrime, a chiedersi il perchè di quella strana ed insana conversazione; e no, non doveva assolutamente andare così. Con quel vorticare di pensieri in testa, cominciai a risistemare la cucina, lavai i piatti, le tazzine del caffè, ma, proprio quando stavo per decidere di spazzare il pavimento e ripulirlo dai residui di farina, il suo cellulare, abbandonato sul divano, cominciò a suonare distogliendomi dal mio intento, così risposi lasciando momentaneamente perdere le mie faccende domestiche. "Ommioddio Bù, non dirmi che ti sei presa l'influenza, hai una vocina molto..da trans, al momento!", esclamò dopo aver sentito il mio 'pronto', dall'altro capo del telefono. "Cretina, sono Harry!", dissi trattenendo una risata. "Ah ecco! Mi pareva strano, effettivamente, ma dimmi, cosa ci fai tu con il cellulare della mia palla di pelo? eh? eh? eh?", chiese con la solita energia di sempre. Mi stravaccai poco finemente su una sedia, prima di risponderle. "E' in bagno, si sta facendo una doccia, ci siamo lanciati la farina addosso prima, preparando la colazione ed io sto pulendo il disastro che ne è conseguito", dissi tranquillamente; evitai di raccontarle l'accaduto, non avevo proprio voglia di sentire la valangata d'insulti che sarebbe stata capace d'infliggermi, mi sentivo già abbastanza in colpa senza che lei rincarasse la dose. "Quindi vi state divertendo, sì?", domandò ancora, per assicurarsi che tutto andasse bene, probabilmente. "Certo, e stiamo anche recuperando il tempo perso. E voi lì? Come procede?", chiesi a mia volta, cambiando discorso e spostando la conversazione su tutt'altro argomento. "Sìsì, qui tutto bene, niente di nuovo a parte il disastroso giro in centro di oggi. Il tuo caro amico Louis ha fatto rifornimento di maglie a righe ed io non sapevo più come fermarlo, lo seguivo sperando che, prima o poi, il bancomat si rifiutasse di sganciare soldi e la conclusione è stata più tragica di quanto pensassi, persino Ashley aveva in mano due dei suoi sacchetti", disse lei, raccontandomi ogni cosa; sentivo terribilmente la mancanza del mio migliore amico, soprattutto ora, mentre brancolavo nel buio e nella confusione più totale. Un suo sguardo sarebbe bastato per capire che tutto sarebbe andato per il meglio. "Beh, in qualsiasi caso, appena finisce dille che ho chiamato, che qui va tutto bene e che, niente, ci vediamo lunedì", aggiunse lei, risvegliandomi dalle mie congetture. "D'accordo, appena scende riferisco tutto quanto, non ti preoccupare. A lunedì Deb, e saluta tutti!", la rassicurai io, alzandomi in piedi. "Louis ti manda un bacio volante, è qui accanto a me e dice che gli manchi!", continuò lei. "Anche lui mi manca, non sa nemmeno quanto, ah sì e dagli un bacio da parte mia", sospirai io, tenendo il telefono tra la guancia e la spalla. "Fatto! Ora è tutto contento, dovresti vederlo!", ridacchiò lei, tanto che fece sorridere anche me. "Ciao Deb!", conclusi, riprendendo in mano l'apparecchio. "Ciao Harry, dai un bacio a Sam!", esclamò prima di chiudere la chiamata. Mi trascinai fino ad arrivare al divano per poi sedermicisi a peso morto, con ancora il suo cellulare tra le mani. Lo osservai: sullo sfondo la foto che c'eravamo scattati quella stessa mattina, prima di alzarci dal letto, il suo viso goffamente e malamente nascosto da un lembo di lenzuolo ed il mio accoccolato accanto alla sua guancia. E sembrava tutto così maledettamente distante, nonostante fossero passate solo poche ore da quel momento, non era ancora tornata e il mio senso di colpa cresceva ad ogni secondo che l'orologio, appeso sul muro a pochi metri da me, scandiva inesorabilmente. Poi un'altra vibrazione mi distrasse di nuovo, stavolta era un messaggio, sempre di Debora. 
«Appena leggi chiamami che mi devi raccontare tutto, se credi di sfuggirmi hai proprio capito male, cocca!»
Sorrisi chiudendo la cartella dei messaggi ricevuti e, allo stesso tempo, l'occhio mi cadde su quella delle bozze: ne conteneva tantissimi, almeno un centinaio; e in quel momento la curiosità mi travolse. Ne cominciai a leggere qualcuno, sparso qua e là, ma quando m'accorsi che, ogni messaggio, aveva una data ben precisa, decisi di ricominciare, dal fondo, questa volta.
«5 luglio. Oggi sei entrato in casa con, beh, con Caroline e, sinceramente, non saprei spiegare cos'ho provato. Ho guardato le vostre mani intrecciate ed ho sorriso, è vero, ma s'è rotto qualcosa dentro, qualcosa di grande.»
«18 luglio. Sono qui seduta sul divanetto di una stupida discoteca e, se avessi abbastanza coraggio, correrei in pista solo per strapparti dalle sue braccia, invece no, tutto quel coraggio non l'ho mai avuto e anche adesso rimango qui e aspetto che Liam mi porti il terzo drink della serata.
 E vorrei solo addormentarmi e svegliarmi quando tutto questo sarà finito.»
«20 luglio. Ti sento mentre ridi con Louis giù in salotto e no, non dovrei pensarlo, è sbagliato, ma credo di non aver mai sentito una risata più bella della tua.»
«25 luglio. Siamo appena arrivati in hotel a Toronto e non sapere cosa fai mi fa impazzire.
»
Dei passi in cima alle scale mi fecero voltare. "Perchè hai in mano il mio cellulare, Harry?", chiese affacciandosi dalla ringhiera in legno. "Debora t'ha scritto un messaggio", risposi, prima di raggiungerla. "Ho sentito la suoneria dieci minuti fa, mi ha scritto un poema?", domandò ancora, scettica allungando lo sguardo. "Quest..questi cosa sono?", chiesi timoroso; la situazione era già abbastanza tragica e, lo sapevo, probabilmente si sarebbe arrabbiata, ma dovevo sapere. "Niente, non sono..niente. Scrivere quello che in teoria avrei dovuto dire a te mi faceva stare meglio, tutto qui", sussurrò lei, guardando altrove. "Davvero sentivi..tutto questo?", chiesi, avvicinandomi. "Ho reagito nel modo sbagliato, ma quelle parole mi hanno fatto male, Harry", sussurrò ancora, guardandomi, questa volta. "Lo so", seppi dire; e mi sentivo ancora peggio lì, di fronte alla verità e ai suoi occhi completamente spenti. "Non voglio più litigare con te", disse cercando il mio abbraccio; la strinsi. "..e comunque quel giorno, il 25 luglio, in hotel pensavo a te", le confessai ad un orecchio; e lei sorrise.













Angolo dell'autrice:

No, non sono morta e sì, lo so che sono mmh..due mesi che non aggiorno più, ed è non tanto, non tantissimo..di più.
E non sto neanche qui a raccontarvi cos'è successo in tutto questo tempo, anche perchè: punto primo, non v'interessa e punto secondo sarebbe troppo difficile da spiegare LOL
Anyway, direi che il capitolo si racconta da sè, senza bisogno d'aggiungere altro.
Quindi, per ora, io vi saluto, anzi no, prima devo ringraziare tutti, tutti quanti per le recensioni, per i preferiti e per i seguiti. Sinceramente tutto m'aspettavo meno che questo, e vi amo, seriamente :')
Come sempre il capitolo è dedicato alle mie donzelle di Scrivere bevendo un cappuccino, a Billa, Marta ed Elisa, soprattutto c:
Al prossimo aggiornamento che, giuro, sarà presto e non farò passare altri mesi lol
Un bacio,

la vostra

-emme.
  
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