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Autore: Claire Coen    20/07/2012    2 recensioni
Claire Coen è una ragazza semplice. Ha quindici anni appena compiuti e vive a Bradford, con il padre. Ma improvvisamente l'equilibrio della sua vita pacata e monotona viene spezzato e il destino decide per lei una vita movimentata e piena di difficoltà. Ma sopratutto decide di renderla diversa da chi si aspettava che fosse, tutto questo quando Zayn Malik, un componente di una boyband appena lanciata nel mondo musicale,entra a far parte della sua vita.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Zayn Malik
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Le persone che aspettavano l’autobus intorno a noi, si incominciarono a innervosire dell’eccessivo ritardo. Guardando l’orologio mi accorsi che avevamo aspettato piu’ di mezz’ora, il vecchio rottame era sempre stato puntuale mai un ritardo in tanti anni. Arrivavano lamenti e male parole alle orecchie, mentre ero ancora avvinghiata a Blaze seduta sulle sue gambe sul bordo del marciapiede con Hayley e Sunday che si ascoltavano la musica tranquille. La gente incominciava ad andarsene stufa della mancanza dell’autobus, mentre alcune auto parcheggiavano ovunque nella speranza di raccattare di fretta il proprio figlio nervoso.
“Forse è il caso che torniamo a piedi”- dissi alzandomi dalle gambe di Blaze.
“Bhè direi proprio di sì, eh!”- intervenne Blaze stirandosi i muscoli.
“Andiamo”- intervenne la bionda levandosi una cuffietta dall’orecchio.
Ci infiltrammo in mezzo al fiume di ragazzi che facevano marcia indietro per tornare sbuffando a casa. Era tutto un brusio confuso di voci e lamenti che non mi davano lo spazio necessario per pensare e parlare. Per un po’ di kilometri non spiccicammo parola. Quando poi la calca incomincio’ a sfoltirsi, i suoni diventarono piu’ chiari e comprensibili.
“Mio padre ha chiamato il tuo…”- incalzo’ Blaze guardandomi di sfuggita per poi ritornare con lo sguardo sulla strada.
“Ah sì? E cosa si sono detti?”- domandai con una certa enfasi.
“Si sono organizzati per una cena venerdì. A casa nostra”- non aggiungeva nient’altro diceva quello che serviva dire, né di piu’, né di meno.
“Sarà divertente”- risposi infine.
Hayley e Sunday stavano dietro in silenzio, sempre con le cuffiette alle orecchie. Come se non ci fossero. Conoscendole lo avrebbero fatto per farmi stare da sola con Blaze, senza nessuna interferenza.
“Volevo dirti un’altra cosa…”- riprese Blaze.
“Dimmi”- risposi curiosa.
“In questi giorni che tuo padre non è presente in casa, se hai bisogno di qualunque cosa non esitare a chiamarmi. Ce l’hai il mio numero vero?”- disse imbarazzato, facendo passare il colore marrone chiaro della sua faccia a un pallore chiaro.
“Ehm, no, non mi sembra. In fondo sono tanti anni che non ci sentiamo. Tieni scrivimelo”- risposi porgendogli il cellulare. Stranamente non mi sentivo per niente a disagio con lui, lo consideravo un grandissimo amico su cui potevo sempre contare in qualsiasi circostanza e lo era, lo era davvero.
Gli sorrisi, senza un motivo ben preciso. Così mi rispose attorcigliando il suo braccio intorno al mio collo, baciandomi affettuosamente sulla testa.
“Eccolo, tutto tuo”- disse porgendomi con l’altra mano libera il cellulare. Mi stavo divincolando nelle sue braccia intorno a me per afferrarlo, ma all’ultimo momento me lo sfilo’ da sotto la mano.
“Promettimi che per qualunque, ripeto, qualunque cosa, mi chiamerai all’istante. Io ti giuro che correro’ da te e mi ritrovero’ accanto a te, in men che non si dica”- disse con voce profonda, tenendo alzato il braccio con il cellulare in ostaggio.
“Te lo prometto”- bisbigliai sorridendo.
“Come? Non ho sentito”- disse lui saltando e alzando il braccio ancora piu’ in alto, cosicchè io non potessi prenderlo.
“Daaai, dammi il cellulare. Te l’ho già detto! TE LO PROMETTO”- dissi sbuffando e saltando per arrivare finalmente al mio piccolo ostaggio.
Risi a testa bassa, non volevo fargli vedere il mio divertimento. Nel mentre eravamo già arrivati a pochi metri dalla fermata. Caspita, come passa veloce il tempo con Blaze. È fantastico quanto mi fa dimenticare il mondo esterno, con tutti i suoi problemi. Stavolta in silenzio, raggiungemmo la fermata. Hayley e Sunday mi si piazzarono accanto, silenziose. Mentre io guardavo Blaze che avanzava davanti a noi, di spalle. Aspettavo quell’improvviso istante in cui lui si sarebbe girato e mi avrebbe salutata. Pero’ non veniva continuava a camminare dritto davanti a sé, senza esitare. Guardai Hayley e Sunday interrogative anche loro su quanto stava accadendo. Giro’ la testa sbirciando un po’ dietro di noi e senza preavviso si piego’ in due dalle risate indicandoci a noi tre, ancora incredule e spaesate. In un istante mi ritrovai davanti a lui, per terra ancora rosso in faccia per lo sforzo.
“Sei un cretino!”- gli ripetei mentre gli facevo il solletico.
Hayley e Sunday mi raggiunsero all’istante aggregandosi con me all’attacco. Solo che pian piano Blaze riacquistava colorito normale, roseo e la risata si allievio’.
“Mi dispiace deludervi ragazze, ma io non soffro il solletico”- singhiozzo’ tra un gemito e l’altro, sempre con il sorriso stampato in faccia.
“NOOO”- dicemmo in coro, con delusione.
“Io dovrei correre a casa che poi devo sbrigare una faccenda importante con mia madre, vi saluto”- incalzo’ Sunday.
“Tranquilla veniamo pure noi”- risposi tranquilla.
Diedi un bacio veloce ma deciso sulla guancia di Blaze, che si stava alzando da terra intento a raccogliere il suo zaino. Hayley e Sunday si limitarono a un saluto veloce da lontano, mentre le trasportavo per mano lontano, verso casa.
“Ahhhhh l’amore!”- intervenne Hayley, facendo quella tipica faccia buffa che nessun’altro potrà mai fare bene quanto lei.
“Ma smettila! E’ solo un amico. Molto amico. Ok, mi fermo qui.”- dissi incerta.
“Dai che lo vediamo che ti piace. Che ci perdi?!”- intervenne Sunday, con Hayley che mi dava gomitate sempre piu’ forti.
“Niente. Mi piace, ok. Pero’ non mi piace quanto Zayn. Non potrei mai sostituire Zayn con un altro, non esiste un altro. È questo il problema. Per me ora c’è solo lui e questo mi terrorizza”- dissi guardando un punto fisso davanti a me, con andatura piu’ lenta. Vedendo anche casa mia in lontananza.
Non dissero niente per un po’, poi arrivate davanti al cancelletto di casa mia Hayley sospiro’.
“Io penso che questo, per loro, non è divertimento. O meglio, noi per loro non siamo solo avventura poi addio. Non chiedetemi come faccio ad esserne così sicura, perché non lo so. Me lo sento. Se vogliamo rischiare, facciamo pure, ma dobbiamo sapere a cosa andiamo incontro.”- concluse Hayley.
“Sabato lo scopriremo, oggi pomeriggio vi chiamo e vi faccio sapere meglio su che tipo di festa li accompagniamo e su che tipo di gente andiamo incontro”- disse infine la bionda. I suoi perfetti ragionamenti non facevano una piega, amavo lei e Sunday perché ragionavano nel modo in cui ragionavo io.
“D’accordo”- sospirai infine aprendo il cancelletto bianco. “Ci sentiamo piu’ tardi”-ciancicai pensierosa.
“Ti voglio bene”- urlo’ Sunday in lontananza.
“Anche io”- bisbigliai tra me e me, con la testa da un’altra parte. Avevo bisogno di stare da sola. Il mio è un bisogno sia fisiologico che mentale, devo avere il mio spazio, senno’ non riesco piu’ a ragionare con mente lucida. Solo che pensando alla mancanza di mio padre, il mio bisogno si dissolveva piano piano. Aprii la porta con cautela, quasi non volessi svegliare nessuno che dormiva. Sorrisi come un ebete, ripetendomi che mio padre non c’era e che tutta questa sua mancanza era davvero strana, sono sempre stata abituata a cavarmela da sola, ma lui ha sempre fatto parte delle mie scelte, delle mie azioni, di tutto. Forse è normale che mi sento persa senza di lui. Decisi di non pensarci piu’ e che dovevo crescere, in un modo o nell’altro. Così salii le scale, presi il mio immancabile beauty-case azzurro e mi ficcai in bagno per una doccia calda e rigenerante.

Le sue labbra erano così calde rispetto alle mie fredde e bagnate. Eravamo di nuovo lì, sul prato con il vento freddo che ci spingeva ad avvicinarci ancora di piu’. Mi sentivo bene. Vidi le mattonelle bianche che si coprivano di gocce d’acqua e un velo di vapore mi avvolse il viso. L’acqua calda mi picchiettava la testa, massaggiandola ritmicamente. Stavo seduta nella vasca, senza avere la minima idea su cosa fare e cosa pensare. Ero altrove, non in questa realtà, sicuramente, ma avevo l’unica certezza che stare da sola non mi avrebbe aiutata a connettere. Non avevo voglia di parlare, avevo bisogno di una persona tranquilla che sarebbe stata presente, senza parole. Tipo mio padre. Ma lui non c’era e l’unica persona che mi veniva in mente, è la stessa persona che ho visto appena mezz’ora fa, Blaze. Mi alzai lentamente stirando le gambe indolenzite e chiudendo l’acqua. Passai la mano sul vetro dello specchio appannato scorgendo il mio piccolo faccino addolorato. Presi forza e resi piu’ attivi i miei movimenti e le mie azioni. Con agilità mi sistemai il turbante e corsi in camera a vestirmi. Con i jeans mi sarei trovata male, stavolta volevo stare comoda così presi i miei fidati pantaloni di tuta blu scuro, abbastanza stretti per sembrare tanto comodi. Magliettina bianca che mi copriva tutti i pantaloni, poco piu’ sopra delle ginocchia. Così senza farmi troppi complessi, mi sfilai i pantaloni rimanendo con quella maglietta enorme addosso. Senza pensarci due volte, mi diressi verso il telefono facendolo quasi cadere dalle mani. Di lì a poco esitai esageratamente con l’intenzione di rimettere apposto il cellulare e deprimermi tranquilla. Mi buttai sul letto con le braccia allungate verso l’esterno, chiusi gli occhi per tre secondi. Poi li spalancai e cercai frettolosamente il numero di Blaze nella rubrica, trovato schiacciai subito il pulsante di chiamata, urlando dentro di me: dai, dai, rispondi subito… non ce la faccio piu’… mi tremavano quasi le mani. Un comportamento stupidissimo, ma soprattutto infantile. Ma non potevo farci niente se lui aveva quell’effetto su di me. Riagganciai con un movimento nevrotico del pollice destro. Sospirai affranta. Poi il vibrare del cellulare mi fece scattare.
Sorrisi stupidamente, poi mi ricordai di rispondere azzerando l’ansia che avevo in corpo, buttai tutto fuori.
“Pronto?”- dissi fingendomi curiosa.
“Che succede?”- rispose Blaze con un tono di voce alquanto preoccupato.
“N-no, no, niente di grave… guarda non fa niente … Ecco sì, volevo sentire solo, come stavi.”- volevo sentire solo come stavi… MA CHE TI SALTA IN MENTE CLAIRE?! No, non ero affatto brava a mentire con lui. Con gli altri sì, con lui no.
“Ok, va bene arrivo subito da te. Dammi cinque minuti. A dopo”- rispose lui di fretta soffocando una risatina. Non feci in tempo a fermare i suoi piani che lui subito aggancio’.
Oh cavolo. E adesso? Che faccio? Mi guardai intorno per controllare la zona. Un disastro è dire poco. Il pavimento era l’unico ad essere in condizione adeguate, pulito e lucido, senza niente buttato a terra, oltre al morbido tappeto di peli bianco. Mi fiondai senza controllo alla scrivania, c’era un altro piccolo mondo lì: tra carte, cartine e pezzi di plastica, non mancava la macchinetta fotografica, un succo di frutto alla pesca vuoto, briciole di plumcake sparse intorno, smalto, portafoglio, chiavi di casa, le mie immancabili penne, pennini e pennarelloni indelebili, oltre a varie foto mie con Hayley, Sunday e altri amici di scuola e… alcune persone raffiguarate che nemmeno riconoscevo. Poi i fantastici paia di occhiali da vista sigillati nella custodia abbandonata in un angolino. Certo, li penso spesso, ma solo per guardare la tv. Non feci in tempo a buttare le carte che erano passati già due minuti, così presi un bustone e con un braccio trascinai tutto il mio ciarpame di roba nella busta, chiudendola e nascondendola nell’armadio. Mi misi veloce i jeans e una maglietta azzurra abbastanza scollata, avevo intenzione di cambiarmi di nuovo, ma non c’era tempo. Sistemai un po’ il letto sgualcito, poi con un po’ piu’ di tregua, scesi giu’ in cucina a lavare quelle due, tre tazze che avanzavano. Ancora non avevo mangiato, percio’ la cucina era in buono stato, per ora. Pensando al cibo sentii una morsa allo stomaco. Avevo bisogno di mangiare. Poi il campanello suono’ lasciando a metà il mio pensiero goloso. Cercai di non agitarmi il piu’ possibile, ci riuscii pensando alle patatine fritte di Denny’s, ne avevo una sfrenata voglia in quel momento. Così mi sistemai i capelli alla meglio che potevo, specchiandomi e provando un certo disgusto su cio’ che fissavo. Aprii felice, come cambiava veloce l’umore con lui, da totalmente depressa a estremamente felice della sua presenza. Il colosso di muscoli davanti a me aveva un casco nero in testa, una giacca a vento blu scuro e una targhetta su di esso gialla e rossa, con su scritto: “Jonni Rockets.”
“Che succede?”- disse sorridente con il fiato spezzato.
Non so per quale motivo non reagii, stavo a fissarlo, a fissare il casco e la targhetta gialla. Poi dissi ridendo: “Lavori da Jonni Rockets? Sei adorabile”- enfatizzai trattenendo le risate. Lo abbracciai dolcemente, senza neanche vedere la sua reazione o risposta. “Grazie di essere venuto”- aggiunsi cogliendo il momento in cui non lo guardavo in faccia. Nel caso contrario sarei diventata inevitabilmente rossa come il fuoco.
Il mio maledettissimo stomaco inizio’ a vibrare e brontolare. Maledii tutte le forze superiori esistenti e non. Si vedeva che mi volevano molto male. Immaginai un suo sorriso divertito, anche se non lo potevo guardare.
“Che dici, andiamo a prenderci qualcosa da Jonni Rockets? Così mentre mangi finisco il turno e poi ti riporto a casa.”- chiese speranzoso.
“Ottima idea, il mio pancino è d’accordo. Solo che…”- non feci in tempo a finire la frase che subito lui si sgancio’ dall’abbraccio, mi prese il mento con delicatezza e mi interruppe: “Chiamo Jonathan e gli dico di avvisare tuo padre.”
Sorrisi compiaciuta, in un certo senso lui rendeva facile tutto quello che facevo, la mia vita. È bello sentirsi liberi. Io con lui mi sentivo così, libera. Di fare quello che mi passava per la testa, non da sola, con lui.
Cerco’ di afferrarmi di peso e portarmi verso il veicolo nero e lucente a due ruote parcheggiato dietro alla staccionata bianca del giardino.
“Aspetta! Devo blindare casa. Se succede qualcosa mio padre mi uccide”- pigolai divincolandomi fra le sue braccia.
“Sbrigati che senno’ mi diminuiscono la paga”- quasi urlo’ mentre entravo dentro casa.
“Tranquillo, anche io ho fame. Faccio di fretta.”- risposi con tono alto.
Chiusi finestre e inferiate, presi chiavi e cellulare, giacca blu e foulard nero. Poi uscendo di casa mi portai dietro la porta di fretta senza nemmeno guardare Blaze, chiusi tutto il possibile immaginabile e girandomi non lo trovai dietro di me come pensavo, ma appostato comodo sul motorino mettendosi il casco e facendomi segno di sbrigarmi. Sorrisi felice, che svolta con lui. Mai avuto un amico così, vivo per me. Presi la rincorsa, aprendo e chiudendo con violenza il cancelletto bianco per non frenare la corsa, poi inchiodai a pochi centimetri da lui e il motorino già vibrante per la messa in moto. Si volto’ verso di me e mi sorrise, uno di quei sorrisi che non scorderai mai, che ti passerà davanti ogni volta che vorrai. Ricambiai felice e con una certa fatica zompai sul sedile, dietro di lui, stringendolo per la vita, come negli ormai prevedibili film d’amore. Non provai imbarazzo, ero solo felice, felice di stare con lui.
“Jonathan riferirà anche di questo a mio padre?”- chiesi io improvvisa.
“Puo’ sembrare vecchio e antico, ma lui sa come gestire la situazione. Tranquilla siamo in ottime mani”- rispose allacciandosi il casco.
“Appena vai oltre i 60 km/h, ti fermi e mi fai scendere. Non voglio ritrovarmi sulla prima pagina di un giornale spiaccicata sull’asfalto, grazie”- dissi pignola.
“Tutto chiaro e limpido”- disse infine il moro, soffocando una risatina che io potevo benissimo percepire, avendo entrambe le mani e braccia incollate al suo busto. Partimmo molto fluidamente e proseguimmo tranquilli, ogni tanto davo occhiate al tachimetro che non si muoveva di un km/h era in perfetta stabilità, ogni tanto per fermarsi ai semafori e ripartire, incominciava ad andare sui 45 fino a massimo i 50 km/h, poi pero’ quando si rendeva conto che stringevo piu’ forte, rallentava la corsa, fermandosi sui 40 km/h. Dovevo ammettere che come guidava non era niente male, anzi quasi quasi lo preferivo a mio padre. Così passai il tempo sul motorino a non pensare a niente, vedendo solo le case, le persone, gli alberi e tutto il resto scorrermi davanti normalmente. Sette minuti precisi, di tragitto da casa mia a Jonni Rockets. Ci fermammo nel parcheggio esterno quasi vuoto e sciolsi la mia ferrea presa quasi di malavoglia, era bello sentire il suo cuore battere ritmicamente e costantemente, senza tradire di un singolo battito. Mi chiesi perché non riuscivo a sentire il suo buonissimo profumo di pino selvatico. Così scesa dal motorino lo guardai mentre era concentrato a levarsi il casco e mettere il cavalletto a terra. Mi porse il casco per riuscire a mettere adeguatamente quel maledetto cavalletto mezzo scassato.
“Ha sempre fatto storie questo coso!”- disse mentre si impegnava ad appoggiarci sopra il motorino.
Io sentendomi inutile, mi misi il casco in testa, giocandoci e facendo la scema. Eccolo, è lui. Il profumo di pino selvatico mi invase la testa. Quanto mi piaceva quel profumo, lo respirai profondamente incamerandolo dentro di me. Mi girai verso la vetrina del fastfood che mi rifletteva mentre mi sistemavo il casco sulla testa.
“Sei proprio carina … Sembra una scodella per la pasta con tutti quei capelli”- disse ridendo sarcastico.
Lo vidi riflesso nella vetrina che sbattendosi le mani per pulirsi mi guardava con quell’immancabile sorrisetto che stavolta diventava malizioso e quasi fastidioso.
“Perché infatti Price ci sta una meraviglia, vero?”- pigolai sarcastica, mentre mi levavo il casco porgendoglielo scocciata e mi sistemavo i capelli continuamente.
“Hai dubbi?”- rispose malizioso mentre si dirigeva verso l’entrata.
“Io sono nata con i dubbi”- cercai risposta. Lo raggiunsi avanzando ancora.
Si fermo’, prima di aprire la porta a vetri del locale. “Riesci sempre a trovarti qualcosa di negativo. Hai un sacco di qualità e nemmeno te ne rendi conto. Sei assurda”- mi disse incredulo guardandomi dritta negli occhi. Rimasi di pietra, non riuscivo a trovare una risposta, un contraccambio. Quello che aveva detto era assolutamente vero e me ne rendevo conto. Vedendomi in difficoltà e taciturna, mi prese per mano ed entrammo in quel benedetto fastfood.

  
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