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Autore: Emrys    21/07/2012    3 recensioni
Ilaria studiò il locale con occhio critico, sulle labbra le apparve un sorriso fugace e per qualche minuto si lasciò cullare dalla musica. Il Blood Moon le trasmetteva sempre una sensazione rivitalizzante, era grande poco più di una quarantina di metri quadri, aveva cupe decorazioni gotiche e praticamente ogni settimana riusciva a riempirsi come una scatola di sardine.
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ilaria si guardò intorno ancora una volta, osservando con tristezza l’ambiente che la circondava. Questo era davvero il colmo del ridicolo, aveva corso per ore, fino ad esaurire tutto il fiato che aveva in corpo, e ora non riconosceva più neanche la strada che stava percorrendo: si era persa. Poteva mettersi nei guai in un modo più idiota? Aveva i vestiti rovinati, era sporca, ferita e le doleva anche il più insignificante dei muscoli, non si era mai sentita più patetica. Indipendentemente dalle sue condizioni, quando varcò la porta del tabacchi, neanche uno dei presenti le rivolse più di un’occhiata fugace. Era proprio vero, più c’erano casini e più gli esseri umani tendevano a farsi i fatti propri, ringraziando il cielo che non fosse toccato a loro. Giusto Orsi non si comportava in quel modo, ma con il suo atteggiamento lui rappresentava un caso a sé. O forse soffriva del complesso del buon Samaritano. Era buffo pensare a lui in un momento simile, poiché dalla conversazioni con Lily l’aveva relegato in un angolino dimenticato della sua mente. Etichettando la questione con il cartello: risolvere in un secondo tempo. Le sembrava fosse passata un’eternità. Comprò una spuma e un tramezzino cotto e fontina, poi si sedette ad un tavolo e si sforzò di comportarsi nel modo più normale possibile: diventare una sorta di caso umano non era proprio tra le sue priorità immediate. La batteria del cellulare era carica, quindi non era del tutto isolata, e aveva dei soldi. Come a volerlo verificare, tastò la tasca posteriore dei pantaloni: oltre alla pelle del portafoglio trovò un inaspettato fruscio di carta. La estrasse e posandola sul tavolo si ritrovò ad osservare una busta azzurra malamente accartocciata. E questa da dove veniva?  Quelle macchie sulla parte anteriore dovevano essere sangue rappreso, da quando riusciva a distinguerlo così bene?
Era inquietante. La fissò come se potesse morderla da un momento all’altro e alla fine l’aprì:

Ciao Ila,

 se stai leggendo questa lettera vuol dire che l’angelo è riuscito ad arrivare in tempo, quindi vedrò di non spiumarlo. È inutile che strabuzzi gli occhi e ti mordi le labbra, dovresti sapere che sono un tipo pieno di sorprese. Non ho tanta esperienza con i pennuti, ma lui mi è sembrato a posto: è una testa calda però, anche se lo nega, ha un buon cuore.
È persino dotato di un certo senso dell’umorismo !
Spero che nei momenti di necessità lo aiuterai a mantenere la calma.

Con lui forse potrai sorridere davvero, per favore non ricominciare a negare perché abbiamo già fatto questo discorso una miriade di volte e, da quando ti conosco, sento le tue urla sorde mascherate con ironia o da sorriso. Tutti hanno segreti e problemi, però il trucco per riuscire ad affrontarli è condividerli. Comunque, non ho tempo da perdere in paternali: se quello che ho in mente funziona, di solito è così (non storcere il naso che ti vengono le rughe), riuscirò a liberarlo da questa specie di puntaspilli luminoso e lui sarà subito da te.

Non preoccuparti per Emily e Lily, con i regalini che ho in mente anche loro dovrebbero essere al sicuro, almeno fino al tuo ritorno. Avrei voluto vederti un’altra volta, tuttavia con i desideri non sono mai stato fortunato e quindi temo che non sarà possibile.
Ti pieghi alle intemperie,
ma non ti spezzi mai; per questo mi piaci.
(alcune parole sono cancellate)

Ti auguro di essere felice.

Luke Orsi

Terminò di leggere con gli occhi appannati dalle lacrime e sforzandosi di tornare calma le asciugò con il dorso della mano. Odiava come spesso riuscisse a indovinare le sue reazioni, però Orsi come faceva a conoscere il suo angelo ? Non poteva essere uno scherzo, perché solo lui avrebbe potuto infilarle in tasca quella lettera. Luke lo aveva liberato per lei. Cosa caspita voleva dire che avrebbe voluto rivederla? Stava male? Era stato ferito? No, no. Anche se sarebbe stato proprio tipico di lui, puntava sempre ad avere l’ultima parola. Non poteva essere morto così, senza darle spiegazioni o farla controbattere ! Non riusciva a immaginare di non poter più ascoltare le sue risposte saccenti, o le sue sparate tanto sicure da dare l’idea che fosse in grado di leggere la mente. Orsi, era suo amico, le voleva bene, e Ilaria non si sentiva in grado di assorbire anche il peso della sua perdita.

§§§

Castar lo fissava in cagnesco, tuttavia questo non bastava a guastargli il buon umore: l’amico aveva passato i secoli a fingersi un bonaccione che non voleva dare fastidio a nessuno, come lui per tanto tempo si era mostrato privo di emozioni, però adesso sembrava che le maschere di entrambi fossero divenute superflue. “Mi hai ripetuto più volte che sono il più giovane degli adepti di Sihel, che quindi non posso sapere, ma io ricordo lo stesso quando erano altri a guidarci ! Allora essere ciò che siamo ci rendeva orgogliosi.” Castar fece un gesto brusco con la mano, quasi volesse scacciare anche l’ombra di quell’idea. “Vorresti forse…” Eric gli sorrise, avvicinandosi e posandogli una mano sulla spalla. “Negli anni loro hanno continuato a manifestarsi e sono state sistematicamente annientate perché nessuno le ha protette. Non lo senti anche tu come una mancanza personale ?” Castar grugnì, però decise di  lasciarlo finire. “Dovremmo aiutare gli esseri umani, guidarli, invece loro vogliono che ci comportiamo come spettatori al cinematografo. E se malauguratamente lo spettacolo non è gradito, nessun problema, possiamo sempre darci un taglio.” Lo sguardo di Castar s’indurì, colpì il tronco al loro fianco con un gesto di stizza e non appena il suo pugno si staccò dalla corteccia questa divenne di pietra. “Non puoi scatenare una rivoluzione, non da solo.” “Mantieni il controllo, amico mio, e ritorna dagli anziani come un bravo figliol prodigo. Hai presente la parabola, no?” “Tu provi qualcosa di più, se t’interessasse soltanto portare un ordine nuovo non le avresti dato il tuo sangue. Volevi che avesse una vita normale. Volevi proteggerla.” Eric aprì la bocca per negare e Castar lo colpì al braccio sano con un pugno amichevole. “Non abbiamo tempo da perdere, fila via e renditi presentabile.” Ammiccò, per poi farsi circondare da un turbinio di foglie morte. “Come dicono nei film di spionaggio umani: per un po’ andrò sotto copertura. Comunque, non credere che mi dimenticherò della tua umana ! Chiamami al primo guaio, non cercare di fare sempre tutto da solo !” Fu un istante, le foglie ricaddero sul terreno e Castar non c’era più.

§§§

Questo l’aveva colta alla sprovvista: la sua corsa disperata l’aveva portata fino al quartiere dove abitava suo padre, alla casa della sua infanzia. Sfiorò il legno della porta con delicatezza, si chinò studiando il porta ombrelli e con un groppo in gola sposto il vaso da fiori dove tenevano le chiavi di riserva. Quando era bambina il portone brunito le era sembrato assai più grande. Si lasciò sfuggire un gemito malinconico e inserì la chiave nella serratura. Era priva di forze e metabolizzava a fatica quanto le era successo nelle ultime ore. La stanza d’ingresso le parve fredda e vuota, neppure il profumo rassicurante dei libri stagionati da decenni riusciva a calmarla. Lasciò la lettera insanguinata di Luke sul tavolo, sfiorò i contorni del divano e raggiunse la porta della cucina. I piatti che suo padre aveva usato a cena erano nel lavello, mentre l’odore delle sue sigarette impregnava ancora la stanza. Ricacciò indietro le lacrime, dette un pugno alla porta e corse verso il bagno. Lungo il corridoio iniziò a lanciare i vestiti per aria e alla fine varcò la soglia del bagno con soltanto le mutandine. Gettò uno sguardo fugace allo specchio sopra il lavandino e la vista del sangue secco unito  alle ferite le provocò una fitta di dolore nella zona dello stomaco. All’ospedale le avevano classificate come ferite superficiali, tuttavia lei si sentiva come qualcuno sopravvissuto a un pestaggio violento. Sia fisico che emotivo.
Lasciò la biancheria sul pavimento ed entrò nella cabina della doccia.

§§§

Lo spettacolo offerto dalle rovine fumanti del Saint Paul provocò nella popolazione locale una serie di manifestazioni che oscillavano dallo sgomento al raccapriccio, ma per Suriel quei resti erano soltanto una fonte di disgusto. Aveva fallito. I suoi l’avevano tenuta d’occhio per più di un quarto di secolo, si aspettava che prima o poi un’altra femmina avrebbe fatto visita alla vecchia, e quando l’attesa era stata finalmente premiata niente era andato secondo i piani. Era inconcepibile, neanche la trappola di Simon era stata in grado di fermare il traditore e i macchinosi piani dei suoi fratelli lo stavano irrimediabilmente stancando. Tolse la mano dalla tasca dell’impermeabile grigio, rivelando una lama affilata lunga una decina di centimetri e la contemplò per qualche momento. Alla fine la fece roteare sopra la sua testa e la sua bocca disegnò un sorriso divertito. “Beh, possiamo sempre trovarci un lato positivo: ci siamo liberati della Vecchia. Chi si aspettava che in tutti questi anni fosse riuscita a superare la follia, non aveva fatto altro che aspettare il momento giusto per palesarsi e ci erano cascati in pieno.” Digrignò i denti, tuttavia la rabbia non riuscì a distoglierlo dal corso dei suoi pensieri.
“Se le trappole e i piani troppo complicati non portano a niente, non penso che la cosa potrà cambiare in futuro. Avrebbero fatto bene a seguire subito il mio suggerimento, però loro non mi hanno ascoltato. Non mi ascoltano mai.” Bloccò la lama tra l’indice e il medio, per poi fissarla con uno sguardo allucinato, allora si lasciò sfuggire un sogghigno. “Non ho più voglia di aspettare: è ora di tagliare.”

§§§

Il suono di un parcheggio nei pressi della casa la distolse dall’estasi dei flussi d’acqua calda, quel tepore era riuscito a ridarle un minimo di calma però, se stava arrivando qualche amico di papà non poteva certo accoglierlo in versione nudista ! Chiuse l’acqua e uscì dal box saltellando: la differenza di temperatura le strappò un piccolo urlo e in un minuto, dal mobile accanto al lavandino, tirò fuori un grande asciugamano colorato. Ora riusciva a riconoscersi di più nel riflesso dello specchio, anche se i capelli arruffati erano in un certo senso stonati: le ricordavano di più le feste di carnevale, quando era ancora adolescente, certo non una pettinatura all’ultimo grido. Sorrise, alzando il pollice verso la sua immagine riflessa, e lasciò il bagno nel momento in cui qualcuno bussò alla porta d’ingresso. Corse ad aprire, fregandosene di essere ancora scalza, e sentire i propri passi come tonfi su quel pavimento fu per Ilaria come tornare bambina. Inchiodò davanti alla porta, producendo uno strano stridio con i piedi, e si sporse per guardare dallo spioncino.

Maxwell fece un sospiro teso e dette un altro sguardo fugace all’auto. Quelle erano questioni private, anche lui in situazioni simili tendeva a rifugiarsi dai suoi familiari. Forse non c’era nessuno, poteva ancora rimontare in macchina ed evitare una figuraccia, tuttavia in quel caso l’ansia che lo attanagliava avrebbe continuato a tormentarlo. Il locale era nelle mani del suo vice e da quando aveva aperto non si era mai concesso una vacanza, poteva approfittarne in quell’occasione ? Accarezzò, ancora titubante, qualcosa che teneva all’interno di una delle tasche della giacca e indietreggiò di un passo: non c’era nessuno, sarebbe tornato in un altro momento. “Ora vediamo di trovare qualcosa anche per te, ok?” Dalla tasca gli rispose un miagolio sommesso e appena voltò le spalle alla casa, la porta si spalancò. Ilaria era sulla soglia, con escoriazioni e lividi nascosti a malapena da un sottile asciugamano e i capelli pesantemente arruffati. Restava immobile, a bocca aperta, e dietro il ciuffo scomposto che le copriva il viso Maxwell intuì che aveva pianto.

“Max!” Sembrava quasi che il suo nome fosse diventato un’ancora di salvezza e lei ne aveva un gran bisogno: era sciocco, ma un adulto disposto ad ascoltarla, (sapeva di non essere più una bambina, tuttavia ne aveva bisogno), era la risposta alle sue preghiere. Era tutto troppo incasinato e Ilaria non si sentiva in grado di cavarsela da sola. Gli prese una manica della giacca, come una bambina delle elementari e lo trainò dentro. “Mi metto qualcosa e torno!” Maxwell accarezzò quello che teneva in tasca, inclinò il capo per studiare il salotto e restò in attesa. Lei riapparve dopo cinque minuti, aveva messo in riga la lucida chioma ribelle e ora indossava una camicia celeste di qualche taglia più grande. Le arrivava poco sotto la vita e l’aveva presa dall’armadio di suo padre. Si lanciò sul divano davanti a Maxwell e lo fissò incrociando le gambe nude. “Mi fa piacere vederti. A cosa debbo questa improvvisata?” Ora cercava di essere di essere disinvolta, però lui non aveva dimenticato in che condizioni l’aveva accolto e stava studiando con occhio esperto anche la più piccola ferita che riusciva a scorgere. “Cos’è successo?” Aveva intrecciato le mani davanti a se e il suo tono si era improvvisamente fatto professionale. “Non capisco di cosa parli, guarda che…” Ilaria aveva bisogno di parlarne con qualcuno e quando l’amico era apparso sulla soglia era stata pronta a raccontargli ogni cosa, però adesso non sapeva da dove cominciare. “Va bene, forse prima dovrei presentarti il tuo secondo ospite; faceva così tanto chiasso che alla fine ho deciso di portarlo con me.” Neanche avessero combinato la presentazione, una cosetta piccola e pelosa saltò fuori dalla sua tasca e finì in grembo a Ilaria, guardandola con dei grandi occhioni pieni di aspettativa: era il gatto spelacchiato del vicolo ! Ora però non sembrava più messo così male, anzi, aveva messo su qualche chilo e il suo pelo era tornato folto, piacevole da accarezzare.
“Miaoooo !” Quel saluto le fece rompere gli ultimi indugi e le rubò un sorriso. “Grazie, sei stato molto gentile a prenderti cura di lui.” Maxwell aprì le braccia con la tipica espressione da “cosa vuoi che sia” e Ilaria sospirò. “Quello che ti dirò potrebbe non avere senso, ti prego di farmi comunque finire, altrimenti rischierei di non trovare più il coraggio di continuare.”

§§§

Lily finì il caffè e dopo un attimo di esitazione riportò lo sguardo su di lui. La ragazza indossava una gonna nera che evidenziava le lunghe gambe da pantera e una camicia bianca che lasciava ben poco spazio all’immaginazione. “Dimmi in che guaio ti sei messo, tu non sei così.” Luke strinse di più la chiusura del giubbotto, quasi potesse trasformarsi in una corazza, e le rivolse il sorriso più innocente di cui era capace. “Così come? Non capisco cosa intendi: non è la prima volta che vi regalo qualcosa, anche se non è niente di particolarmente prezioso.” Si allungò sul tavolo e con la sinistra spinse la piccola scatola verso di lei. Lily si morse il labbro e aprì una seconda volta la scatola, dando così uno sguardo più attento ai due braccialetti che conteneva: erano d’oro bianco, o almeno placcati ed entrambi avevano diversi pendagli formati da cristalli alternati di quarzo e ametista. Li espose alla luce e così si accorse che su ogni pietra era stato inciso qualcosa, davvero un lavoraccio di precisione, forse il loro numero di serie. Erano dei begli oggetti, questo era innegabile, ma perché voleva regalarli a lei e Emily ? Non voleva provarci con Ilaria? E perché insisteva per farle indossare subito il suo?

Tutte le volte che faceva qualcosa per qualcuno, anche insignificante, nella mente dell’interessato spuntava quella odiosa parola: Perché? Orsi si sentiva debole e aveva paura per quelle due ragazze, tuttavia doveva sottostare a quella sottospecie di rituale duello di cortesie. Era una cosa ridicola ! “ Volevo che restasse un segreto, come minimo fino a quando non ci fosse stato un effettivo risultato, ma se insisti: questi due braccialetti sono dei portafortuna molto particolari.” Il corpo di Luke fu straziato da un tremito, ma Lily non se ne accorse. “Le incisioni sulle pietre sono state fatte a mano dagli artigiani del negozio, dovrebbero essere degli amuleti d’amore.” Lasciò la frase in sospeso, sperando che l’amica abboccasse e infatti la vide subito annuire, compiaciuta di se stessa. “Ok, in questo caso lo accetto volentieri: di questi tempi giusto la magia può aiutare una ragazza a trovare l’uomo giusto.” Lei abbandonò il tavolo con movimenti sinuosi e una volta pagato il caffè tornò da Orsi. “Buona fortuna.” Un sussurro seguito da un occhiolino e lui si ritrovò cinto in un abbraccio fugace. “Vado subito da Emily, l’adorerà !Ci vediamo in giro Luke !” Davanti a quel congedo repentino lui non seppe cosa ribattere, in ogni caso quelle due ora erano al sicuro. I colpi di tosse arrivarono all’improvviso e ancora ansimante lui pulì il sangue con un fazzoletto di stoffa. Aspettò qualche minuto, giusto il tempo di normalizzare il respiro, e abbandonò a sua volta il bar.

Lily alzò il braccio sinistro, studiando ancora una volta i riflessi che producevano i raggi del sole che colpivano i cristalli del bracciale e allora sorrise, assumendo l’aria soddisfatta tipica del gatto che si è appena mangiato il topolino. Ancora non capiva come avesse fatto a non arrivarci prima, aveva rischiato di rovinare tutto, ma meglio tardi che mai: i bracciali erano regali d’affetto, simboli di amicizia, e se doveva credere alla storia dei talismani d’amore il resto era abbastanza ovvio: Orsi era interessato all’Ila e ora che quel demente del contadinello era fuori dai piedi non desiderava certo l’apparizione di altri rivali ! In ogni caso, il suo era stato un gesto squisitamente carino.


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CHE DIRE ? Domande ? Risposte?

A questo punto credo come minimo di avervene fatte sorgere tante ! Attendo molto curioso vostri commenti critiche e perplessità !

Alla prossima !

   
 
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