Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: Claire Coen    21/07/2012    1 recensioni
Claire Coen è una ragazza semplice. Ha quindici anni appena compiuti e vive a Bradford, con il padre. Ma improvvisamente l'equilibrio della sua vita pacata e monotona viene spezzato e il destino decide per lei una vita movimentata e piena di difficoltà. Ma sopratutto decide di renderla diversa da chi si aspettava che fosse, tutto questo quando Zayn Malik, un componente di una boyband appena lanciata nel mondo musicale,entra a far parte della sua vita.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Zayn Malik
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Avevo un vuoto dentro di me e non era la fame. Camminavo trascinata da lui, senza nessun mio contributo ad andare avanti, ero flessibile. Quella frase semplice ma precisa uscita dalla sua bocca, era completamente entrata in me e non voleva piu’ uscire. Un coltello dritto nello stomaco, me lo sentivo girarsi e rigirarsi ogni volta che sentivo rimbombare nella testa quella frase, assolutamente piena di verità. Per quale motivo tutto questo dolore per una stupida osservazione? Semplice, ogni parola era vera, nessuno se ne era mai accorto e anche se fosse stato, non hanno mai provato a dirmelo e affrontarmi. Perfino io me ne rendevo conto ma evidentemente non avevo la forza di ammettere che qualcosa non andava in me. Una folata di odore fritto mi attraverso’. Era un locale semplice ricordava i vecchi pub degli anni ’80, i tavoli, le sedie, i banconi e le porte erano tutte di legno chiaro e lucido. Era strutturato tutto con molto ordine e cosa piu’ favorevole non era affollato. Sospirai compiaciuta, c’era un silenzio piacevole, spezzato ogni tanto dal rumore dei bicchieri, il tintinnio delle forchette nei piatti, dove poche persone parlavano sottovoce tranquillamente.
“Benvenuti”- con molta gentilezza, il ragazzo biondo dietro al bancone ci sorrise, mentre lucidava con il panno, i bicchieri già troppo brillanti. “Blaze, oggi ti tocca il turno”- incalzo’ il ragazzo allargando il sorriso amichevolmente.
“Lei è Claire. Mangiamo qualcosa, poi attacco. La lascio nelle tue mani”- rispose Blaze pacato.
Mi girai interrogativa cercando lo sguardo del moro, che mi prese per mano e mi porto’ agli ultimi tavoli, dietro a una colonna di legno, precisamente accanto alla porta del bagno. Mi fece sedere, mentre lui scorgeva dalla colonna verso il ragazzo del bancone e con la mano aperta scandiva senza voce “cinque minuti”.
Mi stavo innervosendo e anche molto. Non riuscivo a capire che cosa intendeva fare Blaze e il solo pensiero di vederlo andarsene e lasciarmi da sola, mi faceva cadere nel vuoto piu’ profondo. Ero agitata e non sapevo neanche il perché, era tutto nuovo per me: lui, il suo lavoro, il locale, il motorino e quella strana sensazione di amarlo da sempre. Mi sistemai nevroticamente i capelli ondulati, mentre Blaze si sistemava al suo posto. Poso’ tranquillo il casco a terra e per rialzarsi diede una botta alla nuca estremamente forte, tanto che il tavolo mi tremo’ sotto gli occhi.
“Aaaaaaah!”- urlo’ il moro.
Scoppiai in una fragorosa risata, mentre Blaze stava ancora chinato sotto il tavolo a lamentarsi e farfugliare cose incomprensibili. Diminuii il volume della mia risata quando non sentii nessuna sua partecipazione e lentamente si ritirava su, fino a permettermi di scorgere il suo viso rosso e impassibile. Mi prese un attacco di paura. Ora cos’è che ho fatto di male? Perché non rideva insieme a me? Di solito su queste cose ci ridiamo sopra e anche con gusto. Vedevo la sua intenzione di dire qualcosa stampata visibile sul suo viso tornato al suo colore naturale. Quel marroncino chiaro.
“Scusa”- dissi con un filo di voce.
“No guarda…”- mi prese la mano poggiata sul tavolo e me la strinse, col viso dolce.
“Ti sei fatto male?”- soffiai mentre allungavo delicatamente la mano verso la sua testa, accarezzandogli veloce i capelli. Per poi tornare furtiva con le mani sulle cosce.
Mi sorrise. E piano si avvicino’ al mio viso, ormai di fuoco.
“Cercavo di restare arrabbiato con te. Ma a quanto pare, non ci riesco.”- mormoro’ Blaze.
Non sapevo se dargli una botta in testa per avermi fatta sentire così in colpa per nulla o abbracciarlo fino a farlo soffocare perché mi sentivo sollevata.
La porta del bagno si spalanco’. Un uomo basso e grasso uscì sistemandosi i pantaloni noncurante della nostra presenza e del nostro disprezzo nei suoi confronti. Ubriaco com’era sicuramente non si era nemmeno accorto di noi. “Senza vergogna proprio”- mormorai tra me e me.
Tornai con lo sguardo davanti a me, dove, invece di trovarmi Blaze, trovai il vuoto. Lo rividi sbucare da dietro la colonna di legno con in mano una targa gialla che appese alla porta del bagno, con scritto: “guasto”.
“Ora possiamo stare tranquilli”- sbuffo’ Blaze sedendosi di nuovo.
“Non mi piace quando ti svalorizzi”- incalzo’ furtivo.
Ci pensai un po’ prima di aprire bocca. Mi stavo convincendo che lui era mio amico. Un amico fidato, mi potevo aprire con lui.
“E’ una cosa che mi riesce bene”- risposi senza pensarci troppo.
“Ti stai svalorizzando”- si lamento’.
“Cosa dovrei fare? Io non ci riesco a trovare qualcosa che vada bene”- dissi secca.
“Sei egoista se fai così. Ecco, l’ho trovato un difetto. Ora ti senti meglio?”- mi provoco’.
“No, per niente”- mormorai a testa bassa. Silenzio. “Ci provero’. Provero’ a non svalorizzarmi e trovare qualcosa di buono in me. Ma non ti garantisco niente”- risposi sconfitta infine.
“Ti ricordero’ ogni volta che serve di quanto sei bella. Questo potrà servirti”- incalzo’ malizioso.
“Non incominciare…”- sbuffai divertita.
“Sei bellissima”- mormoro’ scandendo bene quelle due pacchiane e prevedibili parole. Eppure dette da lui, in quel modo, mi facevano sentire davvero bella. Gli sorrisi. “Ler, devo coprire il turno. Io mangio dopo. Per qualsiasi cosa chiedi a Nathan al bancone”- disse alzandosi e prendendo il casco veloce.
“Ler?!”- chiesi interrogativa.
“Ti da fastidio se ti chiamo in questo modo? Da piccolo non riuscivo a pronunciare bene il tuo nome, piu’ che altro le “c”, così mi è sempre rimasto in mente Ler”- disse divertito.
soffocai una risatina. “Va benissimo”- risposi sorridente. “Io ti aspetto qui eh! No mi abbandonare”- pigolai sarcastica, ma infondo realmente preoccupata.
“Alle quattro e mezza saro’ qui pronto a ingozzarmi e ascoltare tutto quello che avrai da dirmi”- farfuglio’ con le chiavi in bocca mentre prendeva le scatole di pizza e patatine sul bancone per i rispettivi clienti.
Mi alzai seguendolo fino alla porta, vedendolo correre di fretta verso il motorino parcheggiato davanti, nel vuoto del parcheggio assolato. Stava sistemando le scatole della pizza dietro al sedile, avvolgendole con la corda tutte intorno, poi si mise il casco. Ma si volto’, fece marcia indietro e si mise a correre verso di me. Non capivo neanche se era vero o se la mia simpatica testolina si stava immaginando tutto. Mi diede affannosamente un bacio sulla fronte, i suoi tipici baci sulla fronte. Guardai i suoi occhi scuri scusarsi con i miei per quell’inconveniente e poi voltarsi verso il motorino e stavolta partire di corsa.
“VAI PIANO!”- urlai improvvisa, ma ormai troppo lontana per potermi sentire.
Sospirai e senza pensarci corsi dentro. Avevo una fame incredibile. Varcata la soglia della porta, mi fiondai diretta verso il bancone e fissai Nathan senza dire niente.
“Hamburger e patatine?”- chiese timido vedendomi così affamata.
Dai suoi occhi sembrava che aveva davanti a sé un felino affamato e arrabbiato. Mi venne quasi da ridere.
“Grazie”- sospirai soddisfatta. Feci per andarmene buona buona al mio posto, quando mi fermai di scatto.
“Tanto ghiaccio nella Coca Cola, grazie”- protestai ancora voltata, non era il caso di diventare rossa, di nuovo. Lo avrei traumatizzato a vita a quel povero ragazzo.
Un lamento di intesa sentii provenire dalla cucina. Così mi diressi con tranquillità verso il mio tavolo. Mi sedetti e solo in quel momento mi accorsi di essere sola, insieme a una famigliola felice. Le famiglie tipiche, che portano i bambini a mangiare al fastfood per festeggiare qualche evento significativo, un compleanno di solito. Quello pero’ non era un compleanno, era tutto piu’ tranquillo, parlavano educatamente a bassa voce con i genitori, non quei poppanti ormai già troppo grandi per essere chiamati tale che appena fai qualcosa che non gradiscono si mettono a urlare e sbraitare, manco fossero animali. Mi piaceva quella tranquillità e mi piaceva questo locale. Lo avrei sistemato al secondo posto, dopo il lago. Il lago… inevitabilmente ripensai a lui. A quel maledetto che ogni qualvolta pensavo a qualcosa andavo sempre a parare su di lui, mi invadeva sempre i pensieri. A Zayn.

*DADDY’S POV*

La mia mente era piena di quelle meraviglie chiamate macchine d’epoca. Si passava dalla prima creazione all’ultima, tutte meravigliose. Stavo andando dal mio collega Billy per aggiustargli quella meravigliosa Ford Mustang e cambiare i pezzi, ormai troppo vecchi per funzionare, di quell’altra meravigliosa auto, Honda s800. Al telefono mi aveva riferito di andare a prendere un cilindro e l’olio di ricambio, subito dopo essere entrato in città. Non sapevo se sarei stato in grado di trovare un meccanico aperto, ma male che vada avrei chiesto indicazioni. In quel momento ero troppo preso ed eccitato all’idea di toccare auto del genere. Mi sembrava di tornare indietro nel tempo, quando avevo quattordici anni e vedevo affascinato i modellini di automobili nel negozio vicino scuola. La mia faccia spiaccicata contro il vetro che si appannava e quello sfrenato desiderio di comprarle e giocarci. Poi il tutto incorniciato dai numerosi calci nel didietro che prendevo dal proprietario del negozio, ogni qual volta gli sporcavo il vetro appannandolo e sbavandoci sopra. Ripresi coscienza mentre un automobilista mi malediva mentre suonava e mi sorpassava. Cercai di tranquillizzarmi e di concentrarmi sulla strada, ma non ci riuscii per niente. Stavolta il mio distrattore non erano le macchine, era qualcos’altro. L’immagine di Claire e sua madre mentre mangiavano a tavola. Claire, una piccola fagotta di carne viva che non smetteva di muoversi nella culla, la madre che cercava di imboccarla, ma senza risultato positivo, quella piccola peste sputava tutto.

Sbandai. Schiacciai con violenza il freno e mi ritrovai con il paraurti ammaccato in mezzo alla strada. Ancora non riuscivo a connettere, sebbene non avevo battuto la testa, le urla e la confusione mi confondevano. Scesi dall’auto e mi accertai di essere tutto intero. Lo ero. Così girai intorno all’auto fino ad arrivare a un’ auto nera, di quelle belle che possono permettersi in pochi, fumava, nel punto in cui aveva fatto il danno, alla mia auto. Con passo svelto e deciso, mi diressi verso lo sportello del conduttore, dove con mio assoluto piacere scese un ragazzo, abbastanza alto, leggermente scuro di pelle, capelli scuri corti, vestito normale, con una normalissima espressione tranquilla, che mi stava dando ai nervi. Arrivatogli davanti, senza nemmeno ascoltare la sua versione dei fatti, lo presi per il colletto della sua maglia ed inizia a sbatacchiarlo a destra e sinistra con estrema fatica. Ero troppo vecchio e privo di forze e la sua giovinezza in quel caso mi sovrastava di molto. Continuavo comunque a prenderlo a male parole e a maledirlo. Non ce la feci piu’, ero sotto sforzo e mi mancava l’aria, mi fermai a riprendere aria mentre con estrema incazzatura e freddezza lo fissavo. Non era spaventato, ma teneva costante la sua fastidiosa tranquillità.
“Signore . . .”- disse pacato e silenzioso.
Finalmente si era deciso a reagire. Mi aspettavo una serie infinita di contraccambi alle mie crude parole nei suoi confronti e dei suoi familiari, ormai messi tutti quanti in tavola.
“Paghero’ tutto io, mi dispiace per l’inconveniente”- continuo’ affranto.
Rimasi di pietra. Non potevo credere alle mie orecchie.
“No. Non lo accetto, non chiamero’ né polizia, né carro attrezzi. La mia macchina è forte, puo’ ancora camminare”- mi si riempì il cuore di pietà, in fondo anche io ero un padre, così mi misi nei suoi panni.
Sospirai, poi continuai. “Stai bene?”- chiesi con voce paterna.
“La ringrazio di cuore. Sì, sto bene, non si preoccupi.”- era sorpreso del mio atteggiamento e non potevo dargli torto.
“Ti guido fino a casa mia, a Bradford, così ne parliamo e sistemiamo una volta per tutte questa faccenda.”- ormai avevo preso la decisione e non me ne pentii. Il mio sogno era andato all’aria, ma non avevo nessun rimorso, anche io ho un cuore. Chiamai malinconico Billy che con preoccupazione e successivamente dispiacere mi disse che un’altra occasione per me sarebbe arrivata subito. Non gli diedi peso e aspettai il ragazzo che fece una sola chiamata, breve, di un minuto contato. Così mi avvicinai a lui di soppiatto.
“Come ti chiami?”- chiesi timido.
Allungo’ la mano prima di rispondere in segno di cortesia, così glie la strinsi.
“Zayn”- rispose sorridente. “Zayn Malik”- disse infine.
“Piacere, io sono il Signor Coen”- dissi prendendo il piu’ possibile le distanze. “Forza andiamo”- dissi infine sciogliendo la mano dalla sua.
Rientrai in macchina e partii. Mi accertai dallo specchietto retro visore che il ragazzo mi stava dietro. Stavolta la mia mente la svuotai. Non voglio fare il secondo botto.
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: Claire Coen