Fanfic su artisti musicali > SHINee
Ricorda la storia  |      
Autore: Emi Nunmul    22/07/2012    3 recensioni
Chissà cosa fai ora, eh? Tempo fa non avrei avuto dubbi, non so se perché facevamo insieme qualsiasi cosa, o perché, semplicemente, mi tenevi ben informato.
[JongKey]
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
NdA: Sono tipo le quattro di notte, sto ancora patendo per la febbre (Sì, a luglio. LOL), e sono super-rincitrullita. Però no, avevo bisogno di terminare almeno questo lavoro sugli SHINee, o meglio, su JongHyun e Key, anche se, alla fine, mi fa letteralmente schifo. ♥ Non so… Più andavo avanti a scrivere, più mi sembrava di rendermi conto che mi mancano anche quelle minime capacità che credevo di avere. È la prima volta che mi ritrovo a scrivere dopo un sacco di tempo, dopo che pensavo che non sarei mai più riuscita a farlo, però, davvero, morivo dalla voglia di scrivere una qualche idiozia su questi due. Sono a dir poco perfetti. A dir la verità è partito tutto da ieri, quando avevo visto un video in cui Key era particolarmente giù, e si supponeva perché fosse per via del fidanzamento di JongHyun. Poi, stanotte, fra il delirio per via della febbre, fra che ho dormito malissimo, sono finita col sognare che JongHyun, per farsi perdonare, poi faceva domanda d’adozione d’un bambino per lui e Key, ed il che è tutto dire.
In ogni caso, mi scuso se ci sono delle imprecisioni. Non è per nulla uno dei miei migliori lavori –come se poi ce ne fossero di buoni-. È che scrivo sempre di meno e, mancando la pratica, manca il miglioramento. Anzi, sto finendo col retrocedere, ma pazienza. Le critiche, quindi sono decisamente ben accette.
Buona lettura~
















~I’ll save you, so here I am. Again.~



Scriveva. Kibum scriveva un sacco, soprattutto in quei giorni.
Dopo le undici di sera si chiudeva nella sua stanza. In qualche modo, riusciva a sentirsi al sicuro solo lì dentro, seduto alla scrivania di legno, laccata di bianco, accanto alla finestra dove le tende chiare venivano mosse da un vento leggerissimo. Era un ondeggiare che quasi calmava. Per non parlare della luce fioca del lume sul comodino, che rendevano il giallino delle pareti più caldo. E poi una lampada da tavolo lì accanto a lui, decisamente piccola. Voleva evitare il più possibile la luce, che fosse naturale o artificiale, ma, insomma, per scrivere su quel diario ormai usurato, era necessaria.
Ogni tanto si voltava indietro, ancora seduto. Guardava tutte le foto appese per un filo sopra il letto, tenute ferme da delle mollettine colorate. Le foto stesse erano colorate. Prendeva spunto da quelle per continuare a scrivere dei pensieri a caso. Prendeva spunto da quei sorrisi in quelle foto, da quegli occhi, da quei momenti di vita immortalati con la sua polaroid. Foto genuine, allegre che fermavano per l’eternità attimi felici, che a momenti sembravano irreali.


Non credevo che tutto potesse crollare in questo modo, per un nonnulla. Eppure, non avevo mai dato niente per scontato. Lottare per ogni cosa porta a questo: Prender coscienza di ciò che si ha fra le mani. Avrei dovuto aspettarmi di vedere quei sorrisi nelle foto sempre meno vicini, un giorno. Anzi, lo davo per certo. Ed invece, fa malissimo.


Portava la maglietta bianca, quella con su stampata in grande un’etichetta, di quelle con le indicazioni per i lavaggi in lavatrice. La stessa che –con colori inversi- possedeva anche lui. E l’avevano anche indossata nello stesso momento, più di una volta. Ormai, però, Kibum non la indossava quasi da un anno. Solo a casa, quella sera si era concesso lo sfizio di metterla, di prendere a scrivere non per un’oretta, ma per due, forse tre, perdendosi a guardare Seoul fuori dalla finestra, di tanto in tanto. Una Seoul estiva ed in movimento.


Chissà cosa fai ora, eh? Tempo fa non avrei avuto dubbi, non so se perché facevamo insieme qualsiasi cosa, o perché, semplicemente, mi tenevi ben informato.
Mi manchi. Mi manchi un sacco e… ti voglio bene.


Quante cose si erano promessi, di fare insieme? Quante volte si erano ripetuti di essere fondamentali l’uno per l’altro? Il loro era un “Non vado avanti se tu non vieni con me”, e se non mi tieni per mano, se non sorridiamo facendo ogni singola cosa per il gusto di farla. Per il gusto di farla insieme.
C’erano troppe cose che Kibum trovava ingiuste. Tanto ingiuste da fargli venir quasi da piangere. E finì proprio per addormentarsi così, come un sacco di altre volte, chinato sulla scrivania, con la testa poggiata sulle braccia. Dell’inchiostro si sbiadiva, si espandeva in una macchia dal colore un po’ violaceo, per effetto di quelle uniche due lacrime che riusciva a versare.

***


«Kibum, non possiamo andare avanti così.»
Nonostante il tono del leader fosse, come sempre, pacato ed anche preoccupato, si evinceva che iniziava ad esser seccato da tutta quella situazione che, ormai, si protraeva da quasi sette mesi, ed andava pericolosamente peggiorando. Anche se, alla fine, sul palco sembrava tutto com’era sempre stato, sembrava che portassero la solita energia e forza ai loro fan, in realtà non era così. E potevano rendersene conto solo loro, Jinki, Minho e Taemin, interni a tutta quella faccenda che stava finendo con l’intaccarli.
«Così come?»
Dal canto suo, Kibum faceva assolutamente finta di nulla. Poteva sfuggire allo sguardo preoccupato di Minho. Ma a quello indagatore e cristallino del maknae? Povero illuso.
«Dai, lascia stare, Jinki. Passerà.»
E questo è ciò che Minho continuava a ripetere da sin troppo tempo. A dir la verità non ci credeva più nessuno, men che meno lui, che ormai lo diceva solo per abitudine. L’unico che non proferiva parola era il piccolo Taemin; intanto che stavano lì seduti nei camerini, si guardava intorno, mangiucchiava qualcosa, come se non fosse interessato. Per le prime aveva dato sui nervi sia a Minho che a Jinki. Eppure, lui era l’unico a cui Kibum non aveva mai risposto male. Iniziavano a pensare che fosse davvero arrivata l’ora di lasciare perdere, dal momento che non si chiamavano Jonghyun e che, fino a prova contraria, qualunque problema Kibum avesse avuto, questo era sempre stato risolto proprio da lui. Dallo stesso Jonghyun che, col passare dei mesi, era diventato sempre più apatico.
Quel giorno, in particolare, aveva superato il limite. Aveva fatto a dir poco spaventare i suoi compagni con uno scatto di rabbia che non aveva, apparentemente, alcun motivo di sussistere. Aveva dato un calcio ad uno dei divani di pelle del camerino e, con quegli anfibi, c’aveva anche lasciato un segno vistoso. Ed eccoli lì, Jinki e Minho a cercare di calmarlo, nonostante il più piccolo lo facesse in  modo decisamente meno concitato del leader. Non era mai stato tipo da scomporsi troppo, ed in quei mesi aveva trovato il suo ruolo, ovvero quello di tamponare le preoccupazioni sempre crescenti di Jinki.
Ed intanto che Jonghyun era lì, seduto a terra con la testa fra le mani, quei due che gli stavano intorno, Kibum si era acceso una sigaretta, stavolta davanti a tutti, senza problemi. Il maknae, a quella vista, non aveva battuto ciglio, mentre –che strano!- Jinki e Minho erano rimasti sconcertati, ma avrebbero discusso di questo in un secondo momento.

Giugno, quell’anno, si stava rivelando un mese particolarmente caldo e loro, in quel dormitorio con ogni genere di comodità, erano provvisti solamente di due ventilatori che si dividevano ogni sera in base a chi vinceva a morra cinese. Tuttavia, quel pomeriggio che avevano libero –ed aggiungerei anche “miracolosamente”- optarono per passarlo insieme, nel salotto, seduti sul grande divano con entrambi i ventilatori puntati contro. Di colpo sembrarono essersi scordati dell’avvenimento di quella mattina. Non c’erano più Jonghyun per qualche motivo furiosi, né Kibum che fumavano in preda al nervosismo. C’erano solo loro che si prendevano in giro, presi da un videogioco, intanto che bevevano bevande gassate e mangiavano patatine. Almeno fin quando, con aria cupa, Jonghyun non si alzò dalla sua postazione, quella fra Kibum e Minho. E bastò solo quel gesto a far raggelare l’aria, nonostante si rischiasse di arrivare ai quaranta gradi.
Si dispersero nella casa, ognuno a fare chissà cosa. Jinki era in cucina a preparare –insolitamente- la cena, con gesti nervosi, che cercava di nascondere come poteva. Il maknae si era chiuso in camera sua, mentre Jonghyun nel bagno, almeno da mezz’ora. Minho, così come Kibum, era rimasto seduto sul divano, a guardare il televisore ora spento. In quella casa non si sentiva un rumore. C’era solo silenzio. Un silenzio irreale, più assordante delle urla isteriche di Kibum di prima mattina, di quelle di Taemin mentre Jinki o Minho facevano la lotta con lui, ridendo, sul tappeto del salotto, ed anche più assordante delle cantilene volutamente stonate di Jonghyun. E quelli erano tutti suoni che esprimevano vita. Vita che si era spenta.

Ed eccolo lì, il sempre più irascibile Jonghyun, entrare in salone, dirigendosi a grandi passi verso la porta d’ingresso. Ed eccolo lì, invece, il radioso e falso sorriso di Kibum, intanto che si voltava verso di lui.
    «Dove stai andando, Jonghyun-ah?»
    «Se Kyung.»
Una risposta diretta, che non necessitava altre parole per soddisfare la domanda di Kibum, il quale, non appena vide il suo ex migliore amico chiudere la porta in maniera molto poco accorta, riprese a guardare lo schermo nero, incantato. Dentro di sé gridava cose come “Piuttosto, avresti potuto dirmi che ti avevano chiamato per un lavoro urgente” oppure “Avresti fatto meglio a non rispondermi”. E tutte le cose che trovava ingiuste, riprendevano a vorticare pericolosamente nella sua testa. Vorticavano, vorticavano… creavano un buco nero in cui veniva risucchiato lui stesso per primo.
Fu solo un istante, quello in cui si alzò ed andò a chiudersi in bagno. Minho non riuscì a fermarlo…
    «Kibum! Kibum!»
… Neanche chiamandolo a gran voce. Possibile che fosse stato tanto bravo a nascondere quel malessere? Quasi sette mesi che non stava bene e loro non se n’erano accorti. Gli ci volle quello scatto inaspettato per capire che il suo problema, era quello che prima lo aiutava a risolverli.
Lui e Jinki, dopo un po’ che bussavano alla porta, decisero di arrendersi. Kibum non avrebbe di certo lasciato il suo posto su quel freddo pavimento, in quella stanza dove ancora aleggiava il profumo che, qualche minuto prima, il suo ex migliore amico si era curato di spruzzarsi addosso. Solo per lei.
Nonostante sarebbe stato del tutto giustificato un pianto dalle proporzioni epiche –soprattutto dopo la tensione di quella mattina- riuscì a piangere solo le solite due lacrime. Gli veniva da singhiozzare e da sospirare, ma non piangeva davvero.
    «Jjong…»
In compenso, sussurrava il suo nome, anche più volte.
    «Kibummie, mi apri?»
La voce vellutata del maknae lo riportò alla realtà, rompendo quella bolla di sapone dove si stava chiudendo per l’ennesima volta, dove aveva iniziato a vedere dei momenti passati come se fossero sulla pellicola di un vecchio film a bianco e nero. E lo fece entrare, quel piccoletto, che si sedette accanto a lui, appoggiandosi alla porta.
    «È uscito con Se Kyung?»
    «Ne.»
    «Ti piace, hyung.»
    «Non ci provare, Taemin. Non è questo.»
    «Diciamo che è anche questo.»
Aveva sempre voluto un gran bene, a Taemin, dimostrandolo più volte, nel privato e non. Però lo guardò come se avesse voluto tappargli la bocca con dello scotch, o iniziare a prenderlo a schiaffi. In realtà gli era inverosimilmente grato. Gli era grato di essersene stato zitto tutti quei mesi, di essersi fatto gli affari suoi e di aver fatto di quelle sue uscite di tanto in tanto, che avevano avuto nient'altro che la funzione di fargli inquadrare meglio la situazione. Gli era grato anche per non essere come Minho e Jinki. Non che a loro non volesse bene, anzi, però avrebbe preferito che fossero stati di più al loro posto. Probabilmente, se avessero compreso la situazione, se avessero osservato di più –come, a quanto pare, aveva fatto il maknae- non avrebbero reagito a quel modo ogni santo giorno, riprendendolo se si faceva vedere un po’ giù.
Anche a costo di star scomodi, il piccolo Taemin prese la palla al balzo, facendolo dormire con la testa poggiata sulla sua spalla. Si vedeva che aveva già iniziato a sentire il sonno sin da quando era entrato lì, e, alla fine, aveva ceduto completamente.


***


Doveva aver dormito parecchio. Adesso, sdraiato sul suo letto, riusciva a vedere il cielo scuro dalla finestra aperta. Tentò di fare mente locale, chiedendosi, per prima cosa, come ci fosse finito in camera sua se s’era addormentato nel bagno. Era ovvio che qualcuno ce l’avesse portato. Decise che non gli importava e smise di pensarci. Poi si chiese perché si fosse addormentato in bagno. Ah, ecco. Perché c’era corso in preda alla disperazione. Sì, doveva aver dormito decisamente tanto per trovarsi in un tale stato confusionale. Fra le altre cose, si sentiva tutto appiccicaticcio, bagnato, quasi. Faceva davvero troppo caldo, in quel periodo.
Ebbe l’impulso di prendere il cellulare, rimasto poggiato sul comodino per tutto il giorno. Ed ebbe un altrettanto irrefrenabile impulso di prendere a scrivere un messaggio.

    “Dove sei?”

Ed avrebbe avuto tutto il diritto, il suo ex migliore amico, di rispondergli con un “Non sono affari tuoi”.
Solo che gli avrebbe fatto meno effetto, probabilmente, che sentire una voce provenire da lì vicino.
    «Sono qui.»
Stava dormendo, va bene. O, altrimenti, era finito col pensarci davvero troppo, tanto che era arrivato ad avere le allucinazioni. Fra le altre cose, non poteva essere tanto tardi perché lui fosse già tornato e, di certo, non si sarebbe intrufolato in camera sua. Ed il solo pensiero gli dava i brividi. Ormai era diventata off-limits, e l’idea che avesse visto tutte quelle foto appese o, peggio ancora, letto il diario che portava avanti da tre anni, gli faceva raggelare il sangue nelle vene. Ma che dico? Lo rendeva impossibilitato anche a respirare.
In ogni caso, per sicurezza, decise di voltarsi verso la scrivania , sollevandosi appena. Non prevalse il piacere nel vederlo lì seduto, e neanche notò le lacrime che scorrevano copiose sul suo viso. Prevalse la paura sovraumana che avesse potuto davvero leggere qualcosa. Lo faceva sentire colpevole.
    «Ma che ore sono?»
    «Le undici.»
Solo dalla sua risposta con voce spezzata, Kibum riuscì a capire che Jonghyun stava piangendo, proprio lì, alla sedia della sua scrivania. Si mise seduto anche lui, sul letto, a gambe incrociate. Non si fece vedere assolutamente preoccupato né scosso nel vederlo in quello stato, nel vederlo nella sua stanza –dopo non sapeva neanche lui quanto- e, soprattutto, nel sentirlo parlargli.
    «E cosa ci fai già qui?»
Al contrario, voleva sembrare quasi infastidito dal trovarselo davanti.
Jonghyun si voltò verso la scrivania, il diario di Kibum in una mano, e poi portò di nuovo la sua attenzione al più piccolo.
    «Ho finito di leggerlo poco fa.»
Un sorriso era accennato sulle labbra di Jonghyun, intanto che ancora piangeva.
Kibum cercò di darsi un contegno, o meglio, cercò di non alzarsi, strapparglielo di mano e prenderlo a sberle. Tentò di rimanere impassibile quanto poteva.
    «Non ti ho mai dato il permesso. E poi non mi hai ancora risposto.»
L’altro fece semplicemente spallucce, rimettendo il diario al suo posto.
    «L’ho lasciata, Kibum. Domani i manager metteranno su qualcosa per i giornali.»
Il più piccolo spalancò la bocca. Si aspettava l’annuncio di nozze imminenti piuttosto che quello. Per carità, non che non l’avesse desiderato –e solo Dio poteva sapere quanto- ma la cosa l’aveva talmente tanto spiazzato che non riuscì a godere del momento neanche per un istante.
    «Di tutte le idiozie che hai fatto, questa è la peggiore.»
Jonghyun sospirò, portando una mano sul viso, l’aria evidentemente provata.
    «Ascolta, se tutte le cose che hai scritto qui me le avessi vomitate addosso tempo fa, avrei evitato un altro tipo di idiozia. Neanche mi rendevo conto di starvi per perdere.»
“Starvi per perdere” si ripeté Kibum nella mente. Nel caso di Jonghyun, si disse che era solo un bene se fosse come Jinki e Minho, se non avesse visto più in là come aveva fatto Taemin.
Annuì, semplicemente per il fatto che non sapeva bene cosa rispondere. Anzi, più che altro è che non aveva voglia di rispondere. E Jonghyun, con un grande sforzo nel mettere insieme due parole serie, tentò di riprendere il discorso.
    «Mi dici cosa trovi di ingiusto?»
    «Te le griderei tutte dietro, ma non è il caso.»
    «Fallo.»
Si imbronciò al pari di un bambino, Kibum, per non parlare degli occhi che sentiva inumidirsi. E no, non fece scendere le solite due lacrime, ma un fiume che non riuscì a controllare neanche con tutta la forza di volontà. Prese uno dei cuscini lì da parte e glielo lanciò dietro, quasi alla cieca, ma andò a segno. L’avrebbe picchiato volentieri.
    «Io ti uccido, Kim Jonghyun!» gridò letteralmente, ed intanto prendeva a singhiozzare.
L’altro, col cuscino fra le mani, era rimasto con la bocca aperta, come al solito, formando una perfetta ‘o’ ed assicurandosi una faccia da mentecatto, cosa che mandò ulteriormente in bestia Kibum.
    «E tu ti rendi conto che quella lì, per sette mesi, ha avuto la possibilità di trovarsi quella faccia da idiota davanti più di quanto non facessi io, eh?! Un idiota sei, Kim Jonghyun, sei un idiota e nient’altro!»
Dato l’input per iniziare a sputar veleno,  probabilmente nessuno avrebbe potuto più fermarlo.
    «Ma che ti credevi? Che potesse starti dietro come me? E che potesse avere la pazienza di ricordarsi tutta la tua vita a memoria come ho fatto io, accidenti?! Oppure vuol dire che sei un bugiardo e sparavi idiozie dicendo che eri felice solo accompagnandomi al centro commerciale, dato che ti sei rimangiato tutto senza il minimo problema.»
Era vero. Era scappato da quella bella attrice di colpo, volendo come cancellare anni ed anni di intensa amicizia con colui che gli stava gridando fra le lacrime. A dir la verità, non era proprio amicizia. Stava diventando un rapporto di simbiosi, quasi.
    «Tu dicevi che non t’andava neanche di fidanzarti perché tanto bastavo io e non t’andava di rischiare di “distrarti”. Ed avevi anche detto che avresti voluto andare ad abitare insieme, "‘Fanculo al dormitorio!"»
In tutto questo, Jonghyun teneva la testa bassa.
    «Ti pare giusto che io sia stato privato dell’unica cosa che mi salvava? No, non lo è stato, anche perché chi si è preso tutte le priorità che avevo io non ti avrà certamente visto allo stesso modo in cui lo facevo io, e non si sarà neanche sforzato di farlo, come facevo io. Io, io, io… Io! Io ho fatto un sacco di sforzi per te, per noi, e mi hai anche ripagato bene! E tutti quei discorsi sull’essere diversi dagli altri perché si ha qualcuno a cui si vuole bene come lo facevamo noi? Al diavolo pure quelli! Mi hai riempito di tutte quelle belle storielle sul fatto che saresti riuscito a farmi credere in qualcosa e poi sayōnara, adios! Adesso esci.»
Terminata quella raffica di parole taglienti, dette con una velocità che avrebbero fatto annodare la lingua a chiunque, Kibum si stese nuovamente sul letto, girato su un fianco, in modo da non vederlo.
    «Kibummie…»
Ed eccolo lì scattare seduto nuovamente, pronto a gridare, incurante –nonostante cosciente- del fatto che ci fossero tre attenti ed incuriositi ascoltatori dietro la porta.
    «Non chiamarmi Kibummie!»
    «Kibum…»
    «Non chiamarmi!»
    «Ma…»
    «Esci!»
    «Ma ascoltami, porca miseria!»
    «No, e vedi di uscire da qui, pezzo di idiota!»
A giudicare dai rumori udibili dall’esterno, qualcuno o qualcosa doveva essere caduto a terra. Successivamente videro la porta spalancarsi con un Jonghyun appeso alla maniglia che poi, semplicemente, iniziò a correre verso la sua stanza, seguito da un Kibum a dir poco furioso.
    «Chiedimi scusa! Adesso!»
Intanto che stava sulla soglia, ricevette un cuscino addosso, e poi un altro.
In tutto quel caos, Minho, Jinki e Taemin, optarono per riunirsi in cucina ed ordinare da qualche ristorante giapponese aperto, per la prima volta in tranquillità, dopo mesi e mesi. Sentire tutto quel chiasso estremamente familiare, gli aveva fatto passare la tensione accumulata in tutto quel tempo.
    «Io ti ammazzo. Giuro che ti ammazzo!»
Generalmente, oltre al gridare, e al fare qualche mossa, Kibum non amava scomporsi più di tanto. Eppure si spinse oltre, scagliandosi sul letto del più grande e, di conseguenza, addosso a lui, senza risultare troppo delicato. Tentò di dargli sulla spalla qualcosa che dovevano essere pugni, ma, un po’ perché non voleva realmente fargli male, un po’ perché gli mancava la forza, non risultò altro che solletico, sulla pelle di Jonghyun, che, invece, si stava lamentando per la botta che gli aveva dato sul fianco con un gomito.
Lo strinse per le spalle, non riuscendo a trovare altro metodo per tenerlo fermo. Andò a finire in un abbraccio, gesto che non si scambiavano da troppo tempo. Bastò anche per far stare zitto Kibum, il quale riprese a piangere, sicuramente meno forte di prima. Tirò anche un profondo respiro, come se, finalmente, avesse trovato un po’ di pace. Non era sicuro di quante volte avesse sognato di potersi sentire nuovamente abbracciare da lui. Quel gesto era, per lui, il metodo di conforto per eccellenza, solo se proveniva da Jonghyun, e, le sue braccia, diventavano rifugio –sicuramente molto più della sua stanza in quell’ultimo periodo-. Quante volte gliel’aveva ripetuto? Non si poteva neanche contarle, ma, a quanto pare, era finito ugualmente col dimenticarsene.
    «Dormiamo insieme, dopo?» propose Jonghyun con tranquillità.
Nonostante quelle parole fossero all’ordine del giorno, tempo prima, in quel momento suonarono completamente nuove alle orecchie di entrambi.

    «Ne.»
Non aggiunse altro, Kibum, semplicemente perché gli sembrava superfluo, o perché, con quanto aveva il cuore a mille, sprecare un po’ più di ossigeno per due parole, avrebbe voluto dire fargli venire un infarto.
Poté giurare, fra l’altro, di non aver visto più quel bel sorriso radioso che solo Jonghyun sapeva fare, da almeno un secolo. Gli era sembrato davvero un tempo infinito. Si erano spenti entrambi, da quando si erano distanziati tanto.
Si disse che aveva fatto bene a non nascondere quel diario.

Ed eccolo, il solito bacio a fior di labbra che Jonghyun si concedeva di dargli quando non c’erano telecamere. Bacio che non aveva mai avuto alcun significato, se non lo stesso di un abbraccio dato all’unica persona in grado di renderlo un umano meno imperfetto rispetto agli altri.
    «Siamo tornati, Kibummie.»
   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > SHINee / Vai alla pagina dell'autore: Emi Nunmul