Storie originali > Giallo
Segui la storia  |       
Autore: JulietAndRomeo    22/07/2012    1 recensioni
Io rimasi un attimo interdetta: Nick? Quel Nick? Il figlio di Jeremy? Il tipo che avevo odiato a prescindere?
Come se ci fossimo letti nel pensieroci girammo l'uno verso l'altra: «Cosa?»
«Sta zitto!», «Sta zitta!» urlammo all'unisono e continuammo: «Io?»
«Tu!»
«No!»
«No?»
«Si!»
«Smettila!» concludemmo.
questa è la prima storia che scrivo e l'ho fatto per un concorso letterario a scuola quindi non so neanche come è venuta: la pubblico perché mi piacerebbe avere un vostro parere, non so ancora quanto sarà lunga perché il concorso sarà a settembre quindi devo ancora finirla. E' un giallo/commedia perché non piacciono neanche a me le cose troppo pesanti da leggere quindi l'ho 'alleggerita'. Non vi chiederò un commento, quello deve essere a vostro buon cuore. Adesso vi lascio, buona lettura
Genere: Commedia, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 11: La legge di Murphy.

«No! Ti ho detto di no! Significa no! Scordatelo!».
«Non puoi costingermi a stare qui!».
«Si che posso, fidati, e lo farò!».
«Non ti permetto di dirmi quello che devo e non devo fare! Chi ti credi di essere?».
«Qualcuno che si preoccupa per te! Non verrai con me al distretto, né oggi né domani, mettitelo bene in testa! E questa è la mia ultima parola, non provare a contraddirmi!» dissi andandomene e sbattendo la porta della cucina alle mie spalle.
Io e Nick stavamo discutendo da circa venti minuti pieni sui diversi motivi pe i quali lui avrebbe dovuto seguirmi alla stazione di polizia, nonostante avesse ancora qualche sintomo del trauma cranico.
Attraversai la cucina come fossi un fulmine e andai in garage.
Quando uscii di casa, ancora leggermente arrabbiata, mi fermai in un piccolo bar, a metà strada tra casa e il distretto.
Ordinai un thé freddo e mi sedetti ad un tavolino: un ragazzino di circa dieci anni, seduto dietro di me, stava attentando alla mia salute mentale continuando ad urlare come un ossesso. Sbuffando, sopportai i primi due minuti di urla, dopodiché mi girai di scatto: «Hey, ragazzino, mi spieghi che problema hai? La vuoi smettere di urlare? La fidanzatina ti ha lasciato? Fidati ha fatto bene, voi uomini siete uno più deficiente dell'altro chissà che non fate a gara... ne troverai comunque un milione di altre che ti vorranno, quindi smettila di violentarmi le orecchie!».
«Ma come si permette? E che ne vuole sapere lei della fidanzata di mio figlio?» disse la madre del 'bambino' imbufalita... che a pensarci adesso, sembrava anche un bufalo.
«Invece di sgridare me, che non sono neanche una sua conoscente, perché non sgrida quel mostriciattolo di suo figlio?».
La donna mi guardò risentita, pagò il conto e lasciò, insieme al figlio, il bar.
Finii il mio thé nel silenzio più assoluto e appena dopo cinque minuti dalla mia entrata, stavo già uscendo.
In pochi minuti ero già nel parcheggio del distretto, intenta a sottopormi alle occhiate divertite dei diversi agenti.
'Che hanno da ridere? Ok, il mio aspetto non è dei migliori, ma non sono così orribile!' pensai.
Arrivai alla scrivania dell'ispettore, aspettandomi di vederlo lì, ma non trovai nessuno tranne la scrivania piena di oggetti sparsi qua e là.
Cominciai quindi a cercare dell'ispettore Lewis o degli agenti con lui: «Avete per caso visto Lewis? O dei tipi alti, con l'espressione sempre scura in viso come quella di chi ha il morto in mezzo al salotto?» chiesi a due donne sulla trentina.
«No, ci dispiace, ma tu dovresti imparare a tenere a bada i tuoi cagnolini» dissero ridendo.
Con un'espressione interrogativa in volto, proseguii nella mia ricerca: dopo pochi minuti, in un'ala più appartata del distretto, trovai Lewis, Miller e Anderson.
Stavano parlottando sottovoce tra di loro e avevano tanto l'aria da cospiratori. Gli andai alle spalle e mi schiarii la voce, facendoli sobbalzare: «Che state facendo?» dissi scandendo bene le parole.
«Oh, Cullen, mi chiedevo quando sarebbe arrivata» disse sarcastico Anderson.
«Si, si, rida pure di me, dato che mi trova tanto divertente non le interesserà sapere le mie teorie» dissi snobbandolo.
«Ma a me importano, Cullen, quindi ce le esponga» disse Miller.
«Non qui, ci dobbiamo spostare».
Mentre finivo la frase e vedevo Lewis annuire, colsi un leggero moviemento alle spalle di Miller.
Quando questo si fu spostato, mi apparve Nick, in abiti casual, che mi guardava con aria di scuse.
Mi tornò allora in mente la frase di quelle due galline in divisa: 'Dovresti imparare a tenere a bada i tuoi cagnolini'.
«Con te facciamo i conti dopo» dissi sbuffando e indicando Nick con aria minacciosa.
Lui deglutì, ma non fiatò.
Cominciammo a seguire Lewis che tra di noi conosceva al meglio il distretto: ci fece attraversare corridoi e stanze ed infine aprì una porta.
La 'stanza' che ci si presentò davanti, non poteva vantare neanche la definizione di 'stanza': era un cubicolo di 2 metri per 2, che sembrava ancora più piccola a causa dello scaffale sulla parete destra, della macchina fotocopiatrice sul fondo e di un distributore d'acqua sulla parete sinistra. Una lampadina pendeva dal soffitto e illuminava fiocamente lo sgabuzzino in cui Lewis ci aveva portati.
«Questa è la 'sala fotocopie' come la chiamiamo noi» disse facendo un ampio gesto del braccio che intendeva mostrarci l'ambiente.
«'Sala'? Voi questa la definite 'sala'?» chiese Anderson.
«Esatto».
«Perché ci ha portati qui? Non potevamo parlare in sala riunioni?».
«No, ha fatto bene a portarci qui» intervenni io.
Quattro paia di occhi (anche quelli dell'ispettore) mi fissarono sconvolti. Poi Miller prese la parola: «Non capisco, si spieghi».
«Entrate, svelti» dissi guardandomi intorno come una ladra.
Quando tutti furono entrati, mi affacciai e diedi un'ultima occhiata fuori dalla porta, per poi richiudermela alle spalle.
«Cos'è questa storia?».
«Ha fatto bene a portarci qui, ispettore, questa è l'unica stanza senza telecamere di sicurezza e poi, nessuno sa chi siete, se vi vedessero troppo tempo in giro si insospettirebbero» conclusi rivolgendomi a Miller e Anderson.
«Io in realtà volevo scherzare, stavo per portarvi in sala riunioni» disse l'ispettore.
«Invece ha fatto bene. Ho motivo di credere che ci sia una talpa nel distretto».
«Cosa?!» esclamarono tutti in coro.
«Si esatto. Partiamo dal principio e vi spiegherò, se avrete domande, fatele alla fine».
Tutti annuirono e cominciai: «I nostri criminali, sanno troppe cose, cose che non potrebbero sapere se non avessero un qualche tipo di informatore. Sapevano che io e Nick stiamo collaborando al caso, ma nessuno oltre agli agenti sapeva questo piccolo particolare. Sapevano anche in quale ospedale, con tutti quelli che ci sono a Los Angeles, era stato portato Nick, e sapevano anche in quale stanza, cosa che sapevamo solo noi. Attenzione, non sto dicendo che la talpa è tra di noi o non vi avrei portati qui, sto dicendo che probabilmente il suo telefono, ispettore, è controllato e probabilmente qualcuno origlia le sue telefonate. Sono stata anche propensa a pensare che qualcuno di noi avesse una cimice addosso, ma le cimici agiscono su una frequenza limitata, che al massimo arriva a 150 metri, quindi è improbabile che ci seguano con un furgoncino, che contiene l'attrezzatura di rilevamento, o me ne sarei accorta. Tra l'altro, non credo che usciate sempre con gli stessi vestiti, quindi visto che la cimice non può muoversi da sola, non è questo il trucco che stanno usando per gabbarci. Vi consiglio di parlare il meno possibile sia al telefono che davanti a terzi, io e Nick siamo bruciati, ma non sanno ancora della presenza della C.I.A. e dell'F.B.I. Tutto chiaro?».
Tutti annuirono e quindi proseguii: «Domande?».
«Io ne avrei una» disse Anderson: «Come faremo adesso ad anticiparli? Devono ancora arrivare i risultati sull'identità dell'ultimo corpo, o meglio del primo, e prima di arrivare a noi, passeranno nelle mani di molti tecnici: qualcuno di questi potrebbe essere la spia».
«Vero, ma dobbiamo rischiare: non possiamo permettere di scoprirci troppo. Non sanno che abbiamo intuito qualcosa, quindi in un certo senso siamo un passo avanti a loro».
«Ok, ma...».
Anderson si zittì improvvisamente e, proprio come me, smise di respirare: «Abbiamo un problema» disse lui.
«Arriva qualcuno» proseguii io.
«Che facciamo?» chiese Miller.
«Ho un'idea, qualcuno di voi ha dieci dollari?» domandai.
Tutti mi guardarono come se fossi stata pazza, cosa che ultimamente succedeva spesso: «Sul serio, qualcuno di voi ha dieci dollari?» sussurrai concitata.
«Io» disse l'ispettore incerto.
«Bene, me li dia, in fretta per favore».
Lui aprì il portafogli e mi diede una banconota stropicciata.
«Bene adesso, Miller, si accucci dietro il dispenser dell'acqua; Anderson, lei dietro lo scaffale; ispettore, lei è il più... piccolo come statura tra di loro, si nasconda dietro me e Nick» tutti annuirono e si posizionarono: «Tu stai al gioco» dissi al mio amico.
Lui annuì incerto e, dopo aver spento la luce della 'stanza', attendemmo che il tizio entrasse.
Un secondo prima che l'uomo aprisse la porta, attirai Nick verso di me e lo baciai.
Non fu niente di dolce e non fu neanche un bacio approfondito: durò meno di un secondo, giusto il tempo perché l'uomo appena entrato dicesse: «Che state facendo voi due qui?!».
Allontanai Nick da me, spingendolo dal petto: «Oh, ci scusi, ma sa siamo giovani e a volte non resistiamo, anzi, perché non va a fare colazione al bar qui di fronte e ci lascia in pace per altri cinque minuti? Le prometto che quando tornerà, saremo già andati via» dissi sorridendo.
«Io... beh...».
«Pago io, lei faccia con comodo» proseguii mettendogli i famosi dieci dollari in mano.
«Ok, ma...».
«Si si, adesso vada, il mio ragazzo non ne può più. Non so se mi capisce» dissi sbattendogli la porta in faccia.
Quando sentirono i passi dell'uomo allontanarsi, tre teste divertite si voltarono verso di me, l'altra, scioccata, stava ancora guardando la porta chiusa oltre la quale l'uomo era sparito.
«Ottima interpretazione, Cullen» disse Anderson.
«Mi deve dieci dollari» disse l'ispettore.
«Non riesce a resistere più vero, Black?» proseguii Miller ridacchiando: «Black» disse incerto l'agente, battendo un colpo sulla spalla di Nick.
Quest'ultimo si girò piano verso di noi e disse: «Sei per caso diventata scema?! Potevi dirmelo!».
«Non avresti mai acconsentito. E comunque, tranquillizzati, la tua ragazza non lo verrà a sapere».
«Io non ho una ragazza e non ero preoccupato per questo!».
«Possiamo parlarne dopo? Adesso abbiamo altre cose da fare, prima che quel tizio torni».
«Come ci muoviamo?» disse l'ispettore.
«Per ora non muoviamoci in nessun modo. Dovete solo stare attenti a non rivelare la vostra identità e a non dare troppo nell'occhio. La cosa più importante adesso è tenere gli occhi aperti e non fidarsi di nessuno che non sia qui dentro».
Tutti tacquero per qualche secondo: «Abbiamo un bel problema» ammisi a voce bassa.
«Oh, davvero» risposero tutti.
Lo dissero tutti con un tono diverso: l'ispettore sconsolato, Miller affermativo e Anderson sarcastico. Solo Nick stava in silenzio.
Uscimmo dallo sgabuzzino ad uno ad uno, senza farci vedere.
«Noi torniamo a casa, ispettore, quando avrà notizie mi chiami, ma non mi dica quali sono».
«Bene» rispose l'ispettore.
«Andiamo» dissi facendo un cenno a Nick.
Lui mi seguì come un'automa, con sgardo vacuo e indecifrabile.
Confesso che se non mi fossi costretta a rimanere lucida, avrei avuto la stessa espressione. Mi sentivo leggermente confusa, quasi stordita, eppure non avevo bevuto niente!
'Magari è stato... no, non è possibile sia stata colpa di quel bacio' cercavo di convincermi: 'Nick è un amico'.
Arrivammo al parcheggio e, appena uscita, andai verso sinistra.
«La macchina è da questa parte» disse Nick, indicando la BMW parcheggiata dalla parte opposta rispetto a quella che avevo preso io.
«Oh, si... giusto» dissi incolore.
Durante il tragitto in macchina nessuno dei due fiatò: per quanto mi riguarda ero completamente persa in un altro mondo.
Arrivammo in pochi minuti e poco prima di entrare notammo una figura vicino alla porta d'ingresso principale: una ragazza con i capelli rossi.
'Qualcuno mi dica che è uno scherzo!' pensai irritata.
«Credo che dovrei scendere qui» disse Nick.
Io grugnii in risposta e accostai.
Quando la rossa ci vide si illuminò: «Ciao, Macy, come stai? È davvero tanto tempo che non ci vediamo! Io sono venuta a trovare il mio Nick!» disse attaccandosi come una piovra al braccio del suddetto ragazzo.
Senza degnarla neanche di uno sguardo, proseguii in direzione del garage.
Dopo aver parcheggiato, obbligai le mie gambe a camminare fuori dal garage e a salire le scale.
«Non può andare peggio» mormorai.
Poi mi vennero in mente la legge e i corollari di Murphy: 'Se qualcosa può andar male, lo farà'.
Arrivai dietro la porta del salotto e sentii la piccola oca piagnucolare: 'Magari la sta lasciando' pensai gongolando.
Mi accucciai dietro la porta e, dopo aver recuperato un bicchiere in cucina, lo appoggiai sul legno per poter sentire meglio: «Capisci? Non so che fare!» diceva lei.
«Mi dispiace, ma io che posso fare, Tiffany?» diceva lui.
«Non lo so. Speravo tu potessi mandarmi da qualcuno, non so dove sbattere la testa».
'Ma di che diavolo stanno parlando?'.
«Ehm... io veramente avrei un'idea, ma devo chiedere a Macy» rispose lui.
'Chiedermi cosa?' mi domandai preoccupata.
Prima che potessi muovere un muscolo, sentii i passi di Nick avvicinarsi alla porta e entrai nel panico. Lui aprì la porta e io ruzzolai dentro la stanza, finendo a gambe all'aria ai piedi del mio amico.
«Che stavi facendo?» chiese lui con aria interrogativa guardandomi dall'alto in basso.
«Oh, beh... io stavo... cercando... un orecchino» dissi facendo una pausa ad ogni parola.
«Tu non porti orecchini, dici sempre che ti danno fastidio».
«Infatti non era mio, ma della signora Smith» mentii.
«Capisco. Alzati, andiamo nello studio, devo chiederti una cosa».
Rivolsi un'occhiata alla rossa svampita dietro Nick e quando lui si mosse, io gli andai dietro.
Entrammo nello studio e lui prese un bicchiere dal mobile bar e mi versò due dita di whiskey.
«È così grave la cosa?» dissi allarmata.
«Come?» rispose lui.
«Mi stai dando del whiskey, sei contrario di solito agli alcolici, e le poche volte che mi hai versato del whiskey, mi hai detto cose che potevano nuocere gravemente al mio stato Zen. Quindi: è grave?».
«Io non so come la prenderai. Tra le altre cose niente è sicuro, devi decidere tu».
Io buttai giù d'un fiato il liquido ambrato: «Parla».
«Siediti» lo guardai preoccupata e continuò: «Fidati, è meglio così».
Feci come mi aveva detto e lo fissai in attesa di una risposta.
«Tiffany è stata sfrattata dal padrone del palazzo in cui abitava».
Io annuii e dissi: «Beh, mi dispiace, ma io che c'entro?».
«Dovresti...».
«Ho capito: vuoi che chiami quel tipo e lo minacci di ridarle la casa?».
«No, veramente dovresti...».
Io scoppiai a ridere quando un pensiero folle mi attraversò la testa e sempre ridendo dissi: «Stai, ahahah, per dirmi... che, ahahah, dobbiamo ospitarla qui? Ahahah!».
Lui tacque e io smisi di ridere: «Ti prego, dimmi che ho detto una serie di cazzate. Ti scongiuro».
«Veramente è proprio questo che volevo dire» disse incerto.
«Oh, per le mutande con gli orsetti di Bush! Dimmi che sta per apparire una telecamera dal nulla e Ashton Kutcher che urla che sono su ''Punk'd''»* dissi disperata.
«No» mormorò flebile.
Mi lasciai affondare sulla poltrona e, con gli occhi chiusi, presi un bel respiro profondo, tentando di visualizzare tutte le possibilità che avevo per togliermi quella Piattola dalle scatole.
«Non ha altri parenti?» chiesi speranzosa.
«No. Tutti quelli che ha vivono in Inghilterra».
Mi ritrovai a pensare a quanto odiassi 'l'America Senior'.
«Non può cercare un'altra casa?».
«Sta facendo proprio questo, ma nel frattempo non ha dove andare».
«Ashton, dove sei?» gemevo disperata.
Dopo qualche secondo, mi rialzai e, sapendo che me ne sarei pentita, dissi: «E va bene. Ma a patto che si trovi in fretta un'altra sistemazione» dissi frenando l'entusiasmo di Nick.
«Assolutamente».
«Ok. Puoi andarle a dare la buona notizia e poi avverti la signora Smith».
«Perché non la avverti tu?».
«Per tre semplici motivi: #1 è una tua amica e io non muoverò le chiappe da qui per lei; #2 alla signora Smith non piacciono gli estranei; #3 la signora Smith è un tipo molto irascibile a volte e non ci tengo a vederla arrabbiata».
Lui deglutì a vuoto e, annuendo, uscì.
Mi lasciai cadere sulla famosa poltrona: 'Tanto peggio di così non può andare'.
L'avevo pensato anche prima però.
Tornai in salotto e un tornado rosso mi investì: «Grazie, grazie, grazie, grazie» continuava a ripetere baciandomi le guance come un cane.
«Io... non... perfavore... allontanati...» dicevo tentando di allontanarla.
«Oh, sei così buona! Grazie!».
«NICK!» ruggii io, quando realizzai di non potermi liberare da sola.
Sentii la porta del salotto aprirsi, una lunga serie di imprecazioni e dei passi frettolosi nella nostra direzione.
«Tiffany, sta ferma!».
Lei parve non sentirlo.
«Tiffany, lasciala respirare!» diceva Nick tentando di togliermela di dosso.
Ma lei continuava a sbaciucchiarmi e a ripetere 'grazie'.
Dovete sapere, miei cari lettori, che ancora oggi, se qualcuno mi dice 'grazie', corro a nascondermi dietro Nick. Si, lo so è infantile, ma credo di avere un disturbo post traumatico parecchio grave.
«Tiffany, smettila!» urlò Nick e poi dopo qualche secondo riprese: «Hey, guarda, Tiffany! Ci sono i saldi!».
Lei come un segugio da caccia alzò lo sguardo e cominciò a saltare in tondo chiedendo dove fossero. Io non persi tempo e corsi a nascondermi dietro il mio amico. Quando lei smise di saltare e si accorse della mia assenza, disse: «Dov'è Macy?».
«Di sopra. È andata a preparare la tua stanza».
«Oh, che carina! Devo ringraziarla!» disse lei, avvicinandosi a Nick quasi fluttuando nell'aria.
Appena fu abbastanza vicina, le ruppi in testa un vaso che trovai lì vicino. Nick mi guardò sconvolto e io risposi: «Mi avrebbe attaccata di nuovo. Falla... riposare. Portala di sopra!» dissi vedendolo allontanarsi.
Nick la guardò, alzò le spalle e disse: «Sta bene lì dov'è».
«Ma scusa, lasci la tua ragazza svenuta sul pavimento?» dissi incredula.
«Lei non è la mia ragazza».
Io alzai un sopracciglio.
«Davvero. Lei non è la mia ragazza! Sono stato con lei una sola volta e dal quel momento mi si è appiccicata addosso come un adesivo!».
«Perché non ti credo?».
«Perché sei troppo testarda?».
«Può darsi. Io salgo di...» non ebbi il tempo di finire la frase che suonarono alla porta.
«Lascia, vado io» dissi a Nick.
Lui annuì e raccolse Tiffany da terra per non farla vedere al nostro visitatore.
«Devi raccontarmi come l'ha presa la signora Smith» dissi sorridendo nella direzione di Nick, prima di aprire la porta.
Il sorriso scivolò via dalla mia faccia appena notai la persona alla porta.
'Se qualcosa può andar male, lo farà'. Maledetto Murphy!
Degli imbarazzanti minuti di silenzio avvolsero me e la persona alla porta, prima che Nick, tornato dalla camera di Tiffany, senza di lei ovviamente, lo interrompesse: «Hey, chi è alla porta?».
«Nessuno» dissi riprendendomi e sbattendo la porta in faccia alla persona in piedi sullo scalino d'entrata.
«Lasciami entrare, Macy, ti prego. Devo parlarti» disse la voce.
«Hey, ma che fai?».
«Chiudo per non far entrare lo sporco in casa» dissi fredda.
Lui aprì la porta e, dopo essersi scusato per il mio comportamento, fece entrare la donna in salotto.
«Mi dispiace ancora, signora...».
«Jennings».
Nick si immobilizzò al centro del salotto: «Jennings?».
«Mia figlia ti avrà parlato di me».
Io ringhiai pericolosamente all'appellativo 'figlia', ma non accennai a muovermi dal posto in cui mi ero inchiodata.
«Che ci fate qui?» sibillai.
«Sono venuta per avere notizie sul caso e...».
«Sareste dovuta andare alla polizia, non da me».
«... e per parlare con te di... noi».
«Punto primo: non potete recuperare quello che 'noi' non abbiamo mai avuto, quindi mettetevi l'anima in pace; punto secondo: come vi siete procurata il mio indirizzo?».
«L'ho trovato sull'elenco telefonico. Mi dispiace averti abbandonata, ma non potevo andare più avanti per colpa della...».
«Fama? Quale? In ogni caso, non mi importa, non voglio sentire le vostre cazzate, non me ne faccio niente, proprio come non me ne faccio niente delle vostre scuse».
«Ma io voglio spiegarti».
«Io non voglio sentire però e adesso fuori da casa mia, mi state insudiciando il tappeto».
«Non permetterti di parlarmi così, sono sempre tua madre!».
«Peccato che non mi importi neanche questo» dissi guardandomi le unghia con indifferenza.
«Sei solo una piccola ingrata».
«E di cosa dovrei ringraziarvi? Di avermi rovinato la vita? Di avermi fatto passare un anno in una clinica? Di avermi fatto sfiorare il suicidio? O di avermi fatta sentire sbagliata per tutta la vita?».
«Io...».
«Un cazzo! Fuori da questa casa! Se volete informazioni su quel crimiale del vostro defunto marito andate alla polizia, non cercatemi mai più. Anzi, fatelo solo quando sarete in punto di morte: verrò al vostro capezzale per augurarvi un trapasso lento e doloroso e, quando sarete spirata, chiamerò l'intera Hollywood per organizzare un festino» ghignai.
Mi guardò con gli occhi lucidi di lacrime e andò via, chiudendosi alle spalle la porta di casa.
Mi buttai sul divano come se fossi stata svuotata di ogni energia e mi appoggiai alla spalla di Nick, che aveva appena preso posto accanto a me. Nessuno dei due proferì parola per lungo tempo.





* Punk'd è un programma di MTV, condotto da Ashton Kutcher, dove si fanno scherzi alle celebrità.


Perdonate il mio imperdonabile ritardo e perdonate anche il gioco di parole, sono stata un tantino impegnata xD
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Giallo / Vai alla pagina dell'autore: JulietAndRomeo