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Autore: Son Of a Bitch    23/07/2012    3 recensioni
"Avevo un disperato bisogno di essere ricordato. Avevo bisogno che qualcuno sapesse che io ero lì, che c’ero ancora. Avevo attraversato il tunnel e ora mi ritrovavo proprio alla fine, al capolinea. Volevo soltanto avere ricordi felici prima di andarmene, ma nessuno sembrava impegnarsi per questo. Non volevo una casa, non volevo regali per il mio compleanno. Volevo soltanto essere ricordato."
Una one-shot che ho scritto un po' di tempo fa. Descrive la terribile paura dell'essere dimenticato di Dean, e l'amore impossibile con una donna che non potrà mai amarlo completamente.
Spero vi piaccia!
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dean Winchester
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Terza stagione
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Buon compleanno Dean Winchester!

Erano settimane che non vedevo la luce del sole, non respiravo aria fresca e non guidavo la mia Impala. A dire il vero, mi ero così abituato a quell’odore pesante di vernice che lo trovavo addirittura piacevole. Passavo intere ore ad occuparmi della mia nuova casa, a definire gli ultimi ritocchi. Da un paio di giorni, infatti, avevo iniziato a pitturare le pareti del nuovo appartamento, un suo regalo.“Vorrei poter fare qualcosa per te, Dean.” -Mi disse lei.- “Per tutto questo tempo ti sei occupato di me e io voglio dimostrarti la mia gratitudine.” Io avevo già in mente un paio di idee, ma ovviamente tenevo sempre per me i miei pensieri perversi. “Non l’ho fatto per ricevere qualcosa in cambio, Daphne. Non sono quel tipo di persona. Se ti sono stato accanto tutto questo tempo e ti ho salvato la vita un paio di volte, è perché sono un cacciatore e da te mi aspetto soltanto il ‘grazie’ che mi devi.” Risposi. Infondo, ma molto infondo era una verità che nemmeno io stesso accettavo. Avrei voluto molto di più che un semplice grazie da parte sua. Comunque sia, dopo aver insistito parecchio sull’argomento, alla fine accettai. Lei era molto ricca, aveva sterline da spendere, ed io ero un povero fallito che viveva grazie a tizi che nemmeno conosceva sul serio, appropriandosi delle loro carte di credito.

 

Quel giorno compivo ventisette anni, ma per me era un giorno normale proprio come tutti gli altri che avevo vissuto o che avrei, ancora per poco, vissuto. Mancavano pochi mesi allo scadere dell’anno e presto la mia anima sarebbe marcita all’inferno, mentre il mio corpo sarebbe stato sbranato da un maledetto cerbero.

 

Se volevo morire? Certo che no. In quel periodo avrei fatto di tutto per vivere al meglio ogni minuto della mia vita, magari anche trovando un modo per rallentare il tempo. Il tempo! Passava troppo in fretta quel bastardo!

 

Ero in cima ad una scala di ferro, con i piedi fissi sul terz’ultimo scalino di essa, mentre nella mano destra stringevo il rullo intinto di un forte colore bianco. Così bianco che faceva sembrare la stanza molto pulita. Non sapevo il motivo per cui mi impegnavo così tanto per quella casa, infondo non ci sarei stato ancora per molto. Forse era l’idea di avere un posto stabile dove vivere, una vera e propria casa dalla quale tornare dopo una caccia, mi entusiasmava. Passavo e ripassavo quel maledetto oggetto nello stesso punto del soffitto, e lo guardavo colorarsi mentre, con tutto me stesso, speravo che da un momento all’altro uno dei miei telefoni avesse cominciato a squillare. Magari sarebbe stata Hermione a telefonare, augurandomi un buon compleanno con la sua solita eccessiva felicità e la sua voce squillante; oppure Cedric, magari tra una risata, alla fine mi avrebbe offerto una birra. Ma nulla.

 

Avevo un disperato bisogno di essere ricordato. Avevo bisogno che qualcuno sapesse che io ero lì, che c’ero ancora. Avevo attraversato il tunnel e ora mi ritrovavo proprio alla fine, al capolinea. Volevo soltanto avere ricordi felici prima di andarmene, ma nessuno sembrava impegnarsi per questo. Non volevo una casa, non volevo regali per il mio compleanno. Volevo soltanto essere ricordato.

 

La rabbia stava quasi per affogarmi, ma restai calmo. Intinsi di nuovo il rullo nel secchio di vernice bianca, posato sull’ultimo gradino della scala, quello che fronteggiava appena il mio busto, e continuai a fare il mio lavoro. Un lavoro che mi faceva sentire quasi un pittore professionista. Forse era stato l’abbigliamento ad influire in tale convinzione: portavo un capello verdolino sulla testa, con tanto di visiera; una canottiera bianca a scavi, contornata da un’enorme macchia di sudore dietro la schiena e, per finire, un vecchio paio di jeans che non usavo da una vita. In quel momento squillò il telefono nella mia tasca. Ma non mi affrettai a rispondere alla chiamata, sapevo già chi era stato in grado di pensarmi. “Si!”  Risposi portandomi l’affare all’orecchio, mentre con l’altra mano continuavo il mio ‘capolavoro’. “Dean, sono Sam.”  Come non detto. – “Ahm.. credo di aver trovato qualcosa sul caso che stiamo seguendo. Ricordi che pensavamo fosse uno spirito infuriato?” – “Si, me lo ricordo. Io ho scommesso sulla bambina.” Dissi, lasciando il rullo nel secchio. Diventava complicato lavorare e parlare al telefono contemporaneamente. “Perché sulla bambina?” – “Le bambine c’entrano sempre. Ti ingannano con quel loro sguardo angelico e invece sono delle stronze.” Mi basavo sui film e ovviamente sulla mia esperienza professionale. “Ehm, si.” -Riuscivo ad immaginare la faccia di Sam dall’altro capo del telefono, la stessa espressione sconcertata che assumeva ad ogni mia battuta scadente. Non erano poi così male infondo. Se Ceddy rideva, c’era un motivo. – “Comunque sia, che ne dici di rimandare?” Quella domanda mi spiazzò. “Vuoi rimandare una caccia?”- “Si!” – “Chi sei tu? E che cosa ne hai fatto di mio fratello?” Non ero sicuro al cento per cento, ma mi sembrò di avvertire un piccolo accenno di risata da parte sua. Cosa che mi portò a sorridere a mia volta. “Ascolta, Dean.. ci ho riflettuto e penso che un giorno di riposo non ci farà male.” – “Ok, sei un alieno.” – “La vuoi piantare? Sono serio!” Mi rimproverò. “D’accordo, d’accordo. Se pensi ci sia utile, va bene.” Ribattei, riprendendo a passare il rullo contro il soffitto. “E poi.. dobbiamo festeggiare il tuo compleanno, no?” Allora non l’aveva dimenticato! “Sei un mutaforma!” Finsi un tono da panico. Volevo evitare sentimentalismi e smancerie. Erano momenti imbarazzanti e io non me la cavavo a gestire certe situazioni. “Idiota!” E così riattaccò. Non ebbi nemmeno il tempo di rimettere il telefono al suo posto, nella tasca, che qualcuno citofonò. Roteai gli occhi scocciato e, lentamente, scesi dalla scala per avviarmi verso il videocitofono che continuava ad emettere uno strano suono snervante. Per qualche secondo esitai. Non poteva essere di già Sammy e, occupata com’era, dubitai seriamente che la visita fosse di Hermione. “Magari è solo il postino.” Mormorai tra me e me, arricciando le labbra pensieroso. Alla fine mi convinsi e schiacciai il pulsante che visualizzò la schermata della telecamera che, come temevo, inquadrò il viso sorridente di Daphne. Mi passai una mano sulla faccia e chiusi gli occhi, tirando un profondo sospiro. “Chi è?” Domandai, fingendomi ignaro, avvicinandomi con la bocca al citofono.  “Daphne!” -Rispose con la sua voce dal tono dolce, alzando una mano verso la telecamera, agitandola in un saluto. – “Volevo sapere come sta andando la restaurazione!” – “Sta andando bene, Daph. Grazie!” La restaurazione? La restaurazione? Compivo ventisette anni, santo cielo! Qualcuno si ricordava che ero ancora vivo? Ovviamente la mia risposta fu sarcastica, ma lei non lo capì. “Hai intenzione di aprirmi o vuoi lasciarmi a parlare con un macchinario?” Giustamente! Un po’ contrariato, le lasciai la possibilità di raggiungere la porta di ingresso. Vedere Daphne era come fare uso di droghe, bastava vederla una volta per poi desiderare di vederla sempre. Mi grattai una guancia, mentre con l’altra mano cercavo di scacciar via quella polverina bianca che si aggirava nell’aria, rendendo quel posto polveroso. Fissavo la porta, in attesa che il campanello avesse iniziato a suonare. Poi finalmente arrivò il momento. Esitai ancora, soltanto per qualche secondo. Abbassai la maniglia e la aprì, sorridendo forzatamente verso di lei.

 

Chissà perché quel giorno sembrava più bella del solito.

 

“Daphne! Che sorpresa! Come mai qui?”  Iniziai a fare lo stronzo, facendo le mie solite domande da stronzo.  “Beh, giravo da queste parti e ho pensato di passare a vedere come te la cavi.” Un altro suo sorriso e sulle sue guancie apparsero quelle due piccole fossette che io avevo sempre adorato, fin dalla prima volta in cui mi rivolse un sorriso. “Ah!” Non avrei mai potuto pensare a qualcosa di meglio da dire.  “Che fai? Non mi inviti ad entrare?” – “Certo!” Affermai, tirandomi indietro per lasciarla passare. Poi chiusi la porta e senza dirle di accomodarsi, anche perché non c’erano molte alternative, tornai sulla scala a finire il lavoro iniziato. “Uhm.. ti sei dato da fare, vedo.” – “Già! Mi manca soltanto questa stanza da finire, poi possiamo far portare i mobili e le altre cose.” Si guardava attorno, incuriosita e forse a giudicare dalla sua espressione, anche incredula. Forse non pensava che io fossi in grado di svolgere anche quei tipo di lavori. “Perfetto! Mi occuperò di tutto io. Non appena avrai finito, chiederò un favore ad un amico che…” – “Daphne!” La interruppi e lei mi guardò, alzando lo sguardo verso di me e schiudendo le labbra carnose, pendendo dalle mie. “Hai già fatto abbastanza.” Dissi poi, chiudendo l’argomento e tornare a coprire il soffitto da strati di vernice bianca. Lei annuì, ma io non la guardai. “Dov’è Sam?” – “In biblioteca. Dovrebbe tornare a momenti..” Sottolineai l’ultima frase con un tono di voce più forte, tanto per farle capire che era meglio se se ne fosse tornata dalla sua cinquecento rosa. “Perfetto! Ne approfitto adesso, perché so che non avremo più l’occasione di rimanere soli.” Già, questo lo sapevo anche io… Non notai che tra le mani reggeva un piccolo sacco nero, come non notai che quel giorno aveva i capelli tirati in una coda di cavallo. Che avesse poco trucco, proprio come piaceva a me, e che indossasse dei semplici jeans attillati, degli stivali di pelle con il suo immancabile tacco vertiginoso, e un cappotto nero che gli arrivava fino ai fianchi. Notai tutto questo in quei pochi secondi che mi voltai a guardarla. Perché, quando io guardavo Daphne, lo facevo per davvero. Osservavo. Ciò che mi piaceva osservare di più, però, erano i suoi occhi: azzurri visti a primo impatto, o guardati da una persona obiettiva; in realtà erano blu, di un blu cobalto e le sue pupille erano contornate da tante piccole scaglie di verde e, alla luce del sole, si potevano notare le pagliuzze castane che rendevano il suo sguardo molto più speciale. “Vieni qui..” Mormorò, sostenendo sempre quel dolce sorriso che mi rendeva vulnerabile. Sospirai. Lasciai il rullo nel secchio, probabilmente per l’ennesima volta, e scesi di nuovo la scala. Mi avvicinai a lei e mi passò il sacco nero, mentre il suo sorriso divenne ancora più ampio. D’accordo. Nemmeno lei l’aveva dimenticato.Per un po’ restai a guardarla sbigottito, poi abbozzai un sorriso e lo afferrai per scartare il mio regalo.Però! Era leggero. Mi avvicinai al tavolo coperto da un lenzuolo bianco, dove temporaneamente avevo deciso di metterci i miei attrezzi da lavoro, e lo posai su di esso. Lo aprii e ne tirai fuori una scatola di cartone. Leggera. Vuota. Quando sollevai il coperchio, inarcai un sopracciglio e scoppiai in una risatina poco convinta. Mi aspettavo uno scherzo un po’ più elaborato di una scatola vuota, a dire il vero. Mi tolsi il cappello, lasciando anch’esso sul tavolo e mi passai una mano tra i capelli chiari, polverosi e schiacciati. Poi alzai le spalle, come dispiaciuto per non aver riso abbastanza. “Tutto qui? Mi aspettavo dei coriandoli, un pagliaccio molleggiante o… che ne so?!” – Dissi andando verso la finestra, per spalancarne le ante e lasciare entrare la flebile luce solare. Avevo dimenticato quanto fosse spento il sole di Londra. – “Una brasiliana che zompa fuori ballando l’Hula-hula?!” La mia ironia non aveva prezzo. Ma  Daphne non si smontò alle mie parole, richiuse la scatola e si avvicinò a me stringendola tra le braccia, come se contenesse l’oro più prezioso del mondo, o una risorsa naturale non ancora scoperta. “Questa scatola vale molto di più di qualunque altro regalo avrei potuto farti.” – “E’ una scatola vuota.” La guardai serio, così serio che il mio sguardo avrebbe potuto ucciderla. Riaprì la scatola e abbassò lo sguardo nel suo interno. “Questa scatola contiene tutto quello che fin’ora abbiamo passato insieme. Tutti i nostri litigi, le nostre risate…” – Aggrottai la fronte e chiusi la bocca per un momento, ascoltando quello che aveva da dirmi. “…i momenti più belli, quelli più tristi, quelli più strazianti e tutti i ricordi felici. Quello che ho pensato e che penso ancora di te, ma soprattutto quello che provo per te, Dean.” – Deglutii, perché non fui più in grado di ribattere o replicare. Fu lei, per la prima volta, a smontare me.  Alzò gli occhi verso i miei, ma quella volta non sorrideva. – “Hai fatto molto di più che starmi accanto, proteggermi, salvarmi la vita. Sei stato forte per me, quando io non ero in grado di esserlo. Mi hai reso di nuovo umana, ricordandomi come amare qualcuno.” – I suoi occhi divennero lucidi e mi parve di sentire il suo cuore battere molto forte. Il mio, invece, stava scoppiando e miei occhi non avrebbero retto ancora per molto. – “Dean.. io ti ringrazio per quello che hai fatto. Te ne sarò infinitamente grata e non ti dimenticherò mai. Ma è solo questo che posso darti, capisci?”- Una lacrima scivolò lungo il viso di Daphne, mentre lei, tra un singhiozzo e l’altro, cercò di continuare il suo discorso. - “Posso soltanto donarti una scatola vuota, ma piena delle nostre cose. E un posto riservato nel mio cuore, perché sei una persona speciale.” Ecco il genere di momenti imbarazzanti che preferivo evitare. Ma quello fu inevitabile. Calò il silenzio. Tirai col naso, mentre tenevo lo sguardo piantato sul pavimento. Perché osservare le mie scarpe diventò improvvisamente molto più interessante, in quel singolo istante? Mi inumidii le labbra carnose e poi mi decisi a guardarla. Cercai di nascondere con tutti i modi possibili di essermi emozionato, come da perfetto essere umano. Sospirai e strinsi i denti, pensando a qualcosa da dire. Ma cosa avrei potuto dire? Nulla. Per questo restai in silenzio. Chiuse la scatola incastrandoci sopra il coperchio e poi si avvicinò a me, avvolgendomi tra le braccia esili e poco forti. Non potevo vedere il suo viso, ma mi piaceva pensare che tenesse gli occhi chiusi mentre mi stringeva. “Una parte di me ti amerà sempre, cacciatore.” Sussurrò al mio orecchio.  Alle sue parole, un brivido mi percorse la larga schiena e in un attimo, senza doverci pensare ancora, le cinsi i fianchi e posai il mento sulla sua spalla. Una lacrima mi rigò il viso, ed io ero di nuovo l’uomo debole e innamorato. In un attimo venni invaso dal suo dolce profumo di fragole, qualcosa che non sentivo da tanto tempo. Così ne approfittai di quel momento, sapendo che non mi sarebbe più capitata un’occasione del genere. Non era qualcosa di chimico. Non si trattava del suo shampoo o del suo bagnoschiuma. Era la sua pelle a sprigionare quell’essenza. Fu lei a sciogliere l’abbraccio e fu lei stessa a posare le labbra sulle mie, in un piccolo, dolce e innocente bacio. Nonostante avessimo avuto di momenti più passionali, quello fu il momento più intenso della mia relazione con Daphne. Il momento più bello della mia vita. “Buon compleanno, Dean.” Mormorò poi, sorridendomi ancora una volta, prima di sparire dietro l’angolo ed uscire dalla mia nuova casa e dalla mia nuova, ma breve vita.

  
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