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Autore: LadyProud    23/07/2012    5 recensioni
«C’erano parecchie cose che mi facevano diventare sentimentale: le scarpe di una donna sotto il letto; una forcina dimenticata sul tavolo da toilette; quel loro modo di dire: “Vado a far pipì”; i nastri per capelli; camminare lungo il boulevard all’1,30 di pomeriggio, due persone, un uomo e una donna, insieme; le lunghe notti passate a bere e a fumare, a parlare; le liti; il pensiero del suicidio; mangiare insieme e star bene; le battute, le risate senza senso; sentire la magia nell’aria, star chiusi insieme in una macchina parcheggiata; parlare dei propri amori finiti alle 3 di notte; sentirsi dire che si russa; sentirla russare; madri, figlie, figli, gatti, cani; a volte la morte a volte il divorzio, ma sempre andare fino in fondo; leggere il giornale da solo in una tavola calda e avere la nausea perchè lei adesso è la moglie di un dentista con un quoziente di intelligenza di 95; gli ippodromi, i parchi, i picnic al parco; perfino le galere; i suoi amici noiosi, i tuoi amici noiosi; il tuo bere, il suo ballare; il suo flirtare, il tuo flirtare; le sue pillole, le scopate clandestine; dormire insieme…»
-Charles Bukowski, Donne
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 3.


La scelta della solitudine era come il piacere di camminare sotto la neve con un cappotto caldo. Chi vorrebbe camminare nudo sotto la neve?
-Jeanette Winterson, Scritto sul corpo


La campanella suonò, e tutti i ragazzi si fiondarono dentro scuola. Perché diamine correvano?
Attraversai lentamente il grande cortile interno. Di solito, Rudi mi aspettava vicino alla scala antincendio, ma oggi non era lì. Eppure l’avevo avvertito per telefono: oggi sarei tornata a scuola. Guardai l’orologio. Non ero affatto in ritardo, la campanella era appena suonata! Lo aspettai per cinque minuti, nascosta dietro ad una colonna per evitare che i miei ‘amici’ mi fermassero e mi facessero un interrogatorio. Non arrivò, così cominciai a salire le scale e mi diressi verso la mia classe. Passai di fianco a varie aule con la targa ‘quarto…’ e la relativa lettera. Sembrava stessero lì a mo’ di rimprovero; io avevo perso un anno, quindi ora mi ritrovavo in un terzo, ed ero la più grande. Ero l’unica bocciata in quella classe; di conseguenza, ero il bersaglio più gettonato per le spietate critiche dei professori.
Ovviamente, non solo perché avevo perso un anno.
Girai l’angolo, e mi ritrovai nell’ala della scuola dove erano riuniti tutti i terzi. Presi un respiro profondo, e mi piazzai di fronte alla mia classe. Dovevo entrare per forza, giusto?
«Cassandra, stai bloccando l’entrata». Sobbalzai. Cosa mi era preso? Quel giorno il mio cervello aveva deciso di non svegliarsi. Non mi piaceva mostrarmi debole, e ancor meno volevo sembrare rimbambita. Mi sembrava di essere tutte e due le cose, però.
Mi girai lentamente, e mi trovai faccia a faccia con Jessica, una delle mie compagne di classe. Non avevo mai parlato molto con lei; non che ci tenessi. Era una di quelle ragazze anonime, che cercano disperatamente di farsi notare, che cambiano pettinatura e stile ogni settimana, a seconda del gruppetto che frequentano.
Scommetto che se fosse diventata mia amica, si sarebbe tagliata i capelli e fatta qualche piercing.
«Scusa, Jessica, ero sovrappensiero».
Mi guardò come se all’improvviso mi fossero spuntate due orecchie da orco, così le dissi:
«So riconoscere quando faccio qualcosa che non va, sai?».
Perché la gente aveva questa brutta opinione di me? Sono una persona estremamente corretta. Sarà anche vero che è difficile farmi abbassare la testa, ma pensano davvero che sia così umiliante chiedere scusa quando si ha torto?
Mi diressi spedita all’ultimo banco, dove c’era una ragazza riccia e sorridente ad aspettarmi.
«Ciao, Delia», la salutai, e le diedi un bacio sulla guancia.
«Ciao, Cassie! Finalmente sei tornata. Come stai?»
Sorrisi. Delia era l’unica ragazza della mia classe che non stava perennemente a giudicarmi. A lei non importava chi mi portassi a letto, quali poster avevo in camera o quali libri sul comodino. Il primo giorno di scuola mi ha guardata, mi ha indicata e ha detto qualcosa tipo “Tu, tu sembri qualcuno che potrebbe diventare mio amico”. Mi aveva preso per un maschio, ma non era la prima volta che succedeva. Non aveva un approccio normale con le cose né con le persone. Di solito di questa gente si dice che ‘vivono in un mondo tutto loro’, e mai nessun luogo comune fu più appropriato, per Delia. L’unica cosa che le dispiaceva, era di non poter condividere i suoi pensieri sconci con me. Quando passava un bel ragazzo, subito si girava per sussurrarmi qualcosa nell’orecchio; dopo un po’, si ricordava che non m’interessava. “Ah, merda”, mormorava, e metteva il broncio per un paio di minuti, dopodiché si sentiva in colpa per non avermi parlato tutto quel tempo –e secondo lei era davvero un tempo lunghissimo!- e mi offriva una sigaretta. Dovevo preoccuparmi, se una delle mie poche amiche era totalmente fuori di testa?
«Come sta?» ripeté lei, visto che non le avevo risposto. Mi sedetti.
«Te lo dirò alla fine di questa giornata».
«Oh, Cassie, non rispondermi sempre così… Così… Così!». Risi, non potei farne a meno.
«Vuoi dirmi che tu non sai il casino che succederà oggi?»
Delia si guardò intorno. Alzai gli occhi al cielo, mentre lei cominciò a parlare come se qualcuno stesse tramando qualcosa contro di lei.
«Cosa? Che deve succedere? C’è qualche festa, me ne sono scordata? Dio, mio… I miei vestiti!». Ad un certo punto sembrò rinsavire, e disse: «Ma tu come fai a sapere queste cose? Sei tornata solo oggi…»
Continuai a ridere di gusto.
«Intendevo, la gente vorrà sapere, giusto?»
«Sì. Sì, certamente, avevo capito».
«Brava. E non credi che sarà un po’ stressante, per me?»
«Sì, un pochino».
«Esatto. Quindi a fine giornata sarò esausta».
«Ah, ora ho capito!».
«Brava». Le passai una mano tra i capelli castani.
«Ho capito, mi stai invitando a prendere un caffè?»
La mia mano si bloccò. Era sempre stata così deficiente, oppure in quella settimana era peggiorata ulteriormente?
«Delia… Ti sto dicendo che un interrogatorio è sempre difficile da sopportare. Se i nostri compagni di classe e i nostri professori dovessero farmi troppe domande, potrei mandarli tranquillamente a quel paese, perché sai che mi dà fastidio questo loro modo di fare. Compris
Delia fece una risatina nervosa.
«Ti stavo prendendo in giro», disse infine.
«Sì, come no…»
Mentre continuavamo questo scambio di battute poco coerenti, la professoressa della prima ora entrò in classe. Quest’ultima si era popolata, e ogni tanto qualcuno mi lanciava qualche sguardo. Fui contenta di aver parlato tutto il tempo con Delia; avevo sicuramente evitato qualche scocciatura.
La professoressa mi fissò a lungo, prima di parlare.
«Cassandra, puoi venire qui un attimo?»
Mi alzai. Che diamine voleva? Oh, aspetta. Lo sapevo, ovvio. Mi alzai e la raggiunsi, sotto gli sguardi di una ventina di studenti. Tutti che guardavano, ma senza vedere. La mia insegnante parlò sottovoce, per farsi udire solo da me.
«Vorrei che tu spiegassi ai tuoi compagni cos’è successo».
Aggrottai la fronte e piegai la testa da un lato, con fare melodrammatico.
«Non fare quell’espressione, voglio che tu racconti della tua aggressione, senza dare troppi particolari».
Inarcai un sopracciglio. «Perché dovrei volerlo fare, signora Evans?»
«Perché così ti risparmieresti molte seccature, dico bene?»
Annuii. Da quando era così comprensiva, specie con me?
«Non voglio che i miei studenti si distraggano per bazzecole come queste».
Ah, ecco.
«Cosa intende con ‘non devi dare troppi particolari’?».
Mi fulminò con lo sguardo.
«Racconta sommariamente cosa ti è successo, ci impiegherai qualche minuto. Nessuno vuole sapere perché quei due ragazzi fossero tanto indispettiti dal tuo comportamento».
Avevo capito bene? Voleva che raccontassi uno degli episodi peggiori della mia vita, omettendo la parte più importante? E tutto questo, solo per non creare una specie di scandalo tra gli studenti?
Se aveva bisogno di fare raccomandazioni del genere, probabilmente era troppo tardi. Sorrisi maliziosamente.
«Va bene, signora Evans».
«Non creare scandali, o finirai dritta dal preside».
Non era una minaccia poi così terribile, come non era la prima volta che sarei scesa dal preside.
Perché, con quello che avevo intenzione di dire, ci sarei tornata eccome, dal preside.



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Buonasera! 
Personalmente, non mi piace molto questo capitolo. Se otterrò abbastanza recensioni positive continuerò, oppure penso di fermarmi fino a che non mi verrà in mente un qualcosa di geniale. Quindi, invito tutti voi che mi avete messo tra le seguite, tra le preferite, tra le ricordate, a farmi sapere con qualche parola cosa pensate della storia, se volete che la continui; ma prima di tutto vi ringrazio di seguirmi. Intendiamoci bene, questa non è pubblicità; solo, non vorrei sprecare tempo, perché le idee ci sono, ma non so come possono risultare, sulla carta, quindi vorrei che mi spronaste un po'. Ringrazio Armony, Brodos, Flicka09, IEchelon106, Kim_Tankian, marniss, Pretty Vampire, S u n s e t per avermi messo nelle seguite.
Ringrazio Sitara_J per le ricordate.
Dopodiché, ringrazio tutti quelli che hanno recensito, e infine ringrazio Daiana, la mia migliore amica, che pur non essendo iscritta legge sempre tutto ciò che scrivo e mi fa da beta, come Romina, un'altra mia cara amica che saluto.
Okay, la finisco. Un bacio!
   
 
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